Scuola viaggiante
Dal corrispondente di “Svegliatevi!” nella Repubblica di Zaïre
VI PIACEREBBE fare un viaggio di 8.000 chilometri attraverso sette delle otto province della Repubblica di Zaïre? Mia moglie e io abbiamo fatto tale viaggio. Ci vollero un anno e cinque mesi, e fu denso di avvincenti esperienze.
La nostra era una scuola viaggiante. La scuola non era per bambini, ma per adulti ministri cristiani. Aveva lo scopo di preparare questi uomini a soddisfare in modo più efficiente i bisogni spirituali dei componenti delle loro rispettive congregazioni.
La scuola di Ministero del Regno, come si chiama questo corso d’istruzione, viene tenuta dai testimoni di Geova in ogni parte del mondo. Di solito le lezioni si tengono in un solo luogo del paese, o forse in alcuni posti permanenti, e per frequentarle i sorveglianti cristiani devono andare lì.
Comunque, la Repubblica di Zaïre (ex Repubblica Democratica del Congo) è un vasto paese dove un lungo viaggio ha un costo proibitivo per alcuni. Ma per mezzo della nostra “scuola viaggiante”, che portò la scuola più vicino a loro, fu possibile a questi ministri assistervi senza un indebito onere finanziario.
In media, ci furono circa venti ministri in ogni classe. Il corso durava due settimane. Le lezioni erano su quattro materie principali: Sorveglianti, Insegnamenti del Regno, Adunanze e Ministero di Campo. La Bibbia era il principale libro di testo, benché si usassero altre pubblicazioni di studio biblico. Come avviene per la Scuola di Ministero del Regno in ogni luogo, nessuna lezione fu fatta pagare; l’addestramento era del tutto gratuito.
Attrezzature e ostacoli
Facemmo il viaggio con una Land Rover. Avevamo le brandine, utensili per la cucina, scorte dei principali generi di consumo, lampade, libri per la scuola, la lavagna, indumenti personali, pezzi di ricambio della Land Rover, una vanga, una scure, assi, cavo d’acciaio, lattine extra di benzina e cartine geografiche. Caricare tutto questo è certo un’arte, perché ogni cosa dev’essere sicuramente fermata per evitare rotture sulle strade cattive. In alcune strade si deve sempre essere preparati a possibili guasti, o a qualsiasi altra eventualità. Le linee rosse delle strade chiaramente tratteggiate sulle cartine sembrano così semplici, ma attraversarle è tutta un’altra faccenda!
Di una delle più lunghe tappe del nostro viaggio, dalla provincia di Kasai a Kinshasa, una distanza di 1.600 chilometri e quattro giorni di snervante guida, ricordiamo bene due cose. Primo, i profondi banchi di sabbia in molti tratti di strada. A volte viaggiavamo in prima, con quattro ruote motrici, per superare i lunghi profondi tratti. E secondo, il numero dei fiumi, alcuni dei quali erano molto larghi. Alcuni fiumi più piccoli erano attraversati da ponti, ma undici dei più larghi erano attraversati da traghetti.
Traghetti interessanti
I traghetti sono una bella esperienza. Di solito consistono solo di tre o quattro lunghe canoe di legno o di semplici imbarcazioni metalliche unite insieme, con una piattaforma di legno sopra. La maggioranza è ora spinta da motori fuori bordo. Comunque, alcuni vengono ancora manovrati coi remi spinti da gente del luogo. Durante una traversata il traghetto aveva un equipaggio di dieci uomini. Il caposquadra eseguiva un monotono canto per dare il tempo ai rematori.
Altri traghetti, però, operano per mezzo di cavi. Il cavo è attaccato a pali di cemento su entrambe le rive, e il traghetto attraversa il fiume, spinto dalla corrente e scivolando sul cavo per mezzo di una ruota mobile.
Salire a bordo del traghetto è spesso un’impresa rischiosa, poiché si deve guidare su due tavole in precario equilibrio e poste invariabilmente a uno scomodo angolo. Davamo sempre un sospiro di sollievo ogni volta che attraversavamo sani e salvi un fiume e la Land Rover era di nuovo sulla terraferma.
I traghetti sono usati anche dai pedoni, e pare che il loro numero non abbia limite. Spessissimo la Land Rover era completamente circondata da persone. Eravamo fitti come sardine. Comunque, la mancanza di spazio per respirare non ci preoccupava quanto vedere l’acqua che cominciava a salire oltre i bordi delle canoe. Ma pareva che nessun altro si preoccupasse. In qualche modo gli uomini riuscivano a buttar fuori l’acqua così in fretta come entrava!
