La lotta per vincere le mie debolezze
Narrato da Thomas Addison
QUAND’ERO bambino, un uccello innocuo che si posasse sulla mia strada bastava a farmi scappare terrorizzato in un’altra direzione. Quando parenti o amici venivano a farci visita, trovavano un bambino taciturno che si nascondeva dietro la sottana della mamma. La mia normale reazione quando avevamo visite era quella di rifugiarmi in camera prima possibile. Di fronte a qualsiasi persona che avesse autorità, specialmente di fronte agli insegnanti di scuola, non riuscivo a spiccicar parola.
Cosa mi ha permesso di cambiare? Come ha fatto un giovane così timido a parlare, in anni recenti, a uditori di migliaia di persone in occasione di grandi assemblee?
L’aiuto rafforzante dei miei genitori
Per i miei genitori, specialmente per papà, uno scozzese magro e pieno di energia, ero un figlio difficile da capire. Papà, che era rimasto orfano a 13 anni, aveva modi un po’ ruvidi ma un cuore d’oro. Aveva imparato a badare a se stesso fin da piccolo. Mamma, invece, era figlia di un contadino ed era la mitezza in persona. Dall’infanzia fui allevato in maniera ferma e amorevole, ma non iperprotettiva.
A sei anni, nel 1945, in una piccola congregazione australiana composta da tre sole famiglie, feci il mio primo discorso alla Scuola di Ministero Teocratico, alla luce di una lanterna a cherosene. Papà mi aiutò a prepararmi con abbondante anticipo, spiegandomi i vantaggi del parlare in modo estemporaneo e incoraggiandomi a non aver mai paura di quello che dicono o pensano gli altri. Ricordo ancora le sue parole: “Noi esseri umani siamo solo mucchi di polvere. Alcuni mucchi sono un po’ più grandi di altri, tutto qua”. Durante il discorso mi tremavano le ginocchia, cominciai ad avere le mani sudate e a metà discorso mi ammutolii e non riuscii a portarlo a termine.
Avrò avuto una decina d’anni quando papà portò me e mio fratello minore Robert nella strada principale del paese, proprio di fronte al cinematografo locale. Lì tenevamo ben esposte le riviste Torre di Guardia e Svegliatevi!, alla vista dei nostri compagni di scuola. Le riviste pesavano come il piombo, e a volte mi scivolavano dietro la schiena! Cercavo disperatamente di farmi piccolo piccolo e di non farmi notare.
Comunque, guardando l’esempio coraggioso di papà mi sentivo enormemente incoraggiato. Papà diceva sempre che tirarsi indietro significava darla vinta a Satana e al timore dell’uomo. Un’altra prova la dovetti affrontare a scuola. La seconda guerra mondiale non era finita da molto, e in Australia il nazionalismo era ancora sentito. Durante le assemblee scolastiche, quando veniva suonato l’inno nazionale, mia sorella Ellerie ed io rimanevamo seduti. Per me fu una vera sfida essere diverso dagli altri, ma anche in questo caso il costante sostegno e l’incoraggiamento dei miei genitori mi aiutarono a non fare compromesso.
L’ottimo esempio di papà
Tenendo conto delle sue precedenti esperienze e del suo carattere, papà fu davvero molto paziente con me. A 13 anni, papà già lavorava nelle miniere di carbone in Inghilterra. A poco più di vent’anni emigrò in Australia per cercar fortuna. Ma la depressione economica degli anni ’30 era iniziata, ed egli si adattò a lavorare in condizioni pessime per mantenere la famiglia.
Papà era disilluso del mondo in generale e della politica in particolare, per cui quando lesse i libri della Società (Watch Tower) e il modo intrepido in cui veniva smascherata l’ipocrisia politica, commerciale e religiosa, questo toccò in lui un tasto sensibile. Non passò molto che si dedicò a servire Geova, poco dopo che l’ebbe fatto mamma. Pur avendo subìto un collasso polmonare in seguito a una frana in miniera e non avendo alcuna specializzazione particolare, papà portò la nostra famiglia a prestare servizio dove c’era bisogno spirituale. La sua fiducia in Geova lasciò in me una profonda impressione.
Ricordo, per esempio, quando ci trasferimmo in una piccola cittadina mineraria dove le sole Testimoni erano due sorelle anziane, che avevano entrambe il marito incredulo. Trovare casa era difficile, ma alla fine riuscimmo ad affittare una vecchia casa qualche chilometro fuori città. Potevamo spostarci solo a piedi o in bicicletta. Poi, un mattino di buon’ora, mentre noi tre bambini eravamo in casa di amici, un incendio rase al suolo la casa. I nostri genitori riuscirono a mettersi in salvo, ma tutto ciò che possedevamo andò perduto. Non avevamo né assicurazione né denaro.
