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Serviamo unitamente come associazione di fratelliLa Torre di Guardia 1976 | 15 maggio
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alte, piegatevi invece a quelle umili [frequentate i modesti, New American Standard Bible; siate attirati dalle cose modeste, NM]. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi [non vi stimate savi da voi stessi, Con]”. — Rom. 12:2, 3, 10, 16, Ge.
14. (a) A motivo di quali fattori era importantissimo che gli apostoli imparassero bene la lezione che Gesù insegnava loro? (b) Il requisito di non essere “caparbio” che relazione ha con l’unità fra gli anziani?
14 Poiché gli apostoli di Gesù, come corpo, dovevano servire da fondamento della congregazione cristiana quando fosse stata stabilita, era di somma importanza che imparassero bene la lezione che egli insegnava loro. (Efes. 2:19, 20) Solo se eliminavano le idee di superiorità di grado fra loro potevano operare come un corpo unito, senza contese e rivalità. (Si paragonino Romani 12:4-8, 10; 1 Corinti 12:4-7, 12-25, 31; 13:1-3). Per tale ragione un requisito che deve soddisfare chi serve in un corpo di anziani di una congregazione è che non sia “caparbio”. (Tito 1:7) Il termine greco usato lì significa, letteralmente, “che piace a se stesso” (“presuntuoso”, Moffatt; “arrogante”, Ge; Con; “autoritario”, NE; “aggressivo”, Phillips) Il requisito indicato dall’apostolo, perciò, richiede che l’anziano non sia “indipendente” o “sicuro di sé” per il fatto che ha un’altissima opinione delle proprie capacità e del proprio giudizio. Chi è caparbio avrebbe difficoltà a lavorare armoniosamente e umilmente con altri come un corpo. E procurerebbe difficoltà agli altri membri di quel corpo.
15. In che modo le parole ispirate di Giacomo 3:13 aiuteranno gli anziani a evitare sentimenti di superiorità e sicurezza di sé?
15 Se un anziano comincia a pensare d’essere superiore in sapienza agli altri anziani, fa bene a meditare su ciò che scrisse il discepolo Giacomo in Giacomo 3:13: “Chi è saggio e ha intendimento fra voi? Mostri dall’eccellente condotta le sue opere con la mansuetudine [modestia, NE; umiltà, AT] che appartiene alla sapienza”. Sì, chi è veramente saggio sa che — per quanta esperienza e conoscenza abbia — sa ancora pochissimo e ha ancora moltissimo da imparare. Sa pure che — per quanto sappia — non c’è nessuno da cui non possa imparare qualcosa, chiunque sia o per quanto umile sia la sua posizione. Egli li tratta tutti con il dovuto rispetto.
NON DEV’ESSERCI NESSUNA SEPARAZIONE A CAUSA DEI TITOLI DI SUPERIORITÀ
16. Che cosa significa il titolo “rabbi”, e perché non si doveva usare per nessun discepolo di Gesù?
16 Solo tre giorni prima di morire, Gesù aveva avvertito i suoi discepoli di non imitare gli scribi e i Farisei che amavano la preminenza. Spesso le persone chiamavano questi uomini “rabbi”, parola che, letteralmente, significa, “grande”. Era “un termine usato per chi occupa una posizione alta e rispettata. . . . Colui che è chiamato rabbi è perciò riconosciuto di grado superiore a quello dell’interlocutore”. (Theological Dictionary of the New Testament, Vol. VI, pagina 961) Ma Gesù disse ai discepoli: “Quanto a voi, non vogliate essere chiamati rabbi; perché uno solo è il vostro Maestro, e tutti voi siete fratelli. . . . Né vi fate chiamare maestri, perché uno solo è vostro maestro, Cristo. Il più grande tra voi sia vostro servitore [ministro, NM]”. (Matt. 23:6-12, versione a cura del Pontificio Istituto Biblico) Gesù si fece appropriatamente chiamare “rabbi”. — Giov. 1:38, 49; 20:16; Matt. 26:49; Mar. 9:5.