Viaggio sul fiume
In una tappa del nostro giro, da Kinshasa a Boende nella provincia dell’Equatore, viaggiammo per otto giorni su un battello perché le strade erano specialmente cattive. I battelli fluviali sono grosse lance a motore che spingono o tirano parecchie chiatte senza motore. Dormivamo sul primo ponte del battello principale, per cui avevamo il vantaggio di vedere dall’alto lo scenario lungo il fiume e anche le chiatte. Laggiù su una di esse potevamo vedere la nostra Land Rover, circondata da scatole, casse, merci e persone. Un gruppo decise che la Land Rover costituiva un’eccellente parete e così vi attaccarono un tenda improvvisata per ripararsi dal sole.
La cosa più sorprendente per noi fu il numero di persone e di merci stipate a bordo. Pare che qui su ogni tipo di pubblico mezzo di trasporto il motto sia: “Troppi sono proprio abbastanza!” C’erano capre legate, galline con le ali legate, grandi recipienti d’acqua contenenti pesci vivi che si contorcevano e guizzavano, un paio di coccodrilli vivi con la bocca e la coda legate, una tartaruga d’acqua, maiali selvatici e gabbie di pappagalli e altri uccelli. C’erano pure numerosi cesti di pesce affumicato, da cui si levava un forte odore sotto il cocente sole.
Anche il rumore merita d’essere menzionato. C’era il rombo continuo di potenti motori. Questo incoraggiava tutti a gridare per farsi sentire anche nella normale conversazione. Bambini che giocavano, che ridevano e che spesso piangevano, oltre alle capre e alle galline, aggiungevano voci al coro. In breve, il battello divenne un palcoscenico molto movimentato con molte cose da vedere e udire.
A ogni fermata l’attività si intensificava mentre alcuni scendevano dal battello e altri vi salivano. Ma anche prima che il battello gettasse gli ormeggi, decine di canoe si staccavano spesso dalla riva e ci circondavano. Di solito avevano altro pesce o animali da vendere. Era interessante osservare.
I venditori in piedi nelle loro canoe rimanevano in precario equilibrio, e mercanteggiavano coi passeggeri sul prezzo del pesce o della carne. Quelli che erano sul battello si affollavano contro la ringhiera e nell’acceso mercanteggiare era difficile dire con quale passeggero trattava ciascun venditore. Pareva che ognuno cercasse di gridare più forte del vicino. Facendo con le braccia espressivi gesti di disgusto per le offerte basse, o accettando rassegnati l’affare, le vendite erano finalmente concluse. Poi la sirena del battello lanciava un assordante fischio, che non mancava mai di prenderci alla sprovvista e farci sobbalzare. Le canoe si allontanavano, e il nostro battello si staccava da un altro porto di scalo, mentre tutti gli abitanti facevano segni e lanciavano grida di saluto.
Durante il viaggio passammo davanti a numerosi pittoreschi villaggi con capanne costruite su palafitte. La vita in migliaia d’anni è cambiata di poco per queste persone. Pescano dalla canoa, vanno a caccia nella foresta e coltivano la terra lungo le rive del fiume. Il cibo che hanno in più lo scambiano con i pochi indumenti e altre cose di cui hanno bisogno. È una vita pacifica e senza complicazioni.
I tramonti sul fiume erano straordinariamente belli, mentre il rosso fulgore del sole discendente segnava i contorni delle capanne e degli alberi sulla riva facendoli specchiare nell’acqua. Di notte regnava una gran pace mentre scivolavamo sotto la luna e le stelle, con una leggera brezza che rinfrescava tutto dopo l’ardente calore del sole equatoriale.
Lungo la strada
La maggior parte del viaggio, comunque, la facemmo per strada. Attraversammo ogni specie di paesaggio immaginabile: dense foreste, boschi, monti, rive di laghi, fiumi, acquitrini e savane. Ciascuna regione aveva le proprie distintive caratteristiche e la propria bellezza. Si potrebbe anche aggiungere, i propri problemi a causa del vario fondo stradale.
Alcune strade erano buone, la maggioranza non lo era e alcune erano realmente cattive. Durante una tappa di tre giorni finimmo in un fossato, ci insabbiammo in tre buche e rimanemmo incagliati in un mare di fango da cui dovemmo essere tirati fuori da un bulldozer. La ragione di tutti questi contrattempi erano le forti piogge, che avevano reso la superficie argillosa simile a sapone. Ci vuole solo un secondo per incagliarsi, ma ci possono volere ore per venirne fuori.
Fortunatamente di solito c’erano villaggi lì vicino e gli abitanti erano più che contenti di dare una mano per un piccolo compenso. Infatti, un conducente di autocarri ci informò che molte volte gli abitanti dei villaggi sono felici d’avere un tratto di strada cattiva lì vicino perché è una fonte di guadagno! Sapeva che in alcuni tratti cattivi c’era anche un prezzo fisso da pagare se si aveva la disgrazia di rimanere bloccati.
