“Cinque giorni di vita”
Cosa si può imparare da una tragedia
ERA un sabato pomeriggio. In un paese dell’America Centrale Wilson Rojas, un addetto a macchinari pesanti, e il suo aiutante entrarono in un capannone per riporre le macchine usate durante la giornata. Wilson non vedeva l’ora di tornare a casa dalla moglie Clarissa e dalla figlioletta di tre anni, Iriabeth.
Ma, per ragioni ancora sconosciute, in quel momento circa 200 detonatori, 100 candelotti di dinamite, 50 litri di benzina e tre bidoni di gas acetilene esplosero in una reazione a catena. L’aiutante di Wilson rimase ucciso all’istante. Wilson fu scagliato contro la parete del capannone, sfondandola e atterrando privo di sensi otto metri più in là.
Così cominciò per la famiglia Rojas una dolorosa odissea. Wilson e Clarissa ci dicono cosa accadde.
Clarissa: Verso le 3 e mezzo di quel pomeriggio arrivò mia suocera. Aveva già saputo dell’esplosione e temeva il peggio ma cercò di non spaventarmi. Telefonai immediatamente all’ospedale, ma tutto quello che poterono fare fu di confermare che l’esplosione c’era stata.
Infine, verso le quattro, telefonò dall’ospedale un amico con la terribile notizia: “Wilson è gravemente ferito. Stanno cercando di salvarlo. Se sopravvive, forse dovranno amputargli il braccio destro e la gamba sinistra”.
Quando finalmente mi permisero di vedere Wilson, capii che era sospeso tra la vita e la morte. L’esplosione gli aveva strappato pezzi di carne e quello che rimaneva era gravemente ustionato. L’acetilene che aveva inspirato gli aveva bruciacchiato la bocca, la gola e i polmoni. La metà del corpo che era stata esposta all’esplosione era stata perforata da centinaia di frammenti metallici. Il volto era irriconoscibile. I medici non mi diedero nessun motivo per sperare che sarebbe sopravvissuto.
Wilson: Dal momento in cui la porta del capannone si chiuse, non ricordo nulla finché non mi svegliai all’ospedale otto giorni dopo. Venendo a conoscenza della gravità delle mie condizioni mi sentii disperato. Avevo perso l’uso di un occhio, di un orecchio, di un braccio e di una gamba. Non potevo mangiare e riuscivo a comunicare solo attraverso un rauco sussurro e con grande sforzo. Mi tenevano in vita alimentandomi per via endovenosa.
Avevo ripreso i sensi da poco quando un’infermiera si fermò accanto al mio letto e cominciò meccanicamente a preparare l’occorrente per una trasfusione di sangue. Quando le spiegai che non potevo accettare tale terapia, chiamò il medico che mi aveva in cura. Dapprima egli tentò di persuadermi, dicendo: “Il solo modo per salvarle la vita è mediante una trasfusione. Ha pochissimo sangue”.
Gli spiegai con ansia perché non potevo accettare il sangue come terapia medica. Mi vennero in mente molti versetti della Bibbia, come Atti 15:28, 29, dov’è indicato che i cristiani si astengono dal sangue.
“Non mi interessano né le sue convinzioni né il suo modo di pensare”, disse il medico. Infuriandosi sempre di più man mano che parlava, disse: “E non mi interessano neppure il suo fanatismo e le sue sciocche idee. Non cerchi di dirmi altro perché non mi convincerà. Desidero salvarle la vita. Se rifiuta la trasfusione di sangue, sospendo il trattamento. Rinuncio a curarla. Inoltre, la denuncerò all’amministrazione dell’ospedale, il che significa che nessun altro medico vorrà occuparsi di lei”.
Mentre si girava, feci uno sforzo per farmi sentire: “Ma dottore, aspetti un minuto. Ho sentito parlare di uno speciale trattamento in cui si usano sostanze a base di ferro che fortificano il sangue. Me l’ha suggerito un altro medico. Non mi farebbe bene?”