17. (a) A che cosa danno importanza i termini scritturali usati per quelli a cui sono affidate responsabilità nella congregazione? (b) In che senso questo vale anche per il termine “apostolo”, e perché quelli che erano così chiamati non avevano nessuna ragione di sentirsi superiori ai loro fratelli?
17 È degno di nota che, in tutti i termini con cui vengono chiamati gli incarichi in seno alla congregazione cristiana dopo la sua fondazione alla Pentecoste — termini come “pastore”, “maestro”, “evangelizzatore” e “profeta” (letteralmente, uno che parla [Atti 15:32]) — si dà maggiore importanza allo scopo per cui Cristo diede questi “doni negli uomini”, cioè l’edificazione e l’unificazione della congregazione, che non alla posizione ufficiale di questi “doni” umani. (Efes. 4:12-16) Anche la parola “apostolo” significa solo “mandato”, cioè qualcuno mandato come rappresentante in una missione di servizio. Anche se si riferiva specialmente ai dodici apostoli nominati direttamente dal Figlio di Dio, questo termine fu usato anche per altri uomini mandati in missioni di servizio, talora dalle congregazioni. (Si paragonino Atti 13:1-4; 14:14; 2 Corinti 8:23). Il termine “apostolo” dava quindi importanza al loro incarico di servizio anziché alla posizione o al grado. È vero che faceva pensare alla fiducia riposta in loro. Ma non innalzava quelli che erano “mandati” al di sopra di quelli che essi avrebbero servito, così come il fatto che un signore mandava il suo servitore a consegnare a un’altra persona un importante messaggio non rendeva il servitore superiore a chi lo riceveva. Tuttavia, chi riceveva il messaggio era in debito verso chi l’aveva consegnato. E quelli che erano mandati avevano una responsabilità verso quelli che li mandavano, sia che si trattasse del corpo degli anziani a Gerusalemme o di quello di qualsiasi altra congregazione. Essi facevano un umile rapporto sull’opera compiuta. (Si paragonino Giovanni 13:16; Efesini 6:21, 22; Colossesi 1:7; 4:7-9). Quelli “mandati” temporaneamente non furono certo “apostoli” per tutta la vita come lo furono i dodici apostoli di Cristo e Paolo. — Riv. 21:14; Efes. 2:20, 21.
“DONI NEGLI UOMINI”
18. Quali doni diede il glorificato Cristo Gesù alla congregazione cristiana, e a quale scopo?
18 Tutti questi uomini, qualunque servizio rendessero, furono dati alla congregazione cristiana come “doni negli uomini” da Cristo Gesù dopo che era asceso alla presenza del Padre suo. (Efes. 4:8) Efesini 4:11-13 indica lo scopo di tutto questo, dicendo: “Ed egli diede alcuni come apostoli, alcuni come profeti, alcuni come evangelizzatori, alcuni come pastori e maestri, in vista dell’addestramento dei santi, per l’opera di ministero [per preparare il popolo di Dio all’opera nel suo servizio, NE] per l’edificazione del corpo del Cristo, finché perveniamo tutti all’unità della fede e dell’accurata conoscenza del Figlio di Dio, all’uomo fatto, alla misura della crescita che appartiene alla pienezza del Cristo”.
19, 20. (a) In che modo gli uomini dati così in ‘dono’ dovevano operare per il conseguimento della meta desiderata? (b) In che modo l’apostolo Paolo fa capire il giusto atteggiamento che tutti questi devono avere?
19 Il servizio reso unitamente a Dio e a suo Figlio, da quelli che prestano servizio come “doni” e da tutti gli altri discepoli, doveva essere la meta di tutti questi “doni negli uomini”. Avrebbero conseguito questa meta non ‘facendo sentire la loro importanza’, con modi arroganti o con la coercizione, ma dando l’esempio con un servizio umile, prodigandosi per il bene di tutti. Pertanto, anziché dire in effetti: “‘Io appartengo a Paolo’, ‘ma io ad Apollo’, ‘ma io a Cefa’, ‘ma io a Cristo’”, come dicevano alcuni della congregazione di Corinto, il giusto atteggiamento da assumere fu messo in evidenza dall’apostolo Paolo quando disse a quei fratelli: “Tutte le cose appartengono a voi, sia Paolo sia Apollo sia Cefa sia il mondo sia la vita sia la morte sia le cose presenti sia le cose avvenire, tutte appartengono a voi; a vostra volta voi appartenete a Cristo; Cristo, a sua volta, appartiene a Dio”. — 1 Cor. 1:12; 3:21-23.
