Siete schiavo del vostro lavoro?
“IN REALTÀ non viviamo. Esistiamo semplicemente. L’unica scusa per cui esistere è quella di servire il nostro lavoro”, si lamentò amaramente Earl.
Il Sig. Kinley,a suo superiore che stava facendo colazione con lui, annuì. “Siamo schiavi. Siamo schiavi del nostro lavoro”.
“Guardi il primato di vendite che ho conseguito l’anno scorso. E l’ha apprezzato? Mi dice di fare quest’anno il 10 per cento di più”.
“Questa”, rammentò il Sig. Kinley, “è la spietata società che ti parla per mezzo di me. Il mio lavoro è di spre-me-re gli uomini”.
L’uomo più anziano rifletté tristemente che le cose non erano così impersonali, privando della dignità umana, prima che la ditta si fondesse con l’enorme società “in espansione”. Prima della fusione il presidente della ditta ne era anche il proprietario. I rapporti erano più personali. Comprensione e comunanza di vedute erano possibili. Ma restava poco di quei giorni eccetto qualche confidenza fra lui e poche persone come Earl. Anche queste confidenze erano superficiali. Il Sig. Kinley non avrebbe rivelato le sue più profonde convinzioni.
“Ora facciamo parte di una grande società in espansione”, disse Earl, con la voce piena di sarcasmo. “Le nostre azioni sono sul pubblico mercato. Chiunque abbia denaro può acquistare un diritto su di noi. Investono il loro dollaro. Senza muovere un dito vogliono indietro due dollari. Ciò significa che dobbiamo sudare per produrre più profitti. Non importa come, solo ricavare più profitti. Il solo modo in cui possiamo farcela è di offrire un prodotto scadente”.
Nella trappola del gigante
Questa conversazione realmente avvenuta fra Earl e il Sig. Kinley durante una colazione è comune ogni volta che gli uomini si sentono intrappolati nel moderno mondo commerciale, spesso in gigantesche società. È una trappola che pochi riescono evidentemente ad aprire. Essi, rifletté il Sig. Kinley, agitavano impotenti i pugni in faccia al Commercialismo. Questa è la faccia segnata da linee di avidità scolpita nell’acciaio, permeata da uno spirito che un dirigente di una gigantesca società siderurgica americana definì così, secondo la citazione di Fortune: “Non siamo nel commercio per fabbricare l’acciaio, non siamo nel commercio per costruire navi, non siamo nel commercio per erigere edifici. Siamo nel commercio per fare denaro”.
L’ampliamento, mediante espansione, mediante fusione, con qualsiasi mezzo, è la strada consacrata che conduce ai profitti e a maggiori profitti.
Una società in cui il motivo centrale è il profitto mediante espansione genera una corsa competitiva fra le imprese, spingendole rapidamente verso la formazione di enormi società. Svanita è l’influenza del piccolo esercente il cui negozio era il suo impero, dell’artigiano la cui abilità era la sua ricchezza, del contadino che possedeva la sua terra ed era in larga misura autosufficiente. “Questa è l’èra della grande società da molti miliardi di dollari”, scrive Fred J. Cook nel suo libro The Corrupted Land. “È, sempre più, l’èra del calcolatore elettronico e dell’automazione. . . . Come risultato non solo l’individuo è stato spinto a un’esistenza societaria, ma la piccola società è stata spinta in quella più grande. Questa irreversibile spinta verso la creazione di sempre più grandiose strutture di potere ha caratterizzato tutta l’èra successiva alla seconda guerra mondiale”.
Dal 1950 al 1960 più di mille maggiori imprese americane si fusero. Il ritmo fu accelerato negli anni sessanta. Ben più di due terzi dell’industria degli Stati Uniti (trasporti, manifatture, industrie minerarie e servizi pubblici) sono oggi controllati da sole poche centinaia di società. Appena 316 società manifatturiere impiegano il 40 per cento di tutti i lavoratori americani. In un mondo simile, osserva Cook, la volontà individuale si indebolisce, e la coscienza si atrofizza.
Per lo scrittore Erich Fromm questo è uno spaventoso capovolgimento dell’ordine: “Ciò che vive sono le organizzazioni, le macchine; . . . l’uomo è divenuto il loro schiavo anziché essere il loro padrone”. Gli uomini non sono altro che ingranaggi ben lubrificati di macchine: “La lubrificazione si fa con salari più alti, gratifiche, fabbriche ben ventilate e trasmissione di musica, e con psicologi ed esperti di relazioni umane; . . . nessuno dei suoi sentimenti o dei suoi pensieri ha origine da lui; nessuno di essi è autentico. Non ha convinzioni, né in politica, né in religione, né in filosofia. . . . Si identifica con i giganti e li idolatra come veri rappresentanti delle sue proprie facoltà umane, delle quali si è spogliato”.
