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  • Come possiamo identificare il vero pentimento?

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  • Come possiamo identificare il vero pentimento?
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1973
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  • PENTIMENTO PER I PECCATI GRAVI
  • TRISTEZZA DEL MONDO O TRISTEZZA SECONDO DIO?
  • CIÒ CHE MOTIVA IL VERO PENTIMENTO
  • L’IMPERFEZIONE NON DEVE FRUSTRARE LA GIOIA
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    La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1978
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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1973
w73 15/1 pp. 53-57

Come possiamo identificare il vero pentimento?

“SE FACCIAMO la dichiarazione: ‘Non abbiamo nessun peccato’, sviamo noi stessi e la verità non è in noi”. L’apostolo Giovanni disse questo nel primo secolo della nostra Èra Volgare. Scrivendo ai conservi cristiani, egli si incluse nel termine “noi”. — 1 Giov. 1:8.

Siamo veri cristiani? Allora prima ancora che fossimo battezzati come discepoli del Figlio di Dio, ‘ci pentimmo e ci convertimmo’ dalla condotta errata che avevamo seguita. Questo ci mise in condizione di ‘fare richiesta a Dio di una buona coscienza’ e di riconciliarci con Lui per mezzo del sacrificio d’espiazione o dell’“offerta per il peccato” del suo Figlio. (Atti 3:19, 26; 1 Piet. 3:21; 2 Cor. 5:19-21) Ma il bisogno di pentimento non finisce qui. Le parole di Giovanni mostrano che, essendo imperfetti e avendo ereditato il peccato, commettiamo ancora errori. Nella maggioranza dei casi questi sono di minore importanza. Tuttavia il cristiano può cadere in un errore di maggiore gravità. In entrambi i casi, egli ha bisogno di pentirsi e di cercare il perdono di Dio.

PENTIMENTO PER I PECCATI GRAVI

Il cristiano può divenire eccessivamente fiducioso, non rendendosi conto che ‘chi pensa di stare in piedi deve badare di non cadere’. (1 Cor. 10:12) O perché non ha apprezzato pienamente i provvedimenti di Dio per mantenere la forza e la salute spirituali e per difendersi contro gli attacchi di Satana, il cristiano può divenir debole e vulnerabile alla tentazione. Può commettere un errore grave. Quindi che accade? Ora che dovrebbe fare?

Egli può trarre beneficio dalla considerazione di ciò che fece Davide. Nel trentaduesimo Salmo, forse scritto dopo il grave peccato di Davide circa Betsabea e Uria, Davide disse: “Quando tacevo le mie ossa si stancarono per i miei gemiti di tutto il giorno. Infine ti confessai il mio peccato, e non nascosi il mio errore. Dissi: ‘Farò confessione delle mie trasgressioni a Geova’. E tu stesso perdonasti l’errore dei miei peccati. . . . Per questo motivo ogni leale ti pregherà solo al tempo in cui puoi esser trovato”. (Sal. 32:3, 5, 6) Chi differisce di cercare il perdono di Geova solo prolunga le sofferenze di una coscienza afflitta. Come consiglia Proverbi 28:13: “Chi copre le sue trasgressioni non riuscirà, ma a chi le confessa e le lascia sarà mostrata misericordia”. Sì, la nostra relazione con Dio è troppo preziosa per trascurar di cercare il suo perdono e la sua misericordia. Dovremmo subito far questo per mezzo del suo Figlio come nostro “soccorritore presso il Padre”. — 1 Giov. 2:1.

C’è comunque, dell’altro che la persona pentita può fare. La condotta saggia sarebbe ora quella di rivolgersi agli “anziani” spirituali della congregazione. Perché? Hanno essi il potere di concedere il perdono di Dio per il peccato commesso o possono agire da intermediari fra chi ha peccato e Dio? No. La persona contro cui è stato commesso il peccato può concedere il perdono. Un’altra cosa: Solo Dio può concedere il perdono per un peccato contro la sua legge, e il nostro unico intermediario è il suo Figlio. — 1 Giov. 1:9; 2:1, 2; Ebr. 4:14-16.