20 Sì, nonostante lo splendido servizio che compì, Paolo ricordava d’essere anch’egli uno dei “doni negli uomini” e di ‘appartenere’, in effetti, alla congregazione; non era la congregazione ad appartenere a lui. (Si paragoni 2 Corinti 1:24). Certo il servitore di Dio che ha questa opinione di sé non si permette di agire da “padrone” verso i suoi fratelli, qualunque servizio compia.
ESSERE COME “IL PIÙ GIOVANE”
21. (a) Quando e perché Gesù ritenne necessario ancora una volta dare consigli ai suoi discepoli sul bisogno di avere umiltà? (b) Quali altri punti menzionò in questa occasione?
21 Il desiderio di superiorità è fortemente radicato nell’uomo come indica il fatto che, l’ultima sera della sua vita terrena, Gesù ritenne necessario riaffermare questi princìpi con i suoi apostoli. Proprio quella sera questi uomini ebbero di nuovo un’accesa controversia su chi di essi “sembrava essere il maggiore”. Ripetendo quello che aveva detto loro in precedenza e ribadendolo, Gesù disse: “I re delle nazioni le signoreggiano, e quelli che hanno autorità su di esse sono chiamati Benefattori. Voi, però, non sarete così. Ma chi è il maggiore fra voi divenga come il più giovane [il più piccolo, Ge], e chi agisce da capo come uno che serva. Poiché chi è più grande, colui che giace a tavola o colui che serve? Non è colui che giace a tavola? Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve”. — Luca 22:24-27; si paragoni 2 Pietro 1:12-15.
22. Che cosa vuol dire comportarsi come “il più giovane” e com’è illustrato nei racconti scritturali?
22 Che cosa vorrebbe dire comportarsi come “il più giovane” o “il più piccolo”? Ai giovani erano spesso assegnati compiti di minore importanza, ma pur sempre necessari. Per esempio, quando Anania e sua moglie spirarono entrambi per intervento divino, furono “i giovani” a portarli fuori e seppellirli. (Atti 5:5, 6, 10) Dopo avere esortato gli altri anziani a servire come umili esempi del gregge, l’apostolo Pietro disse: “In maniera simile, voi giovani, siate sottoposti agli anziani”. (1 Piet. 5:1-5) Timoteo, molto giovane rispetto all’apostolo Paolo, è elencato fra quelli che servivano Paolo come suoi “aiutanti” o “collaboratori”. (Atti 19:22, Ge; Ga) Onesimo, lo schiavo fuggito, che l’attempato Paolo chiamò “mio figlio”, aveva ‘assistito Paolo’, lo aveva ‘servito’ come un figlio avrebbe servito un padre, mentre Paolo era in prigione. (Filem. 9, 10, 13, Na; NM; si paragoni 2 Timoteo 1:16-18). Lavorando umilmente insieme a questi servitori di Dio più anziani e più esperti, gli uomini più giovani traevano molto profitto e imparavano.
23. Sono soltanto i più giovani a dover manifestare tale modestia di mente?
23 Anche se i loro compiti apparivano poco onorevoli o prestigiosi, la loro condotta illustra il giusto atteggiamento che tutti devono manifestare, qualunque età abbiano. Perciò l’apostolo Pietro, dopo avere consigliato ai giovani d’essere sottoposti agli anziani, prosegue dicendo: “Ma voi tutti cingetevi di modestia di mente gli uni verso gli altri, perché Dio si oppone ai superbi [quelli che appaiono superiori, Int], ma dà immeritata benignità agli umili”. — 1 Piet. 5:5.
