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Ausiliario per capire la Bibbia
ad pp. 1229-1230

Tartaro

(Tàrtaro).

Termine che ricorre una sola volta nelle Scritture ispirate, in II Pietro 2:4. L’apostolo scrive: “Certamente se Dio non si trattenne dal punire gli angeli che peccarono, ma, gettandoli nel Tartaro, li consegnò a fosse di dense tenebre per esser riservati al giudizio . . .” L’espressione “gettandoli nel Tartaro” traduce una forma del verbo greco tartaròo.

La versione filosseniana-eracleense di II Pietro 2:4 la traduce semplicemente “i luoghi più bassi”.

Un pensiero parallelo si trova in Giuda 6: “E gli angeli che non mantennero la loro posizione originale ma abbandonarono il proprio luogo di dimora egli li ha riservati al giudizio del gran giorno con legami sempiterni, sotto dense tenebre”. Un’indicazione di quando questi angeli “abbandonarono il proprio luogo di dimora” la dà Pietro parlando di “spiriti in prigione, che una volta erano stati disubbidienti quando la pazienza di Dio aspettava ai giorni di Noè, mentre era costruita l’arca”. — I Piet. 3:19, 20; vedi FIGLIO (FIGLI) DI DIO, NEFILIM.

Da questi versetti è evidente che il termine Tartaro rappresenta o si riferisce a una condizione degradata, simile a una prigione, in cui Dio gettò quegli angeli disubbidienti. Deve indicare una condizione più che un posto particolare in quanto Pietro, d’altra parte, dice che quegli angeli disubbidienti sono in “fosse di dense tenebre”, mentre Paolo dice che sono “nei luoghi celesti” di dove esercitano un’autorità delle tenebre come malvage forze spirituali. (II Piet. 2:4; Efes. 6:10-12) Similmente le dense tenebre non sono una letterale mancanza di luce ma il risultato di essere esclusi dalla luce di Dio, essendo rinnegati e proscritti dalla sua famiglia con solo una prospettiva tetra per il loro destino eterno.

Il Tartaro dunque non è la stessa cosa dell’ebraico Sceol o del greco Ades, che si riferiscono entrambi alla comune tomba terrena di tutto il genere umano. Questo è evidente dal fatto che l’apostolo Pietro spiega che Gesù Cristo predicò a quegli “spiriti in prigione”, ma spiega pure che Gesù lo fece non nei tre giorni durante i quali era sepolto nell’Ades (Sceol), ma dopo la sua risurrezione dall’Ades. — I Piet. 3:18-20.

Inoltre la condizione degradata rappresentata dal Tartaro non va confusa con l’“abisso” in cui Satana e i demoni saranno alla fine scagliati nel “giudizio del gran giorno”. (Riv. 20:1-3; Giuda 6) A quanto pare gli angeli disubbidienti erano stati gettati nel Tartaro “ai giorni di Noè” (I Piet. 3:20), ma circa duemila anni dopo troviamo che supplicano Gesù “di non ordinar loro di andare nell’abisso”. — Luca 8:26-31; vedi ABISSO.

Il termine Tartaro ricorre anche nella mitologia pagana precristiana. Nell’Iliade di Omero questo mitologico Tartaro è descritto come una prigione sotterranea ‘tanto al di sotto dell’Ades quanto la terra è al di sotto del cielo’. Vi erano imprigionati dèi minori, Crono e gli altri Titani. Come si è visto il Tartaro biblico non è un luogo ma una condizione e, perciò, non è la stessa cosa del Tartaro della mitologia greca. Tuttavia, si noti che il Tartaro mitologico non è presentato come un posto per esseri umani ma per creature sovrumane. Quindi in questo c’è un’analogia, dal momento che il Tartaro scritturale chiaramente non serve per la detenzione di anime umane (confronta Matteo 11:23) ma solo per sovrumani spiriti malvagi ribelli a Dio.

La condizione di estrema degradazione rappresentata dal Tartaro è un’anticipazione dell’inabissamento che Satana e i demoni subiranno prima dell’inizio del regno millenario di Cristo. Ciò, a sua volta, sarà seguito dopo la fine dei mille anni dalla loro completa distruzione nella “seconda morte”. — Matt. 25:41; Riv. 20:1-3, 7-10, 14.

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