-
Come è nata la vita?Esiste un Creatore che si interessa di noi?
-
-
Capitolo tre
Come è nata la vita?
LA TERRA pullula di vita. Dai ghiacci dell’Artide alla foresta pluviale amazzonica, dal deserto del Sahara alle paludi delle Everglades, dal buio degli abissi oceanici alle assolate cime dei monti, la vita abbonda. E non finisce mai di stupirci.
La sua varietà di forme e dimensioni e la sua abbondanza sfidano l’immaginazione. Sul nostro pianeta brulicano e ronzano un milione di specie di insetti. Nelle acque intorno a noi nuotano più di 20.000 specie di pesci: alcuni non più grandi di un chicco di riso, altri lunghi come camion. Ad abbellire la terraferma ci sono almeno 350.000 specie di piante: alcune dall’aspetto bizzarro, quasi tutte bellissime. E sopra di noi volano oltre 9.000 specie di uccelli. Queste creature, compreso l’uomo, formano quell’intricato mosaico, quella sinfonia che chiamiamo vita.
Ma ancor più stupefacente della piacevole varietà che ci circonda è la profonda unità che lega tutte le forme di vita. I biochimici, che studiano le creature viventi sotto il profilo chimico, spiegano che tutti gli esseri viventi — che si tratti di amebe o di esseri umani — dipendono da uno straordinario “lavoro di squadra”: l’interazione tra acidi nucleici (DNA e RNA) e molecole proteiche. Le complesse reazioni che coinvolgono questi componenti si verificano praticamente in tutte le cellule del nostro organismo, come pure nelle cellule dei colibrì, dei leoni e delle balene. Quest’unica interazione dà luogo a un fantastico caleidoscopio di forme viventi. Da dove proviene questa armoniosa organizzazione della vita? Anzi, come è nata la vita?
Probabilmente accettate l’idea che un tempo non c’era vita sulla terra. Questo è quanto sostengono anche gli scienziati, come pure molti testi religiosi. D’altra parte, vi renderete conto che queste due fonti — la scienza e la religione — spiegano in modo diverso come ha avuto origine la vita sulla terra.
Milioni di persone di ogni grado di istruzione credono che sia stato un Creatore intelligente, l’originale Progettista, a creare la vita sulla terra. Molti scienziati, invece, affermano che la vita sia sorta gradualmente dalla materia inanimata grazie a una serie di reazioni chimiche, in maniera del tutto casuale. Chi ha ragione?
Non dovremmo pensare che la questione non ci riguardi e che non abbia nulla a che vedere con la nostra ricerca di una vita più significativa. Abbiamo già visto che una delle domande fondamentali a cui gli uomini hanno cercato di dare una risposta è: Da dove veniamo noi esseri umani?
In genere nei corsi di scienze si dà molto risalto all’adattamento e alla sopravvivenza degli esseri viventi anziché alla questione più fondamentale dell’origine stessa della vita. Avrete notato che nel tentativo di spiegare da dove è venuta la vita di solito vengono usati termini molto vaghi, del tipo: ‘Nel corso di milioni di anni, le collisioni tra molecole hanno dato luogo in qualche modo alla vita’. Ma è una spiegazione soddisfacente? In altre parole, grazie all’energia proveniente dal sole, da fulmini o da vulcani, della materia inanimata si sarebbe mossa, si sarebbe organizzata e alla fine avrebbe cominciato a vivere: e tutto questo senza nessun aiuto esterno. Che salto enorme sarebbe stato! Dalla materia inanimata a un essere vivente! È possibile che le cose siano andate così?
Nel Medioevo una spiegazione del genere non avrebbe destato perplessità perché la gente credeva nella generazione spontanea, ovvero che la vita potesse sorgere spontaneamente dalla materia inanimata. Poi, nel XVII secolo, il medico italiano Francesco Redi dimostrò che nella carne in putrefazione comparivano i vermi solo dopo che le mosche vi avevano deposto le uova. Se la carne era fuori della portata delle mosche, i vermi non si sviluppavano. Se animali delle dimensioni delle mosche non comparivano dal nulla, che dire dei microbi che si sviluppavano in continuazione nel cibo, che questo fosse coperto o no? Anche se esperimenti successivi indicarono che i microbi non apparivano per generazione spontanea, la questione rimaneva aperta. Poi ci fu l’opera di Louis Pasteur.
Molti ricordano il contributo dato da Pasteur alla soluzione di problemi legati alla fermentazione e alle malattie infettive. Egli condusse anche esperimenti per determinare se era possibile che forme di vita microscopiche comparissero spontaneamente. Come forse avrete letto, Pasteur dimostrò che se l’acqua era sterilizzata e protetta da contaminazioni non vi si formavano nemmeno minuscoli batteri. Nel 1864 annunciò: “La dottrina della generazione spontanea non si riprenderà mai dal colpo mortale infertole da questo semplice esperimento”. Questa affermazione continua ad essere valida. Nessun esperimento ha mai prodotto la vita dalla materia inanimata.
Come poté quindi nascere la vita sulla terra? I tentativi moderni di dare una risposta a questa domanda si possono far risalire agli anni ’20, all’opera del biochimico russo Aleksandr I. Oparin. Da allora lui e altri scienziati hanno proposto quello che assomiglia al copione di un dramma in tre atti che descrive ciò che sarebbe avvenuto sulla scena del pianeta Terra. Nel primo atto si assiste alla trasformazione degli elementi chimici presenti sulla terra — le materie prime — in gruppi di molecole. Poi si salta alle molecole più grandi. E nell’ultimo atto avviene il salto che porta alla prima cellula vivente. Ma le cose sono andate davvero così?
Una premessa essenziale in questo dramma è che anticamente l’atmosfera terrestre fosse molto diversa da com’è oggi. Secondo una teoria l’ossigeno libero era praticamente assente, mentre azoto, idrogeno e carbonio formavano ammoniaca e metano. In un’atmosfera fatta di questi gas e di vapore acqueo, sotto l’effetto di fulmini e della luce ultravioletta si sarebbero formati zuccheri e amminoacidi. Non dimenticate, però, che questa è solo una teoria.
Secondo questo dramma ipotetico, queste molecole più complesse furono trasportate dalla pioggia negli oceani o in altri specchi d’acqua. Col tempo zuccheri, acidi e altri composti si concentrarono dando luogo a un “brodo prebiotico” in cui gli amminoacidi, per esempio, si unirono a formare proteine. Proseguendo in questa ipotetica sequenza di avvenimenti, altri composti chiamati nucleotidi formarono delle catene e diventarono acidi nucleici, come il DNA. Tutto questo avrebbe preparato la scena per l’ultimo atto del dramma molecolare.
Quest’ultimo atto, che non è documentato, è un po’ come una storia d’amore. Le molecole proteiche e quelle di DNA si incontrano per caso, si riconoscono e si abbracciano. Infine, quando sta già per calare il sipario, nasce la prima cellula vivente. Se foste tra il pubblico che assiste a questo dramma, potreste chiedervi: ‘È una storia vera o inventata? È davvero possibile che la vita sulla terra sia nata in questo modo?’
Creata la vita in laboratorio?
Nei primi anni ’50 gli scienziati si diedero da fare per verificare sperimentalmente la teoria di Aleksandr Oparin. Era un fatto assodato che la vita proviene solo dalla vita, tuttavia gli scienziati ipotizzavano che se in passato le condizioni fossero state diverse, la vita sarebbe potuta sorgere lentamente dalla materia inanimata. Si poteva dimostrare una cosa del genere? Lo scienziato Stanley L. Miller, lavorando nel laboratorio di Harold Urey, prese idrogeno, ammoniaca, metano e vapore acqueo (partendo dal presupposto che fossero stati questi i componenti dell’atmosfera primitiva), li chiuse ermeticamente in un’ampolla sul cui fondo ribolliva dell’acqua (a rappresentare il mare), e fece passare attraverso quei vapori delle scariche elettriche (che simulavano i fulmini). Nel giro di una settimana c’erano tracce di una sostanza appiccicosa e rossastra: Miller l’analizzò e scoprì che era ricca di amminoacidi, i “mattoni” fondamentali delle proteine. È molto probabile che abbiate sentito parlare di questo esperimento, perché per anni è stato citato nei libri di testo e nelle lezioni di scienze come se spiegasse in che modo ebbe inizio la vita sulla terra. Ma lo spiega veramente?
In effetti, oggi il valore dell’esperimento di Miller viene messo seriamente in discussione. (Vedi “Classico ma discutibile”, alle pagine 36-7). Nondimeno, il suo apparente successo portò ad altri esperimenti in cui furono prodotti persino componenti degli acidi nucleici (DNA e RNA). Gli specialisti in questo campo erano ottimisti, poiché in apparenza avevano replicato il primo atto del dramma molecolare. E sembrava che sarebbero seguite le versioni in laboratorio degli altri due atti. Un professore di chimica affermò: “Siamo ormai vicini a spiegare l’origine di un organismo vivente primitivo in virtù di meccanismi evoluzionistici”. E un divulgatore scientifico ha scritto: “I luminari del momento ipotizzarono che entro breve tempo scienziati come il dottor Frankenstein di Mary Shelley avrebbero potuto ottenere nei loro laboratori organismi viventi e descrivere così nei particolari le tappe attraverso cui ha avuto origine la vita”.a Molti pensavano che il mistero dell’origine spontanea della vita fosse risolto. — Vedi “Molecole destrogire e levogire”, a pagina 38.
Le opinioni cambiano, gli interrogativi restano
Negli anni successivi, però, quell’ottimismo è svanito. Sono passati decenni, e i segreti della vita continuano a sfuggire ai ricercatori. Una quarantina d’anni dopo il suo esperimento, il prof. Miller ha detto a Scientific American: “Il problema dell’origine della vita . . . si è rivelato ben più complesso di quanto io e molti altri potessimo immaginare”.b Anche altri scienziati hanno cambiato opinione. Il biologo Dean H. Kenyon, ad esempio, nel 1969 fu coautore del libro Biochemical Predestination (Predestinazione biochimica). Più di recente, però, è giunto alla conclusione che è “fondamentalmente non plausibile che materia ed energia si siano organizzate spontaneamente in sistemi viventi”.
In effetti, le esperienze di laboratorio confermano l’osservazione di Kenyon secondo cui c’è “un difetto fondamentale in tutte le attuali teorie sull’origine chimica della vita”. Dopo che Miller e altri ebbero sintetizzato gli amminoacidi, gli scienziati si misero al lavoro per costruire proteine e DNA, che sono entrambi essenziali per la vita sulla terra. Dopo migliaia di esperimenti condotti in condizioni cosiddette prebiotiche, qual è stato il risultato? Un libro che fa il punto sulle conoscenze attuali in proposito dice: “Vi è un sorprendente contrasto fra il notevole successo nel sintetizzare amminoacidi e il costante fallimento dei tentativi di sintetizzare proteine e DNA”. Questi ultimi tentativi sono caratterizzati da “continui fallimenti”. — The Mystery of Life’s Origin: Reassessing Current Theories.
