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Gandhi: Perché molti speravano in luiSvegliatevi! 1984 | 22 ottobre
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Gandhi: Perché molti speravano in lui
Viviamo in un tempo in cui nei paesi in via di sviluppo le crisi si acutizzano. Mentre nelle ricche società occidentali c’è un diffuso senso di malessere, il mondo intero vive sotto il continuo incubo della guerra nucleare. La filosofia della non violenza propugnata da Gandhi contiene la soluzione dei problemi di questo mondo lacerato dalle lotte? Questo articolo, scritto da un giornalista indiano, prende in esame la figura di Gandhi e i suoi ideali di non violenza.
GANDHI. Cosa significa per voi questo nome? Se amate la pace e desiderate vedere un mondo non violento, forse sapete che Gandhi è stato chiamato il padre della non violenza.
Se siete fra gli oltre 730 milioni di indiani, lo ricorderete come Bapu, o padre, quell’uomo dolce e fragile, seduto al filatoio, che portò l’India all’indipendenza. Se siete indù, lo considerate un capo spirituale e lo chiamate Mahatma, cioè “grande anima”. Ma quali che siano le vostre origini o il vostro credo, probabilmente riconoscete in Gandhi un capo dotato di eccezionale carisma.
Era piccolo, con il viso scarno e grandi occhi. Il naso, troppo grande per la sua faccia, teneva su gli occhiali rotondi. Aveva le guance infossate, e la bocca senza denti si apriva in un ampio sorriso. Nella maggioranza delle foto lo si vede seduto al filatoio con le gambe incrociate o mentre saluta visitatori, vestito con un perizoma e uno scialle di cotone.
Non molto tempo dopo la prima guerra mondiale Gandhi disse: “Sono contrario alla violenza perché quando sembra fare del bene, il bene è solo temporaneo, mentre il male che fa è permanente”.
Il mondo d’oggi è in condizioni anche peggiori che quando Gandhi era vivo. Si guardi ciò che sta accadendo nell’America Meridionale e Centrale, in Africa, nel Medio Oriente e perfino nelle città e nei villaggi indiani. È ormai un’abitudine molto radicata quella di ricorrere alla violenza come mezzo per risolvere i problemi. La maggioranza delle persone rispondono a una spinta con un’altra spinta. A una seconda spinta, rispondono combattendo. Neppure le nazioni ricche sono immuni da questo spirito. Odi nazionalisti, violenza razziale, criminalità, minacce di una guerra nucleare e danni ecologici sono all’ordine del giorno. “A meno che il mondo non adotti la non violenza, il suicidio dell’umanità è inevitabile”, osservò Gandhi. L’odio può essere vinto solo dall’amore, e — disse — la non violenza dev’essere praticata non solo da nazioni e da gruppi, ma da ciascun individuo.
Per esempio, cosa spinge un uomo a odiare il suo simile e a fargli violenza solo perché ha la pelle di colore diverso? Gandhi osservò: “Nessun uomo di Dio può considerare un altro uomo inferiore a sé. Deve considerare ogni uomo come suo fratello carnale”. Sono passati sessantatré anni da che Gandhi disse queste parole, ma il mondo è ancora alle prese con il concetto fondamentale di uguaglianza.
In un tempo in cui grandi leader e grandi pensatori scarseggiano, alcuni, in cerca di soluzioni, ripensano speranzosamente a Gandhi. Ma chi era quest’uomo? Quali erano i suoi ideali? Come presero forma? In questi tempi precari, i metodi di Gandhi forniscono la soluzione?
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Gandhi: Cosa incise nella sua formazione?Svegliatevi! 1984 | 22 ottobre
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Gandhi: Cosa incise nella sua formazione?
