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    Perspicacia nello studio delle Scritture, volume 1
    • Palestina e Siria. In queste regioni si sono compiuti scavi in circa 600 località databili. Molti dei dati ottenuti sono generici e sostengono la Bibbia nel suo complesso più che riferirsi specificamente a determinati particolari o avvenimenti. Per esempio, in passato si era cercato di screditare la storia biblica della completa desolazione di Giuda durante la cattività babilonese. Ma gli scavi nell’insieme confermano la Bibbia. Infatti W. F. Albright dichiara: “Non si conosce un solo caso in cui una città di Giuda sia stata occupata in continuità durante il periodo dell’esilio. Quasi a rendere più chiaro il contrasto, Bethel, che sorge subito fuori di quello che era il confine settentrionale di Giuda all’epoca pre-esilica, non venne distrutta nel periodo di tempo che consideriamo, ma venne ininterrottamente occupata fin verso gli ultimi anni del VI secolo”. — L’archeologia in Palestina, trad. di M. Bizzarri, Firenze, 1958, p. 181.

      A Bet-San (Bet-Sean), antica città fortificata che difendeva l’entrata della valle di Izreel da E, furono compiuti importanti scavi che portarono alla luce 18 diversi livelli di occupazione e richiesero di scendere a una profondità di oltre 21 m. (STRATIGRAFIA, vol. 1, p. 959) Le Scritture mostrano che Bet-San non era fra le città occupate in origine dagli israeliti e che al tempo di Saul era abitata dai filistei. (Gsè 17:11; Gdc 1:27; 1Sa 31:8-12) Gli scavi confermano queste informazioni e fanno risalire la distruzione di Bet-San a qualche tempo dopo che i filistei avevano catturato l’arca del patto. (1Sa 4:1-11) Di particolare interesse è stata la scoperta di templi cananei a Bet-San. In 1 Samuele 31:10 si legge che i filistei misero l’armatura del re Saul “nella casa delle immagini di Astoret, e fissarono il suo cadavere alle mura di Bet-San”, mentre in 1 Cronache 10:10 si legge: “Misero la sua armatura nella casa del loro dio, e il suo teschio lo fissarono alla casa di Dagon”. Due dei templi scoperti erano dello stesso periodo e uno risulta essere stato il tempio di Astoret, mentre l’altro si ritiene fosse quello di Dagon, in armonia con i versetti citati sopra in quanto all’esistenza di due templi a Bet-San.

      Ezion-Gheber era la città portuale di Salomone sul golfo di ʽAqaba. Forse corrisponde all’attuale Tell el-Kheleifeh dove nel 1937-1940 si effettuarono scavi che hanno rivelato tracce di un impianto per la fusione del rame; infatti scorie di rame e frammenti di minerale sono stati ritrovati in un tell della zona. Tuttavia in un articolo apparso su The Biblical Archaeologist (1965, p. 73), l’archeologo Nelson Glueck ha completamente ridimensionato le sue precedenti conclusioni. La sua idea che ci fosse stato un sistema di “altiforni” per la fusione si basava sulla scoperta, nell’edificio principale, di quelli che vennero ritenuti “camini”. Egli è poi giunto alla conclusione che quei fori nelle pareti dell’edificio siano il risultato del “crollo e/o incendio delle travi di legno poste trasversalmente per tutta l’ampiezza delle pareti come rinforzo e sostegno”. L’edificio precedentemente ritenuto una fonderia ora si pensa che fosse un magazzino di granaglie. Pur ritenendo ancora che vi si svolgessero attività metallurgiche, queste non sono più viste nelle proporzioni immaginate in precedenza. Ciò sottolinea il fatto che i dati archeologici dipendono principalmente dall’interpretazione soggettiva dell’archeologo, interpretazione che non è mai infallibile. La Bibbia stessa non parla di industrie del rame a Ezion-Gheber, mentre descrive la fusione di oggetti di rame solo in una località della valle del Giordano. — 1Re 7:45, 46.