“Qui facciamo quello che dicono i medici, non quello che dice il paziente”, rispose. “Ad ogni modo, le restano solo cinque giorni di vita. Che m’importa se non vuole salvarsi? Se vuole morire per il suo fanatismo, faccia pure!” Detto questo si girò e se ne andò.
Clarissa: Le condizioni di Wilson erano così critiche che lo avevano trasferito in uno degli ospedali più grandi e meglio attrezzati della capitale. Le ustioni stavano guarendo lentamente, era cosciente ed era riuscito a sopravvivere per otto giorni all’incidente. Così pensai che forse c’era speranza. Ad ogni modo l’ottavo giorno, quando ero entrata da poco nella corsia, un’infermiera mi chiamò da parte. Tre medici e la caposala volevano parlarmi.
“Signora Rojas, abbiamo un problema. Suo marito ha urgente bisogno di una trasfusione di sangue, dato che ha perso molto sangue. Ha pochissimi globuli rossi. Però ha rifiutato la trasfusione di sangue. Naturalmente sappiamo che, essendo moribondo, forse non si rende conto di quello che dice. Vorremmo che autorizzasse la trasfusione di sangue”.
Mi sentii raggelare ma risposi immediatamente: “Non posso autorizzare un trattamento che mio marito non vuole, perché rispetto la sua decisione. La nostra decisione non si basa su cieco fanatismo, ma, piuttosto, sullo studio della Bibbia”.
Ma il medico responsabile sferrò un pugno sul tavolo e dichiarò: “È inutile continuare a discutere. Lo lasci morire, se è quello che entrambi volete. Non è morto nell’esplosione, ma morirà lo stesso per la perdita di sangue. Gli restano cinque giorni di vita, non di più”. Dopo di che lasciò la stanza. L’altro medico mi guardò e disse: “Il solo motivo per cui non mandiamo a casa suo marito è che è un relitto umano ed è in condizioni troppo critiche per spostarlo”.
Mentre uscivo dalla stanza mi sentii umiliata. Ma ciò che mi addolorava di più era il fatto di non avere potuto spiegare perché, come testimoni di Geova, siamo così fermamente decisi a evitare l’uso del sangue come terapia medica. Inoltre non era stata neppure menzionata una terapia alternativa né mi era stato permesso anche solo di suggerirne una. Sembrava non ci fosse nessuna speranza. Non c’era altro da fare che aspettare che Wilson morisse, entro cinque giorni.
Dopo aver firmato il modulo che esonerava l’ospedale da ogni responsabilità nel caso di Wilson, ogni terapia fu sospesa eccetto il normale cambio delle fasciature. Fu spostato in un lontano letto d’angolo. Quando comprese l’accaduto mi chiamò vicino affinché potessi sentirlo e con voce appena udibile mi disse: “Non mi interessa salvarmi la vita per questo sistema di cose. È doloroso pensare di lasciare sole te e Iriabeth, ma abbiamo la speranza della risurrezione e ci rivedremo nel Nuovo Ordine”. Pregammo entrambi in silenzio.
Wilson: Sembrava che tutti sapessero che io ero il paziente che non voleva il sangue e a cui avevano dato solo cinque giorni di vita.
Ricordo benissimo una giovane infermiera che per oltre un’ora cercò di convincermi che tutti loro avevano a cuore i miei migliori interessi. Disse: “Le basta un pochino di sangue per salvarsi. Se vuole, verso mezzanotte, quando tutti dormono, torno con la trasfusione. Nessuno saprà mai che ha preso il sangue. Che ne dice? La facciamo?”
“Spreca il suo tempo perché non l’accetterò”.
“Be’, ci pensi attentamente, perché morirà proprio qui. Tornerò domani”.
Il giorno dopo due amichevoli dottori si fermarono accanto al mio letto apparentemente per caso. Dopo avere parlato del più e del meno mi chiesero quali erano le mie idee riguardo alla trasfusione di sangue. Anche se facevo fatica a parlare, spiegai loro come Dio considera il sangue.