Se vogliamo essere realisti, il mistero non è solo come si siano formate le prime molecole proteiche e i primi acidi nucleici (DNA o RNA). È anche come le due cose collaborino. “È solo la collaborazione delle due molecole che rende possibile l’attuale vita sulla Terra”, afferma la New Encyclopædia Britannica. Tuttavia questa stessa enciclopedia osserva che il modo in cui possa essere nata questa collaborazione continua ad essere “un problema cruciale e irrisolto per quanto riguarda l’origine della vita”. Proprio così.
L’Appendice A, “La vita: Un lavoro di squadra” (pagine 45-7), passa in rassegna alcuni aspetti fondamentali dell’affascinante collaborazione che esiste tra proteine e acidi nucleici nelle nostre cellule. Anche uno sguardo così rapido a ciò che accade all’interno delle cellule suscita ammirazione per il lavoro compiuto dagli scienziati in questo campo. Essi hanno fatto luce su processi straordinariamente complessi a cui ben pochi di noi pensano, ma che sono all’opera in ogni momento della nostra vita. D’altra parte, questo alto grado di complessità e di precisione ci porta nuovamente a chiederci: Come ha avuto origine tutto questo?
Probabilmente sapete che gli scienziati che studiano l’origine della vita non hanno smesso di cercare di formulare una sceneggiatura plausibile per il dramma relativo alla prima comparsa della vita. I loro nuovi copioni, però, non sembrano convincenti. (Vedi l’Appendice B, “Dal ‘mondo a RNA’? O forse da un altro mondo?”, a pagina 48). Ad esempio, Klaus Dose, dell’Istituto di Biochimica di Magonza, in Germania, ha detto: “Attualmente tutti i dibattiti sulle principali teorie e sui più importanti esperimenti in questo campo conducono a un punto morto o a un’ammissione di ignoranza”.
Nemmeno alla Conferenza Internazionale sull’Origine della Vita tenuta nel 1996 furono presentate soluzioni. Al contrario, la rivista Science riferì che i quasi 300 scienziati convenuti si erano “arrabattati con l’interrogativo di come comparvero le prime molecole [di DNA e RNA] e come si evolsero in cellule capaci di autoriprodursi”.
Per studiare ciò che accade a livello molecolare nelle nostre cellule, e anche solo per cominciare a spiegarlo, ci sono volute intelligenza e grande istruzione. È ragionevole credere che dei processi complicati si siano verificati per la prima volta in un “brodo prebiotico” senza nessuna guida, in maniera del tutto spontanea e casuale? O ci volle dell’altro?
Perché tanti interrogativi?
Oggi si può riflettere su quasi mezzo secolo di ipotesi e su migliaia di tentativi fatti per dimostrare che la vita iniziò spontaneamente. Chi lo fa sarà senz’altro d’accordo con ciò che ha detto il premio Nobel Francis Crick a proposito delle teorie sull’origine della vita, ovvero che “ci sono tante speculazioni che corrono dietro a pochi fatti”.c È comprensibile, quindi, che alcuni scienziati che esaminano i fatti arrivino alla conclusione che la vita è di gran lunga troppo complessa per saltar fuori anche in un laboratorio attrezzato: tanto meno in un ambiente non controllato.
Se la ricerca scientifica più avanzata non è in grado di dimostrare che la vita può essere nata spontaneamente, perché alcuni scienziati continuano a difendere queste teorie? Qualche decennio fa il prof. John D. Bernal fece un’osservazione molto significativa nel suo libro L’origine della vita: “Applicando in questo caso [alla generazione spontanea della vita] i rigidi canoni del metodo scientifico, è possibile dimostrare in certi punti della trattazione come la vita non si sia potuta originare. Le improbabilità perché nascesse sono troppe, le possibilità troppo piccole”. E aggiunse: “Purtroppo per questo punto di vista si deve constatare che la vita invece esiste qui sulla Terra in tutta la sua molteplicità di forme e di attività, e che le discussioni devono essere condotte sul come spiegarne l’esistenza”.d Da allora la situazione non è migliorata.
Riflettete su cosa significa in realtà un ragionamento del genere. È come dire: ‘Da un punto di vista scientifico è corretto affermare che la vita non può essere nata spontaneamente. Tuttavia la generazione spontanea è l’unica possibilità che prenderemo in considerazione. Pertanto è necessario che le discussioni siano condotte in modo da sostenere l’ipotesi dell’origine spontanea della vita’. È un modo di ragionare che vi convince? Non vi sembra che richieda notevoli forzature?
Ad ogni modo, ci sono scienziati competenti e rispettati che non vedono la necessità di forzare i fatti per adattarli a una filosofia in voga circa l’origine della vita. Al contrario, lasciano che siano i fatti a indicare una conclusione ragionevole. Quali fatti, e quale conclusione?
Informazione e intelligenza
Intervistato nel corso di un documentario, il prof. Maciej Giertych, famoso genetista dell’istituto di dendrologia dell’Accademia Polacca delle Scienze, ha dichiarato:
“Ci siamo resi conto dell’enorme quantità di informazione contenuta nei geni. La scienza non sa spiegare in nessun modo come tale informazione possa svilupparsi spontaneamente. Ci vuole un’intelligenza; non può nascere da eventi casuali. Non basta mischiare lettere per produrre parole”. E ha aggiunto: “Ad esempio, il complicatissimo sistema di replicazione di DNA, RNA e proteine all’interno della cellula dev’essere stato perfetto sin dall’inizio. Altrimenti non sarebbero potuti esistere esseri viventi. L’unica spiegazione logica è attribuire questa enorme mole di informazioni a un’intelligenza”.
Più cose si imparano sulle meraviglie della vita, più è logico accettare questa conclusione: la vita deve avere avuto origine da una fonte intelligente. Quale fonte?
Come abbiamo visto, milioni di persone istruite sono giunte alla conclusione che la vita sulla terra dev’essere il prodotto di un’intelligenza superiore, di un progettista. Sì, dopo aver esaminato l’argomento in maniera imparziale hanno riconosciuto che anche in quest’era scientifica è ragionevole essere d’accordo con il poeta biblico che tanto tempo fa disse a proposito di Dio: “Presso di te è la fonte della vita”. — Salmo 36:9.
Che siate già giunti a una chiara conclusione al riguardo o no, consideriamo alcune meraviglie che vi chiamano in causa personalmente. Sarà molto utile, e potrà fare molta luce su questo argomento che ci riguarda da vicino.
[Note in calce]
a Le Scienze, aprile 1991, p. 79.
b Trad. in Le Scienze, cit., p. 79.
c L’origine della vita, trad. di B. Vitale, Garzanti, Milano, 1983, p. 140.
d Trad. di G. Bosisio e R. Valvassori, Garzanti, Milano, 1982, p. 198.
[Riquadro a pagina 30]
È tutto frutto del caso?
“Il caso, e il caso soltanto, ha fatto tutto, dal brodo primordiale all’uomo”, ha detto il premio Nobel Christian de Duve parlando dell’origine della vita. Ma invocare il caso è un modo razionale per spiegare la causa della vita?
Cos’è il caso? Alcuni lo concepiscono in termini di probabilità matematica, pensando a eventi quali il lancio di una moneta. Ma non è così che molti scienziati usano il termine “caso” quando parlano dell’origine della vita. Dicono “caso” per non usare un termine più preciso come “causa”, specie quando quest’ultima è sconosciuta.
“Personificare il ‘caso’ come se si trattasse di un agente causale”, osserva il biofisico Donald M. MacKay, “significa compiere un passaggio illecito da un concetto scientifico a un concetto mitologico e quasi religioso”. In maniera analoga, Robert C. Sproul afferma: “Chiamando per tanto tempo ‘caso’ la causa sconosciuta, la gente comincia a dimenticare che è stata operata una sostituzione. . . . Per molti, l’assunto secondo cui ‘il caso equivale a una causa sconosciuta’ ha finito per significare che ‘il caso equivale a una causa’”.
Il premio Nobel Jacques L. Monod, ad esempio, ha usato questo modo di ragionare in cui “caso” equivale a “causa”. “Il caso puro, il solo caso, libertà assoluta ma cieca, [è] alla radice stessa del prodigioso edificio dell’evoluzione”, ha scritto. “L’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità indifferente dell’Universo da cui è emerso per caso”.e Notate: “Per caso”. Monod fa quello che fanno molti altri: eleva il caso a principio creativo. Il caso viene presentato come il mezzo mediante cui ha avuto origine la vita sulla terra.
In effetti, una definizione di “caso” è “l’agente causale di avvenimenti inspiegabili, pensato come impersonale e privo di finalità”. Pertanto, chi dice che la vita ha avuto origine per caso dice che ha avuto origine grazie ad un agente causale sconosciuto. Potrebbe darsi che alcuni in effetti parlino di “Caso” con la “C” maiuscola, intendendo in effetti un Creatore?
[Nota in calce]
e Il caso e la necessità, trad. di A. Busi, Mondadori, Milano, 1974, pp. 113, 172.
[Riquadro a pagina 35]
“[Il più piccolo batterio] è molto più simile agli esseri umani che ai miscugli di sostanze chimiche di Stanley Miller, in quanto possiede già queste proprietà [biochimiche]. Perciò è più facile passare da un batterio a un essere umano che passare da un miscuglio di amminoacidi a quel batterio”. — Lynn Margulis, docente di biologia.
[Riquadro/Immagine alle pagine 36 e 37]
Classico ma discutibile
L’esperimento compiuto da Stanley Miller nel 1953 viene spesso citato per dimostrare che in passato potrebbe essersi verificata la generazione spontanea. Questa spiegazione, tuttavia, presuppone che l’atmosfera primordiale della terra fosse “riducente”, ovvero che contenesse solo una minima quantità di ossigeno libero (cioè non legato chimicamente). Perché?
Un libro che prende in esame le teorie sull’origine della vita fa notare che se ci fosse stato molto ossigeno libero ‘gli amminoacidi non si sarebbero potuti nemmeno formare, e se per caso si fossero formati, si sarebbero decomposti rapidamente’.f (The Mystery of Life’s Origin: Reassessing Current Theories) Quanto era fondata l’ipotesi di Miller sulla cosiddetta atmosfera primitiva?