      All’epoca di Giosuè Hazor in Galilea fu descritta come “il capo di tutti questi regni”. (Gsè 11:10) Gli scavi effettuati hanno mostrato che la città un tempo aveva un’estensione di circa 60 ettari ed era molto popolata, cosa che la rendeva una delle principali città della regione. Salomone fortificò la città, e da testimonianze dell’epoca pare vi si tenessero i carri da guerra. — 1Re 9:15, 19.

      A Gerico si sono compiuti scavi nel corso di tre diverse spedizioni (1907-1909; 1930-1936; 1952-1958) e le successive interpretazioni dei reperti dimostrano ancora una volta che l’archeologia, come altri campi della scienza umana, non fornisce informazioni definitive. Ognuna delle tre spedizioni ha pubblicato dei dati arrivando però a conclusioni diverse circa la storia della città e in particolare circa la data della sua resa agli israeliti vincitori. Ad ogni modo si può dire che una comparazione dei risultati presenta il seguente quadro generale: “Durante il secondo millennio a.C., la città subì una terribile distruzione o una serie di distruzioni, e rimase praticamente disabitata per generazioni”. (G. E. Wright, Biblical Archaeology, 1962, p. 78) La distruzione fu accompagnata da un violento incendio, come risulta dagli scavi. — Cfr. Gsè 6:20-26.

      A Gerusalemme nel 1867 è stata scoperta un’antica galleria per l’acqua, che dalla sorgente di Ghihon risale la collina retrostante. (Vedi GHIHON n. 2). Questo può spiegare quanto riferito in 2 Samuele 5:6-10 circa la conquista della città da parte di Davide. Nel 1909-1911 fu sgombrato l’intero sistema di gallerie collegato con la sorgente di Ghihon. Una galleria, nota come tunnel di Siloam, era alta in media 1,8 m e consisteva in un traforo scavato nella roccia per 533 m, da Ghihon fino alla Piscina di Siloam nella valle del Tiropeon (all’interno della città). Questa sarebbe dunque l’impresa del re Ezechia menzionata in 2 Re 20:20 e 2 Cronache 32:30. Di grande interesse è l’iscrizione in caratteri paleoebraici rinvenuta sulla parete del tunnel, che descrive come era avvenuto il traforo e la sua lunghezza. Questa iscrizione serve per datare altre iscrizioni ebraiche.

      Lachis, 44 km a OSO di Gerusalemme, era un’importante fortezza che difendeva la regione collinare della Giudea. In Geremia 34:7 il profeta parla degli eserciti di Nabucodonosor che combattevano contro “Gerusalemme e contro tutte le città di Giuda che erano state lasciate rimanere, contro Lachis e contro Azeca; poiché esse, le città fortificate, erano quelle che rimanevano fra le città di Giuda”. Gli scavi compiuti sul posto hanno rivelato che Lachis venne distrutta due volte dal fuoco nel giro di pochi anni, si ritiene nei due attacchi effettuati dai babilonesi (618-617 e 609-607 a.E.V.), e che dopo rimase disabitata per un lungo periodo.

      Tra i resti del secondo incendio furono rinvenuti 21 ostraca (frammenti di terracotta con iscrizioni), che si ritiene rappresentino corrispondenza tenuta poco prima della distruzione della città nel corso dell’attacco finale di Nabucodonosor. Noti come Lettere di Lachis, questi scritti rispecchiano un periodo di crisi e inquietudine e sembrano inviati dagli ultimi avamposti di Giuda a Iaos, un comandante militare di stanza a Lachis. (ILLUSTRAZIONE, vol. 1, p. 325) La Lettera IV contiene la dichiarazione: “Faccia Yahweh udire oggi stesso al mio signore notizie di bene! . . . Stiamo attenti ai segnali di Lachis, secondo tutte le indicazioni che ha dato il mio signore, perché non possiamo vedere Azeca”. (Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, p. 322) Questo rispecchia in modo eccezionale la situazione descritta in Geremia 34:7, citato sopra, e indica che Azeca era già caduta o per lo meno non inviava gli attesi segnali mediante fuoco o fumo.

