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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1952
w52 1/8 p. 236

Verità appresa per tempo

Il 6 giugno 1950, il sessantenne Teodoro Barrameda morì sulla sedia elettrica a Muntinlupa, Rizal, nelle Isole Filippine. Egli fu giustiziato perché era stato un collaboratore dei Giapponesi durante la seconda guerra mondiale. Il suo caso fu molto insolito e causò grande emozione fra il popolo.

Dal 1931 al 1933 quest’uomo era stato un poliziotto a Lipa. Poi servì come soldato, dopo di che si dedicò al lavoro dei campi. Poco prima della guerra si interessò nella politica e si arruolò nella “quinta colonna” Ganap filippina a Batangas. Quando i Giapponesi occuparono il paese egli si arruolò nella loro forza di polizia d’occupazione.

Finita la guerra, fu incriminato e condannato al carcere a vita per quattro motivi. Fu accusato di essere stato complice della morte di quattro Americani, oltre ad aver bruciato una donna anziana, ucciso a sangue freddo due ragazzi ciechi e dato aiuto e incoraggiamento al nemico. Queste accuse, comunque, egli le smentì recisamente. Quando fu fatto l’appello la corte suprema con una capovolta legale mutò la condanna a vita in condanna a morte. Due volte egli chiese grazia al presidente Quirino e due volte il Presidente si rifiutò di commutare la condanna. Ogni sforzo umano per salvare la sua vita fallì.

Quindi qualche cosa accadde. Durante la sua prigionia Barrameda venne in contatto col messaggio del Regno e conobbe il proposito di Dio di stabilire un nuovo mondo di giustizia sotto il Suo diletto Re Cristo Gesù. Egli cominciò a studiare la Bibbia, acquistò conoscenza della verità, fece una consacrazione, e venne battezzato il 12 giugno 1949. Durante il suo ultimo anno di vita servì come uno dei testimoni di Geova dietro le mura della prigione.

Il giorno dell’esecuzione venne, e il formale ordine di morte fu letto dal direttore della prigione. Tutti i presenti furono stupiti per la compostezza e la calma di Barrameda. Invece di trascorrere le ultime poche ore piangendo e gemendo e ascoltando una messa, come fanno molti superstiziosi prigionieri cattolici, quest’uomo cantò cantici del Regno in lode a Geova, grato d’aver avuto l’opportunità di apprendere la verità prima della sua morte. Egli parlò anche liberamente con i carcerieri della prigione, dando loro conforto e speranza. La sua coscienza era pulita. Nell’ignoranza si era trovato immischiato nella politica, ma era del tutto innocente dei barbari crimini per i quali veniva giustiziato. Egli dichiarò che era “una vittima di architettate accuse”, come il dott. José Rizal, il nazionale eroe filippino.

Portato nella camera mortuaria, rifiutò di prendere la morfina o il cloroformio, dicendo: “Solo il colpevole vorrebbe essere anestetizzato”. In modo diverso da quello degl’induriti criminali che sono odiosi e aspri, egli salutò gentilmente quelli che lo legavano alla sedia, con lo spirito di un vero Cristiano. — Matt. 5:44; Atti 7:60; Rom. 12:14; 1 Cor. 4:12, 13.

La risolutezza e la serenità mentale che ha chi sa di avere ragione fece una grande impressione a quelli che furono presenti alla morte di Barrameda. Come scrisse il giornalista Virgilio Talusan nel Daily Mirror di Manila: “I sei giornalisti che assistettero all’esecuzione, come anche gli altri testimoni, furono unanimi nel lodare il coraggio dell’uomo. Ma io chiedo di differire da loro. Io credo che non sia coraggio ma rassegnazione, sostenuta dalla fede nella credenza dell’uomo d’un giudizio nella vita futura”. Dicendolo con migliori parole, Barrameda temette Dio Onnipotente, non quelli che uccisero il suo corpo. La sua speranza era nella risurrezione, e, come il malfattore che pendeva al palo di tortura presso Gesù, egli fece appello al Supremo Giudice sperando nella vita nel nuovo mondo paradisiaco di giustizia. — Matt. 10:28; Luca 23:39-43.

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