Il giorno che nacque nostra figlia
Narrato al corrispondente di “Svegliatevi!” in Germania
L’ANNO scorso la mia attenzione fu richiamata da un articolo della rivista tedesca Stern. Descriveva l’ospedale, il primo del genere in Germania, dov’è permesso alle madri di tenere i bambini con sé nella stessa stanza sin dalla nascita. Alcuni medici elogiano a gran voce questo sistema. Altri ne mettono in dubbio l’opportunità in modo altrettanto esplicito.
L’articolo di Stern osservava: “I padri sono invitati ad assistere al parto. Hassauer [un ginecologo dell’ospedale] ha detto: ‘Oltre il 50 per cento degli uomini accetta, e la maggioranza è di grande aiuto. Sono d’incoraggiamento per la moglie durante il travaglio; la tengono per mano e la confortano. Nessuno è mai svenuto finora’”. — 21 aprile 1977.
Leggendo l’articolo, mi venne in mente un amico che aveva assistito di recente alla nascita della figlia. Quindi andai a trovare lui e sua moglie per sentire le loro impressioni. Mentre nella stanza accanto Jenny cinguettava, noi conversammo.
“Chi ha avuto l’idea che tu fossi presente?” domandai.
“In effetti, è stata mia moglie. Abbiamo deciso sin dall’inizio che io assistessi al parto. Questa decisione è stata molto importante. Ci procurammo molti libri sul parto naturale”.
“Questo era il parto che desideravo”, disse la moglie. “E che fosse presente mio marito era per me la cosa più naturale del mondo”.
“Ma non è una cosa abbastanza fuori del comune, almeno qui in Germania?”
“Da quello che abbiamo letto”, rispose la moglie, “in alcuni paesi c’è sempre più la tendenza a far assistere i padri, ma qui in Germania non ha ancora preso molto piede. Alcuni ospedali non l’incoraggiano. Ci informammo in anticipo per esser certi che nel nostro ospedale l’avrebbero permesso”.
“Durante la tua degenza in ospedale, quante volte hai sentito di mariti che hanno assistito alla nascita dei figli?”
“Mentre eravamo lì devono essere nati almeno cento bambini. Per quello che ne so, mio marito è stato l’unico padre che ha assistito. In seguito un’infermiera mi ha detto che i padri assistono di rado”.
“Mi chiedo perché”.
“Credo”, disse il mio amico, “che sia perché né il marito né la moglie sanno cosa aspettarsi. Hanno paura. Se ci si prepara, non c’è veramente nulla da temere”.
“Cosa intendi con ‘prepararsi’?”
Preparazione
“Nei libri”, disse la moglie, “trovammo dei capitoli rivolti specialmente ai mariti, dov’è spiegato quello che possono fare per aiutare la moglie. I libri descrivono pure le tecniche respiratorie e i ritmi della respirazione che aiutano la partoriente a evitare gli spasmi. In tal modo il parto è facilitato”.
“Un’altra cosa utile”, continuò il marito, “fu di andare insieme a visitare la sala-parto in anticipo. Lo permettono se al marito interessa e naturalmente a me interessava. Un’infermiera mi spiegò tutto quello che avveniva e rispose a tutte le mie domande”.
“Mentre mi preparavo al parto”, aggiunse la moglie, “feci gli esercizi di rilasciamento e di controllo del respiro davanti a mio marito. Così sapeva cosa avrei fatto una volta iniziate le contrazioni. Sapeva ad esempio che sarebbe stato alla mia destra al momento della nascita del bambino, e che avrebbe avuto in mano una spugna morbida e umida per passarmela sulle labbra dopo ogni contrazione. Che meravigliosa sensazione! Ero di nuovo rilassata! Avevo le labbra umide. Ero in grado di subire la successiva contrazione e respirare dovutamente. Se avessi avuto sete o avessi avuto la bocca o la lingua secca, avrei fatto molta più fatica a concentrarmi su quello che dovevo fare e per cui mi ero esercitata”.
“Nei libri avevamo letto che una volta iniziate le contrazioni non avrei dovuto parlare a mia moglie. Né lei doveva tenermi la mano, perché me l’avrebbe stretta e questo avrebbe provocato tensione negli altri suoi muscoli quando invece dovevano essere rilasciati. Dovevo invece essere io a tenerle la mano, stringendola fermamente per impedirle di afferrare la levatrice o la coperta o il cuscino o qualche altra cosa lì vicino. Questo avrebbe avuto un effetto rilassante su di lei e l’avrebbe aiutata a collaborare con il suo corpo, e non andare contro di esso”.
“E i medici e le infermiere non ti hanno fatto pensare che eri di troppo?” volli sapere.
“No, niente affatto. Penso che si siano meravigliati. Hanno apprezzato il mio interesse. Pareva mi considerassero parte dell’équipe. E, credimi, è stato veramente un lavoro d’équipe. Io stavo alla destra di mia moglie, un’infermiera era di fianco a una delle sue gambe, un’altra infermiera dall’altra parte e il medico in mezzo. Quando sono arrivate le doglie forti, il medico ha detto a mia moglie: ‘Spinga, spinga’. Un’infermiera teneva indietro le gambe di mia moglie, mentre l’altra cercava di aiutare la testa del bambino a uscire. Il mio compito era di assistere mia moglie a tirarsi a sedere per poter spingere meglio. Quando la contrazione cessava, ci fermavamo e parlavamo fino alla successiva”.
