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  • g88 8/4 pp. 17-21
  • Ho visto l’assurdità della guerra

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  • Ho visto l’assurdità della guerra
  • Svegliatevi! 1988
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  • “Non si arrenderanno”
  • Quando tutto era pacifico
  • Le realtà della guerra
  • “Morirò?”
  • Preso di mira da un mortaio
  • Una perdita che mi fece pensare
  • Quando gli uomini vivranno in dimore pacifiche
  • “Ero pronto a morire per l’imperatore”
    Svegliatevi! 1992
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    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1984
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    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1977
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Svegliatevi! 1988
g88 8/4 pp. 17-21

Ho visto l’assurdità della guerra

Narrato da Russell Dixon, ex militare di Sanità nell’esercito americano

ERA il 1944 e ci trovavamo sull’isola di Leyte, nelle Filippine. Stavamo facendo un giro di perlustrazione nell’umida giungla, cercando il nemico: soldati giapponesi nascosti fra gli alberi e nel sottobosco. Avevo diciannove anni e facevo parte della Sanità militare. Di solito ero l’ultimo della fila, pronto ad accorrere con bende e medicinali durante una scaramuccia. Per qualche motivo in quell’occasione ero il primo della fila, l’uomo di testa della pattuglia. Avevamo i nervi a fior di pelle poiché ci aspettavamo trappole e attacchi di sorpresa. Poi, all’improvviso, accadde qualcosa di incredibile.

Un ufficiale giapponese uscì allo scoperto a pochi metri da me, sventolando uno straccio bianco e gridando: “Non sparate! Non sparate! Sono di Chicago! Sono di Chicago!” Eravamo troppo nervosi per non avere una reazione di riflesso e non premere il grilletto. Il soldato dietro di me sparò vari colpi con il suo fucile, ma mancò il bersaglio. Il resto di noi si trattenne mentre l’ufficiale continuava a gridare: “Sono di Chicago!”

Si affrettò a estrarre alcune foto dalla tasca mentre ci narrava la sua storia in un chiaro inglese dall’accento americano. Ero sbalordito. Eccoci qui, in mezzo alla giungla, con questo capitano giapponese che ci faceva vedere le foto di sua moglie e dei suoi figli rimasti a Chicago. Era proprio vero: era un nippo-americano!

“Non si arrenderanno”

Apprendemmo che era partito da Chicago per andare a trovare i genitori in Giappone poco prima della dichiarazione di guerra. Fu arruolato nell’esercito giapponese e ora si trovava a combattere contro gli Stati Uniti. Gli chiedemmo: “Ci sono altri con te?” Fece segno verso uno nascosto nel sottobosco a pochi metri dietro di lui. Gli ordinammo di uscire immediatamente! Venne fuori un giovane soldato giapponese pressappoco della mia età. “E dov’è il resto?” “Laggiù”. Il capitano indicò la giungla alle sue spalle.

Cominciammo a contrattare con il capitano. “Ti facciamo prigioniero se convinci il resto dei tuoi uomini ad arrendersi. Altrimenti ti uccidiamo!”, disse il nostro sergente. La risposta dell’ufficiale confermò quello che sapevamo. “Non si arrenderanno. Ci uccideranno se cercheremo di convincerli a farlo”.

Lo costringemmo a rimandare dai suoi uomini il giovane soldato. Dopo circa un minuto udimmo uno sparo. Guardammo l’ufficiale giapponese che disse: “L’hanno ucciso”. Nel profondo del mio cuore mi dispiacque per quel giovane soldato. Era la stessa sensazione che avevo già provato tante volte e che avrei provato molte volte ancora, la sensazione che la guerra è proprio assurda.

Mentre un paio dei nostri uomini portavano l’ufficiale al campo base, gli altri proseguirono lungo il sentiero. Essendo della Sanità rimasi dietro al gruppo per essere pronto a rattoppare quei nostri uomini che fossero stati colpiti. Qualche metro ancora e trovammo il resto dei nemici. In una breve scaramuccia rimasero tutti uccisi.

Avevamo tuttavia compiuto qualcosa che quasi non aveva precedenti: avevamo catturato un ufficiale nippo-americano, uno dei relativamente pochi che furono presi vivi. Ma ero amareggiato per quelle continue stragi.