Non molto tempo prima di morire, nel 1982, papà ricordava con me quei momenti. “Ti ricordi, figliolo, come sulle prime la situazione sembrava disperata, eppure Geova stette al nostro fianco? Dopo l’incendio i fratelli di Perth ci regalarono mobili, vestiti e denaro. Grazie alla loro generosità, stavamo meglio dopo l’incendio che prima!” All’inizio pensavo che papà esagerasse un po’ parlando tanto dell’aiuto di Geova nella nostra vita. Tuttavia, i frequenti casi di ciò che lui chiamava aiuto divino si fecero troppo numerosi per spiegarli in qualsiasi altro modo.
L’ottimismo di mia madre
Uno dei miei grossi problemi è sempre stato il pessimismo. Mamma spesso mi chiedeva: “Perché guardi sempre il lato negativo delle cose?” Lei ragionava in modo positivo, e il suo esempio mi ha incoraggiato a continuare a sforzarmi di essere più ottimista.
Di recente mamma ha raccontato un piccolo aneddoto che l’aveva alquanto divertita. Il dottore di un piccolo villaggio agricolo in cui ci eravamo trasferiti da poco, osservando i vestiti lindi e l’aspetto distinto dei nostri genitori, li aveva scambiati per gente benestante! In realtà abitavamo in un ampio fienile con le pareti divisorie fatte di tela di sacco. Non c’era energia elettrica, gas o acqua corrente. Un giorno un toro cercò di entrare dalla porta principale. Potete immaginare dov’ero io: sotto il letto!
Mamma andava a prendere l’acqua a un pozzo distante 200 metri, usando un paio di bidoni da 15 litri appesi a un’asta che portava sulle spalle. Sapeva vedere il lato comico nelle difficoltà e, con un po’ di incoraggiamento da parte di papà, considerava ogni problema come una sfida da superare anziché come un ostacolo. Spesso indicava che anche se non avevamo molte cose sotto il profilo materiale, avevamo molte benedizioni.
Ad esempio, trascorrevamo molti giorni felici viaggiando per andare a predicare in territori distanti: ci accampavamo sotto le stelle, cucinavamo uova e pancetta su un fuoco all’aperto e cantavamo cantici del Regno lungo i tragitti. Papà ci accompagnava con la fisarmonica. Sì, sotto questi aspetti eravamo davvero ricchi. In alcune cittadine di provincia affittavamo piccole sale e annunciavamo discorsi pubblici, che pronunciavamo la domenica pomeriggio.
A volte, a motivo dei ricorrenti problemi di salute di papà, mamma doveva andare a lavorare per arrotondare il bilancio. Essa assisté per anni sua madre e suo nonno, e poi anche nostro padre, prima che morissero. Non si è mai lamentata. Anche se attraversavo ancora dei periodi di depressione e spesso tendevo al pessimismo, l’esempio di mamma e l’amore con cui mi incoraggiava infusero in me il desiderio di non lasciarmi andare.
La mia lotta contro la depressione
Verso la fine dell’adolescenza, tutte le debolezze dell’infanzia che credevo sopite si risvegliarono più acute che mai. Mi assalivano dubbi esistenziali. Cominciai a chiedermi se tutti gli individui avessero le stesse opportunità di conoscere e servire Geova. Ad esempio, che dire di un bambino che nasceva in India o in Cina? Di certo le sue possibilità di conoscere Geova sarebbero state molto più limitate di quelle di un bambino allevato da genitori Testimoni. Tutto questo sembrava ingiusto! Inoltre, anche l’eredità genetica e l’ambiente, che un bambino non può controllare, devono avere un ruolo importante. C’erano così tante cose nella vita che sembravano ingiuste! Passai ore e ore a ragionare con i miei genitori su queste domande. Non ero soddisfatto neanche del mio aspetto. C’erano tante cose in me che non mi piacevano.
Rimuginare su queste cose mi deprimeva, e a volte questo durava per settimane. Il mio aspetto ne soffriva. Varie volte ho segretamente pensato al suicidio. A volte provavo un senso di appagamento indulgendo nell’autocommiserazione. Mi consideravo un martire incompreso. Divenni schivo e un giorno provai d’un tratto una sensazione paurosa: intorno a me tutto sembrava irreale, come se stessi guardando attraverso una finestra appannata.
Questo episodio mi scosse e mi fece comprendere quanto poteva essere pericoloso autocommiserarsi. Pregai Geova e mi impegnai a fare uno sforzo deciso per non cedere più all’autocommiserazione. Cominciai a concentrarmi su pensieri positivi e scritturali. Da quel giorno in poi lessi con maggiore attenzione ogni articolo delle riviste Torre di Guardia e Svegliatevi! che parlava degli aspetti della personalità, conservando poi tali articoli in un raccoglitore. Presi anche a cuore i suggerimenti del Ministero del Regno su come conversare con gli altri.