In uno storico articolo pubblicato due anni dopo il suo esperimento Miller scrisse: “Queste, naturalmente, sono congetture, in quanto non sappiamo se la Terra aveva un’atmosfera riducente al tempo della sua formazione. . . . Non è stata ancora scoperta nessuna prova diretta”. — Journal of the American Chemical Society, 12 maggio 1955.
Si è mai scoperta questa prova? Circa 25 anni dopo, il divulgatore scientifico Robert C. Cowen riferiva: “Gli scienziati si trovano a dover rivedere alcune delle loro ipotesi. . . . Sono emerse ben poche prove a sostegno dell’idea di un’atmosfera ricca di idrogeno e altamente riducente, mentre ci sono prove che indicano il contrario”. — Technology Review, aprile 1981.
E da allora? Nel 1991 John Horgan scrisse su Scientific American: “Durante gli ultimi 10 anni sono però sorti alcuni dubbi circa le ipotesi sull’atmosfera di Urey e Miller. In base agli esperimenti di laboratorio e alle ricostruzioni al calcolatore dell’atmosfera . . . le radiazioni solari ultraviolette, che oggi sono bloccate dallo strato di ozono, avrebbero distrutto le molecole contenenti idrogeno presenti nell’atmosfera. . . . Questo tipo di atmosfera [ricca soprattutto di anidride carbonica e azoto] non sarebbe stato favorevole alla sintesi di amminoacidi e di altri precursori delle molecole caratteristiche della materia vivente”. — Trad. in Le Scienze, cit., p. 83.
E allora perché molti continuano a sostenere che l’atmosfera terrestre primitiva fosse riducente, molto povera di ossigeno? In un loro libro sull’evoluzione molecolare, Sidney W. Fox e Klaus Dose rispondono: L’atmosfera doveva essere povera di ossigeno perché, fra l’altro, “gli esperimenti di laboratorio indicano che l’evoluzione chimica . . . verrebbe fortemente inibita dall’ossigeno” e perché i composti come gli amminoacidi “non sono stabili su tempi geologici in presenza di ossigeno”. — Molecular Evolution and the Origin of Life.
Non è forse un circolo vizioso? L’atmosfera primitiva era riducente, ci viene detto, perché altrimenti la generazione spontanea della vita non avrebbe potuto aver luogo. Ma in effetti non c’è nulla che garantisca che fosse riducente.
Vi è un altro dettaglio significativo: Se la miscela di gas rappresenta l’atmosfera, la scarica elettrica simula i fulmini e l’acqua bollente sta per il mare, che cosa o chi rappresenta lo scienziato che prepara e conduce l’esperimento?
[Nota in calce]
f L’ossigeno è molto reattivo. Ad esempio, si combina con il ferro formando la ruggine e con l’idrogeno formando l’acqua. Se ci fosse stato molto ossigeno libero in un’atmosfera in cui si stavano formando amminoacidi, si sarebbe combinato rapidamente con le molecole organiche, demolendole man mano che si formavano.
[Riquadro a pagina 38]
Molecole destrogire e levogire
Come esistono guanti destri e guanti sinistri, così le molecole degli amminoacidi possono essere destrogire o levogire. Su un centinaio circa di amminoacidi noti, solo 20 entrano nella costituzione delle proteine, e sono tutti levogiri. Quando gli scienziati sintetizzano amminoacidi in laboratorio, imitando quello che ritengono potrebbe essere successo in un brodo prebiotico, trovano un uguale numero di molecole destrogire e levogire. “Questo tipo di distribuzione in parti uguali”, riferisce il New York Times, “non [è] caratteristico della vita, la quale dipende solamente da amminoacidi levogiri”. Perché gli organismi viventi siano formati solo da amminoacidi levogiri è “un grande mistero”. Persino gli amminoacidi trovati nelle meteoriti “presentavano un eccesso di forme levogire”. Il dott. Jeffrey L. Bada, che studia il problema dell’origine della vita, ha detto che “qualche influenza esterna alla terra potrebbe aver avuto un qualche ruolo nel determinare la configurazione degli amminoacidi biologici”.
[Riquadro a pagina 40]
“Questi esperimenti . . . invocano una sintesi abiotica per ciò che in realtà è stato prodotto e progettato da un essere umano molto intelligente e del tutto biotico nel tentativo di avallare idee che gli stavano molto a cuore”. — Origin and Development of Living Systems.
[Riquadro/Immagine a pagina 41]
“Un deliberato atto intellettuale”
L’astronomo inglese Fred Hoyle ha passato decenni a studiare l’universo e la vita in esso, arrivando a sostenere l’idea che la vita sulla terra sia arrivata dallo spazio. In una conferenza tenuta al California Institute of Technology, Hoyle ha parlato dell’ordinamento degli amminoacidi nelle proteine.
“Il grosso problema della biologia”, ha detto, “non è tanto il fatto alquanto evidente che una proteina consiste di una catena di amminoacidi legati fra loro in un certo modo, ma il fatto che l’esatta sequenza in cui sono disposti gli amminoacidi dota tale catena di proprietà degne di nota . . . Se gli amminoacidi fossero legati a caso, esisterebbe un numero enorme di combinazioni che sarebbero inutili ai fini di una cellula vivente. Se si pensa che un tipico enzima ha una catena di circa 200 elementi e che per ciascun elemento vi sono 20 possibilità, è facile capire che il numero delle combinazioni inutili è enorme, superiore al numero di atomi presenti in tutte le galassie visibili con i più potenti telescopi. Questo per un solo enzima, e ce ne sono più di 2.000, i quali in genere servono a scopi molto diversi fra loro. Perciò come si è giunti alla situazione attuale?”
Hoyle ha aggiunto: “Anziché accettare la probabilità inconcepibilmente piccola che la vita sia sorta grazie alle cieche forze della natura, sembrava meglio supporre che all’origine della vita ci fosse stato un deliberato atto intellettuale”.
[Riquadro a pagina 44]
Il prof. Michael J. Behe ha affermato: “Per chi non si sente obbligato a limitare la propria ricerca a cause non intelligenti, la schietta conclusione è che molti sistemi biochimici sono stati progettati. E non sono stati progettati dalle leggi della natura né dal caso e dalla necessità; al contrario, sono stati pensati. . . . La vita sulla terra al suo livello più fondamentale, e nei suoi componenti più delicati, è il prodotto di un’attività intelligente”.
[Diagramma/Immagine a pagina 42]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
Basta dare un rapido sguardo alla complessità e alle intricate funzioni presenti in ogni cellula per chiedersi: Da dove è venuto tutto questo?
• Membrana cellulare
Controlla ciò che entra e ciò che esce dalla cellula
• Nucleo
Dirige le attività della cellula
• Cromosomi
Contengono il DNA, il codice genetico
• Ribosomi
Luogo in cui si formano le proteine
• Nucleolo
Vi vengono prodotti i ribosomi
• Mitocondrio
Centro di produzione delle molecole che forniscono energia alla cellula
[Immagine a pagina 33]
Molti scienziati ora riconoscono che le molecole complesse fondamentali per la vita non si sarebbero potute formare spontaneamente in un “brodo prebiotico”
-
-
Siete straordinari!Esiste un Creatore che si interessa di noi?
-
-
Capitolo quattro
Siete straordinari!
OGNI mattina, prima di iniziare la giornata, vi date un’occhiata allo specchio per controllare il vostro aspetto? Può darsi che in quel momento non abbiate il tempo per fare profonde riflessioni. Ma prendetevi un momento ora per stupirvi di ciò che sta dietro a quella semplice occhiata.
Gli occhi vi permettono di vedervi a colori, anche se la visione a colori non è essenziale per la vita. La posizione delle orecchie vi permette di udire in stereofonia; in questo modo potete localizzare da dove provengono i suoni, come la voce di una persona cara. Forse diamo per scontata questa capacità, tuttavia un manuale di acustica osserva: “Quando si considera a qualsiasi livello l’apparato uditivo umano, comunque, è difficile non giungere alla conclusione che le sue complesse funzioni e strutture indicano che una mano benevola è stata all’opera nella sua progettazione”.
Anche il naso è un capolavoro di progettazione. Vi permette di respirare per mantenervi in vita. In più, è dotato di milioni di recettori olfattivi grazie ai quali potete distinguere circa 10.000 odori. Quando mangiate entra in gioco un altro senso. Migliaia di papille gustative vi fanno percepire i sapori. Altri recettori presenti sulla lingua vi permettono di sentire se i denti sono puliti.
Sì, siete dotati di cinque sensi: vista, udito, odorato, gusto e tatto. È vero che alcuni animali hanno una visione notturna più acuta, un odorato più sensibile, o un udito più fine, ma il modo equilibrato in cui l’uomo è dotato di questi sensi ci permette di eccellere sotto molti aspetti.
Ebbene, riflettiamo sul perché possiamo beneficiare di queste facoltà. Esse dipendono tutte dall’organo di circa un chilo e mezzo che abbiamo dentro la testa: il cervello. Anche gli animali hanno un cervello che funziona. Il cervello umano, però, è nettamente superiore, il che ci rende innegabilmente unici. In che senso? E che relazione c’è tra questa unicità e il nostro desiderio di avere una vita lunga e significativa?
Le meraviglie del cervello
Per anni il cervello umano è stato paragonato a un computer, ma recenti scoperte indicano che il paragone è estremamente riduttivo. “Come si fa a cominciare a capire il funzionamento di un organo che ha qualcosa come 50 miliardi di neuroni con un milione di miliardi di sinapsi (connessioni), e in cui si generano qualcosa come dieci milioni di miliardi di impulsi al secondo?”, ha chiesto il neurologo Richard M. Restak. La sua risposta? “Persino la più sofisticata rete neurale computerizzata ha prestazioni . . . pari a circa un decimillesimo della capacità mentale di una mosca”. Pensate allora che abisso esiste tra un computer e un cervello umano!
Quale computer costruito dall’uomo è capace di ripararsi, di riscrivere il proprio programma o di migliorare nel corso degli anni? Quando bisogna fare una modifica in un sistema computerizzato è necessario che un programmatore scriva e inserisca nuove istruzioni codificate. Il nostro cervello fa questo automaticamente, sia nei primi anni di vita che nella vecchiaia. Non è un’esagerazione dire che anche i computer più sofisticati sono estremamente rozzi in paragone con il cervello. Gli scienziati l’hanno definito “la struttura più complicata che si conosca” e “l’oggetto più complesso dell’universo”. Riflettete su alcune scoperte che hanno portato molti a concludere che il cervello umano è il prodotto di un Creatore amorevole.
