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Atti — Approfondimenti al capitolo 4Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture (edizione per lo studio)
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figlio di In ebraico, aramaico e greco, “figlio di” può indicare una qualità o caratteristica predominante che distingue una persona o descrive un gruppo di persone. Ad esempio, in De 3:18 “uomini valorosi” letteralmente sarebbe “figli di abilità”. In Gb 1:3 “orientali” alla lettera è “figli dell’Oriente”. L’espressione “buono a nulla” che ricorre in 1Sa 25:17 traduce l’originale “figlio di belial”, ovvero “figlio di inutilità”. Nelle Scritture Greche Cristiane coloro che seguono una certa linea di condotta o manifestano certe caratteristiche sono definiti con espressioni come “figli dell’Altissimo”, “figli della luce e figli del giorno” e “figli della disubbidienza” (Lu 6:35; 1Ts 5:5; Ef 2:2).
figlio di conforto O “figlio d’incoraggiamento”. Si tratta della traduzione del soprannome Barnaba, dato a uno dei discepoli che si chiamavano Giuseppe. Visto che Giuseppe era un nome comune fra gli ebrei, forse gli apostoli gli diedero il nome Barnaba per praticità. (Confronta At 1:23.) L’espressione “figlio di” era a volte usata per indicare una qualità o caratteristica predominante che distingueva una persona. (Vedi l’approfondimento figlio di in questo versetto.) A quanto pare il soprannome “figlio di conforto” metteva in evidenza la spiccata capacità che Giuseppe aveva nel dare incoraggiamento e conforto. Luca riferisce che Giuseppe (Barnaba) fu mandato nella congregazione di Antiochia di Siria e lì “incoraggiò” i fratelli (At 11:22, 23). Il verbo greco che in At 11:23 viene reso “incoraggiare” (parakalèo) è affine al termine greco per “conforto” (paràklesis) usato in At 4:36.
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