      La Lettera III, scritta da un certo Osaia, include quanto segue: “Faccia Yahweh udire al mio signore notizie di pace! . . . Così è stato comunicato al tuo servitore: ‘Il comandante dell’esercito, Conia figlio di Elnatan, è sceso per andare in Egitto; e a Odavia figlio di Ahia e ai suoi uomini ha mandato una richiesta per ottenere [rifornimenti] da lui’”. (Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, p. 322) Questo brano potrebbe benissimo descrivere il fatto che Giuda si rivolse all’Egitto per avere aiuto, fatto condannato dai profeti. (Ger 46:25, 26; Ez 17:15, 16) I nomi Elnatan e Osaia, che compaiono nel testo completo di questa lettera, si trovano anche in Geremia 36:12 e 42:1. Altri nomi che compaiono nelle lettere menzionati anche in Geremia sono: Ghemaria (36:10), Neria (32:12) e Iaazania (35:3). Non si può dire se si riferiscano o meno allo stesso personaggio, ma la coincidenza è degna di nota, dato che Geremia visse in quel periodo.

      Particolarmente interessante è l’uso frequente del Tetragramma in queste lettere: una chiara indicazione che in quel tempo gli ebrei non erano riluttanti a usare il nome divino. Pure interessante è l’impronta di un sigillo su argilla che si riferisce a “Ghedalia che è capo della casa”. Ghedalia era il nome del governatore di Giuda nominato da Nabucodonosor dopo la caduta di Gerusalemme e molti ritengono probabile che l’impronta del sigillo si riferisca a lui. — 2Re 25:22; cfr. Isa 22:15; 36:3.

      Meghiddo era una cittadella situata in un punto strategico che dominava un importante passo della valle di Izreel. Fu ricostruita da Salomone ed è menzionata insieme alle città del suo regno in cui erano sistemati i magazzini e i carri da guerra. (1Re 9:15-19) Gli scavi compiuti sul posto (Tell el-Mutesellim), una collinetta di 5,3 ettari, portarono alla luce quelle che alcuni studiosi (ma non tutti) ritengono scuderie capaci di accogliere 450 cavalli. In un primo tempo queste strutture venivano fatte risalire all’epoca di Salomone, ma poi gli studiosi le hanno attribuite a un periodo successivo, forse al tempo di Acab.

      La Stele moabita fu una delle prime scoperte importanti fatte nella zona a E del Giordano. (ILLUSTRAZIONE, vol. 1, p. 325) Scoperta nel 1868 a Dhiban, a N della valle dell’Arnon, presenta la versione del re moabita Mesa della sua ribellione contro Israele. (Cfr. 2Re 1:1; 3:4, 5). L’iscrizione dice in parte: “Io (sono) Mesa, figlio di Chemos-[. . .], re di Moab, il dibonita . . . Omri, re d’Israele, umiliò Moab per molti anni (lett. giorni), poiché Chemos [il dio di Moab] era adirato contro il suo paese. E suo figlio lo seguì e anche lui disse: ‘Umilierò Moab’. Ai miei giorni parlò [così], ma io ho trionfato su di lui e sulla sua casa, e Israele è perito per sempre! . . . E Chemos mi disse: ‘Va’, porta via Nebo da Israele!’ Così andai di notte e combattei contro di essa dall’alba fino a mezzogiorno, e la presi e uccisi tutti . . . E portai via di là i [vasi] di Yahweh, e li trascinai davanti a Chemos”. (Ancient Near Eastern Texts, a cura di J. B. Pritchard, 1974, p. 320) Quindi la stele non solo menziona il nome di Omri re d’Israele ma, nella 18ª riga, contiene anche il nome di Dio sotto forma del Tetragramma.

      La Stele moabita menziona anche numerose località di cui si parla nella Bibbia: Atarot e Nebo (Nu 32:34, 38); l’Arnon, Aroer, Medeba e Dibon (Gsè 13:9); Bamot-Baal, Bet-Baal-Meon, Iaaz e Chiriataim (Gsè 13:17-19); Bezer (Gsè 20:8); Oronaim (Isa 15:5); Bet-Diblataim e Cheriot (Ger 48:22, 24). Quindi conferma la storicità di tutti questi luoghi.

