Nota in calce
c In Giovanni 12:39 l’apostolo cita la profezia d’Isaia in riferimento all’opera di Gesù e quindi aggiunge: “Isaia disse queste cose perché vide la sua gloria, ed egli parlò di lui”. (NM) Il trinitario clero dice che questo prova la dottrina della trinità e che il Geova che Isaia vide nella gloria nel tempio era il preumano Gesù, la Parola di Dio. Ma questa è una conclusione affrettata da parte loro, come risulta dalla completa narrazione di Giovanni, che qui citiamo: “Gesù disse queste cose e andò via e si nascose da loro. Ma benché avesse compiuto tanti segni davanti a loro, essi non riponevano fede in lui, affinché fosse adempiuta la parola d’Isaia [53:1] il profeta che disse: ‘Geova, chi ha creduto al nostro rapporto, e a chi è stato rivelato il braccio di Geova?’ La ragione per la quale essi non potevano credere è quella che ancora Isaia [6:10] disse: ‘Egli ha accecato gli occhi loro e ha indurato il loro cuore, affinché non vedano con i loro occhi e non afferrino il pensiero col loro cuore e non si ravvedano e io non li guarisca.’ Isaia disse queste cose perché vide la sua gloria, ed egli parlò di lui”. — Giov. 12:36-41, NM.
Quali “cose” disse dunque Isaia “perché vide la sua gloria”? Vediamo che qui Giovanni cita due volte Isaia, prima Isaia 53:1 relativamente al “braccio di Geova” e quindi Isaia 6:10 relativamente alla visione del tempio. Il “braccio di Geova” di Isaia 53:1 è Cristo Gesù. In Isaia 6:10 Colui che parla nel tempio è Geova, egli comprende il suo Figlio con lui quando dice: “Ohi andrà per noi?” cioè, chi andrà per me e per mio Figlio? Così vediamo che il preumano Gesù fu unito con Geova nella sua gloria nel tempio, e perciò Giovanni poteva dire giustamente qui che Isaia vide la sua gloria e parlò di lui, “il braccio di Geova”. Certamente Gesù il più grande Isaia non si era mandato da sé, ma lo mandò Geova dal tempio, poiché Giovanni qui applica Isaia 6:10 a Gesù come il Mandato verso cui in primo luogo fu adempiuta questa profezia, dopo che Gesù era entrato cavalcando in Gerusalemme e si era offerto come Re e aveva purificato il tempio. A quel tempo Gesù non era nella “sua gloria”, ma i capi giudei lo avevano vilipeso e avevano cospirato di ucciderlo.
Lo stesso avviene dove Matteo 13:14, 15 applica la profezia d’Isaia a Gesù perché anche qui i capi religiosi avevano ordito una congiura per distruggerlo. (Matt. 12:14; Giov. 11:57) La gloria di Gesù col padre nel suo tempio perviene al finale e completo adempimento di Malachia 3:1-4 nell’anno 1918, quando Geova lo manda come suo Messaggero del patto a giudicare e purificare Il Suo consacrato popolo. Specialmente dalla sua risurrezione in poi, Gesù è il riflesso della gloria di Geova. — Ebr. 1:2, 3; 2 Cor. 4:6.
Si veda pure pagina 281, par. 4.