Spesso mi chiedevo: Che ci faccio io, il figlio di un medico di campagna dell’Oklahoma, in questa giungla? Il fatto è che se avessi seguito i princìpi di mio padre, non mi sarei trovato lì. Probabilmente sarei finito in prigione. ‘Come mai?’, chiederete.

Quando tutto era pacifico

Sono nato nel 1925, quarto di cinque figli, e sono stato allevato nella pacifica atmosfera di una fattoria negli Stati Uniti sudoccidentali, in una cittadina dell’Oklahoma chiamata Mooreland. I nostri genitori, che amavano la pace, erano Studenti Biblici, noti dal 1931 col nome di testimoni di Geova. Portavano regolarmente noi ragazzi alle adunanze bibliche, e ricordo che a volte accompagnavo mio padre di casa in casa mentre con un fonografo dava testimonianza ai vicini. Partecipavamo anche alle cosiddette marce di informazione nelle città dei dintorni, per annunciare i discorsi pubblici basati sulla Bibbia. Ma io avevo altri interessi.

Amavo lo sport, specie la pallacanestro e il baseball. Non che fossi particolarmente bravo in questi giochi, ma come a qualsiasi ragazzo, mi piacevano. Il risultato fu che verso i sedici anni smisi gradualmente di andare alle adunanze dei Testimoni e di frequentarli, come fecero anche i miei fratelli. A quell’epoca non apprezzavamo i valori spirituali. Fu senz’altro un dolore per i miei genitori.

Le realtà della guerra

Nel 1943, a diciotto anni, fui arruolato come soldato semplice nell’esercito americano. Avendo smesso di frequentare i Testimoni non avevo forti convinzioni riguardo alla neutralità cristiana, per cui evitai il problema che avrebbe potuto portarmi in prigione. Infine fui assegnato a Fort Bliss (El Paso, Texas), dove mi addestrarono come militare di Sanità. Ancor oggi non ho idea del perché scelsero quel tipo di addestramento per me. Forse c’entrava il fatto che mio padre era medico.

Terminato l’addestramento nella Sanità fui mandato nella Nuova Caledonia, un’isola del Pacifico meridionale, in un centro di smistamento di soldati americani. Il mio primo incarico in zona di combattimento fu con un’unità militare di New York, la 77ª Divisione di Fanteria di stanza a Guam. Quest’isola strategica, situata a circa metà strada fra Australia e Giappone, era occupata dai giapponesi. Vi sbarcammo il 21 luglio 1944, insieme alla 3ª Divisione dei Marines. Andammo subito in prima linea. Presto feci la mia prima esperienza sul campo di battaglia.

Pioggia, fango sino alle ginocchia e caos furono ciò che mi colpirono maggiormente di Guam. Poi sperimentai per la prima volta cosa voleva dire essere il bersaglio del pesante fuoco dell’artiglieria e dei mortai. Si udiva il rumore iniziale dell’arma che aveva sparato, seguito dal sibilo sinistro della granata che tagliava l’aria. Aspettavo per vedere quanto vicino sarebbe caduta ciascuna granata. Ad essere sincero, spesso avevo una gran paura, come la maggioranza dei soldati. Pregavo Dio e cercavo scioccamente di venire a patti con Lui per uscire da quel pasticcio. Se mi avesse tirato fuori da lì, Lo avrei servito! Proprio così, non ero altro che uno dei tanti che dicono di credere quando sono in pericolo!

Temevo soprattutto la notte! Ci si doveva scavare un’angusta fossa profonda da cinquanta a sessanta centimetri, se il terreno non era troppo roccioso. L’idea era di dormirci (che illusione!) senza essere visibili al nemico o ai compagni. Questo era importante, dato che di notte la regola era: ‘Se si muove, uccidilo. Dopo fai le domande’. Così facevo in modo di rimanere sotto il livello del suolo, anche se, come spesso accadeva, dovevo dormire nell’acqua e nel fango.

A cosa pensavamo istintivamente durante quelle sanguinose battaglie? Posso assicurarvi che nella maggioranza dei casi non si trattava di “Dio e la patria”. Come tanti altri ragazzi, ho visto uomini cadere sotto il fuoco dei fucili, uccisi dai lanciafiamme, da granate di mortaio e di altri pezzi d’artiglieria, da attacchi suicidi di ‘kamikaze’, assaliti con il coltello e la baionetta. Mi resi subito conto dell’assurdità di tutto questo. Mi sentivo prigioniero di una situazione disperata e senza via d’uscita. Il mio obiettivo principale, come per la maggioranza degli altri, era sopravvivere.