PER capire Gandhi dobbiamo risalire a due avvenimenti che influirono inizialmente sulla formazione del suo pensiero. È il 1869; il luogo: lo stato del Gujarat, nell’India nordoccidentale. Venti caldi e secchi seguiti da rovinose inondazioni impoveriscono queste regioni. Lì nasce Gandhi in una famiglia agiata che, come la maggioranza dei gujarati, si vanta di avere molti bramini (casta sacerdotale) nel loro stato. Per tradizione la società indù è divisa in quattro caste, o classi, principali, separate da chiare distinzioni. (Vedi riquadro a pagina 5).
A 18 anni Gandhi sale per la prima volta su un treno diretto a Bombay, da dove partirà per l’Inghilterra per andare a studiare legge. Lascia la moglie Kasturbai, sposata da bambino, e un figlio. Prima di imbarcarsi sul piroscafo Clyde, Gandhi è convocato davanti agli anziani della sua casta e informato senza mezzi termini che, se parte per l’Inghilterra, sarà formalmente espulso dalla sua casta. Perché? “Si è obbligati a mangiare e a bere con gli europei”, affermano. “Non credo che andare in Inghilterra sia assolutamente contro la nostra religione”, ribatte Gandhi. Gli anziani della sua casta ritengono sia tabù frequentare i bianchi che sono contaminati perché mangiano carne e bevono liquori. Gandhi protesta, asserendo che si tratti di una forma di discriminazione di casta. Nonostante le sue proteste gli anziani si mostrano irremovibili, e Gandhi parte dall’India bandito dalla sua casta, quella dei vais̀ya (contadini e commercianti).
In Inghilterra la vita è difficile per Gandhi. Non solo è straniero ma per giunta è un indiano delle colonie, e può muoversi solo ai margini della società britannica. Gandhi è perplesso sentendosi oggetto di discriminazione da parte di persone che si definiscono cristiane. Ha già la sua opinione del cristianesimo: “Mi era venuta una specie di avversione nei suoi confronti”, ebbe a scrivere. “E la ragione era questa: in quei giorni i missionari cristiani [in India] erano soliti mettersi a un angolo della strada vicino alla scuola superiore . . . e ricoprire di improperi gli indù e i loro dèi. Non potevo sopportarlo”. Anche in Inghilterra Gandhi trova difficile sopportare la discriminazione di cui è oggetto da parte dei “cristiani”. Qual è il suo giudizio? ‘Amo Cristo, ma disprezzo i cristiani perché non vivono come Cristo visse’.
Partito dall’Inghilterra con la laurea in giurisprudenza, Gandhi tenta di esercitare l’avvocatura in Sudafrica. Lì si scontra fin dall’inizio col pregiudizio razziale. Nonostante il biglietto di prima classe, è allontanato dallo scompartimento del treno e gli è detto che deve viaggiare in un vagone riservato alla gente di colore. Le proteste di Gandhi cadono su orecchi sordi. È fatto scendere con la forza dal treno e lasciato a trascorrere la notte nella sala d’aspetto.
Una decisione importante
Quella notte prese la decisione di non cedere mai alla forza e di non ricorrere mai alla forza per vincere una causa. Riflettendo sull’episodio scrisse: “Le difficoltà che sopportai erano superficiali: solo un sintomo di quel male profondo che è il pregiudizio dovuto al colore della pelle. Dovevo cercare, se possibile, di sradicare il male, sopportando intanto le avversità”.
Torniamo indietro per un momento ed esaminiamo questi due episodi della vita di Gandhi che incisero sulla sua formazione. Nel primo caso, prima di partire per l’Inghilterra, Gandhi è respinto dalla sua stessa gente perché desidera frequentare i bianchi. Nel secondo caso, sono i bianchi a gettare Gandhi giù dal treno a causa del colore della sua pelle. Non fu solo il danno o l’umiliazione che subì a farlo infuriare; era il trattamento disumano riservato a certuni per il diverso colore della loro pelle, qualcosa che egli considerava un cancro dalle profonde radici.