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    • Samaria, la ben fortificata capitale del regno settentrionale d’Israele, era costruita su un colle che si elevava di circa 90 m sul fondovalle. La sua capacità di resistere a lunghi assedi, come quello descritto in 2 Re 6:24-30 posto dalla Siria, e quello di 2 Re 17:5 da parte del potente esercito assiro, è dimostrata dai resti di solide doppie mura, che in alcuni punti formavano un baluardo largo 10 m. Il muro di pietra scoperto sul posto, ritenuto dell’epoca dei re Omri, Acab e Ieu, è di eccezionale fattura. Quello che sembra il piazzale del palazzo misura circa 180 m per 90. Frammenti, placche e pannelli d’avorio scoperti in gran quantità nell’area del palazzo potevano appartenere alla casa d’avorio di Acab menzionata in 1 Re 22:39. (Cfr. Am 6:4). Sulla sommità, nell’angolo nordoccidentale, è stata scoperta una grande piscina cementata lunga circa 10 m e larga 5. Potrebbe trattarsi della “piscina di Samaria”, in cui fu lavato il carro di Acab sporco del suo sangue. — 1Re 22:38.

      Interessanti sono pure 63 cocci con iscrizioni a inchiostro (ostraca) che si pensa risalgano all’VIII secolo a.E.V. Ricevute della spedizione di vino e olio inviati a Samaria da altre città rivelano un sistema israelita di scrivere i numeri con tratti verticali, orizzontali e obliqui. Una ricevuta tipo dice quanto segue:

      Nel decimo anno.

      A Gaddiyau [probabilmente l’amministratore del tesoro].

      Da Aza [forse il villaggio o distretto che inviava il vino o l’olio].

      Abi-baʽal 2

      Acaz 2

      Seba 1

      Meribaʽal 1

      Queste ricevute rivelano inoltre il frequente uso del nome Baal come parte dei nomi propri; circa 7 nomi propri includono questo nome ogni 11 che contengono qualche forma del nome Geova, probabilmente a indicare l’infiltrazione del culto di Baal descritta nella Bibbia.

      La Bibbia parla della distruzione di Sodoma e Gomorra mediante il fuoco e dell’esistenza di pozzi di bitume (asfalto) nella regione. (Ge 14:3, 10; 19:12-28) Molti studiosi ritengono che le acque del Mar Morto siano salite nel passato estendendone notevolmente l’estremità S e coprendo così quella che poteva essere la zona in cui sorgevano le due città. Le esplorazioni rivelano che è una regione arsa ricca di idrocarburi. Il libro di Jack Finegan, Luci del lontano passato (trad. di G. Cambon, Milano, 1957, pp. 125, 126), afferma: “Un attento esame dei dati letterari, geologici e archeologici ci fa concludere che le empie ‘città della Pianura’ (Genesi 19:29) sorgessero nella zona ora sommersa . . . e che la loro rovina fosse compiuta da un grande terremoto, probabilmente accompagnato da esplosioni, fulmini, incendio di gas naturali e conflagrazione generale”. — Vedi anche SODOMA.

      L’archeologia e le Scritture Greche Cristiane. Che Gesù si sia servito di un denaro con l’effigie di Tiberio Cesare (Mr 12:15-17) è confermato dalla scoperta di un denaro d’argento con l’effigie di Tiberio, posto in circolazione verso il 15 E.V. (ILLUSTRAZIONE, vol. 2, p. 544) (Cfr. Lu 3:1, 2). Il fatto che Ponzio Pilato fosse allora procuratore romano della Giudea è pure dimostrato da una lapide scoperta a Cesarea in cui compaiono i nomi latini Pontius Pilatus e Tiberieum. — Vedi PILATO; ILLUSTRAZIONE, vol. 2, p. 741.

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