Ma non parlò Paolo dei fratelli di Corinto dicendo che ‘perdonassero’ un membro della congregazione che aveva commesso un grave errore e si era pentito? È vero, ma il loro ‘perdono’ non era chiaramente il perdono per la violazione della stessa legge di Dio. Piuttosto, era il perdono per la difficoltà, il biasimo e la tristezza che l’azione aveva recati sulla congregazione. (Si paragoni II Corinti 2:5-10; 7:11). In modo simile possiamo individualmente ‘perdonare ad altri i falli commessi contro di noi’. — Matt. 6:14, 15.

Perché, dunque, andare da questi anziani? Per cercare il loro aiuto quali pastori nominati. La trasgressione è un’evidenza d’infermità spirituale. Mostrando ciò che occorre, il discepolo Giacomo dice: “Confessate apertamente i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri, affinché siate sanati. La supplicazione del giusto, quando opera, ha molta forza”. — Giac. 5:16.

Sì, lo scopo di andare da questi fratelli anziani è quello di ottenere l’aiuto per esser “sanati”, per riacquistare la salute e la forza spirituali. Che diano tale aiuto fa parte della loro opera di pastori. (Si paragonino Ezechiele 34:4, 16; Ebrei 12:12, 13). C’è comunque un’altra ragione ancora.

Questi fratelli si preoccupano pure di proteggere la salute spirituale della congregazione nel suo insieme, badando che non sia infettata. Allo stesso modo si preoccupano seriamente d’aiutare la congregazione a mantenere sempre una giusta posizione dinanzi a Dio e dinanzi a tutti gli uomini, non divenendo in alcun modo un biasimo per il nome di Geova. Noi cerchiamo giustamente di cooperare con tali uomini, aiutandoli ad assolvere le loro responsabilità.

Anziché lasciare che il suo errore sia forse fatto sapere da altra fonte agli anziani che costituiscono il comitato giudiziario della congregazione, e obbligarli così a interrogare il trasgressore per vedere se si è sinceramente pentito e si è allontanato dalla condotta sbagliata o no, costui mostrerà lo spirito giusto provvedendo loro queste informazioni egli stesso. “Poiché essi vigilano sulle vostre anime come coloro che renderanno conto” a Dio. Con ogni fiducia possiamo dunque mostrar loro sottomissione. — Ebr. 13:17; Atti 20:28-30, 35; 1 Tess. 5:12-15, 23.

Questi anziani, ovviamente, si preoccupano che ci sia davvero sincero pentimento da parte del trasgressore e che ora egli faccia sentieri diritti per i suoi piedi, per il suo proprio bene e per il bene del resto della congregazione. Solo l’evidenza del genuino pentimento può assicurar loro che Dio ha perdonato il trasgressore, ‘non ha tenuto conto del suo peccato’. (Rom. 4:8) Se non fosse così, potrebbero essere obbligati ad espellere o disassociare tale individuo come un pericolo per la salute spirituale della congregazione e per la sua giusta condizione dinanzi a Dio.

Sì, ciò che determina se la congregazione disassocia uno o no non è la gravità dell’errore, né la cattiva pubblicità che esso può aver causato, ma il sincero pentimento o meno dell’individuo. Se egli si è veramente pentito, la congregazione non lo caccerà mai semplicemente per soddisfare i sentimenti di qualcuno o del pubblico in genere. È vero che nel caso di grave trasgressione troverebbero necessario riprendere con severità e in pubblico il trasgressore, e senza dubbio non gli sarebbero date responsabilità nella congregazione per molto tempo, forse per anni. Ma essi non abbandonerebbero nessuno sinceramente pentito, come Dio non abbandonò Davide quando si fu pentito con umiltà della sua grave trasgressione. Imitano il leale amore e l’amorevole benignità di Dio. — 2 Sam. 22:50, 51; 1 Re 8:22-26; Sal. 51:17.

Come possono questi anziani del comitato giudiziario essere convinti che chi ha commesso un errore grave sia sinceramente pentito? A questo riguardo, come possiamo noi esser sicuri che il nostro pentimento sia vero, della specie che Dio gradisce?

TRISTEZZA DEL MONDO O TRISTEZZA SECONDO DIO?

