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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1956
w56 15/2 pp. 101-103

Lezione 4

Lingue bibliche: ebraico

IL DITO di Geova Dio si muoveva sulla superficie di due tavolette di pietra poste sulla vetta del monte Sinai. Scriveva sulla parte esterna di entrambe le tavolette di pietra. Quando il dito fu rimosso dalla superficie di queste durevoli “pagine”, su di esse comparve la prima copia scritta dei Dieci Comandamenti. Erano incisi in caratteri della scrittura ebraica perfettamente formati. (Eso. 31:18; 32:16, 19; 34:1-4, 28) Fu quasi nello stesso tempo che Mosè cominciò a scrivere i primi cinque libri della Bibbia; li scrisse in ebraico. Salvo poche eccezioni, tutti gli scrittori delle Sacre Scritture ispirate che si susseguirono durante i successivi mille e cento anni scrissero nella lingua ebraica.

Nelle Scritture Ebraiche solo il popolo è chiamato ebreo; la lingua, dopo la morte del re Salomone nel 997 a.C., è chiamata generalmente “la lingua giudaica”. (2 Re 18:26, 28; 2 Cron. 32:18; Isa. 36:11, 13) La lingua ebraica appartiene alla famiglia di lingue parlate dalla maggior parte dei discendenti di Sem (e da alcuni altri). Per questa ragione questa famiglia di lingue è chiamata la famiglia semitica. Dato che Dio non confuse la lingua di Noè e di Sem al tempo della presuntuosa costruzione della torre di Babele, è ragionevole concludere che essi parlavano la lingua originale semitica da cui provennero in seguito i molti rami di quella famiglia di lingue. L’ebraico è il ramo principale della famiglia semitica, essendo stato molto probabilmente la lingua parlata nell’Eden. Nei giorni di Giacobbe il ramo aramaico era già in evidenza, poiché Labano adoperò parole diverse da quelle di Giacobbe per esprimere la stessa idea. (Gen. 31:47) Quando si cominciò ad usare l’ebraico per scrivere il racconto della creazione e un breve sunto della storia dell’uomo per i 2.500 anni dall’Eden fino all’Esodo, documenti che erano stati indubbiamente conservati da generazione in generazione, questa lingua si mostrò abbastanza efficace per descrivere vividamente l’ispirata narrazione storica.

L’ebraico, come la maggior parte delle lingue semitiche, si scriveva senza vocali, soltanto con consonanti. L’alfabeto ebraico aveva ventidue lettere, tutte consonanti, ma almeno nove di esse potevano rappresentare due suoni ciascuna. Le possibilità della lingua abbracciavano circa ventotto suoni di consonanti. Le ventidue consonanti ebraiche insieme ai loro nomi risultano nel loro ordine alfabetico come intestazioni delle strofe del Salmo 119, nella Versione Standard Americana. Ma sebbene la lingua non avesse vocali scritte, tuttavia aveva abbondanza di suoni vocali nella sua forma orale. Essa sorpassa di molto l’italiano nell’uso di suoni vocali. La sostanza dell’argomento è che la lingua scritta non provvedeva le vocali, e i lettori erano obbligati a ricordare e usare i suoni vocali della lingua parlata, proprio come si devono aggiungere le vocali a certe abbreviazioni come sign.ra (Signora), p.za (piazza), vs. (vostro), e dr. (dottore).

Finché la lingua ebraica fu parlata quelli che la conoscevano bene non trovavano difficile aggiungere il giusto suono vocale leggendo le parole formate solo di consonanti, ma quando l’ebraico cessò di essere una lingua viva divenne sempre più difficile ricordare gli esatti suoni vocali che appartenevano alle parole usate nei manoscritti ebraici della Bibbia. Però la pronuncia tradizionale fu preservata e tramandata dai dotti nella lettura della Legge, dei Profeti e dei Salmi per l’istruzione del popolo. Comunque, finalmente durante il sesto o settimo secolo dopo Cristo, fu escogitato un sistema di punti e lineette che venivano posti sotto, sopra o fra le consonanti per indicare i giusti suoni vocali. Tali segni non sono chiamati lettere vocali, bensì punti vocali. Furono aggiunti da eruditi giudei chiamati “massoreti”. Fu anche inventato un sistema di segni di accenti per indicare la pronuncia, una pausa, la relazione fra parole ed espressioni, e la notazione musicale. Nessun uomo sulla terra è in grado di leggere questa notazione musicale, dato che se ne è perduta la chiave.

La maggior parte delle parole ebraiche deriva da una radice di tre consonanti. Quasi tutte queste radici sono verbi, la parte più importante del discorso in lingua ebraica. Queste radici sono vive, espressive, e agiscono sui sensi di vista, udito, odorato, gusto e tatto. Le Scritture Ebraiche adoperano poco più di 2.000 parole radicali, ma la maggior parte di esse viene adoperata così raramente che se si conoscono le 500 radici più frequentemente usate si può leggere quasi tutta la Bibbia Ebraica. Si calcola che il numero totale di parole nel vocabolario ebraico della Bibbia sia da 5.000 a 7.000 vocaboli. L’ebraico ha due tempi, vale a dire senso dei verbi più che “tempi”, il tempo perfetto o storico, e l’imperfetto o tempo indefinito. L’ebraico non adopera altri tempi che questi due. Per esempio: “Se tu mi dici di far questo, io l’ho fatto”. Questa espressione è perfettamente giusta in ebraico. “Se tu mi dici” è forma indefinita: cioè in qualsiasi tempo tu me lo dica nell’eternità, passato, presente o futuro. “Io l’ho fatto” è tempo storico o passato, ma qui si riferisce ad un tempo futuro, successivo al dire. Sebbene l’azione si riferisca al futuro, la persona che si esprime con la forma perfetta vuol dire quindi che è quasi come se fosse già compiuta.