In seguito scrisse: “Finché esisterà da parte delle razze bianche questo disprezzo per l’uomo di colore ci saranno difficoltà”. Fatto piuttosto interessante, il giudizio di Gandhi valeva anche per gli indiani che da migliaia d’anni perpetuavano un sistema castale basato sulle differenze del colore della pelle. In questo caso si trattava di indiano contro indiano, bramino contro intoccabile.
Restituire la dignità agli intoccabili
Al suo ritorno in India, Gandhi trovò le odiose divisioni e le cicatrici causate dalla segregazione delle caste. Come possiamo condannare gli inglesi, osservò, quando noi stessi siamo colpevoli nei riguardi dei nostri fratelli intoccabili? “Considero l’intoccabilità la più grande vergogna dell’induismo”, disse. Approvando l’intoccabilità, l’induismo aveva peccato, secondo Gandhi.
Gandhi sposò la causa degli intoccabili. Visse con loro. Mangiò con loro. Pulì i loro gabinetti. Cercò di restituire loro la dignità. Diede loro un nome dignitoso: non erano più intoccabili, ma harijan, o gente del dio Visnu. “Noi indù dobbiamo pentirci del male che abbiamo fatto, . . . dobbiamo restituire loro l’eredità di cui li abbiamo defraudati”, scrisse.
Qual era l’eredità dell’harijan, secondo Gandhi? La dignità umana, la fondamentale eredità di tutti. L’harijan vuole semplicemente essere trattato come una creatura umana, non come un animale, sosteneva. Chi lo aveva defraudato? Secondo Gandhi, erano stati i suoi compatrioti indù. “I più crudeli delitti che la storia ricordi sono stati commessi col pretesto della religione”, disse. Svergognò tutta l’India rifiutando di entrare nei grandi templi le cui porte erano state chiuse per secoli agli adoratori indù di casta inferiore. “Lì Dio non c’è”, disse alle folle radunate. “Se lì ci fosse Dio, tutti potrebbero entrare”. Una volta un missionario ovviamente benestante andò da Gandhi a chiedergli consiglio sul modo di aiutare i fuori casta dei villaggi indiani. La risposta di Gandhi fu una sfida al cristianesimo: “Dobbiamo scendere dal nostro piedistallo e vivere con loro: non come estranei, ma come uno di loro sotto ogni aspetto, dividendo i loro pesi e i loro dolori”.
“Nel vocabolario dell’azione non violenta non esiste il cosiddetto ‘nemico esterno’”, disse Gandhi. Quando il futuro stesso del mondo è in gioco — come ha osservato uno scrittore moderno — ogni divergenza sarebbe “interna”, e se ci prefiggiamo l’obiettivo di salvare l’umanità dobbiamo rispettare l’umanità di ogni persona. La segregazione basata sulla casta è la negazione del rispetto, perciò gli individui soffrono; ma la loro sofferenza non è più muta. Si riflette nelle statistiche della criminalità e della violenza. Perciò sorgono queste domande: Gli ideali di Gandhi hanno prodotto risultati? Che dire della non violenza in India? Le idee di Gandhi sono pratiche per il mondo in generale?
[Riquadro a pagina 5]
Casta e colore
Il Mahabharata, testo teologico indù, dice:
1. “Il bianco era il colore dei bramini [la casta più elevata, formata dai sacerdoti e dagli eruditi];
2. “il rosso quello degli ksatriya [la seconda casta, dei guerrieri e dei nobili];
3. “il giallo quello dei vais̀ya [la terza casta, dei contadini e dei commercianti],
4. “e il nero quello dei sūdra [la quarta casta, dei servi]”.
Sul gradino più basso e al di fuori della struttura della società c’erano gli impuri, gli intoccabili.