Sotto questo aspetto eravamo diversi dai giapponesi. Loro erano stati completamente indottrinati e consideravano un onore morire per la gloria dell’imperatore e del Giappone. Per questo potevano mandare aerei kamikaze contro le navi da guerra e le navi convoglio per il trasporto delle truppe. E sulla terraferma i loro soldati votati alla morte cercavano di entrare strisciando nelle nostre trincee con una carica di esplosivo legata sulla schiena, e di far saltare in aria noi e loro. Fino a che punto la classe dirigente, servendosi di false idee religiose, li aveva ingannati!

Guam però fu solo l’inizio. Dopo un po’ di tempo trascorso sull’isola di Manus, proprio a nord di Papua Nuova Guinea, per rimetterci in forze, fummo mandati nella successiva zona di operazioni, Leyte, nelle Filippine.

“Morirò?”

Si ripeté la stessa storia: combattimenti, feriti e morti. Io ero occupato a strisciare nel fango, cercando di assistere i feriti. In molte occasioni mi sdraiavo nel fango accanto a un commilitone, mettendogli un laccio emostatico e cercando di tamponarlo con compresse di garza prima di trascinarlo in un punto più sicuro. Spesso dovevo tagliargli una manica o un pantalone e fargli in fretta un’iniezione di morfina solfato per alleviargli il dolore. Alcuni mi chiedevano: “È grave, dottore? Morirò? Non mi lasci qui!” A volte erano così tanti quelli da assistere che non potevo far altro che cercare di calmarli e dir loro che saremmo tornati a prenderli. Il fatto è che in molti casi quando tornavamo era ormai troppo tardi. Erano morti. Quanto è assurda la guerra!

La successiva zona di combattimento fu l’isoletta di Ii-shima, poco lontano dalla costa di Okinawa, allora occupata dai giapponesi. C’era un mio amico con cui avevo partecipato a diverse battaglie. Era sempre molto prudente, non correva rischi inutili e non commetteva sciocchezze sul campo di battaglia. Come il resto di noi, voleva sopravvivere. Un giorno, durante le ultime operazioni di rastrellamento a Ii-shima, diversi di noi erano stesi a pancia in giù per proteggersi dal fuoco nemico. Lui si trovava a pochi metri davanti a me quando all’improvviso, sconsideratamente, le mitragliatrici di un nostro carro armato allungarono troppo il tiro sulla destra, spararono una raffica di colpi e uccisero all’istante lui e altri tre nostri uomini.

In un’altra occasione fummo mitragliati dai nostri aerei che volavano a bassa quota, e diversi dei nostri uomini rimasero uccisi. Errore umano e ulteriore assurdità.

Nell’aprile del 1945, su questa stessa isola, trovò la morte Ernie Pyle, un famoso corrispondente di guerra, colpito da un cecchino. Aveva scritto qualcosa con cui ero d’accordo: “Non vedo come qualsiasi superstite della guerra possa mai più essere crudele”. Purtroppo l’esperienza mostra che le cose stanno diversamente. L’uomo continua a essere crudele.

Preso di mira da un mortaio

Attraversammo poi il canale che ci separava da Okinawa. I giapponesi erano trincerati, nascosti nelle grotte e ancora una volta difficili da stanare.

Un giorno ero seduto in cima a un grosso masso sulla vetta di un crinale, e osservavo la battaglia che si stava combattendo in una gola proprio sotto di me. All’improvviso sentii il caratteristico rumore di un mortaio giapponese. Nel giro di qualche secondo una granata cadde a pochi metri davanti a me. Mi sembrò strano che ne cadesse una così vicino dal momento che mi trovavo al limite della battaglia. Quasi immediatamente ne fu sparata un’altra che cadde proprio dietro di me! Mi balenò il sospetto che forse il bersaglio ero io. Scesi precipitosamente e mi nascosi dietro al masso. La terza granata colpì proprio il punto dove prima sedevo! Fu uno dei vari casi in cui scampai per un pelo.