Ciò che non si usa si perde
Invenzioni utili come automobili e aerei a reazione sono sostanzialmente limitate dai sistemi meccanici ed elettrici fissi progettati e installati dall’uomo. Il minimo che si possa dire del nostro cervello, invece, è che è un sistema biologico estremamente flessibile. Può continuare a modificarsi a seconda dell’uso (o dell’abuso) che se ne fa. Sembra che il modo in cui il nostro cervello si sviluppa nel corso della vita dipenda fondamentalmente da due fattori: dalle informazioni che lasciamo entrare attraverso i sensi e dai pensieri su cui ci soffermiamo.
Anche se nel determinare le capacità mentali possono entrare in gioco fattori ereditari, la ricerca moderna indica che il cervello non è predeterminato dai geni al momento del concepimento. “Nessuno sospettava che il cervello fosse così modificabile come ora la scienza sa che è”, scrive Ronald Kotulak, vincitore di un premio Pulitzer. Dopo aver intervistato più di 300 ricercatori, Kotulak giunge a questa conclusione: “Il cervello non è un organo statico; è una massa di connessioni cellulari in continuo mutamento, che sono profondamente condizionate dall’esperienza”. — Inside the Brain.
Ma non sono solo le esperienze che facciamo a plasmare il nostro cervello. Contano anche i nostri pensieri. Gli scienziati riscontrano che il cervello di chi si mantiene mentalmente attivo ha un numero di connessioni (sinapsi) tra cellule nervose (neuroni) fino al 40 per cento superiore rispetto al cervello di chi è mentalmente pigro. La conclusione dei neurobiologi è: Se non volete che il cervello perda le sue capacità dovete usarlo. Ma che dire delle persone anziane? Sembra che con il passare degli anni si perdano alcune cellule cerebrali, e la vecchiaia può portare alla perdita della memoria. La differenza, però, è molto meno marcata di quanto si credesse un tempo. Un articolo del National Geographic sul cervello umano diceva: “Le persone anziane . . . conservano la capacità di creare nuove connessioni e di mantenere quelle vecchie attraverso l’attività mentale”.
Le recenti scoperte relative alla “flessibilità” del cervello sono in armonia con i consigli che si trovano nella Bibbia. Quel libro, che è fonte di saggezza, esorta i lettori ad essere ‘trasformati rinnovando la propria mente’ e a ‘rinnovarsi’ per mezzo dell’“accurata conoscenza” immagazzinata nella mente. (Romani 12:2; Colossesi 3:10) I testimoni di Geova vedono verificarsi questi cambiamenti man mano che le persone studiano la Bibbia e ne seguono i consigli. Migliaia e migliaia di persone, di ogni condizione sociale e grado di istruzione, hanno fatto questo. Hanno conservato la propria individualità, ma sono diventate più felici ed equilibrate, manifestando quella che uno scrittore del I secolo definì “sanità di mente”. (Atti 26:24, 25) Simili miglioramenti derivano in larga misura dal fare buon uso di una porzione della corteccia cerebrale che si trova nella parte anteriore della testa.
Il lobo frontale
La maggior parte dei neuroni dello strato superficiale del cervello, la corteccia cerebrale, non sono collegati direttamente a muscoli e organi di senso. Prendete, ad esempio, i miliardi di neuroni che formano il lobo frontale. (Vedi il disegno a pagina 56). Le tomografie cerebrali dimostrano che il lobo frontale si attiva quando si pensa a una parola o si richiamano alla mente dei ricordi. La parte frontale del cervello ha un ruolo determinante nel farvi essere quelli che siete.
“La corteccia prefrontale . . . ha a che fare soprattutto con l’elaborazione del pensiero, l’intelligenza, la motivazione e la personalità. Associa le esperienze necessarie per produrre idee astratte, giudizi, determinazione, pianificazione, interesse per gli altri e coscienza. . . . È l’elaborazione che avviene in questa regione a rendere gli esseri umani diversi dagli altri animali”. (Elaine N. Marieb, Human Anatomy and Physiology) Che questa diversità esista è reso evidente dai risultati che l’uomo ha conseguito in campi come matematica, filosofia e diritto, i quali chiamano in causa principalmente la corteccia prefrontale.
Perché gli esseri umani sono dotati di una corteccia prefrontale ben sviluppata e duttile, che consente funzioni mentali superiori, mentre negli animali quest’area è rudimentale o non esiste? Il contrasto è talmente grande che i biologi che affermano che ci siamo evoluti parlano del ‘misterioso aumento esplosivo della dimensione cerebrale’. Il biologo Richard F. Thompson, riferendosi alla straordinaria espansione della nostra corteccia cerebrale, ammette che si tratta di un “fenomeno che non abbiamo ancora ben compreso”.a Potrebbe darsi che il motivo sia che l’uomo è stato creato con queste facoltà cerebrali straordinarie?
Incomparabili capacità di comunicazione
Anche altre parti del cervello contribuiscono a renderci straordinari. Dietro alla corteccia prefrontale c’è una fascia che si estende da un lato all’altro della testa: la corteccia motoria. Questa contiene miliardi di neuroni collegati ai muscoli. Anch’essa presenta caratteristiche che ci rendono di gran lunga diversi dalle scimmie e dagli altri animali. La corteccia motoria primaria ci garantisce “(1) un’abilità eccezionale nell’usare la mano, le dita e il pollice per svolgere attività che richiedono grande destrezza, e (2) l’uso di bocca, labbra, lingua e muscoli facciali per parlare”. — Arthur C. Guyton, Textbook of Medical Physiology.
Considerate brevemente in che modo la corteccia motoria ci permette di parlare. Più di metà d’essa è deputata al controllo degli organi che usiamo per comunicare. Questo contribuisce a spiegare le straordinarie capacità di comunicazione degli esseri umani. È vero che per comunicare ci valiamo anche delle mani (attraverso la scrittura, i normali gesti o la lingua dei segni), ma in genere impieghiamo soprattutto la bocca. Il linguaggio umano — dalla prima parola di un bambino alla voce di una persona anziana — è indiscutibilmente una meraviglia. Un centinaio di muscoli situati nella lingua, nelle labbra, nella mandibola, nella gola e nel torace cooperano per produrre un’infinità di suoni diversi. Notate questo contrasto: mentre una sola cellula cerebrale può comandare 2.000 fibre muscolari nel polpaccio di un atleta, le cellule cerebrali che controllano la laringe comandano solo 2 o 3 fibre muscolari ciascuna. Non indica questo che il nostro cervello è particolarmente dotato per comunicare?
Ogni breve frase che pronunciamo richiede una determinata serie di movimenti muscolari. Il significato di un’unica espressione può cambiare a seconda dell’entità e della perfetta sincronizzazione dei movimenti di molti muscoli diversi. “Parlando a una velocità non eccessiva”, spiega il dott. William H. Perkins, che studia i disturbi del linguaggio, “pronunciamo circa 14 suoni al secondo. Questo è il doppio della velocità a cui riusciamo a controllare la lingua, le labbra, la mandibola o qualsiasi altra parte dell’apparato della fonazione quando la muoviamo separatamente. Ma mettete tutte queste parti insieme per parlare e lavorano nello stesso modo in cui lavorano le dita di dattilografi e pianisti provetti. I loro movimenti si sovrappongono in un capolavoro di sincronizzazione”.
L’informazione vera e propria necessaria per fare la semplice domanda “Come va oggi?” è immagazzinata in una regione del lobo frontale del cervello detta area di Broca, che secondo alcuni sarebbe il centro del linguaggio. Il neurobiologo e premio Nobel John Eccles ha scritto: “Nelle scimmie antropomorfe non si osserva nessuna area corrispondente all’area anteriore del linguaggio di Broca”.b E anche se in alcuni animali venissero scoperte aree analoghe, resta il fatto che gli scienziati non riescono a insegnare alle scimmie che a produrre pochi suoni rozzi. Noi, invece, possiamo esprimerci con un linguaggio complesso. Per far questo uniamo varie parole secondo le regole grammaticali della nostra lingua. L’area di Broca ci aiuta a far questo, sia oralmente che per iscritto.
Naturalmente, non ci si può valere del miracolo del linguaggio se non si conosce almeno una lingua e non si capisce il significato delle sue parole. Questo chiama in causa un’altra regione specializzata del cervello, nota come area di Wernicke. Qui miliardi di neuroni decifrano il significato delle parole pronunciate o scritte. L’area di Wernicke ci permette di afferrare il senso delle frasi e capire ciò che udiamo o leggiamo; in questo modo possiamo apprendere informazioni e agire di conseguenza.
Ma parlare implica anche dell’altro. Facciamo un esempio: un semplice “Ciao” può esprimere moltissime cose. Dal tono della voce si può capire se siamo allegri, eccitati, annoiati, frettolosi, seccati, tristi o spaventati, e forse anche in che misura. Un’altra area del cervello provvede informazioni relative alla componente emotiva del linguaggio. Quando comunichiamo, perciò, entrano in gioco diverse parti del cervello.
Ad alcuni scimpanzé è stata insegnata una lingua dei segni semplificata, ma l’uso che ne fanno è essenzialmente limitato a semplici richieste di cibo o di altre cose necessarie. Il dott. David Premack, che ha lavorato per insegnare agli scimpanzé forme semplici di comunicazione non verbale, è giunto a questa conclusione: “Il linguaggio umano è fonte di imbarazzo per la teoria evoluzionistica perché è enormemente più potente di quanto si possa giustificare”.
Potremmo chiederci: ‘Perché gli esseri umani possiedono questa meravigliosa capacità di comunicare pensieri e sentimenti, di chiedere e di rispondere?’ Un’enciclopedia specializzata afferma che “il linguaggio [umano] è speciale” e ammette che “la ricerca di precursori nella comunicazione animale non aiuta molto a colmare l’enorme abisso che separa il linguaggio e l’espressione verbale dai comportamenti non umani”. (The Encyclopedia of Language and Linguistics) Il prof. Ludwig Koehler ha così riassunto la differenza: “Il linguaggio umano è un mistero; è un dono divino, un miracolo”.
Che differenza tra l’uso di segni da parte di una scimmia e le complesse competenze linguistiche dei bambini! John Eccles ha menzionato una caratteristica che quasi tutti abbiamo osservato: la capacità interrogativa “presente già nei bambini di 3 anni con il loro fiume di domande nel desiderio di comprendere il loro mondo”. E ha aggiunto: “Le scimmie invece non fanno domande”.c Sì, solo gli esseri umani formulano domande, tra cui anche domande sul significato della vita.
Memoria, e non solo!
Quando vi date un’occhiata allo specchio, forse pensate all’aspetto che avevate quando eravate più giovani, e magari lo paragonate con l’aspetto che potreste avere negli anni avvenire, o a come stareste con un po’ di trucco. Questi pensieri possono sorgere quasi spontaneamente, eppure sono frutto di capacità straordinarie, di cui nessun animale è dotato.