Riguardo a questo sistema di caste, un giornale (The Hindu) scriveva:
“La Commissione Mandal ha avvertito di non supporre che il sistema delle caste stesse scomparendo . . . se mai la religione è stata usata come oppio per le masse, questo è avvenuto in India. Mediante un sottile processo di condizionamento del pensiero della stragrande maggioranza delle persone, una piccola classe sacerdotale le ha come ipnotizzate per secoli inducendole ad accettare umilmente un ruolo servile. . . . Poiché la casta ha condizionato e controllato ogni aspetto della vita, dice la Commissione, si è venuta a creare una situazione in cui le caste inferiori sono rimaste arretrate, non solo sul piano sociale, ma anche su quello culturale, economico e politico. Le caste superiori invece hanno progredito in ogni direzione”. — 4 maggio 1982.
[Riquadro a pagina 6]
Gli intoccabili
● Spazzano le strade, puliscono i gabinetti pubblici o si occupano delle carogne
● Non possono entrare nella casa di una persona di una casta superiore. I bramini non permettono loro di entrare in un tempio indù
● I loro figli non possono sposare che un altro intoccabile
● Nelle città vivono in quartieri abusivi, privi dell’essenziale in quanto a cibo, alloggio e acqua
L’intoccabilità è stata dichiarata fuori legge in India nel 1950. Eppure una recente indagine condotta in un migliaio di villaggi dell’India ha rivelato che il 61 per cento delle persone di casta superiore, se dovesse avere a che fare con un intoccabile, non gli permetterebbe di usare il proprio pozzo; l’82 per cento non gli permetterebbe di entrare nel tempio; il 56 per cento gli rifiuterebbe una camera; il 52 per cento delle lavanderie gli rifiuterebbe i propri servizi; e il 45 per cento dei barbieri si rifiuterebbe di fargli la barba
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Non violenza in un mondo violentoSvegliatevi! 1984 | 22 ottobre
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Non violenza in un mondo violento
VIVERE a Bombay vuol dire vivere continuamente in mezzo alla folla. Di giorno le strade brulicano di gente. Di notte più di centomila persone dormono sui marciapiedi.
Quasi tutte le città e i paesi dell’India sono così: affollati e straordinariamente poveri. Alloggi e acqua pulita scarseggiano. Il cibo è prezioso.
Immaginate per un momento di abitare in una stanza di 3 metri per 4, insieme con altre 5-8 persone! Gli angoli della stanza sono dati in affitto o forse la gente dorme a turno. La maggior parte della vostra vita si svolge per strada o sui marciapiedi. Ogni mattina vi recate a piedi alla locale riserva d’acqua e ne prendete un secchio. L’acqua è inquinata. Lavorate per lunghe ore e faticosamente, ma quello che guadagnate basterà appena a sfamare la vostra famiglia per quel giorno. Non potete cambiare le cose, per quanto vi sforziate. Ogni giorno intorno a voi vedete qualcuno soccombere alla fame e alle malattie. Vi sentite frustrati e stretti in una morsa di impotenza.
Voi almeno siete sistemati. Avete dove abitare. Ma come sempre, c’è un’altra India, quella dei senzatetto che occupano ogni angolino vicino ai canali di scolo e ai margini delle strade, l’India dei diseredati. Ci sono giovani e vecchi, donne e bambini, seminudi e moribondi. Sono persone che non hanno mai avuto abbastanza da mangiare. Non desiderano altro che sopravvivere fino al giorno dopo.
Non è un quadro piacevole. Naturalmente in India, come altrove, ci sono i ricchi e gli istruiti, ma sono una minoranza. Il numero dei poveri ha di gran lunga superato quello dei ricchi nel costante aumento della popolazione. In questo contrasto fra evidente spreco e semplice sopravvivenza si prepara il terreno per la violenza.
