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  • Domande dai lettori
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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1976
w76 1/5 pp. 287-288

Domande dai lettori

● Ciò che Gesù disse in Giovanni 15:1-6, circa il fatto che egli era la vite e i suoi discepoli erano i tralci, corrisponde all’ulivo e ai rami descritti in Romani 11:17-24?

In passato si è usato Giovanni 15:1-6 come illustrazione per considerare Romani 11:17-24. Ma un attento esame rivela che questi due brani si riferiscono a cose diverse. Uno riguarda Cristo, e l’altro Abraamo. Consideriamo ciascun brano.

L’ultima notte che trascorse con gli apostoli Gesù disse: “Io sono la vera vite, e il Padre mio è il coltivatore. Ogni tralcio che in me non porta frutto egli lo toglie, e ognuno che porta frutto lo purifica, perché porti più frutto. Io sono la vite, voi siete i tralci. Chi rimane unito a me, e io unito a lui, questo porta molto frutto”. — Giov. 15:1, 2, 5.

Gesù si paragonò a una vite. I suoi discepoli, che alla Pentecoste del 33 E.V. furono generati dallo spirito santo, divennero tralci della vite. Cristo li esortò, una volta divenuti tralci, a dimorare in lui e a portare frutto per non essere gettati via e perdere la vita eterna. (Giov. 15:6) Il frutto prodotto avrebbe incluso la manifestazione delle qualità che egli, Gesù, aveva dimostrate. Restando uniti a lui potevano coltivare il frutto dello spirito. (Gal. 5:22, 23) E si sarebbero dati da fare per parlare del Regno. — Luca 8:8.

Mentre le parole di Giovanni 15:1-6 riguardano Gesù, l’illustrazione di Paolo sull’ulivo contenuta in Romani 11:17-24 accentra l’attenzione su Abraamo. Mostra che bisogna avere una fede come quella di Abraamo per divenire parte del suo seme promesso. Viene fatta l’illustrazione di un ulivo coltivato, o da giardino, da cui erano stati recisi alcuni rami naturali. Al loro posto furono innestati dei rami di un ulivo selvatico. I rami naturali rappresentano i Giudei naturali. I rami dell’ulivo selvatico rappresentano i credenti gentili che, a motivo della loro fede, sostituirono i Giudei naturali senza fede come parte del promesso seme di Abraamo. Lo si può capire meglio esaminando il modo in cui Dio trattò Abraamo e l’atteggiamento manifestato dai Giudei quando arrivò il Messia.

Avendo Abraamo esercitato fede, Geova Dio fece con lui un patto per un “seme” mediante il quale tutte le nazioni “di certo si benediranno”. (Gen. 22:17, 18; Gal. 3:8) Questo influì sul modo in cui Dio trattò il seme naturale di Abraamo, i suoi discendenti gli Israeliti. (Deut. 7:7, 8; 2 Cor. 11:22) Nel primo secolo i Giudei si vantarono di poter dire: “Il padre nostro è Abraamo”. (Giov. 8:39; Matt. 3:9) Supposero che, essendo il seme naturale di Abraamo, fosse loro assicurato un posto nel favore e nelle opere di Geova. Ma nel libro di Romani, Paolo mostrò che, mentre c’era senz’altro un vantaggio a essere discendenti di Abraamo, questo di per sé non bastava. In che modo?

La ragione era che Geova Dio si propose di produrre tramite il patto abraamico un seme spirituale. Il Messia, Gesù, fu il principale di quel seme spirituale di Abraamo, come Paolo aveva spiegato nella sua precedente lettera ai Galati. (Gal. 3:16) Ma aveva anche mostrato che il seme spirituale era un seme composto; era formato di Cristo e dei suoi coeredi, il cui numero complessivo, rivelato in seguito, era di 144.001. Paolo scrisse: “Se appartenete a Cristo, siete realmente seme di Abraamo, eredi secondo la promessa”. (Gal. 3:29; Riv. 7:4-8; 14:1) Ma il seme secondario di Abraamo, i 144.000, sarebbe stato formato interamente di Giudei, appartenenti al seme naturale di Abraamo?

Avrebbe potuto essere così. Dal 29 E.V. al 36 E.V. l’opportunità di formare quel seme spirituale fu offerta a coloro che per discendenza naturale erano “figli della stirpe di Abraamo”.a (Atti 13:26; Matt. 15:24) Nel libro di Romani, Paolo menzionò più volte questo legame naturale. Egli parlò della fede di “Abraamo nostro antenato secondo la carne”. (Rom. 4:1) Quindi, in Romani 11:1, disse: “Dio non ha rigettato il suo popolo, non vi pare? Non sia mai! Poiché anch’io sono Israelita, del seme d’Abraamo”. E nell’illustrazione dell’ulivo che segue, continuò ad accentrare l’attenzione su Abraamo.

I discendenti naturali di Abraamo furono simili ai rami di un ulivo coltivato. Ma il patto abraamico doveva produrre un seme spirituale. Quindi, per farne parte i Giudei dovevano accettare il Messia, essere generati dallo spirito santo e adottati quali figli spirituali dal più Grande Abraamo, Geova Dio. (Rom. 4:16, 17) Solo un rimanente di Giudei naturali lo accettò, divenendo così rami permanenti dell’ulivo. La maggioranza del seme naturale di Abraamo non esercitò fede nel Messia. Pertanto, secondo l’illustrazione, furono recisi dall’ulivo e non divennero parte del seme spirituale di Abraamo. — Matt. 21:43.

A motivo di ciò, Dio rivolse la sua attenzione ai Gentili. Dal 36 E.V. in poi credenti non giudei poterono esercitare fede e divenire unti cristiani, parte del seme spirituale di Abraamo. (Atti 10:34-47; 15:14) Paolo paragonò questi cristiani gentili ai rami di un ulivo selvatico innestati nell’ulivo coltivato. Quindi, anche se non avevano un legame carnale con Abraamo, esercitarono una fede simile a quella di Abraamo e divennero parte del suo seme spirituale. Infatti, se in seguito, anche dopo che era finito un periodo di incomparabile opportunità, qualche Giudeo naturale esercitava fede in Gesù, poteva essere di nuovo innestato nell’albero, divenendo parte del seme spirituale di Abraamo. (Fate un contrasto fra ciò e quanto accadeva al tralcio reciso dalla vite di Gesù. [Giov. 15:6]) — Rom. 11:17-24.

L’illustrazione di Paolo mette dunque in risalto Abraamo, la “radice” giusta con cui Geova fece il patto e a cui tutti i “rami” dovevano essere legati mediante la fede. — Rom. 4:9-16; 11:16.

Facendo un paragone tra le parole di Gesù in Giovanni 15:1-6 e quelle di Paolo in Romani 11:17-24, si può capire che si tratta di due argomenti molto diversi. Uno riguarda Gesù; l’altro Abraamo. Insieme, però, mostrano in modo enfatico che il cristianesimo non è una cosa da prendere per scontata. Ci vuole fede, come la “fede di Abraamo”. (Rom. 4:16) È pure indispensabile rimanere uniti a Gesù e portare buon frutto, seguendo l’esempio di Gesù.

[Nota in calce]

a Si veda La Torre di Guardia del 15 giugno 1975, pagine 373-379.

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