A differenza degli animali, che vivono e agiscono principalmente in base ai bisogni del momento, gli esseri umani possono riflettere sul passato e fare piani per il futuro. Una cosa essenziale per poter fare questo è la capacità di memoria quasi illimitata del cervello. È vero che anche gli animali hanno una certa memoria, per cui sono in grado di ritrovare la strada di casa o di ricordare dove potrebbe esserci del cibo. La memoria umana, però, è di gran lunga superiore. Uno scienziato ha calcolato che il nostro cervello può contenere una quantità di informazione tale che “riempirebbe venti milioni di libri, quanti ve ne sono nelle più grandi biblioteche del mondo”.d Alcuni neurobiologi calcolano che nell’arco di una vita media una persona utilizzi solo un centesimo dell’1 per cento (1 parte su 10.000) del suo potenziale cerebrale. Avete ogni motivo per chiedervi: ‘Perché abbiamo un cervello così capiente che in una vita normale ne riusciamo ad usare solo una minima parte?’
Ma il cervello non è solo un enorme deposito di informazioni, come una specie di supercomputer. Robert Ornstein e Richard F. Thompson, docenti di biologia, hanno scritto: “La capacità della mente umana di imparare — di memorizzare informazione e di accedere ad essa — è il fenomeno più notevole nell’universo biologico. Tutto ciò che fa di noi degli esseri umani — linguaggio, pensiero, conoscenza, cultura — è il risultato di questa capacità straordinaria”.e
Inoltre, la nostra mente è cosciente. Può sembrare un’osservazione banale, ma riassume un elemento che ci rende indiscutibilmente unici. La mente è stata definita “l’entità sfuggente sede dell’intelligenza, dei processi decisionali, della percezione, della consapevolezza e della coscienza di sé”. Come i ruscelli, i torrenti e i fiumi si riversano nel mare, così ricordi, pensieri, immagini, suoni e sentimenti affluiscono di continuo nella nostra mente oppure l’attraversano. La coscienza o consapevolezza, secondo una definizione, è “la percezione di ciò che passa per la propria mente”.
I ricercatori moderni hanno fatto enormi progressi nella comprensione della struttura fisica del cervello e di alcuni processi elettrochimici che vi hanno luogo. Sanno anche spiegare i circuiti e il funzionamento di un computer sofisticato. Eppure tra cervello e computer vi è una differenza abissale. Grazie al nostro cervello siamo coscienti e consapevoli di esistere, mentre il computer sicuramente non lo è. A cosa è dovuta questa differenza?
Ad essere sinceri, come e perché i processi fisici che avvengono nel cervello generino la coscienza è un mistero. “Non vedo come qualche scienza possa spiegarlo”, ha detto un neurobiologo. E il prof. James Trefil ha osservato: “Cosa significhi esattamente per un essere umano essere cosciente . . . è l’unica domanda scientifica fondamentale che non sappiamo nemmeno come porre”. Un motivo è che gli scienziati stanno usando il cervello per cercare di capire il cervello. E limitarsi a studiare la fisiologia del cervello forse non basta. La consapevolezza è “uno dei più profondi misteri dell’esistenza”, ha osservato il dott. David Chalmers, “ma la semplice conoscenza del cervello potrebbe non consentire [agli scienziati] di sondarlo sino in fondo”.
Eppure ciascuno di noi è cosciente. Ad esempio, i vividi ricordi che serbiamo di avvenimenti passati non sono solo dati immagazzinati da qualche parte, come i bit nella memoria di un computer. Possiamo riflettere sulle nostre esperienze, trarne lezioni e usarle per decidere il nostro futuro. Siamo in grado di ipotizzare diversi sviluppi futuri e di valutare le possibili conseguenze di ciascuno d’essi. Abbiamo la capacità di analizzare, di creare, di apprezzare e di amare. Possiamo fare piacevoli conversazioni sul passato, sul presente e sul futuro. Abbiamo valori morali che regolano la condotta e possiamo ispirarci ad essi per prendere decisioni che possono essere o non essere per il nostro vantaggio immediato. La bellezza in campo artistico e morale ci attira. Nella mente possiamo concepire e affinare le nostre idee e immaginare quale sarà la reazione degli altri se le attueremo.
Tutto questo produce un grado di consapevolezza che distingue gli esseri umani da qualsiasi altra forma di vita sulla terra. Un cane, un gatto o un uccello si guarda allo specchio e reagisce come se vedesse un suo simile. Ma quando noi ci guardiamo allo specchio siamo consapevoli di esistere e di avere le capacità appena menzionate. Possiamo riflettere su interrogativi come: ‘Perché certe tartarughe vivono 150 anni e certi alberi più di 1.000 anni, mentre un essere umano intelligente fa notizia se raggiunge i 100 anni?’ Il dott. Richard Restak afferma: “Il cervello umano, e solo il cervello umano, ha la capacità di fare un passo indietro, analizzare il proprio operato e raggiungere così un certo grado di trascendenza. In effetti la nostra capacità di riscrivere il nostro copione e ridefinire il nostro ruolo nel mondo è ciò che ci distingue da tutte le altre creature”.
L’autocoscienza dell’uomo sorprende alcuni. Il libro Life Ascending (L’ascesa della vita), pur propendendo per una spiegazione puramente biologica, ammette: “Quando ci chiediamo com’è possibile che un processo [l’evoluzione] che assomiglia a un gioco d’azzardo, estremamente crudele con i perdenti, abbia generato qualità come amore per la bellezza e per la verità, compassione, libertà e, soprattutto, la ricchezza dello spirito umano, rimaniamo perplessi. Più riflettiamo sulle nostre facoltà spirituali, più la nostra meraviglia si fa grande”. Proprio così. Potremmo perciò completare la nostra panoramica di ciò che ci rende straordinari come esseri umani analizzando alcuni aspetti della nostra coscienza che illustrano perché molti sono convinti che deve esistere un Progettista intelligente, un Creatore, che si interessa di noi.
Arte e bellezza
“Perché la gente ha tanta passione per l’arte?”, chiede il prof. Michael Leyton nel libro Symmetry, Causality, Mind (Simmetria, causalità, mente). Come spiega Leyton, qualcuno potrebbe dire che costruzioni mentali come la matematica comportano chiari vantaggi per gli esseri umani, ma di che vantaggio può essere l’arte? A questo proposito Leyton fa l’esempio dei lunghi viaggi che la gente affronta per vedere una mostra o assistere a un concerto. Quale meccanismo interno entra in gioco? Analogamente, in tutto il mondo la gente appende belle foto o quadri alle pareti di casa o in ufficio. Oppure, prendete la musica. Quasi a tutti piace ascoltare qualche tipo di musica in casa o in macchina. Perché? Non certo perché un tempo la musica abbia contribuito alla sopravvivenza del più adatto. Leyton dice: “L’arte è forse il fenomeno più inspiegabile della specie umana”.
Eppure, sappiamo tutti che apprezzare l’arte e la bellezza fa parte di ciò che ci fa sentire “umani”. Un animale può anche sedere su una collina e guardare un bel tramonto, ma lo attira la bellezza in sé? Noi ce ne stiamo a guardare il luccichio di un torrente di montagna, osserviamo stupiti la splendida varietà di una foresta tropicale, ci soffermiamo ad ammirare una spiaggia orlata da palme e contempliamo il cielo vellutato trapunto di stelle. Spesso proviamo un senso di riverenza, non è vero? Tale bellezza ci riscalda il cuore, ci eleva lo spirito. Perché?
Perché abbiamo un desiderio innato di cose che, in realtà, servono ben poco alla nostra sopravvivenza materiale? Da dove proviene il nostro senso estetico? Se non riconosciamo che esiste un Creatore che ha fatto l’uomo dotandolo di questi valori, queste domande rimangono prive di una risposta soddisfacente. E lo stesso vale per la bellezza morale.
Valori morali
Molti riconoscono che la forma più elevata di bellezza sono le azioni buone. Ad esempio, rimanere fedeli ai propri princìpi anche quando si è perseguitati, agire con altruismo per alleviare le sofferenze altrui e perdonare chi ci ha fatto del male sono azioni che le persone riflessive di ogni parte del mondo considerano moralmente eccellenti. È questo il tipo di bellezza di cui parla l’antico proverbio biblico che dice: “La perspicacia di un uomo certamente rallenta la sua ira, ed è bellezza da parte sua passare sopra alla trasgressione”. E un altro proverbio osserva: “La cosa desiderabile nell’uomo terreno è la sua amorevole benignità”. — Proverbi 19:11, 22.
Sappiamo tutti che esistono individui, e anche alcuni gruppi, che ignorano o calpestano elevati princìpi morali, ma la maggioranza non lo fa. Da dove vengono i valori morali che si riscontrano praticamente in ogni luogo e in ogni tempo? Se non esiste una Fonte della morale, un Creatore, il concetto del bene e del male è nato semplicemente dagli individui, dalla società umana? Facciamo un esempio: Quasi tutti gli individui e le società considerano sbagliato l’omicidio. Tuttavia si potrebbe chiedere: ‘Sbagliato rispetto a che cosa?’ È chiaro che esiste un senso di ciò che è morale che sta alla base della società umana in generale e che è stato incorporato nelle leggi di molti paesi. Da dove proviene questa norma morale? Non potrebbe provenire da un Creatore intelligente che possiede valori morali e che ha posto negli esseri umani la facoltà della coscienza, o consapevolezza morale? — Confronta Romani 2:14, 15.
Contemplare il futuro e fare progetti
Un altro aspetto della consapevolezza umana è che possiamo pensare al futuro. Quando gli fu chiesto se gli esseri umani hanno tratti che li distinguono dagli animali, il prof. Richard Dawkins ha riconosciuto che l’uomo ha davvero qualità singolari. Dopo aver menzionato “la capacità di fare piani per il futuro usando consapevolmente l’immaginazione per fare previsioni”, Dawkins ha aggiunto: “Il vantaggio immediato è sempre stato l’unica cosa che conta nell’evoluzione; il vantaggio a lungo termine non ha mai contato. Niente si è mai potuto evolvere se era dannoso per il bene immediato dell’individuo. Per la prima volta nella storia è possibile che almeno alcuni individui dicano: ‘È vero che abbattendo questa foresta si può ricavare un guadagno immediato; che dire, però, dei vantaggi a lungo termine?’ Ora, io penso che questa sia una cosa assolutamente nuova e straordinaria”.