Inclinazione alla violenza
“Rannicchiata tra i fili aggrovigliati del ristagno e del cambiamento, l’India è ora una società violenta, crudele, ripugnante”, dice Bhabani Sen Gupta nel suo articolo “L’India è civilizzata?” Ogni anno in India migliaia di giovani spose vengono ancora bruciate vive dai parenti acquisiti e dai rispettivi mariti per non aver portato una dote abbastanza cospicua. Circa due milioni di donne sono violentate. Vengono commessi centinaia di migliaia di altri reati. Cinquantamila persone, soprattutto giovani, si suicidano per la delusione e la disperazione. Nel 1978 ci furono 96.488 tumulti. Dopo il 1978 sono disponibili poche statistiche complete sulla criminalità nell’intero paese. Ma da questi rapporti frammentari si vede che il crimine non è diminuito.
Il sociologo indiano S. C. Dube crede che l’inclinazione al crimine e alla violenza sia generata dall’ampio divario esistente fra ciò che la gente vuole e ciò che effettivamente ottiene, e dalla determinazione delle classi privilegiate di conservare le loro ricchezze a dispetto della crescente richiesta dei diseredati di avere di più.
Violenza e brutalità non si limitano alle città dell’India, ma si notano anche nelle zone rurali. L’alta incidenza di violenza nelle campagne è il risultato del “baratro sempre più largo fra proprietari terrieri e lavoratori senza terra”, secondo l’economista indiano B. M. Bhatia. Ne risultano gravi perdite in termini di vite, beni e valori morali. “I deboli e i poveri non sono più disposti a sottomettersi alla cupidigia e alla forza dei potenti e dei ricchi. Hanno cominciato a rispondere ai colpi e a far valere i loro diritti. All’antica tradizionale violenza dei ricchi si unisce la violenza che si scatena ora fra i poveri”, scrive Gupta.
Un sogno non realizzato
“Devo . . . sperare fino all’ultimo che l’India adotti il credo della non violenza, che salvi la dignità dell’uomo”, scriveva Gandhi nel 1938. Quarantasei anni dopo l’India vacilla sotto il peso di molte forme di violenza sociale. E secondo Gupta, “non è stata neppure in grado di salvare la dignità dell’uomo”.
Secondo il Times of India, nonostante la popolarità del messaggio di Gandhi, “nel paese si sta scatenando una violenza senza precedenti e banditismo, stupri e rapine sono all’ordine del giorno”.
Questa descrizione dell’India vale anche per altre parti del mondo. L’istruzione, negata a molti indiani, in molti altri paesi è alla portata di tutti. Eppure anche il resto del mondo è colpevole dei sette peccati sociali definiti da Gandhi: ‘Politica senza scrupoli, ricchezza senza lavoro, piacere senza coscienza, istruzione senza carattere, commercio senza morale, culto senza sacrificio e scienza priva di umanità’. Sì, l’ideale di Gandhi di un mondo basato sulla non violenza è un sogno che non si è realizzato.
Si calcola che fra 15 anni l’India avrà una popolazione di un miliardo di abitanti. Di questo miliardo 600 milioni saranno poveri. Potrebbero esserci da 30 a 50 milioni di giovani disoccupati. Statistiche di questo genere fanno presagire un triste futuro.
Il nobile messaggio di Gandhi, quello della non violenza, non ha messo vere radici in India dov’era germogliato. Perché? La colpa non è del messaggio. Né è di Gandhi. I suoi obiettivi erano senz’altro buoni. Gandhi tuttavia era soltanto un uomo. Il suo insegnamento aveva dei limiti. Inoltre, la gente impara e poi dimentica facilmente. La storia lo testimonia.
Significa questo che gli uomini non siano affatto capaci di essere non violenti? Chi è in grado di insegnare non solo agli indiani ma a tutte le razze dell’umanità a vivere in pace? Di che tipo di istruzione si tratterebbe? Il mondo sarà mai non violento?
[Immagine a pagina 8]
Scena tipica in una strada di una città indiana
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La non violenza diverrà mai una realtà mondiale?Svegliatevi! 1984 | 22 ottobre
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La non violenza diverrà mai una realtà mondiale?