Mentre ci avvicinavamo a un cattivo tratto pieno di fango e buche, gli abitanti del villaggio vennero fuori di corsa udendo il rumore del veicolo e si fermarono, a braccia conserte, a osservare la scena. Misi la Land Rover in prima. Rollammo e barcollammo e beccheggiammo e stavamo per farcela, ma poi il telaio rimase incastrato in una cresta fra due profondi solchi e le ruote girarono a vuoto ad alcuni centimetri da terra. Un grande urlo di gioia si levò dagli osservatori che corsero avanti per stabilire il prezzo per aiutarci a uscire. Ci vollero quindici minuti a fissare il prezzo.
Nella provincia di Kivu attraversammo “la Svizzera della Repubblica di Zaïre”. Era una vista che toglieva davvero il fiato guidare in mezzo ai monti, con vedute dei laghi Albert, Kivu e Tanganika. Un tratto di strada passava attraverso l’Albert National Park e potemmo scorgere impala, bufali ed elefanti.
Accoglienza africana
L’esperienza più incoraggiante che avemmo fu decisamente l’accoglienza che ricevemmo in ogni luogo di destinazione. La locale congregazione dei testimoni di Geova arrivava in gran numero a salutarci, affollandosi intorno a noi, con i visi raggianti e quasi staccandoci le mani a forza di stringercele. Nello stesso tempo ripetevano continuamente espressioni come “wako wako”, “jambo yenu” o “moyo wenu”, che significano “ciao” e “benvenuto” nelle loro varie lingue. Per noi che siamo abituati alle solenni formalità o ai freddi cortesi saluti di alcune nazioni, lo spontaneo benvenuto africano può essere del tutto commovente. Non c’era assolutamente nessun dubbio che erano tutti felici che vi fossimo andati.
In ogni luogo, tutto era stato preparato in anticipo per il nostro soggiorno. Qualcuno era invariabilmente uscito dalla sua casa per noi. Il tetto era stato di solito nuovamente coperto di paglia, i buchi nelle pareti erano stati chiusi e alle aperture per le finestre erano state messe le imposte. Il pavimento era stato scopato e avevano trovato per noi un tavolo e due sedie. Era stato scavato un nuovo gabinetto e ci avevano preparato un posto chiuso per fare la doccia.
Non appena ci eravamo sistemati ricevevamo una fila di visitatori con doni. Il dono tradizionale è una gallina e, in un posto finimmo per averne dieci, che chiocciavano e schiamazzavano in giro per la casa. Ogni tanto ricevevamo un’anatra, e due volte ci furono dati dei cerbiatti. Altri portavano frutta, ortaggi, riso o uova. La generosità di questa umile gente non mancava mai di commuoverci. Hanno così poco materialmente eppure danno con cuore generoso.
Gli studenti
La scuola si teneva sempre nella Sala del Regno, locale luogo di adunanza dei testimoni di Geova. Di solito era una costruzione di mattoni di fango abbastanza grande, aperta ai lati e con il tetto di paglia. Così l’interno è piacevolmente fresco.
Gli invitati ad assistere venivano in barca, alcuni in treno, ma il più comune mezzo di trasporto era la bicicletta. Alcuni, però, fecero a piedi fino a trecentoventi chilometri! Tutti ricevevano lo stesso caloroso benvenuto, e non era mai un problema trovare un posto da dormire fra i componenti della locale congregazione. L’ospitalità è una seconda natura per gli Africani.
Le lezioni si tennero principalmente in francese e venivano tradotte in sei lingue locali: lingala, kikongo, suahili, kiluba, cibemba e tshiluba. I ministri partecipanti erano di diverse tribù e ceti sociali, ma alla scuola vissero e studiarono insieme in perfetta armonia. La loro età variava dai vent’anni a oltre sessanta e avevano varie capacità scolastiche.
Per quelli abituati a coltivare la terra e fare lavori manuali, studiare continuamente per due settimane fu davvero strenuo lavoro. Comunque, manifestarono uno spirito volenteroso. La partecipazione alla scuola li riempì del desiderio di migliorare le loro capacità di studio e incoraggiare i componenti delle loro congregazioni a fare altrettanto. Al termine di ciascun corso di due settimane la più comune espressione fu che non era stato abbastanza lungo.
Queste espressioni di apprezzamento e la schietta ospitalità che ricevemmo fece sembrare insignificanti tutti i disagi del viaggio. Considerammo davvero un privilegio l’avere partecipato a questa “scuola viaggiante”.