Anche altri ricercatori confermano che la capacità umana di fare progetti a lungo termine in maniera consapevole non ha paragoni. Il neurofisiologo William H. Calvin osserva: “A parte i preparativi per l’inverno e per l’accoppiamento, che sono stimolati da ormoni, gli animali manifestano una scarsissima propensione alla pianificazione su tempi che superino qualche minuto”.f Gli animali possono mettere da parte del cibo prima della stagione fredda, ma non fanno ragionamenti e progetti. Gli esseri umani, invece, pensano al futuro, anche al futuro molto lontano. Alcuni scienziati si chiedono cosa potrebbe succedere all’universo tra miliardi di anni. Vi siete mai chiesti perché l’uomo, a differenza di tutti gli animali, è in grado di pensare al futuro e di fare progetti?
A proposito degli esseri umani la Bibbia dice: “Anche il tempo indefinito [il Creatore] ha posto nel loro cuore”. La versione della CEI traduce così questo versetto: “Ha messo la nozione dell’eternità nel loro cuore”. (Ecclesiaste [Qoelet] 3:11) Noi usiamo questa capacità caratteristica ogni giorno, anche nei gesti più semplici, come quando ci guardiamo allo specchio e pensiamo a come saremo tra 10 o 20 anni. E confermiamo le parole di Ecclesiaste 3:11 quando riflettiamo anche per un momento su concetti come l’infinità del tempo e dello spazio. Il semplice fatto che abbiamo questa capacità è in armonia con l’affermazione secondo cui un Creatore ha “messo la nozione dell’eternità” nel cuore dell’uomo.
Attratti da un Creatore
A molti, però, godere della bellezza, fare del bene al prossimo e pensare al futuro non basta. “Per quanto possa sembrare strano”, osserva il prof. Stephen Evans, “anche nei momenti più felici, quando ci sentiamo più amati, spesso avvertiamo che manca qualcosa. Ci scopriamo a desiderare qualcosa di più, ma non sappiamo cos’è questo di più”. Sì, noi esseri umani coscienti — a differenza degli animali con cui dividiamo il pianeta — sentiamo un altro bisogno.
“La religiosità è profondamente radicata nella natura umana e si riscontra fra persone di ogni livello economico e culturale”. Questa è la conclusione a cui giunge la ricerca che il prof. Alister Hardy ha presentato nel libro The Spiritual Nature of Man (La natura spirituale dell’uomo), e conferma ciò che molti altri studi hanno dimostrato: l’uomo pensa a Dio. Possono esserci individui atei, ma non esistono nazioni atee. Un libro osserva: “La ricerca religiosa di un significato . . . è il denominatore comune di ogni civiltà e ogni epoca, sin dagli albori dell’umanità”. — Is God the Only Reality?
Da dove proviene questa consapevolezza di Dio apparentemente innata? Se l’uomo fosse solo un aggregato casuale di acidi nucleici e proteine, perché queste molecole dovrebbero cominciare ad amare l’arte e la bellezza, diventare religiose e contemplare l’eternità?
John Eccles ha detto che una spiegazione evoluzionistica dell’esistenza dell’uomo viene meno sotto un aspetto importantissimo: “Essa non può spiegare l’esistenza di ognuno di noi come essere unico auto-cosciente”.g Più cose impariamo sul funzionamento del cervello e della mente, più è facile capire perché milioni di persone sono giunte alla conclusione che l’esistenza cosciente dell’uomo dimostra che esiste un Creatore che si interessa di noi.
Nel prossimo capitolo vedremo perché persone di ogni condizione sociale hanno riscontrato che questa conclusione razionale pone le basi per rispondere in maniera soddisfacente alle domande fondamentali: Perché esistiamo, e dove siamo diretti?
[Note in calce]
a Il cervello, trad. di S. Monte, Zanichelli, Bologna, 1997, p. 15.
b Evoluzione del cervello e creazione dell’io, trad. di L. Lopiano e L. Moriondo, Armando Editore, Roma, 1995, p. 123.
c Op. cit., p. 113.
d Carl Sagan, Cosmo, trad. di T. Chersi, Mondadori, Milano, 1981, p. 278.
e Il cervello e le sue meraviglie, trad. di L. Sosio, Rizzoli, Milano, 1987, p. 137.
f Le Scienze, dicembre 1994, p. 89.
g Il mistero uomo, trad. di E. Cambieri, Mondadori, Milano, 1990, p. 119.
[Riquadro a pagina 51]
Scacchi: il campione contro il computer
Quando il potente computer Deep Blue ha sconfitto il campione mondiale di scacchi qualcuno si è chiesto: “Non siamo costretti a concludere che Deep Blue deve avere una mente?”
Il prof. David Gelernter, della Yale University, ha risposto: “No. Deep Blue è solo una macchina. Non ha una mente più di quanto ce l’abbia un vaso da fiori. . . . Il suo significato principale è questo: gli esseri umani sono eccezionali costruttori di macchine”.
Gelernter ha indicato questa differenza fondamentale: “Il cervello è una macchina capace di creare un ‘io’. I cervelli possono creare mondi mentali, i computer no”.
E ha concluso dicendo: “L’abisso che separa l’uomo e [il computer] è permanente e non verrà mai colmato. Le macchine continueranno a rendere la vita più semplice, sana, ricca e stimolante. E gli esseri umani continueranno a interessarsi, in ultima analisi, delle stesse cose di cui si sono sempre interessati: di se stessi, dei loro simili e, nel caso di molti, di Dio. Sotto questo aspetto le macchine non hanno mai cambiato nulla. E non lo cambieranno mai”.
[Riquadro a pagina 53]
I supercomputer? Lumache!
“I computer odierni non si avvicinano nemmeno a un bambino di 4 anni per quanto riguarda la capacità di vedere, parlare, muoversi o usare buon senso. Uno dei motivi, naturalmente, è la semplice potenza di calcolo. Secondo una stima, persino il più potente supercomputer ha una capacità di elaborare informazioni pari a quella del sistema nervoso di una lumaca: una minima parte della potenza di cui dispone il supercomputer che abbiamo nel cranio”. — Steven Pinker, direttore del centro di neuroscienze cognitive presso il Massachusetts Institute of Technology.
[Riquadro a pagina 54]
“Il cervello umano è composto quasi esclusivamente dalla corteccia [cerebrale]. Per fare un esempio, anche il cervello dello scimpanzé ha una corteccia, ma di proporzioni molto minori. La corteccia ci permette di pensare, ricordare, immaginare. Fondamentalmente, siamo esseri umani in virtù della corteccia”. — Edoardo Boncinelli, direttore del Laboratorio di Biologia Molecolare dello Sviluppo all’Ospedale San Raffaele di Milano.
[Riquadro a pagina 55]
Dalla fisica delle particelle al cervello umano
Il prof. Paul Davies, riflettendo sulla capacità del cervello di muoversi nel campo astratto della matematica, ha scritto: “La matematica non è una cosa che possiamo trovare nel giardino di casa, ma è prodotta dalla mente umana. Se tuttavia chiediamo dove la matematica funziona meglio, scopriamo che è in settori come quello della fisica delle particelle e dell’astrofisica, nei settori della scienza fondamentale che sono molto, molto lontani dalla nostra esperienza di tutti i giorni”. Cosa se ne deduce? “[Questo] mi fa pensare che la coscienza e la nostra abilità matematica non siano un puro caso, né un dettaglio insignificante, né un trascurabile prodotto secondario dell’evoluzione”. — Siamo soli? Implicazioni filosofiche della scoperta della vita extraterrestre, trad. di B. Tortorella, Laterza, Bari, 1994, p. 132.
[Riquadro/Immagini alle pagine 56 e 57]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
Corteccia motoria
Lobo frontale
Corteccia prefrontale
Area di Broca
Area di Wernicke
● La corteccia cerebrale è la regione del cervello che ha i legami più stretti con l’intelligenza. La corteccia cerebrale di un uomo, appiattita, coprirebbe quattro fogli di carta da lettera; quella di uno scimpanzé ne coprirebbe uno e quella di un ratto equivarrebbe a un francobollo. — Le Scienze, dicembre 1994, p. 88.
[Riquadro a pagina 58]
Nessuna popolazione ne è priva
Nel corso della storia, ogni volta che una popolazione ne ha incontrata un’altra, ciascuna ha riscontrato che l’altra parlava una lingua. Un libro osserva: “Non è mai stata scoperta una tribù muta, e non c’è traccia del fatto che una regione fu la ‘culla’ dalla quale il linguaggio si propagò a gruppi che ne erano originariamente privi. . . . L’universalità del linguaggio complesso è una scoperta che riempie di sgomento i linguisti, ed è la prima ragione per sospettare che il linguaggio [sia] il prodotto di uno speciale istinto umano”. — Steven Pinker, L’istinto del linguaggio, trad. di G. Origgi, Mondadori, Milano, 1997, p. 18.
[Riquadro a pagina 59]
Linguaggio e intelligenza
Cosa rende l’intelligenza umana di gran lunga superiore a quella degli animali, come ad esempio le scimmie? Un fattore importante è il nostro uso della sintassi, le regole con cui combiniamo suoni per ottenere parole e usiamo le parole per costruire frasi. William H. Calvin, che si occupa di neurofisiologia teorica, spiega:
“Gli scimpanzé allo stato selvaggio usano circa 35 vocalizzazioni diverse per esprimere altrettanti significati. Sanno ripetere un suono per accentuare il suo significato, ma non mettere in fila tre suoni per aggiungere una parola nuova al loro vocabolario.
“Anche noi esseri umani usiamo circa 35 vocalizzazioni, dette fonemi, ma solo le loro combinazioni hanno un contenuto. Mettiamo in fila suoni senza significato per ottenere parole dotate di significato”. Calvin osserva che “nessuno ha ancora spiegato” come possa essere avvenuto il passaggio “dalla corrispondenza ‘un suono/un significato’” tipica degli animali alla nostra capacità squisitamente umana di usare la sintassi. — Le Scienze, dicembre 1994, pp. 88-9.
[Riquadro a pagina 60]
Sappiamo fare qualcosa di meglio degli scarabocchi
“Soltanto l’uomo, Homo sapiens, è capace di comunicare per mezzo del linguaggio? Evidentemente la risposta deve dipendere da ciò che s’intende per ‘linguaggio’, perché tutti gli animali superiori certamente comunicano con una gran varietà di segnali, come gesti, odori, richiami, canti e perfino la danza, come le api. Tuttavia non sembra che altri animali all’infuori dell’uomo abbiano una lingua strutturata grammaticalmente. Inoltre gli animali, e ciò può essere altamente significativo, non disegnano figure con un senso. Al massimo scarabocchiano”. — R. S. e D. H. Fouts, in Enciclopedia Oxford della mente, Sansoni, Firenze, 1991, p. 730.