La battaglia di Okinawa infuriò per circa tre mesi. Un libro di storia afferma: “Okinawa fu la più costosa operazione del Pacifico centrale. Circa mezzo milione di uomini partecipò ai combattimenti, e per gli americani le vittime furono 49.000 di cui 12.500 morirono. Più di 110.000 giapponesi rimasero uccisi sull’isola”. Almeno 122.000 soldati, e migliaia di civili, furono uccisi per un’isola praticamente sconosciuta di 2.300 chilometri quadrati!

Dopo quella campagna fummo mandati per un po’ di tempo nelle Filippine, per rimetterci in forze e prepararci per l’invasione del Giappone. Fu allora che ebbi una gioia inattesa. Nella nostra divisione furono mandati altri uomini e fra loro c’era il mio fratello minore Roger. Tuttavia egli non partecipò a nessuna azione di guerra. Il 6 agosto 1945 fu sganciata sulla città giapponese di Hiroshima la prima bomba atomica. Tre giorni dopo una seconda bomba venne fatta cadere su Nagasaki. Ciò segnò la fine della guerra.

Una perdita che mi fece pensare

Mio fratello ed io fummo assegnati alle forze di occupazione a Sapporo, in Giappone. Poco dopo fui congedato dall’esercito, mentre mio fratello rimase in Giappone un altro anno. Feci ritorno a casa dove riabbracciai la mia famiglia.

Nell’Oklahoma cominciai da dove avevo smesso e ripresi gli studi universitari. Seguii un corso propedeutico allo studio della medicina, della durata di quattro anni, e un corso di perfezionamento di un anno. In quel periodo conobbi una graziosa ragazza, Nancy Wood, una studentessa dell’Oklahoma. Dopo diciotto mesi ci sposammo. È stata la mia fedele compagna negli scorsi quarant’anni.

Fino a quel momento non mi ero ulteriormente interessato della religione dei miei genitori, quella dei testimoni di Geova. Ero troppo preso dai miei interessi. Poi, nel 1950, ci fu una tragedia.

Mio padre, che allora aveva 66 anni e lavorava ancora come medico di campagna, morì di attacco cardiaco. Per la mamma fu un duro colpo. La sua morte ci colse tutti di sorpresa. Noi cinque figli avevamo perso un padre e un buon amico. Naturalmente assistemmo tutti al discorso funebre pronunciato da un testimone di Geova di una città vicina. Quel discorso ebbe su tutti noi effetti duraturi.

L’oratore mostrò con la Bibbia che papà sarebbe tornato nella risurrezione, quando sulla terra sarebbero state ristabilite pacifiche condizioni paradisiache. Tutto questo mi fece tornare in mente quello che avevo imparato anni prima. Dopo non molto i Testimoni studiavano la Bibbia con Nancy e me. Più studiavo, più mi rendevo conto del caos in cui si trova questo mondo e di come è assurda la guerra: tutte quelle vite sacrificate per promuovere le ambizioni egoistiche di governanti politici, mentre il clero di tutte le nazioni condonava la guerra.

Quando gli uomini vivranno in dimore pacifiche

Mi resi pure conto che gli avvenimenti verificatisi dal 1914 erano un chiaro adempimento della profezia di Gesù inerente al tempo della fine. Tutto quello che egli aveva detto si stava avverando nell’arco di una generazione. Perciò la guerra divina di Armaghedon, una guerra giusta che cancellerà dalla terra tutti i malfattori, avrebbe presto avuto luogo, seguita dalla restaurazione del paradiso sulla terra sotto il pacifico governo del Regno di Dio. — Rivelazione 11:18; 21:1-4.

Nancy ed io fummo battezzati nel 1950. Anziché proseguire gli studi universitari, sistemammo le nostre cose e nel 1956 intraprendemmo il ministero a tempo pieno. Nel corso degli anni abbiamo predicato in molte parti degli Stati Uniti, e ho servito come sorvegliante di circoscrizione e di distretto. Per oltre otto anni ho fatto anche l’insegnante nella Scuola di Ministero del Regno per gli anziani di congregazione e nella Scuola dei Pionieri per i ministri a tempo pieno. Negli scorsi nove anni abbiamo prestato servizio presso la sede mondiale dei testimoni di Geova a Brooklyn.

[Immagine a pagina 18]

Con mia moglie davanti alla sede mondiale dei testimoni di Geova dove lavoriamo

[Fonte dell’immagine a pagina 19]

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