“LA VITA è solo una questione di sopravvivenza”, disse la donna mentre il treno affollato correva verso Bombay. Osservava il paesaggio deturpato da chilometri e chilometri di bidonville inzuppate dalle inesorabili piogge portate dal monsone. “I valori morali sono scomparsi”, continuò. “Ognuno si preoccupa solo di se stesso. Anche i valori tradizionali hanno perso la loro importanza”.
La sua osservazione ben descriveva quella che è l’esistenza di milioni di persone che sono prive di una qualsiasi scala di valori etici. Ricchi o poveri, hanno respinto o messo da parte perfino i codici morali ereditati, trovandoli inefficaci o troppo impegnativi per la vita moderna. Li hanno sostituiti con la legge dell’io: sopravvivere e appagare se stessi.
Senza quei valori che danno stabilità alla vita molti si sono lasciati prendere dall’angoscia o dall’ira. In un mondo violento la difesa personale è divenuta una comune strategia. E dato che molti credono che ‘l’attacco sia la migliore difesa’, la violenza genera violenza, sia verbale che fisica.
“Tempi difficili”
Il Creatore di tutta l’umanità previde un tempo come questo, un tempo in cui le persone avrebbero rifiutato i valori stabiliti da Dio, dibattendosi così nella confusione. Il risultato ci è indicato dalle sagge parole pronunciate quasi duemila anni fa: “Sappi poi questo, che negli ultimi giorni sopravverranno tempi difficili. Infatti gli uomini saranno pieni d’amor proprio, amanti del denaro, millantatori, orgogliosi, diffamatori, ribelli ai genitori, ingrati, empi, senza cuore . . . simulanti una pietà la cui vera forza disprezzano”. — II Timoteo 3:1-5, Garofalo.
Non vediamo l’accuratezza di questa dichiarazione nella nostra vita di ogni giorno? Il mondo non è forse per molti un luogo inospitale in cui la gente è “senza cuore”? Vengono commessi abusi, sul piano fisico e psicologico. La dignità umana è calpestata su vasta scala. In questi tempi di egocentrismo perfino gesti di normale cortesia sono così rari che spesso chi fa una semplice gentilezza viene considerato un esemplare unico!
È possibile cambiare tutto questo? Esiste una forza che potrebbe sradicare la violenza dal cuore degli uomini? C’è qualche potente motivazione per cambiare?
Rieducare il cuore
Si dice che l’istruzione dovrebbe avere come obiettivo la formazione del carattere, e, potremmo aggiungere, l’acquisizione di valori morali. Affinché la non violenza sia più che un semplice cliché o luogo comune, si devono rieducare le persone di tutto il mondo, insegnando loro ad amare Dio e il prossimo nel vero senso della parola. Questa istruzione deve raggiungere non solo la mente, che è in grado di analizzare, ma, soprattutto, il cuore, che è in grado di motivare.
Ma accettereste una scala di valori da uno qualsiasi? Ovviamente no. Vorreste che si trattasse di una persona i cui giudizi fossero equilibrati e la cui condotta fosse irreprensibile. I suoi valori dovrebbero sopravvivere alla prova del tempo e potersi applicare a tutta la vasta gamma dell’umanità. Dovrebbero valere per persone di qualsiasi nazionalità e origine. Soprattutto, si dovrebbe raggiungere il loro cuore.
Chi può impartirci tale guida in questi tempi pericolosi e difficili? Chi può darci una scala di valori che ci aiuti a sopportare, che possa farci vivere con una speranza invece che nella disperazione? Chi può raggiungere il nostro cuore per inculcarvi uno spirito pacifico e benigno invece della violenza e dell’odio?