Il nome “Geova” è espresso in forma di verbo nel tempo indefinito. È per questo motivo che questo nome può essere tradotto, come lo rende Rotherham, “Egli potrà essere o sarà ciò che potrà essere o sarà”. Tutto questo è compreso nel solo nome Geova. Poiché il nome contiene tutto questo significato le Scritture Greche Cristiane cercano di collegare il suo significato con l’espressione rivolta a Geova chiamandoLo colui “che è, che era e che viene”. Con questi tre tempi il greco cerca di esprimere il pieno significato del nome Geova. A proposito, questo nome del Creatore si trova 6.823 volte nelle Scritture Ebraiche, rappresentato dalle sue quattro consonanti, JHVH. Dopo che furono scritte le Scritture Ebraiche Giudei religiosi e superstiziosi considerarono il nome troppo sacro perfino per pronunciarlo, e mentre leggevano ad alta voce lo sostituirono con Adonai (mio Signore) o Elohim (Dio). Per ricordare al lettore di far questo le vocali di uno o dell’altro di questi sostituti furono poste sotto le consonanti JHVH. Così abbiamo oggi la forma italiana del nome che i Giudei religiosi considerarono incomunicabile, cioè, Geova. A causa della superstizione religiosa dei capi giudei l’antica pronuncia ebraica si è perduta e oggi può essere conosciuta soltanto approssimativamente, ma noi abbiamo in italiano la forma eufonica italianizzata che si trova in una nota in calce della Versione Riveduta, e in una intestazione della Versione Diodati. — Matt. 1:21; Isa. 41, Di.

Malachia, l’ultimo libro delle Scritture Ebraiche, fu scritto in lingua giudaica. Il tempo della sua composizione non è definito, ma qualche evidenza indica che fu verso la fine del tempo del governatore Nehemia, quasi cento anni dopo la liberazione degli Israeliti dalla cattività. È molto evidente che a quel tempo non tutti i Giudei comprendevano l’ebraico. (Neh. 13:24, 25) Solo pochi anni prima, quando la legge di Dio veniva letta in pubblico nella tradizionale lingua ebraica, nell’ebraico dei manoscritti biblici, era necessario che la lettura fosse fatta con parafrasi aramaiche affinché il popolo comprendesse. (Neh. 8:8) Prima della cattività dei Giudei in Babilonia alcune parole aramaiche si erano infiltrate nel discorso ebraico; durante i settant’anni in Babilonia la penetrazione di aramaicismi aumentò; dopo la liberazione la lingua ebraica fu invasa e superata dall’aramaico, che si era esteso in vaste proporzioni, e così cessò di esistere come lingua viva del popolo giudaico poco dopo i giorni di Nehemia. In seguito soltanto i sacerdoti e gli scribi giudaici conoscevano l’ebraico delle Scritture. L’aramaico divenne la lingua comune del popolo che una volta aveva costituito la nazione eletta di Geova Dio.

Lo studio della lingua ebraica fu quasi interamente dimenticato dai non Giudei fino al sedicesimo secolo. Nel diciassettesimo secolo altre lingue semitiche furono studiate. Nel diciottesimo secolo la grammatica di altre lingue semitiche fu esaminata insieme alla grammatica ebraica. Nel diciannovesimo secolo Wilhelm Gesenius cominciò vigorosamente a promuovere lo studio dell’ebraico delle Scritture, attività che fu intrapresa e proseguita da altri. Da quel tempo la conoscenza di questa lingua che comprende più di tre quarti dell’ispirato canone biblico scritto in origine è aumentata rapidamente. La nota del pubblicatore, ne La Bibbia Completa, Una Traduzione Americana (inglese), del 1935, dice: “La conoscenza dell’ebraico si sviluppa velocemente, e anche nei pochi anni trascorsi dopo la prima edizione [di questa versione della Bibbia in lingua moderna] pubblicata nel 1931, sono state fatte contribuzioni al soggetto che né traduttore né pubblicatore possono ignorare”.

[Domande per lo studio]

1. In quale lingua Geova Dio stesso scrisse i Dieci Comandamenti in pietra durevole? e chi poi seguì il suo esempio?

2. Perché è chiamata “semitica” la famiglia di lingue alla quale appartiene l’ebraico? e quali erano le possibilità d’espressione della lingua giudaica al tempo dell’Esodo?

3. Che cosa mancava all’ebraico scritto? e quali suoni, quindi, dovevano aggiungere i lettori?

4. Quando l’ebraico cessò di esistere come lingua viva, come fu preservata la pronuncia tradizionale?

5. Quali informazioni sono presentate rispetto alle parole radicali dell’ebraico?

6. Che cosa si può dire dei tempi dei verbi ebraici?

7. Com’è illustrato il tempo o senso indefinito dei verbi nel nome “Geova”? e quale ulteriore osservazione segue riguardo a questo nome sacro?

8. In quali avvenimenti possiamo rilevare il tramonto e la morte dell’ebraico come lingua viva del popolo comune?

9. Quale progresso è stato fatto nello studio dell’ebraico durante gli ultimi secoli?

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