È chiaro che dovrebbe esserci tristezza, rimorso e rammarico nel cristiano che ha peccato. Eppure questi sentimenti in sé non sono una sicura misura di vero pentimento. Sorge la domanda: Perché il trasgressore prova tale tristezza, rimorso e rammarico? Qual è il motivo di questi sentimenti?

L’apostolo mostra l’importanza di determinare ciò quando scrive: “Poiché la tristezza secondo Dio produce il pentimento alla salvezza di cui non bisogna rammaricarsi; ma la tristezza del mondo produce la morte”. (2 Cor. 7:10) È dunque questione di vita o di morte che il nostro motivo sia giusto. La tristezza del mondo non sorge dalla fede e dall’amore verso Dio e la giustizia. È generata dal rammarico per il fallimento, la delusione, la perdita materiale o sociale, la prospettiva di subire la punizione o la vergogna. La tristezza del mondo lamenta le spiacevoli conseguenze che la trasgressione reca. Ma non lamenta l’ingiustizia stessa, o il biasimo, che reca su Dio. — Si paragoni Geremia 6:13-15, 22-26.

Caino espresse tale tristezza. Quando Dio ebbe pronunciato la sentenza su di lui, Caino provò davvero tristezza per proprio conto a causa dell’oscuro futuro che previde. Ma non espresse nessun rammarico per l’azione che aveva compiuta assassinando suo fratello. — Gen. 4:5-14.

Esaù vendé senza apprezzamento il suo diritto di primogenitura al fratello Giacobbe. In seguito, avendo appreso che Giacobbe aveva ricevuto dal padre Isacco la profetica benedizione del primogenito, Esaù gridò “in maniera estremamente alta e amara”. Con lagrime egli cercò il pentimento, non il suo proprio ma quello di suo padre, tentando di convincere Isacco a ‘pentirsi’ o a ‘mutar mente’ in quanto al conferimento della benedizione. Esaù non si rammaricò dell’attitudine materialistica che l’aveva indotto a ‘disprezzare il suo diritto di primogenito’. Si rammaricò della perdita di benefici che questo ora gli sarebbe costato. Dio disse: “Ho amato Giacobbe, ma ho odiato Esaù”. — Gen. 25:29-34; 27:34; Ebr. 12:16, 17; Rom. 9:13.

Che Dio non si compiaccia mai a questo riguardo di nessuna attitudine indecisa è chiaramente mostrato dalla profezia di Osea. Circa Israele egli dice: ‘Quando sono in angustie cercano Dio.’ Ma le espressioni di pentimento che facevano erano di breve durata. “La vostra amorevole benignità è come le nuvole del mattino e come la rugiada che presto scompare”. — Osea 5:15; 6:1-4.

Osea 7:14-16 quindi rivela il fattore chiave che manca in molte espressioni di pentimento anche oggi, dicendo: “Non invocarono il mio aiuto col loro cuore, benché continuassero a urlare sui loro letti. A motivo del loro grano e del loro vino dolce continuarono ad andare a zonzo . . . tornavano, non ad alcuna cosa più alta . . .” Il loro “urlare” per aver sollievo nel tempo della difficoltà aveva un motivo egoistico e, se era loro concesso sollievo, non si valevano dell’opportunità per migliorare e rafforzare la loro relazione con Dio aderendo più strettamente alle sue alte norme. (Giac. 4:3) Osea dice che erano come un “arco lento”, che non colpisce mai il bersaglio. (Osea 7:16; Sal. 78:57) Il loro pentimento non veniva realmente dal cuore. — Gioe. 2:12, 13.

CIÒ CHE MOTIVA IL VERO PENTIMENTO

La tristezza che accompagna il pentimento vero ha un motivo assai diverso dalla tristezza del mondo. Dal cuore viene il desiderio di tornare nel favore di Dio, motivato dall’amore verso di lui che viene dal conoscere lui e le sue splendide qualità e i suoi propositi giusti. La comprensione della sua bontà e della sua magnanimità fa sentire ai trasgressori veramente pentiti profondo rimorso per aver recato biasimo sul suo nome. L’amore verso il prossimo pure fa deplorare loro il danno che hanno fatto ad altri, il cattivo esempio che hanno dato, il male che hanno causato, forse il modo in cui hanno macchiato la reputazione del popolo di Dio fra quelli di fuori, impedendo così alle persone di riconoscere la vera congregazione di Dio. Queste cose e non semplicemente la vergogna d’esser trovato ‘scoperto’ o la prospettiva della disciplina, fa sentir loro il “cuore rotto” e lo “spirito affranto”. — Sal. 34:18.