La storia mostra che questo va al di là delle capacità umane. Allora consideriamo in breve ciò che l’attempato e rispettato Mosè scrisse riguardo al Creatore, Geova Dio: “Dichiarerò il nome di Geova. Attribuite grandezza al nostro Dio! La Roccia, la sua attività è perfetta, poiché tutte le sue vie sono dirittura. Un Dio di fedeltà, presso cui non è ingiustizia; egli è giusto e retto”. Pensate, un Dio giusto e perfetto e per di più fedele. — Deuteronomio 32:3, 4.
Davide, un re dell’antichità, scrisse: “La legge di Geova è perfetta, ridona l’anima. Il rammemoratore di Geova è degno di fede, rende saggio l’inesperto. Gli ordini da Geova son retti, fanno rallegrare il cuore; il comandamento di Geova è mondo, fa brillare gli occhi”. (Salmo 19:7, 8) Le leggi e i consigli di Geova possono penetrare nel cuore e cambiare la nostra mentalità e quindi farci agire diversamente. Persone violente possono diventare pacifiche e gentili.
Chi sono i pacifici?
Quasi duemila anni fa Gesù Cristo, il più amorevole insegnante che l’umanità abbia mai avuto, disse a una folla radunata sul pendio di un monte: “Felici quelli che sono d’indole mite, poiché erediteranno la terra. . . . Felici i pacifici, poiché saranno chiamati ‘figli di Dio’”. (Matteo 5:5-9) Esistono oggi sulla terra persone di indole mite e pacifiche? Non si possono certo trovare nella guerrafondaia cristianità.
Tuttavia oggi in ogni parte del mondo ci sono persone di tutte le nazionalità che hanno cambiato la loro precedente disposizione violenta e adottato una nuova scala di valori stabilita da Dio. Sono state rieducate. Il loro cuore è stato toccato e hanno accettato volenterosamente l’invito: “‘Venite, e saliamo al monte di Geova . . . ed egli ci istruirà intorno alle sue vie, e noi cammineremo nei suoi sentieri’. . . . Ed egli per certo renderà giudizio fra le nazioni e metterà le cose a posto rispetto a molti popoli. Ed essi dovranno fare delle loro spade vomeri e delle loro lance cesoie per potare. Nazione non alzerà la spada contro nazione, né impareranno più la guerra”. Secondo questa profezia un popolo non violento si sarebbe formato “nella parte finale dei giorni”. Da chi è composto? — Isaia 2:2-4.
Dai testimoni di Geova. Sono milioni e si trovano in ogni parte del mondo. Probabilmente sono anche dove abitate voi. Sono persone pacifiche che vanno di casa in casa a parlare ad altri delle giuste vie di Geova. Non impugnano le armi in nessuna nazione. Non partecipano alla politica né alla sua violenza. Sono veramente un popolo non violento, che ama la pace e teme Dio. Come soluzione per i mali dell’umanità essi additano il governo del Regno di Dio retto da Cristo. Sanno che il Regno di Dio eliminerà presto tutta la violenza e tutti i violenti. Sono una testimonianza vivente del fatto che la non violenza non è solo un ideale ma una realtà. — Daniele 2:44; Rivelazione 21:3, 4.
I testimoni di Geova conoscono la dichiarazione della Bibbia secondo cui “Dio non è parziale, ma in ogni nazione l’uomo che lo teme e opera giustizia gli è accettevole”. (Atti 10:34, 35) Perciò rispettano la dignità di ogni uomo, donna e bambino, indipendentemente dall’estrazione sociale o dal colore della pelle. La loro fratellanza non è divisa da nessun sistema di classi o di caste.
Anelate alla giustizia?
Che dire di voi? Sopportate in silenzio la discriminazione? Siete profondamente indignati per le ingiustizie che vedete e di cui siete oggetto? Anelate alla giustizia e all’imparzialità? ‘Sospirate e gemete per le cose detestabili’ che si commettono in nome della religione? Allora state certi che Dio sa di cosa avete bisogno. — Ezechiele 9:4.