“Dopo il parto”, disse la moglie, “parlai a un’infermiera di Taiwan che lavora qui in Germania. Disse che a Taiwan quando il bambino era partorito in casa il marito si sentiva perfettamente a suo agio. Era nel suo ambiente e adempiva la sua responsabilità di capo di casa. La levatrice gli affidava diversi compiti, come bollire l’acqua e preparare asciugamani puliti. Lo faceva sentire necessario. Ma questo avveniva 10 anni fa. Ora che molti bambini taiwanesi nascono all’ospedale, i mariti si sentono indesiderati. Ma le donne taiwanesi dicono che si sentivano più tranquille quando avevano accanto il marito”.
“Immagino che la maggioranza delle donne vorrebbe avere il marito vicino” osservai.
“Io sì. Tuttavia, ho scoperto che non tutte le donne la pensano allo stesso modo. Nel nostro ospedale la maggior parte delle madri giovani erano impreparate al parto. Erano nervose. Non sapevano a cosa andavano incontro o come avrebbero reagito. Molte erano male informate a causa di racconti che esageravano le difficoltà del parto. Non volevano che il marito le vedesse soffrire, forse piangere e urlare. Inoltre, senza preparazione anticipata, il marito non saprebbe come aiutare la moglie durante il parto, specie se dovesse protrarsi per molte ore. Per tale motivo molti mariti preferiscono non assistere. Si sentono fuori posto, inutili, addirittura indesiderati”.
“Ma pensi che con un’adeguata preparazione si sentirebbero altrimenti?”
“Sì, penso di sì. Sembra che alcune donne si rammarichino di non essersi preparate meglio e di non avere avuto accanto il marito. Quando il marito veniva a trovarle, cercavano di spiegare loro com’era andata. Ma non è possibile raccontare una cosa del genere. Sono in gioco i sentimenti. È un’esperienza che bisogna fare insieme. Hai aspettato nove mesi per scoprire se sarà maschio o femmina, se sarà sano o no, e ti sei sforzata tanto in quelle ultime contrazioni impegnando tutto il corpo. Poi all’improvviso senti tuo marito, no, non il medico né l’infermiera, ma la voce del tuo caro marito che dice: ‘Amore, è una femmina!’ Può strapparti le lacrime”.
“Lo immagino. E come si sente un padre?”
“È una cosa meravigliosa! Ho visto venire alla luce nostra figlia, com’è stata separata dalla madre, le infermiere che l’asciugavano e poi la davano alla madre. Quando sono uscito dall’ospedale e sono salito in macchina per andare a casa, ho provato una sensazione incontenibile: era avvenuto qualcosa di straordinario. L’avevo visto. Ho sentito improvvisamente l’impulso di fermare tutti quanti per dir loro che mia moglie aveva avuto una bambina. Ma non era un semplice impulso di dirlo loro. C’ero anch’io. L’avevo visto anch’io! NOI avevamo appena avuto una figlia!”
Effetti duraturi
Nell’articolo di Stern c’era qualcosa che mi aveva particolarmente colpito. Diceva che da uno studio settennale di questo metodo risulta che le madri e i padri che si preparano per la nascita dei figli provano poi un più forte attaccamento per i figli che non quelli che non vi si preparano. Chiesi ai miei amici cosa ne pensavano.
“Ritengo che quando il marito è accanto alla moglie e l’aiuta in quel momento critico del parto, i due si avvicinano maggiormente”, spiegò il marito. “E non v’è dubbio che una buona relazione fra marito e moglie contribuisce in seguito a una buona relazione fra genitori e figli. Non vedo come possa non avere un effetto benefico”.
“E cosa direbbe una madre?”
“Oh, sono perfettamente d’accordo”, rispose la moglie. “Per esempio, essendo così presa da quello che facevo, c’erano alcune cose che non potevo notare come invece poteva notarle mio marito. Abbiamo realmente diviso l’esperienza raccontandoci poi i particolari”.
“Naturalmente”, aggiunse il marito, “un uomo può essere un padre amorevole e un cristiano devoto anche se non assiste alla nascita di suo figlio”.
I miei amici mi avevano dato da pensare. Era ovvio che nella loro famiglia l’affetto naturale non mancava. Mi chiesi se la preparazione e la partecipazione d’entrambi prima e durante il parto non potessero avere effetti di lunga portata nel creare e mantenere una buona atmosfera familiare. È qualcosa su cui i futuri genitori potrebbero riflettere. Ma ovviamente non è una cosa da fare senza cognizione di causa e attenta predisposizione.
Ricordo ancora le ultime parole del mio amico, mentre si udivano i gridolini della piccola Jenny: “È meraviglioso collaborare per avere un bambino. Non dimenticherò mai il giorno che nacque NOSTRA figlia”.