[Riquadro a pagina 61]
“Tornando alla mente umana, troviamo strutture di mirabile complessità”, osserva il prof. Noam Chomsky. “A questo proposito, il linguaggio rappresenta un esempio appropriato, ma non è l’unico. Basti pensare alla capacità di manipolare le proprietà astratte del sistema numerico, [che sembra essere] unica per gli esseri umani”. — Enciclopedia Oxford della mente, cit., p. 500.
[Riquadro a pagina 62]
La capacità di fare domande
A proposito del futuro dell’universo, il fisico Lawrence Krauss ha scritto: “Osiamo fare domande su cose che forse non vedremo mai direttamente perché ne abbiamo la capacità. Un giorno i nostri figli, o i loro figli, risponderanno a queste domande. Abbiamo il dono dell’immaginazione”.
[Riquadro a pagina 69]
Se l’universo e la nostra presenza sono frutto del caso, la nostra vita non può avere un significato duraturo. Ma se la nostra vita nell’universo è frutto di un progetto, deve avere un significato più profondo.
[Riquadro a pagina 72]
Frutto della necessità di sfuggire alle tigri dai denti a sciabola?
John Polkinghorne, dell’Università di Cambridge, in Inghilterra, ha fatto questa osservazione:
“Il fisico teorico Paul Dirac formulò una cosa chiamata teoria quantistica dei campi che è fondamentale per la nostra comprensione del mondo fisico. Non posso credere che la capacità di Dirac di formulare questa teoria, o la capacità di Einstein di formulare la teoria della relatività generale, sia una specie di sottoprodotto del fatto che i nostri antenati dovevano sfuggire alle tigri dai denti a sciabola. C’è sotto qualcosa di molto più profondo, molto più misterioso. . . .
“Quando osserviamo l’ordine razionale e la trasparente bellezza del mondo fisico, come ce li rivelano le scienze fisiche, vediamo un mondo che reca l’impronta di una mente. Per il credente, quella che così si intravede è la mente del Creatore”. — Commonweal.
[Immagine a pagina 63]
Solo gli esseri umani formulano domande. Alcune di queste vertono sul significato della vita
[Immagine a pagina 64]
A differenza degli animali, gli esseri umani hanno consapevolezza di sé e del futuro
[Immagine a pagina 70]
Solo gli esseri umani apprezzano la bellezza, pensano al futuro e si sentono attratti da un Creatore
-
-
Cosa c’è dietro a tutto questo?Esiste un Creatore che si interessa di noi?
-
-
Capitolo cinque
Cosa c’è dietro a tutto questo?
COME abbiamo visto nei precedenti capitoli, le moderne scoperte scientifiche forniscono molte prove convincenti del fatto che sia l’universo che la vita sulla terra hanno avuto un inizio. Cosa determinò il loro inizio?
Dopo avere studiato le prove disponibili, molti sono giunti alla conclusione che ci deve essere una Causa Prima. Nondimeno, forse evitano di attribuire una personalità a questa Causa. Questa riluttanza a parlare di un Creatore rispecchia l’atteggiamento di alcuni scienziati.
Albert Einstein, ad esempio, credeva fermamente che l’universo ha avuto un inizio, e disse che avrebbe voluto “sapere come Dio creò il mondo”. Tuttavia non credeva in un Dio personale; parlò di una “religiosità cosmica che non conosce dogmi né dèi concepiti a immagine dell’uomo”.a Analogamente Kenichi Fukui, premio Nobel per la chimica, ha affermato di credere che c’è un grandioso schema nell’universo. Ha detto che “questo grandioso legame, questo schema, si può esprimere con termini come ‘Assoluto’ o ‘Dio’”. Tuttavia l’ha definito la “peculiarità della natura”.
Sapete che questa credenza in una causa impersonale è in sintonia con buona parte del pensiero religioso orientale? Molti orientali credono che la natura sia venuta all’esistenza spontaneamente. Questa idea si riflette addirittura negli ideogrammi cinesi con cui si scrive “natura”, i quali letteralmente significano “diviene da sé” o “autoesistente”. Einstein riteneva che la sua religiosità cosmica fosse ben espressa dal buddismo. Secondo il Budda non era importante che l’esistenza dell’universo e degli esseri umani fosse o no da attribuire in qualche misura a un Creatore. In maniera analoga, lo scintoismo non spiega come è venuta all’esistenza la natura, e gli scintoisti credono che gli dèi siano spiriti dei morti in grado di diventare parte della natura.
Fatto interessante, questo modo di pensare non è molto diverso da certe idee che erano in voga nell’antica Grecia. Si dice che il filosofo Epicuro (341-270 a.E.V.) ritenesse che ‘gli dèi sono troppo distanti per fare più male che bene’. Secondo lui l’uomo non era che un prodotto della natura, e probabilmente doveva la sua esistenza alla generazione spontanea della vita e alla selezione naturale delle forme più adatte. È chiaro che le idee analoghe oggi in voga non sono nulla di nuovo.
Nella Grecia degli epicurei vivevano anche gli stoici, che divinizzavano la natura. Essi supponevano che, alla morte, dagli esseri umani uscisse un’energia impersonale che veniva riassorbita in quell’oceano di energia che costituiva Dio. Secondo loro il massimo bene consisteva nel cooperare con le leggi della natura. Avete sentito anche oggi punti di vista simili?
Una discussione circa un Dio dotato di personalità
Non dovremmo scartare tutto ciò che ha a che fare con l’antica Grecia considerandolo una semplice curiosità storica. Nel contesto di queste credenze, un famoso insegnante del I secolo pronunciò uno dei discorsi più significativi della storia. Il medico e storico Luca mise per iscritto questo discorso, e noi lo troviamo nel capitolo 17 del libro di Atti degli Apostoli. Leggendolo possiamo chiarirci le idee sulla Causa Prima e sulla nostra posizione nei suoi confronti. Ma come può un discorso pronunciato 1.900 anni fa influire sulla vita di quelle persone sincere che oggi si interrogano sul significato della vita?
Quel famoso insegnante, Paolo, fu invitato a parlare davanti a un tribunale ad Atene. Lì si trovò di fronte a epicurei e stoici, che non credevano in un Dio personale. Nei suoi commenti introduttivi Paolo menzionò di aver visto nella loro città un altare con l’iscrizione “A un Dio sconosciuto” (greco: Agnòstoi Theòi). Fatto interessante, secondo alcuni il biologo Thomas H. Huxley (1825-95) si sarebbe ispirato a questa espressione quando coniò il termine “agnostico”. Huxley applicò il termine a coloro che sostengono che “la causa prima (Dio) e la natura essenziale delle cose sono sconosciute o inconoscibili”. Ma il Creatore è davvero “inconoscibile” come molti hanno sostenuto?
Francamente, applicare le parole di Paolo in questo modo non è corretto; ne travisa il senso. Paolo non stava dicendo che il Creatore era inconoscibile, ma solo che quegli ateniesi non Lo conoscevano. Lui non aveva a disposizione tutte le prove scientifiche dell’esistenza di un Creatore che abbiamo noi oggi. Nondimeno, non aveva dubbi che esiste un Progettista intelligente, dotato di personalità, le cui qualità ci dovrebbero attirare. Notate come proseguì il suo discorso:
“Quello al quale rendete santa devozione senza conoscerlo, quello io vi proclamo. L’Iddio che ha fatto il mondo e tutte le cose che sono in esso, essendo, come Questi è, Signore del cielo e della terra, non dimora in templi fatti con mani, né è servito da mani umane come se avesse bisogno di qualcosa, perché egli stesso dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa. E ha fatto da un solo uomo ogni nazione degli uomini, perché dimorino sull’intera superficie della terra”. (Atti 17:23-26) Un ragionamento interessante, non vi pare?
Sì, anziché far pensare che Dio fosse inconoscibile, Paolo stava sottolineando il fatto che le persone che avevano eretto quell’altare ad Atene, come pure molti di quelli a cui stava parlando, ancora non Lo conoscevano. Paolo poi esortò costoro — e tutti quelli che da allora hanno letto il suo discorso — a sforzarsi di conoscere il Creatore, poiché ‘non è lontano da ciascuno di noi’. (Atti 17:27) Come vedete, Paolo affermò con tatto che possiamo convincerci dell’esistenza di un Creatore di tutte le cose osservando la sua creazione. Così facendo possiamo anche notare alcune delle sue qualità.
Finora abbiamo esaminato diversi elementi che depongono a favore dell’esistenza di un Creatore. Uno è l’universo, vasto e ben organizzato, che ha chiaramente avuto un inizio. Un altro è la vita sulla terra, compreso il progetto evidente nelle cellule del nostro corpo. E un terzo è il nostro cervello, che ci permette di essere coscienti e di interessarci del futuro. Ma esaminiamo altri due esempi delle opere del Creatore che riguardano la nostra vita di ogni giorno. Nel farlo, chiediamoci: ‘Cosa mi fa capire questo della personalità di Colui che l’ha progettato e realizzato?’
Impariamo dalle Sue opere
Basta osservare la creazione per imparare molte cose circa il Creatore. Paolo, in un’altra occasione, fece un esempio al riguardo quando disse a una folla in Asia Minore: “Nelle generazioni passate [il Creatore] ha permesso a tutte le nazioni di seguire le loro vie, benché, in realtà, non si sia lasciato senza testimonianza in quanto ha fatto del bene, dandovi piogge dal cielo e stagioni fruttifere, riempiendo i vostri cuori di cibo e allegrezza”. (Atti 14:16, 17) Notate: Paolo disse che il Creatore, provvedendo cibo all’umanità, ha reso testimonianza circa la propria personalità.
Oggi in certi paesi si dà per scontata la disponibilità di cibo. Altrove molti lottano per avere di che sfamarsi. In entrambi i casi, la possibilità stessa di avere cibo nutriente dipende dalla sapienza e dalla bontà del Creatore.
Il cibo, sia per l’uomo che per gli animali, è il prodotto di cicli complessi, tra cui il ciclo dell’acqua, quello del carbonio, quello del fosforo e quello dell’azoto. Si sa che nel processo essenziale della fotosintesi le piante usano anidride carbonica e acqua come materie prime per produrre zuccheri, sfruttando l’energia della luce solare. E nel corso della fotosintesi, come sottoprodotto, le piante liberano ossigeno. Si può definirlo uno “scarto”? Non lo è certo per noi! Per noi è essenziale inspirare ossigeno e usarlo per metabolizzare (“bruciare”) gli alimenti. L’anidride carbonica così prodotta noi la espiriamo, e le piante la riciclano utilizzandola come materia prima per la fotosintesi. Probabilmente abbiamo studiato questo processo già alle elementari in una lezione di scienze, ma ciò non lo rende meno importante e meraviglioso. E questo è solo l’inizio.