Sotto ispirazione divina il poeta scrisse nella Bibbia: “Per certo ascolterai il desiderio dei mansueti, o Geova. Preparerai il loro cuore. Presterai attenzione col tuo orecchio”. Siete disposti a permettere che Geova prepari fin d’ora il vostro cuore per un nuovo sistema di cose non violento che sarà stabilito presto? In tal caso vi esortiamo a mettervi in contatto con gli editori di questa rivista o con qualsiasi testimone di Geova. Essi saranno lieti di aiutarvi a capire come il Regno di Dio farà presto della non violenza una realtà su tutta la terra. — Salmo 10:17.
[Riquadro/Immagine a pagina 12]
La vita vista da un’intoccabile
Rukhmani ha 40 anni. La sua lingua è il marathi. La troverete seduta a vendere verdure all’angolo di un bazar su una strada affollata di Bombay.
“Sono indù per nascita”, spiega. “Eravamo harijan [gente del dio Visnu], che fra gli indù sono considerati di classe inferiore. Da ragazzina mi chiedevo perché non mi era permesso giocare con le altre bambine della mia età. Mio padre mi disse che era perché la nostra casta era inferiore alla loro. La cosa mi ferì molto, poiché anche a scuola noi bambini harijan dovevamo sedere in un banco separato. Gli altri alunni non ci guardavano né ci parlavano. Non ci era permesso neppure entrare nei templi indù o attingere acqua ai pozzi appartenenti a indù di casta superiore. Eravamo gli intoccabili, e questo fatto causò sofferenze a me e alla mia famiglia”.
Per migliorare la loro vita Rukhmani e la sua famiglia cominciarono a seguire un riformatore indù di nome Ambedkar. Nel 1956 egli esortò l’intera comunità degli harijan a convertirsi al buddismo. Ma Rukhmani non fu felice neppure dopo la sua conversione. Perché? La donna dice: “Anche se indù e buddisti si considerano uguali, in effetti non era così. Non potevamo sposare un indù, perché eravamo ancora considerati inferiori”.
Col passar del tempo Rukhmani smise di adorare Budda e cominciò ad adorare il defunto Ambedkar. Era confusa e triste. “Mi ero messa ad adorare un uomo. Ogni giorno compravo una corona di fiori da mettere davanti alla sua fotografia e pregavo dinanzi ad essa”. Ma questo rese felice Rukhmani? “No. Nel mio cuore non ero felice. Non avevo nessun futuro. Cercavo un giusto indirizzo da dare alla mia vita. Ma non riuscivo a trovare alcun aiuto.
“Poi un giorno venne una vicina che ci offrì un opuscolo intitolato C’è un Dio che ha cura di voi? Spiegò che apparteneva a un’organizzazione pura di persone che adorano il vero Dio, Geova. Questo messaggio mi incuriosì e cominciai a studiare l’opuscolo insieme alla Bibbia. Tutto il mio modo di vedere la vita cambiò. Mi sbarazzai subito delle immagini di Budda e della fotografia di Ambedkar. Cominciai ad assistere alle adunanze dei testimoni di Geova nella locale Sala del Regno. Immaginate come mi sentii quando per la prima volta parlai per cinque minuti su un argomento biblico davanti a un uditorio! Pensate: io, un’intoccabile, che esponevo un argomento nella congregazione dei testimoni di Geova!”
Cosa c’era nei Testimoni che attirò Rukhmani? “L’amore e l’unità che regnavano fra loro”, risponde. “In questa religione non ci sono distinzioni di casta. Questo fatto era molto importante per me, che per anni avevo sofferto in silenzio a causa di questa discriminazione. Fra i Testimoni non sono più un’intoccabile, sono una sorella. Ogni giorno mi rallegro di conoscere questo benevolo Dio, Geova”.
[Immagine a pagina 11]
Violenza, ingiustizia e povertà saranno presto eliminate per sempre
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