-
Sostenuta la libertà di sceltaLa Torre di Guardia 1998 | 15 dicembre
-
-
Sostenuta la libertà di scelta
IL PRINCIPALE sostenitore della libertà di scelta è il più illustre Personaggio dell’universo, il Creatore. Conoscendo perfettamente i bisogni dell’uomo, provvede generosamente istruzione, avvertimenti e guida circa la condotta saggia da seguire. Tuttavia ha dotato le sue creature intelligenti del libero arbitrio e lo rispetta. Il profeta Mosè espresse il punto di vista di Dio dicendo: “Ti ho messo davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; e devi scegliere la vita per continuare a vivere, tu e la tua progenie”. — Deuteronomio 30:19.
Questo principio vale anche nel campo della medicina. La libertà di scelta, il cosiddetto consenso informato, si va affermando anche in Giappone e in altri paesi dove un tempo non veniva molto recepito. Il dott. Michitaro Nakamura lo definisce così: “Si parla di consenso informato quando il medico spiega al paziente in termini facilmente comprensibili la diagnosi, la prognosi, il metodo di cura e i possibili effetti collaterali, rispettando il diritto del paziente di decidere da sé a quale trattamento intende sottoporsi”. — Nihon Ijishinpo (Rivista medica giapponese).
Per anni i medici giapponesi hanno sostenuto vari argomenti contrari a questo tipo di rapporto col paziente e in genere i tribunali hanno avallato l’opinione dei medici. Perciò si è raggiunta una pietra miliare quando, il 9 febbraio 1998, Takeo Inaba, presidente dell’Alta Corte di Tokyo, ha emanato una sentenza favorevole al consenso informato. Di che sentenza si tratta e da quale episodio traeva spunto?
Nel luglio 1992 una donna di 63 anni, Misae Takeda, testimone di Geova, aveva contattato un ospedale, l’Istituto di Medicina dell’Università di Tokyo. Le era stato diagnosticato un tumore maligno al fegato e aveva bisogno di un intervento chirurgico. Decisa a ubbidire al comando biblico di astenersi dal sangue, disse chiaramente ai medici che era disposta ad accettare esclusivamente trattamenti sanitari che non facessero uso di sangue. (Genesi 9:3, 4; Atti 15:29) I medici accettarono una dichiarazione liberatoria che esonerava per iscritto sia loro che l’ospedale da qualunque responsabilità derivante dalla decisione della paziente. Le assicurarono che avrebbero rispettato la sua volontà.
Tuttavia, dopo l’intervento, mentre Misae era ancora sotto l’effetto dell’anestesia, le fu somministrata una trasfusione di sangue, in aperta violazione della sua volontà chiaramente espressa. I tentativi di tenere nascosta la cosa fallirono quando un dipendente dell’ospedale, a quel che risulta, riportò il fatto a un giornalista. Comprensibilmente, quella devota cristiana rimase sconvolta quando seppe della trasfusione non autorizzata. Si era fidata dei medici, certa che avrebbero mantenuto la parola e rispettato le sue convinzioni religiose. Per il trauma emotivo procuratole da quella grave violazione del rapporto di fiducia fra medico e paziente e nella speranza di stabilire un precedente che risparmiasse ad altri l’onta di un simile abuso da parte dei medici, decise di adire le vie legali.
Ordine pubblico ed etica
La causa si svolse davanti a tre giudici della Corte Distrettuale di Tokyo, che diedero ragione ai medici non riconoscendo così il diritto al consenso informato. Nella sentenza, datata 12 marzo 1997, sostennero che qualsiasi accordo prevedesse il divieto assoluto di fare uso di sangue era nullo. A loro avviso il medico che avesse accettato di non somministrare sangue nemmeno in caso di emergenza avrebbe violato il kojo ryozoku,a le consuetudini sociali. Il dovere principale del medico, sostennero, era quello di fare tutto il possibile per salvare la vita, e pertanto un accordo del genere sarebbe stato nullo in partenza, quali che fossero le convinzioni religiose del paziente. Sentenziarono che, in ultima analisi, l’opinione professionale del medico doveva avere la precedenza su qualunque richiesta di carattere sanitario del paziente.