Pratiche non etiche
Un’altra ragione per cui molti uomini d’affari si sentono intrappolati è la forte tendenza a seguire pratiche non etiche. Infatti, lo storico che scrisse dell’antica Cartagine: “Nessuna cosa è considerata vergognosa se reca un profitto”, potrebbe usare queste parole per l’odierno mondo commerciale. Harvard Business Review, intervistando 1.700 dirigenti di aziende, riscontrò che quattro su sette credevano che ogni altro dirigente della loro ditta avrebbe trasgredito un codice etico ogni volta che avesse pensato di poter rimanere impunito. Quattro su cinque ammisero che la loro propria ditta non seguiva princìpi etici, ed era colpevole di pratiche come corruzione, assunzione di prostitute per i clienti, rialzo e ribasso artificioso dei prezzi, pubblicità fraudolenta, infrazioni antisindacali, falsificazione di dichiarazioni finanziarie per ottenere prestiti o credito e offerta o accettazione di una restituzione di parte del salario.
C’è poi la corsa per arrampicarsi sulla scala sociale della posizione. Come ammise un dirigente di una compagnia petrolifera: “In questa compagnia alcuni faranno qualsiasi cosa pur di andare avanti”. Fare “qualsiasi cosa pur di andare avanti” conduce a molte pratiche non etiche, ciò che è stato descritto come un “inganno, una velenosa astuzia e completa mancanza di etica”. Il libro The Corrupted Land parla di dirigenti che si colpiscono alla schiena e si tagliano la gola fra loro in centinaia di imprese come “banditi di mestiere”.
“È possibile che un uomo avanzi di grado nella scala dei dirigenti solo con metodi onesti e dignitosi?” chiese la rivista Modern Office Procedures ai suoi lettori costituiti da dirigenti. Quasi tutti risposero: “No”.
Qualsiasi metodo poco scrupoloso impiegato tende a divenire contagioso. Norman Jaspen, consulente per i dirigenti di New York, avverte: “Quando c’è disonestà in alto, essa si estende in basso come una malattia infettiva”. Coloro che vogliono evitare d’essere infettati da una morale malata hanno ragione di sentirsi in trappola.
Fatti apposta per consumarsi
Un’altra ragione per cui alcuni uomini d’affari si sentono in trappola nel loro lavoro è che non possono offrire prodotti di alta qualità come vorrebbero. C’è la tendenza a farli apposta perché si consumino. Questo significa che il produttore fa prodotti alquanto scadenti deliberatamente, ma che non si noti. Pertanto, il prodotto si logora prima e il cliente dovrà comprarne un altro. Questa pratica è detta da uno scrittore in materia di economia “parte integrale dell’economia americana”.
La General Motors ha fatto diventare verdi dall’invidia altre società quando ha indotto l’industria automobilistica ad adottare questa pratica di cambiare ogni anno i modelli delle automobili. Un critico ha commentato che Henry Ford, pioniere nella costruzione di automobili, con la sua idea di costruire un’automobile che durasse parecchi anni, sarebbe “oggi una positiva minaccia nazionale”.
Tutte le “libere imprese” messe insieme sono superate dalle spese governative per gli armamenti, definite “un delizioso stimolo all’economia in una società di sprechi perché le armi belliche diventano così presto superate e devono essere perpetuamente rinnovate”.
Questo dà luogo a un ciclo. Le imprese commerciali incoraggiano a far debiti, rendono più facile il credito del consumatore e danno inizio a un circolo vizioso che Business Week chiamò “Prendete a prestito. Spendete. Comprate. Sprecate. Desiderate”.
Non c’è nessun posto di quieto ritiro
Il Sig. Kinley aveva un dilemma personale. Era nauseato e stanco del suo lavoro. I massimi dirigenti non tenevano assolutamente conto delle sue richieste di non inondare il mercato di merce scadente. Giacché la ditta si era fusa con un gruppo di società la pressione a spremere gli uomini a incrementare la produzione si era solo intensificata. La maggioranza degli uomini che lo circondavano erano del tipo conformista, che si adattavano senza esitare all’etica della società, assetati di avanzare. Come fa un uomo a resistere contro una schiacciante, spietata, impersonale potenza sociale che usa e sfrutta e mette da parte gli uomini?
Quali alternative c’erano? Finché la ditta era stata piccola e indipendente era stato possibile in alcuni casi che un uomo, invecchiando, si ritirasse nella sicurezza di un posto quieto e fisso a cui i giovani difficilmente aspiravano. Ma ora nell’ufficio del direttore generale era appeso un prospetto, un prospetto a forma di piramide. Ogni posto era un blocco di quella piramide, un gradino su cui uomini più giovani, più forti e più capaci erano sempre ansiosi di salire.
Malattia da “stress”
Il Sig. Kinley sapeva intimamente che nel suo sistema nervoso i segnali di pericolo additavano una “crisi”. Gli uomini d’affari che ostentano le loro ulcere come un’onorificenza le chiamano con un eufemismo: la parola “stress”.