La mia prima meta fu cercare di conversare il più a lungo possibile con una persona a ciascuna adunanza cristiana. All’inizio tali conversazioni non duravano più di un minuto circa, per cui spesso tornavo a casa scoraggiato. Comunque, perseverando, la mia capacità di conversazione un po’ alla volta migliorò.
Cominciai anche a fare molte ricerche personali sulle domande che mi assillavano. Oltre a ciò prestai attenzione alla mia alimentazione e scoprii che, integrando la mia dieta, il mio umore e le mie energie miglioravano. In seguito appresi che anche altri fattori potevano innescare la depressione. Ad esempio, a volte mi appassionavo tanto a una cosa da raggiungere uno stato di eccitazione, dopo di che cadevo invariabilmente in un periodo di prostrazione, spossatezza e infine depressione. Per evitare questo ho dovuto imparare a dedicarmi con costanza alle varie attività senza però lasciarmi coinvolgere troppo. Tuttora, devo stare attento sotto questo aspetto.
Il passo successivo fu quello di raggiungere una meta che i nostri genitori ci avevano sempre posto davanti: il ministero a tempo pieno. La determinazione di mia sorella, che da più di 35 anni continua a fare tesoro del privilegio di essere pioniera, rimane un grande incentivo per me.
Affronto i problemi di mio figlio
Dopo aver fatto il pioniere da celibe per qualche anno, ho sposato una pioniera, Josefa. Essa è stata per me un eccellente complemento sotto ogni aspetto. Col tempo avemmo tre figli. Craig, il nostro primogenito, nacque nel 1972 con una grave paralisi cerebrale. La sua condizione è stata una vera sfida, perché tutto ciò che può fare da sé è portare con difficoltà il cucchiaio alla bocca. Ovviamente, lo amiamo molto, e ho fatto di tutto per aiutarlo a essere più indipendente. Gli ho costruito vari ausili per la deambulazione. Abbiamo consultato molti specialisti, ma con scarso successo. Da parte mia, ho imparato che in questa vita ci sono circostanze che dobbiamo semplicemente accettare.
Fino a dodici anni, Craig ogni tanto smetteva improvvisamente di mangiare e di bere, e aveva involontari conati di vomito. Sembrava che la causa fosse di tipo neurologico. Egli cominciava letteralmente a consumarsi sotto i nostri occhi. La preghiera ci ha aiutati a superare questi momenti, e i farmaci prescritti hanno aiutato a tenere sotto controllo il problema. Per fortuna Craig si ristabiliva appena in tempo, per deliziarci di nuovo con il suo sorriso accattivante e con il suo inesauribile repertorio di canzoni.
All’inizio per Josefa fu molto difficile adattarsi a questa situazione straziante. Ma il suo amore e la pazienza nel prendersi cura di ogni bisogno di Craig alla fine ebbero la meglio. Così abbiamo potuto continuare a spostarci dovunque ci fosse più bisogno di aiuto cristiano. Con il sostegno e l’aiuto concreto di Josefa sono stato in grado di lavorare per molti anni part-time, così da riuscire a fare il pioniere ausiliario e allo stesso tempo mantenere la famiglia.
Bisogna essere positivi
Quando Craig è depresso a motivo delle continue malattie o si sente frustrato per i suoi impedimenti, lo rafforziamo con uno dei miei versetti preferiti: “Noi non siamo di quelli che tornano indietro”. (Ebrei 10:39) Craig lo conosce a memoria, ed esso ha sempre un effetto incoraggiante su di lui.
Sin da piccolo, Craig ha sempre amato molto il servizio di campo. Con una speciale sedia a rotelle, spesso può parteciparvi insieme a noi. Soprattutto, ama accompagnarci quando, di tanto in tanto, servo altre congregazioni come sorvegliante di circoscrizione alternativo. I commenti che si sforza di fare allo studio di libro e la costanza con cui ha parlato dei racconti biblici alla scuola speciale che ha frequentato sono stati molto più efficaci di qualsiasi cosa avessimo potuto dire noi che non siamo portatori di handicap. In questo modo Craig mi ha ricordato che, per quanto possiamo essere limitati, Geova ci può impiegare per promuovere la sua volontà e il suo proposito.
Qualche tempo fa ho avuto il privilegio di essere istruttore alla Scuola di Ministero del Regno. Nonostante tutti i miei anni di ministero, all’inizio ero ancora alquanto nervoso. Ma ben presto, confidando in Geova, mi tranquillizzai e sentii ancora una volta il sostegno di Geova.
Riflettendo sui miei 50 anni di vita, sono convinto che solo Geova poteva addestrare amorevolmente una persona come me, facendone un uomo spirituale.