“La cosa migliore che può fare è di dimenticare quelle stupide idee”, risposero. “Il sangue le darà la vita. Vede, il nostro motto è: ‘Dà la vita’, e le garantiamo che il sangue che le daremo non le nuocerà in alcun modo”.
Ancora più difficile fu resistere al commovente appello di Eduardo, il mio vicino di letto. Mentre il terzo dei cinque giorni scorreva lentamente, Eduardo implorò: “Ti restano solo due giorni e si vede che stai per morire!”
“Dio ci ha dato la speranza della risurrezione, Eduardo. Se devo morire per sostenere i principi di Dio, sono fiero di farlo”.
Forse i momenti più difficili furono le lunghe e penose notti insonni. Sotto un certo aspetto il dolore intenso mi aiutò. Il dolore era così forte che non potevo soffermarmi su morbosi pensieri di morte o di autocommiserazione. Solo, e consapevole che nessuno pensava che ce l’avrei fatta, imparai a confidare in Geova come non avevo mai fatto. Le mie preghiere divennero più lunghe, vere e proprie “conversazioni” con Dio. Mi sentivo ogni giorno più vicino a lui. Questo, e questo soltanto, fu ciò che mi sorresse emotivamente, spiritualmente e perfino fisicamente.
Clarissa: Quel temuto quinto giorno venne e passò, e Wilson si sentiva un po’ meglio di prima. Dal momento che l’ospedale aveva sospeso ogni terapia, la mia famiglia e io avevamo cominciato la nostra. Lo nutrivamo con cibi ricchi di proteine e iniziammo la cura precedentemente suggerita a Wilson da un medico per fortificare il sangue. Lentamente, lentissimamente, poi più in fretta, cominciò a migliorare. Fu subito ovvio a tutti che Wilson non sarebbe morto!
Un altro medico lo prese subito in cura e ordinò un esame del sangue. Visti i risultati ordinò subito un secondo esame. Disse che doveva esserci stato qualche errore in laboratorio. Nondimeno il secondo esame diede gli stessi risultati. Il medico fu sbalordito notando il sensibile miglioramento dei valori del sangue di Wilson. Disse: “Certo il suo tipo di vita — il fatto che non aveva vizi o tensioni nocive —spiega la sua rapida guarigione, ma solo in parte. In effetti non me lo spiego completamente”.
Wilson: Nonostante la mia rapida guarigione meravigliasse tutti, all’improvviso un nuovo elemento oscurò il quadro. La gamba sinistra danneggiata cominciò a farmi un male tremendo. Tolto il gesso, fu scoperto che stava andando in cancrena a causa di un coagulo di sangue nel ginocchio. Fu chiamato uno specialista. Avendomi esaminato concluse che il coagulo era lì da qualche tempo, senza dubbio a causa dell’incidente. Disse che in qualsiasi momento poteva mettersi in circolo e porre fine alla mia vita nel giro di qualche secondo. Tuttavia c’era una possibilità, quella di sciogliere il coagulo per mezzo di farmaci. In caso contrario, mi si doveva amputare la gamba.
Con i farmaci il coagulo si sciolse e ancora una volta fui fuori pericolo. Un giorno lo specialista venne accanto al mio letto e si mise a sedere. Fece qualche commento sulla mia rapida guarigione dalle ustioni e dalle infezioni, e ora dal coagulo di sangue. Mi chiese per quale motivo settimane prima non avevo accettato la trasfusione di sangue. Pensai che fosse spinto dalla curiosità e gliene spiegai il perché. Ricordo ancora chiaramente le sue parole: “La ragione per cui quel coagulo di sangue non si è messo in circolo e non l’ha uccisa è che aveva poco sangue e che il sangue era fluido. Se avesse accettato la trasfusione, probabilmente a quest’ora sarebbe morto. Le mie congratulazioni”.