Per di più i giudici affermarono che per le stesse ragioni il medico, pur dovendo spiegare a grandi linee la procedura, gli effetti e i pericoli dell’intervento proposto, “poteva tacere sulla sua intenzione di somministrare o no il sangue”. Dichiararono: “Non si ravvisa alcun reato o scorrettezza nel fatto che gli imputati — i medici — avessero compreso che la querelante rifiutava in qualunque caso le emotrasfusioni e le avessero fatto credere che avrebbero rispettato i suoi desideri, inducendola così ad accettare di sottoporsi all’intervento”. Il ragionamento era che se i medici avessero agito diversamente, la paziente avrebbe potuto rifiutare di sottoporsi all’intervento e lasciare l’ospedale.
La sentenza lasciò scioccati e indignati i sostenitori del consenso informato. Commentando la sentenza sul caso Takeda e le possibili ripercussioni sul principio del consenso informato in Giappone, il prof. Takao Yamada, eminente civilista, scrisse: “Se tale opinione dovesse prendere piede, il rifiuto delle emotrasfusioni e il principio giuridico del consenso informato diverrebbero come la fiammella tremolante di una candela al vento”. (Rivista giuridica Hogaku Kyoshitsu) Ebbe dure parole di condanna per la trasfusione coatta, che definì “una grave violazione del rapporto di fiducia, un’azione proditoria”. Il professor Yamada aggiunse che “non si doveva permettere per nessun motivo” un simile raggiro.
Fu molto difficile per Misae, che aveva un carattere schivo, trovarsi improvvisamente al centro dell’attenzione. Ma comprendendo che poteva fare qualcosa per difendere il nome di Geova e le sue giuste norme sulla santità del sangue era decisa a fare la sua parte. Scrisse al suo avvocato: “Io sono solo polvere, anzi, ancor meno. Mi domando cosa possa fare una persona incompetente come me. Ma so che se mi sforzo di fare ciò che dice Geova, Colui che può far gridare perfino le pietre, egli mi darà la forza”. (Matteo 10:18; Luca 19:40) Chiamata a deporre durante quel processo, descrisse con voce tremante il trauma emotivo che aveva subìto a causa di quell’inganno. “Mi sono sentita come se fossi stata violentata”. Pochi dei presenti in aula quel giorno riuscirono a trattenere le lacrime ascoltando la sua deposizione.
Incoraggiamento a sorpresa
Contro la sentenza della Corte Distrettuale fu presentato immediatamente appello all’Alta Corte. Il dibattimento presso la corte d’appello iniziò nel luglio del 1997, alla presenza di un’ormai esangue, ma pur sempre determinata, Misae su una sedia a rotelle. Il cancro era ricomparso e lei era sempre più debole. Misae si sentì molto incoraggiata quando il presidente, a sorpresa, fece capire come la pensava la corte. Spiegò che la corte d’appello non era d’accordo con l’opinione della corte inferiore secondo cui il medico aveva il diritto di ignorare la volontà del paziente, facendogli credere di rispettarla ma avendo deciso in cuor suo di agire diversamente. Il presidente disse che la corte non avrebbe avallato l’etica paternalistica del “Shirashimu bekarazu, yorashimu beshi”,b che vuol dire: “Mantienili ignoranti e sottomessi”, in campo sanitario. Misae in seguito disse: “Sono molto felice per ciò che ha detto il giudice, un commento obiettivo, del tutto diverso dalla precedente sentenza della Corte Distrettuale”. E aggiunse: “Questo è ciò per cui ho pregato Geova”.
Il mese seguente Misae morì, circondata dall’affetto della famiglia e dalle cure del personale medico di un altro ospedale che comprendeva e rispettava le sue sincere convinzioni. Pur essendo molto addolorato per la morte della madre, suo figlio Masami e altri familiari decisero di portare avanti la causa, in armonia con la volontà di lei.
La sentenza
Finalmente, il 9 febbraio 1998, i tre giudici dell’Alta Corte emisero la sentenza con cui annullavano la decisione della corte inferiore. La piccola aula giudiziaria era piena di cronisti, docenti e altri che avevano seguito appassionatamente il processo. I giornali principali e le emittenti televisive fecero pubblicità alla sentenza. Alcuni giornali titolarono: “I pazienti possono rifiutare un trattamento, dice la corte”; “Alta Corte: La trasfusione viola i diritti”; “Medico somministra trasfusione contro la volontà del paziente: condannato”; “Testimone di Geova risarcita per una trasfusione”.
