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Ausiliario per capire la Bibbia
ad pp. 343-344

Distesa

[ebr. raqìaʽ, estesa superficie, distesa].

A proposito del secondo “giorno” o periodo creativo Genesi 1:6-8 dichiara: “E Dio proseguì, dicendo: ‘Si faccia una distesa fra le acque e avvenga una divisione fra le acque e le acque’. Quindi Dio faceva la distesa e faceva una divisione fra le acque che dovevano essere sotto la distesa e le acque che dovevano essere sopra la distesa. E così si fece. E Dio chiamava la distesa Cielo”. Poco più avanti la Bibbia parla di luminari visibili “nella distesa dei cieli”, e poi di volatili che volavano sopra la terra “sulla faccia della distesa dei cieli”. — Gen. 1:14, 15, 17, 20.

La Settanta greca usa il termine sterèoma (che significa “struttura solida e ferma”) per tradurre l’ebraico raqìaʽ, e la Vulgata latina usa il termine firmamentum, che pure dà l’idea di qualche cosa di solido e fermo. Quasi tutte le versioni italiane seguono la Vulgata e traducono raqìaʽ col termine “firmamento”. Comunque nella nota in calce La Bibbia Concordata dice: “Firmamento: è la traduzione latina del greco sterèoma che significa fermezza o sostegno. L’ebraico rachía ha senso di stato o estensione”. Altre versioni traducono questo termine “distesa” (Di; VR; ATE; NM); “expansión” (Versión Moderna [spagnola]); “étendue” (Segond; Ostervald [francesi]).

Alcuni cercano di dimostrare che l’antico concetto ebraico dell’universo includeva l’idea di una volta solida al di sopra della terra, con sfiatatoi attraverso i quali poteva penetrare la pioggia, e con stelle fisse all’interno di tale volta solida; infatti diagrammi di un concetto del genere compaiono in dizionari biblici e in alcune traduzioni della Bibbia. A proposito di ciò The International Standard Bible Encyclopædia (Vol. I, pp. 314, 315) dice: “Ma questo assunto si basa in realtà più sulle idee prevalenti in Europa nel medioevo che su effettive dichiarazioni dell’AT”.

Anche se la radice (raqàʽ), da cui deriva raqìaʽ, di solito è usata nel senso di “battere” qualche cosa di solido, sia con la mano, che col piede o con qualsiasi strumento (confronta Esodo 39:3; Ezechiele 6:11), in certi casi non è ragionevole escludere che sia usata in senso figurativo. Infatti in Giobbe 37:18 Eliu chiede a proposito di Dio: “Puoi battere [tarqìa’] con lui i cieli nuvolosi duri come uno specchio fuso?” Che non significhi battere letteralmente una solida volta celeste si capisce dal fatto che qui il termine “cieli nuvolosi” traduce un termine (shàhhaq) che significa “nubi” o “velo di polvere” (confronta Salmo 18:11; Isaia 40:15), e, data la nebulosità di ciò che è ‘battuto’, è chiaro che lo scrittore biblico paragona solo figurativamente i cieli a uno specchio metallico la cui superficie levigata riflette un’immagine luminosa. — Confronta Daniele 12:3.

Lo stesso dicasi della “distesa” prodottasi nel secondo “giorno” creativo; non è descritta qualche sostanza solida che sia battuta ma, piuttosto, la creazione di uno spazio o divisione fra le acque che coprivano la terra e altre acque al di sopra della terra. Descrive dunque la formazione dell’atmosfera che circonda la terra, e indica che un tempo non c’era una netta divisione o spazio aperto, ma che l’intero globo era avvolto nel vapore acqueo. Ciò concorda anche con gli argomenti scientifici sui primi stadi della formazione del pianeta e con l’idea che un tempo l’acqua esistesse sulla terra solo sotto forma di vapore, a motivo dell’estremo calore della superficie terrestre.

Gli ebrei che scrissero la Bibbia non concepivano il cielo formato in origine di lucido metallo come è evidente dall’avvertimento dato a Israele per mezzo di Mosè nel caso che avessero disubbidito a Dio: “I tuoi cieli che ti stanno sopra la testa devono pure divenire rame, e la terra che ti sta di sotto ferro”. Queste parole descrivono metaforicamente l’effetto dell’intenso calore e della grave siccità sui cieli e sulla terra della Palestina. — Deut. 28:23, 24.

È pure ovvio che gli antichi ebrei non sostenevano alcun concetto pagano come l’esistenza di “finestre” letterali nella volta del cielo attraverso cui scendeva la pioggia. Molto accuratamente e scientificamente lo scrittore di Giobbe cita le parole di Eliu che descrivono il processo per cui si formano le nuvole: “Poiché egli attrae le gocce d’acqua; filtrano come pioggia per la sua nebbia, così che le nuvole [shehhaqìm] versano, gocciolano sul genere umano abbondantemente”. (Giob. 36:27,.28 Anche l’espressione “cateratte [ʼarubbòth] dei cieli’ è chiaramente figurativa. — Confronta Genesi 7:11; II Re 7:1, 2, 19; Malachia 3:10; vedi anche Proverbi 3:20; Isaia 5:6; 45:8; Geremia 10:13.

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