Nelle nostre cellule e in quelle degli animali il fosforo svolge un ruolo essenziale nel trasportare l’energia. Da dove ci procuriamo il fosforo? Ancora una volta, dalle piante. Esse assorbono fosfati inorganici dal terreno e li trasformano in fosfati organici. Noi ci cibiamo di vegetali che contengono il fosforo in questa forma e usiamo questo elemento per le nostre attività vitali. In seguito il fosforo torna nel terreno quando l’organismo elimina i suoi “rifiuti”, che le piante possono nuovamente assimilare.
Abbiamo anche bisogno di azoto, che fa parte di ogni nostra proteina e molecola di DNA. Come ci procuriamo questo elemento così essenziale per la vita? Anche se l’azoto costituisce circa il 78 per cento dell’aria che respiriamo, né le piante né gli animali possono assorbirlo direttamente dall’aria. L’azoto atmosferico deve perciò essere convertito in altre forme prima di poter essere assimilato dalle piante e poi utilizzato dagli esseri umani e dagli animali. Come avviene tale conversione, o “fissazione”? In vari modi. Uno di questi è mediante l’azione dei fulmini.b La fissazione dell’azoto è realizzata anche da batteri che vivono in speciali noduli sulle radici delle leguminose, come piselli, soia ed erba medica. Questi batteri convertono l’azoto atmosferico in sostanze utilizzabili dalle piante. Così, quando mangiamo verdure ingeriamo azoto, di cui il nostro organismo ha bisogno per produrre proteine. Fatto straordinario, esistono specie di leguminose nelle foreste pluviali tropicali, nei deserti e persino nelle tundre. E se una zona è devastata da un incendio, di solito le prime piante a ricolonizzarla sono le leguminose.
Che meravigliosi sistemi di riciclaggio! Ciascuno di essi sfrutta gli scarti degli altri cicli. L’energia necessaria proviene principalmente dal sole: una fonte energetica pulita, illimitata e costante. Che contrasto con gli sforzi umani di riciclare le risorse! Gli stessi prodotti definiti “ecologici” non sempre contribuiscono a mantenere pulito il pianeta a motivo della complessità dei sistemi umani di riciclaggio. A questo riguardo, U.S.News & World Report indicava che i prodotti dovrebbero essere progettati in modo tale da facilitare il ricupero dei componenti preziosi attraverso il riciclaggio. Non è proprio quello che osserviamo in questi cicli naturali? E allora, cosa rivela questo circa la previdenza e la sapienza del Creatore?
Imparzialità e giustizia
Per capire meglio alcune qualità del Creatore, esaminiamo un altro sistema ancora: il nostro sistema immunitario. Anche qui entrano in gioco i batteri.
“Nonostante l’interesse dell’uomo per i batteri sia spesso legato ai loro effetti dannosi”, osserva la New Encyclopædia Britannica, “quasi tutti i batteri sono innocui per gli esseri umani, e molti in realtà sono utili”. Più che utili, sono essenziali. I batteri svolgono un ruolo determinante nel ciclo dell’azoto appena menzionato, come pure nei cicli relativi all’anidride carbonica e ad altri elementi. Inoltre, abbiamo bisogno di batteri anche nell’apparato digerente. Solo nell’ultimo tratto dell’intestino ne ospitiamo circa 400 specie, che contribuiscono a sintetizzare la vitamina K e a trattare i rifiuti. Ci sono poi i batteri che aiutano le mucche a trasformare l’erba in latte. Altri batteri sono essenziali per la fermentazione, e ci permettono quindi di ottenere formaggi, yogurt, sottaceti e crauti. Ma cosa succede se i batteri penetrano dove non dovrebbero nel nostro organismo?
In tal caso fino a duemila miliardi di globuli bianchi aggrediscono i batteri potenzialmente dannosi. Daniel E. Koshland jr., direttore della rivista Science, spiega: “Il sistema immunitario è fatto in modo da riconoscere gli invasori estranei. A tal fine genera varie specie di recettori immunologici, nell’ordine di 1011 [100 miliardi], per cui, indipendentemente dalla forma dell’invasore estraneo, ci sarà sempre qualche recettore complementare per riconoscerlo ed eliminarlo”.
Un tipo di cellule che il nostro organismo impiega per combattere gli invasori sono i macrofagi; il loro nome, che significa “grandi mangiatori”, è appropriato, perché divorano le sostanze estranee presenti nel sangue. Ad esempio, dopo aver ingerito un virus invasore, il macrofago lo riduce in pezzetti. Quindi ne mette in mostra qualche frammento di proteina. Questo frammento di proteina virale funge da segnale d’allarme per il sistema immunitario, indicando che dentro di noi circolano liberamente degli organismi estranei. Se un’altra cellula del sistema immunitario, il linfocita T helper, riconosce la proteina virale, scambia segnali chimici con il macrofago. Le sostanze chimiche che costituiscono questi segnali sono esse stesse proteine straordinarie dotate di una sbalorditiva quantità di funzioni che regolano e intensificano la risposta del sistema immunitario all’invasione. Ne risulta una lotta vigorosa contro quello specifico tipo di virus. È così che di solito riusciamo a combattere le infezioni.
In realtà questa spiegazione è molto semplificata, ma anche così si intuisce la complessità del nostro sistema immunitario. Come abbiamo ottenuto questo meccanismo così sofisticato? Non abbiamo dovuto pagare per averlo, indipendentemente dalla condizione economica o sociale della famiglia in cui siamo nati. Confrontate questo con le disparità esistenti nei servizi sanitari a cui può accedere la maggioranza delle persone. “Secondo l’OMS [Organizzazione Mondiale della Sanità], le crescenti disparità sono letteralmente una questione di vita o di morte, in quanto i poveri pagano il prezzo delle disuguaglianze sociali con la propria salute”, ha scritto Hiroshi Nakajima, direttore generale dell’OMS. Potete capire perché una donna che vive in un quartiere povero di San Paolo si è lamentata dicendo: “Per noi la buona assistenza sanitaria è come un oggetto nella vetrina di una boutique di lusso. Possiamo guardarla, ma non è alla nostra portata”. Milioni di persone, in tutto il mondo, si trovano nella stessa situazione.
Ingiustizie del genere spinsero Albert Schweitzer ad andare in Africa per curare i poveri, e i suoi sforzi gli valsero il Premio Nobel. Che qualità attribuite alle persone che hanno fatto simili opere buone? Probabilmente vi rendete conto che amano il prossimo e hanno un senso di giustizia, per cui credono fermamente che anche chi vive in un paese in via di sviluppo ha diritto all’assistenza medica. Che dire, allora, di Colui che ha provveduto il meraviglioso sistema immunitario con cui tutti nasciamo, qualunque sia la nostra condizione economica e sociale? Questa non è forse un’indicazione anche più convincente dell’amore, dell’imparzialità e del senso di giustizia del Creatore?
Conoscere il Creatore
I sistemi che abbiamo menzionato sono solo esempi elementari delle opere del Creatore, ma non rivelano forse che egli è una persona reale e intelligente, le cui qualità e i cui modi di fare ci attirano? Si potrebbero fare moltissimi altri esempi. Probabilmente, però, nella nostra vita quotidiana abbiamo riscontrato che non sempre basta osservare le cose che una persona ha fatto per conoscerla a fondo. Se non abbiamo un quadro completo di questa persona, potremmo addirittura fraintenderla! E che dire se essa fosse stata calunniata o messa in cattiva luce: non sarebbe bene incontrarla e sentire la sua versione dei fatti? Conversando con lei potremmo scoprire come reagisce in varie situazioni e che qualità dimostra.
Naturalmente, non possiamo conversare a quattr’occhi con il potente Creatore dell’universo. Tuttavia egli ha rivelato molte cose su di sé quale persona reale in un libro che è disponibile, per intero o in parte, in più di 2.000 lingue, compresa la vostra. Questo libro, la Bibbia, vi invita a conoscere il Creatore e a stringere una relazione con lui: “Accostatevi a Dio”, dice, “ed egli si accosterà a voi”. Mostra anche come si può diventare suoi amici. (Giacomo 2:23; 4:8) Vi piacerebbe saperlo?
A tal fine, vi invitiamo ad analizzare l’avvincente resoconto storico che il Creatore stesso fa delle sue attività creative.
[Note in calce]
a Idee e opinioni: Come io vedo il mondo, cit., p. 186.
b I fulmini trasformano parte dell’azoto in una forma assimilabile che cade a terra con la pioggia, costituendo un fertilizzante naturale. Dopo che gli esseri umani e gli animali si sono nutriti di vegetali e hanno utilizzato questo azoto, esso ritorna nel terreno sotto forma di composti azotati e in parte viene poi riconvertito in azoto gassoso.
[Riquadro a pagina 79]
Una conclusione ragionevole
Gli scienziati in genere concordano nel sostenere che l’universo ha avuto un inizio. Quasi tutti, inoltre, ammettono che prima di tale inizio dev’essere esistito qualcosa di reale. Alcuni scienziati parlano di un’energia eterna. Altri postulano che la condizione preesistente fosse il caos primordiale. Quali che siano i termini usati, quasi tutti presuppongono l’esistenza di un qualcosa, un qualcosa che non ha avuto un principio e che esisteva da sempre.
Perciò la questione si riduce a scegliere se presupporre un qualcosa di eterno oppure qualcuno che è eterno. Dopo aver considerato ciò che la scienza ha appreso circa l’origine e la natura dell’universo e della vita, quale delle due alternative vi sembra più ragionevole?
[Riquadro a pagina 80]
“Ciascun elemento essenziale per la vita — carbonio, azoto, zolfo — viene convertito dai batteri da un composto inorganico e gassoso in una forma che piante e animali possono utilizzare”. — The New Encyclopædia Britannica.
[Diagramma/Immagine a pagina 78]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
A quale conclusione giungete?
L’universo
↓ ↓
Non ha avuto Ha avuto un
un inizio inizio
↓ ↓
Senza una causa Ha avuto una causa
↓ ↓
La causa è La causa è
QUALCOSA di eterno QUALCUNO che è eterno
[Immagine a pagina 75]
Molti orientali credono che la natura sia venuta all’esistenza spontaneamente
[Immagine a pagina 76]
Su questo colle, con l’Acropoli sullo sfondo, Paolo parlò di Dio in un discorso che fa riflettere
[Immagine a pagina 83]
Dio ha dotato ciascuno di noi di un sistema immunitario che è più sofisticato di qualsiasi cosa la medicina moderna possa offrire
-