Ma il pentimento (gr. me·taʹnoi·a) richiede anche un ‘mutamento di mente’ o un ‘mutamento di volontà’. Per esser sincero deve comprendere il positivo rifiuto della cattiva condotta come ripugnante, qualche cosa di odioso. (Sal. 97:10; Rom. 12:9) Questo trova il parallelo nell’amore della giustizia che fa prendere al cristiano pentito la ferma determinazione di attenersi da ora in poi a un corso giusto. Senza questo odio del male e questo amore della giustizia non ci sarebbe nessuna forza per il nostro pentimento, non si farebbero quelle che l’apostolo Paolo chiamò “opere di pentimento”. (Atti 26:20) Il caso del re Roboamo lo illustra. Dopo essersi umiliato sotto l’ira di Dio, egli tornò a fare il male. Perché? Perché “non aveva fermamente stabilito il suo cuore per ricercare Geova”. — 2 Cron. 12:12-14.

La congregazione corintia mostrò questo essendo ‘triste secondo Dio’. Quando fu ripresa da Paolo per aver accolto in mezzo a loro un praticante di malvagità, essi risposero correggendo la situazione. Manifestarono la loro tristezza per l’errore compiuto non solo col timore ma con “grande premura . . . sì, [con la loro] difesa, sì, indignazione [al biasimo recato dalla condotta del trasgressore], . . . sì, grande desiderio, sì, zelo, sì, correzione del torto!” (2 Cor. 7:11) Così, gli anziani possono oggi cercare qualità simili in quelli che esprimono pentimento per aver trasgredito contro di loro.

L’IMPERFEZIONE NON DEVE FRUSTRARE LA GIOIA

I peccati, certo, possono variare per gravità. Forse invece di qualche peccato di maggior gravità, come fornicazione, adulterio o furto, ci rendiamo conto d’esser colpevoli d’avere “occhi alteri” o di “mostrare favoritismo”, cose che sono molto spiacevoli a Dio. (Prov. 6:16, 17; Giac. 2:9) E quando si tratta di usare la lingua, “tutti inciampiamo molte volte”, dicendo cose che poi riconosciamo son prive di saggezza, cortesia, amore, cristianesimo. (Giac. 3:2, 8-13) Ci preoccupiamo noi che le nostre relazioni con Dio non subiscano danno? Quindi dobbiamo ‘pentirci e convertirci’, cercando il suo perdono.

Ma poiché la nostra imperfezione si mostra in un modo o l’altro quotidianamente, significa ciò che dovremmo essere in un continuo stato di cordoglio, provando costantemente rimorso? Assolutamente no.

Elencando i frutti dello spirito santo di Dio, l’apostolo pone la “gioia” subito dopo l’“amore”. (Gal. 5:22) Il salmista dice: “Se tu guardassi gli errori, o Iah, o Geova, chi starebbe?” (Sal. 130:3) Noi possiamo provare gioia, ricordando invece che “Geova è misericordioso e clemente, lento all’ira e abbondante in amorevole benignità. . . . Poiché egli stesso conosce bene come siamo formati, ricordando che siamo polvere”. (Sal. 103:8-14) Mentre i nostri errori recano giustamente rammarico, non ci dobbiamo torturare di ogni minore fallo o parola sconsiderata.

Ciò nondimeno, il riconoscimento di questi falli dovrebbe avere su noi l’effetto di umiliarci, facendoci mantenere sia modesti che compassionevoli verso altri. Quindi, allorché preghiamo Dio per ottenere il perdono dei nostri errori quotidiani egli si compiace della nostra preghiera. Camminando con coscienza nelle sue vie e cercando con regolarità la sua faccia mediante la preghiera, potremo veramente esser gioiosi, fiduciosi in una buona relazione con lui. — Filip. 4:4-7.

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