Gli articoli sulla sentenza erano accurati e più che favorevoli. Il Daily Yomiuri riferiva: “Il giudice Takeo Inaba ha detto che i medici non avevano il diritto di praticare un trattamento che il paziente aveva rifiutato”. Il giornale diceva anche chiaro e tondo: “I medici che l’hanno trasfusa l’hanno privata del diritto di scegliere il trattamento sanitario”.
L’Asahi Shimbun indicava che, sebbene in questo caso la corte avesse ritenuto insufficienti le prove che fra le parti esistesse l’accordo di non somministrare sangue neanche in caso di pericolo di vita, i giudici dissentivano dall’opinione della corte inferiore secondo cui un accordo del genere non poteva essere valido: “Se le parti sono giunte, a ragion veduta, all’accordo di non somministrare in nessun caso una trasfusione di sangue, questa Corte non lo ritiene contrario all’ordine pubblico e di conseguenza nullo”. Il giornale menzionava pure l’opinione dei giudici secondo cui “ogni essere umano prima o poi deve morire, e ciascun individuo può decidere in che modo arrivare a quel momento”.
I testimoni di Geova hanno approfondito l’argomento e sono convinti di aver scelto il miglior modo di vivere. Questo include il non correre i ben noti rischi delle emotrasfusioni e l’accettare invece trattamenti sanitari che non prevedono l’uso del sangue, i quali vengono impiegati in numerosi paesi e non sono in contrasto con la legge di Dio. (Atti 21:25) Un noto docente giapponese di diritto costituzionale ha detto: “Il rifiuto delle [emotrasfusioni] non è una questione di scegliere ‘come morire’, ma di come vivere”.
La sentenza dell’Alta Corte dovrebbe ricordare ai medici che il loro potere discrezionale non è così ampio come alcuni pensavano. E dovrebbe spingere molti più ospedali a dotarsi di un codice etico. Benché questa sentenza sia stata generalmente accettata e abbia incoraggiato i pazienti, che purtroppo hanno poca voce in capitolo nella scelta delle cure, non tutti l’hanno accolta a braccia aperte. L’ospedale, gestito dallo Stato, e i tre sanitari hanno fatto appello alla Corte Suprema. Bisognerà quindi attendere per vedere se anche la più alta corte giapponese sosterrà la libertà di scelta del paziente, come la riconosce il Sovrano dell’universo.
[Note in calce]
a Un concetto giuridicamente vago la cui interpretazione e applicazione è lasciata al magistrato.
b Era il motto che riassumeva il criterio con cui i signori feudali dello shogunato dei Tokugawa governavano i loro sudditi.
-
-
Nuova datazione di un manoscritto biblicoLa Torre di Guardia 1998 | 15 dicembre
-
-
Nuova datazione di un manoscritto biblico
Secondo Carsten Peter Thiede, papirologo tedesco, ci sono validi motivi per ritenere che tre frammenti papiracei del Vangelo di Matteo (noti col nome di Papiro Magdalen) siano stati scritti nel I secolo.
Dopo aver confrontato i frammenti (contenenti parti del capitolo 26 di Matteo) con un’antica lettera commerciale rinvenuta in Egitto, Thiede ha rilevato che il documento egiziano “somiglia come una goccia d’acqua al Papiro Magdalen” nell’aspetto generale, nello stile e nella forma delle singole lettere. Nel loro libro Testimone oculare di Gesù — La nuova sconvolgente prova sull’origine del Vangelo,a Thiede e il coautore Matthew d’Ancona concludono che le affinità fra i due testi indicano che furono scritti più o meno nello stesso periodo. Quando? Sul documento commerciale si legge la data: “‘Nel dodicesimo anno del Signore Nerone, il 30 del mese di Epeiph’, che corrisponde, nel nostro calendario, al 24 luglio del 66 d.C. [E.V.]”.
“Questa datazione, se esatta, è estremamente significativa”, osserva il prof. Philip W. Comfort in un articolo pubblicato sul Tyndale Bulletin, “perché colloca un manoscritto del Vangelo di Matteo nello stesso secolo in cui fu scritto”. Se così fosse, quelli del Papiro Magdalen sarebbero anche i più antichi frammenti del Vangelo esistenti.
-