Che aiuto poteva ricevere dallo psicologo della società? Il Sig. Kinley sapeva ciò che gli avrebbe consigliato: “Lasci da parte gli scrupoli e si attenga alle regole del gioco”. Nel suo libro Business as a Game Albert Z. Carr dice: “Gli uomini le cui decisioni e azioni economiche sono cariche di sentimenti personali trovano difficile sopportare la tensione degli affari”. Egli suggerisce agli uomini d’affari di riservare i loro scrupoli alla vita quotidiana, perché “la strategia degli affari è nettamente differenziata dagli ideali della vita privata”. Nell’articolo intitolato “Come si fa un presidente [di una società]” Andrew M. Hacker mostra d’essere d’accordo: “Il modo in cui reagisce a questa sfida [di scusare un prodotto scadente] sarà notato dai suoi superiori”. Non solo l’uomo troppo scrupoloso per “stare al gioco” difficilmente diventerà presidente, ma, come aggiunge Carr: “Sarà fortunato se riuscirà a conservare un posto direttivo e riuscirà a evitare la malattia da stress”.
I dirigenti turbati, dai trenta ai cinquant’anni, se sono sopravvissuti, hanno dovuto competere in un mondo che esige conquista. La continua spinta a farsi valere li costringe ad andare a un ritmo che infine permea tutta la loro personalità. Quindi, allorché superano la cinquantina, non riescono a rallentare, a rilassarsi, ad adattarsi al processo di invecchiamento. Quelli che non sanno affrontare la realtà, dice il prof. William E. Henry dell’Università di Chicago, “corrono letteralmente alla morte”.
Il moderno commercio spinge spesso gli uomini incessantemente, inesorabilmente verso un interiore vortice di distruttive attitudini: timore, odio, ira, gelosia, sospetto, frustrazione, invidia, colpevolezza, incertezza, dubbio.
Il Sig. Kinley si accorgeva non solo di essere teso, nervoso e irascibile, ma, peggio di tutto, esausto. Era un specie di oscuro, triste esaurimento. Alla fine della giornata non poteva chiudere la porta alle contrarietà del suo lavoro ed escluderle dalla sua mente a casa. Le conseguenze dell’esaurimento si accumulavano dal lunedì finché, alla fine della settimana, gli occorrevano il sabato e la domenica solo per riposare e ricuperare.
Come uscire dalla trappola della società
Ma a cinquantaquattro anni che probabilità aveva di trovare lavoro altrove? Dove poteva trovare un posto che gli offrisse altrettanto in denaro, prestigio e vantaggi? È vero, c’erano concorrenti che avrebbero assunto volentieri un uomo della sua maturità e competenza se egli li avesse aiutati a sopraffare la sua attuale società. Ma questo significava salire duramente o più duramente sulla piramide della loro società.
Prima doveva decidere — e abituare anche la sua famiglia all’idea — che il sollievo dalla pressione del lavoro può essere un bene che si compra e che si paga. Il costo? Forse un più basso tenore di vita. Il denaro non doveva più essere l’unica misura dei valori.
Il Sig. Kinley sapeva che è importante avere una sensata veduta del denaro. La Bibbia lo aveva detto chiaramente: “L’amore del denaro è la radice di ogni sorta di cose dannose, e correndo dietro a questo amore alcuni sono stati sviati dalla fede e si sono del tutto feriti con molte pene”. — 1 Tim. 6:10.
Il Sig. Kinley si rendeva conto che se voleva vivere più a lungo doveva fare un cambiamento. Nel suo proprio corpo e nella sua propria mente qualche cosa gli suggeriva la stessa conclusione a cui era pervenuto il Centro Medico dell’Università Duke in uno studio di quindici anni: La soddisfazione nel lavoro è uno dei fattori più essenziali per vivere a lungo.
Una settimana dopo aver fatto colazione con Earl, il Sig. Kinley diede quietamente le dimissioni.
Nel giro di due mesi lavorava da tre a quattro giorni la settimana come consulente indipendente al servizio di ditte più piccole nel suo campo. Non guadagnava tanto denaro quanto prima. Aveva perduto alcuni preziosi vantaggi marginali, come l’assicurazione collettiva. Era il prezzo che pagava per il sollievo dalla pressione del lavoro. Ne valeva la pena?
Secondo lui, Sì. “Provo una felicità interiore infinitamente superiore. Sono uscito dalla trappola della società. Ora ho tempo per gli svaghi, lo studio e la riflessione, tempo per plasmare le mie proprie facoltà di pensare. Ora lavoro per vivere. Spero di non dovere mai più vivere solo per lavorare”.
Questo episodio realmente accaduto nella vita di un uomo d’affari americano vi pone la domanda: Siete schiavo del vostro lavoro?
[Nota in calce]
a I nomi di questo episodio realmente accaduto nella vita di un uomo d’affari americano sono stati cambiati.