In seguito, quando riferii a mia moglie quello che mi aveva detto lo specialista, piangemmo e ringraziammo Geova insieme. Ci convincemmo che l’ubbidienza a Dio è sempre la via migliore. Nel mio caso, mi aveva letteralmente salvato la vita!
Tre mesi dopo l’incidente potei lasciare l’ospedale. Mi attendevano mesi di terapia e di cure come paziente esterno, ma il peggio era passato.
La mia guarigione continuava a superare ogni aspettativa. Si diceva che non avrei mai potuto lasciare la sedia a rotelle. Ma io pensavo che avrei almeno potuto camminare con le stampelle.
Clarissa: Non si dava per vinto. Non ricordo quante volte ho dovuto aiutarlo ad alzarsi da terra. Ma alla fine riuscì a muoversi benissimo con le stampelle. Però non era ancora soddisfatto. Voleva camminare solo col bastone. Ebbene, dopo altre cadute, riuscì anche in quello. Ricordo che un Testimone voleva regalargli un bel bastone di legno duro, ma Wilson rifiutò l’offerta. Disse che presto non ne avrebbe avuto più bisogno. Con sorpresa di tutti fu così! Ora sono passati più di tre anni dall’incidente. Wilson riesce a fare molto di più di quanto chiunque si aspettasse.
Wilson: Non appena potei muovermi un po’ tornai a visitare i miei amici della corsia in ospedale. La maggioranza di loro erano ancora lì e furono felicissimi della mia guarigione. Lungo il corridoio passai davanti al medico che aveva predetto che avevo solo cinque giorni di vita. “Buongiorno dottore”, dissi.
“La conosco?” chiese con uno sguardo perplesso.
“Sono il paziente che aveva solo cinque giorni di vita”.
Il suo volto non riuscì a nascondere la sorpresa. “Oh, sta veramente bene. Ah, ehm, sembra piuttosto ingrassato. E, be’, mi fa piacere che sia guarito così in fretta”. Poi si allontanò precipitosamente.
Molti altri medici, infermiere e inservienti mi riconobbero. Parvero tutti contenti di vedermi. Sono sicuro che tutti, anche quelli che avevano cercato di convincermi a prendere il sangue, avevano desiderato che mi salvassi. Anche loro erano sotto pressione.
Leggere le esperienze di coloro che davanti alla morte rifiutano le trasfusioni di sangue è una cosa. Ma è ben diverso viverle in prima persona. Quando ti dicono che hai cinque giorni di vita, e pensi alla famiglia che ti aspetta a casa, le conseguenze della decisione sono chiarissime. Com’eravamo grati, Clarissa ed io, di avere precedentemente studiato bene la Bibbia e approfondito la conoscenza di Dio! E come abbiamo imparato ad apprezzare i fratelli cristiani! Le loro visite sono state molto incoraggianti. Soprattutto, abbiamo imparato ad apprezzare il dono della preghiera. Non smettiamo mai di ringraziare Geova per averci dato la forza di perseverare nel momento in cui ne avevamo più bisogno. — Da due collaboratori.
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“Non mi interessano né le sue convinzioni né il suo modo di pensare”, disse il medico
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“Il dolore era così forte che non potevo soffermarmi su morbosi pensieri di morte o di autocommiserazione”
[Testo in evidenza a pagina 22]
“Imparai a confidare in Geova come non avevo mai fatto”
[Testo in evidenza a pagina 23]
“Fu subito ovvio a tutti che Wilson non sarebbe morto!”
[Testo in evidenza a pagina 23]
Lo specialista disse: “Se avesse accettato la trasfusione, probabilmente a quest’ora sarebbe morto. Le mie congratulazioni”
[Testo in evidenza a pagina 24]
“Com’eravamo grati, Clarissa ed io, di avere precedentemente studiato bene la Bibbia e approfondito la conoscenza di Dio!”
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“Le restano solo cinque giorni vita”, disse il medico