24. Quali grandi vantaggi derivano da questa condotta, e come contribuisce notevolmente all’unità cristiana?
24 Com’è piacevole prestare servizio insieme quando nella congregazione regna uno spirito di umiltà e modestia! Lo spirito di fratellanza, quando è manifestato dagli anziani cristiani, è una forza che è di grande aiuto per lavorare insieme con efficacia come un corpo, ed elimina le tendenze a fare contese o adirati dibattiti. (1 Tim. 2:8) Certo qui c’è molto su cui tutti possiamo meditare. Cerchiamo la vera grandezza che si ottiene rendendo tale umile servizio spronati dall’amore fraterno? Mostriamolo individualmente essendo soccorrevoli, premurosi, interessati verso tutti, inclusi i modesti, accordando a ognuno la dignità e il merito personale che gli spetta. (Rom. 12:10, 15, 16) Mostreremo così d’essere veri discepoli di Colui che eccelle nel servizio, il Figlio di Dio, Cristo Gesù.
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Che cosa vuol dire essere un “ministro”?La Torre di Guardia 1976 | 15 maggio
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Che cosa vuol dire essere un “ministro”?
1, 2. (a) Quali idee fa venire in mente la parola “ministro” in diversi paesi? (b) Che cosa dobbiamo notare circa l’uso moderno della parola rispetto al suo uso precedente?
QUANDO leggete o udite la parola “ministro” in qualche lingua, a che cosa pensate? Nella lingua di alcuni paesi, la parola corrispondente si riferisce solo a un funzionario politico, come “ministro della giustizia” o “primo ministro”. Ma nei paesi la cui lingua è basata sul latino (da cui ha origine il termine) o ne è stata fortemente influenzata, la parola “ministro” può anche far pensare a un’autorità religiosa, generalmente un ecclesiastico protestante o evangelico.
2 In effetti, la parola “ministro” come si usa oggi e come viene compresa dalla maggioranza ha un significato assai diverso da quello che aveva nei primi secoli dell’Èra Volgare. E nello stesso modo ha un significato assai diverso dal significato della parola greca diákonos usata nelle ispirate Scritture Greche della Bibbia, benché in varie lingue questa parola greca sia tradotta spesso “ministro”. Qual è dunque la differenza, e come sorse?
3, 4. (a) Qual era il senso originale della parola latina minister e quale uso se ne fece dunque nella traduzione della Bibbia? (b) Quale cambiamento ci fu nell’uso del termine, e a causa di quali avvenimenti?
3 Nei primi secoli dell’Èra Volgare la parola greca diákonos e la parola latina minister significavano basilarmente la stessa cosa: un servitore, come un accompagnatore, un cameriere o un altro servitore personale. E quindi, allorché si cominciò a tradurre la Bibbia in latino, minister fu la parola scelta in genere per rendere diákonos. Ma col passar del tempo, per il modo in cui veniva usato, il termine perse il senso di servizio umile. Questo avvenne in notevole misura a causa dell’apostasia dal vero cristianesimo che ci fu.
4 Parlando agli anziani di Efeso, l’apostolo Paolo li preavvertì che, dopo la sua partenza, “entreranno fra voi oppressivi lupi e non tratteranno il gregge con tenerezza, e che fra voi stessi sorgeranno uomini che diranno cose storte per trarsi dietro i discepoli”. Tali uomini egoisti non avrebbero agito in base al principio che “vi è più felicità nel dare che nel ricevere”. (Atti 20:29, 30, 35) La loro condotta avrebbe rivelato che non erano servitori di Dio ma del suo avversario. — 2 Cor. 11:12-15, Int.
5. Quale fu il risultato dell’apostasia predetta dalle Scritture, e che effetto ebbe sulla sorveglianza e sulla direttiva delle congregazioni cristiane?
5 Questa predetta apostasia è ciò che produsse infine la cristianità, con le sue molte religioni e le divisioni fra clero e laici. Tuttavia, nella congregazione primitiva non c’erano simili distinzioni, come precisa la Cyclopædia di M’Clintock e Strong (Vol. VIII, pagg. 355, 356) riguardo agli “anziani”:
“Poiché non abbiamo nessun racconto preciso del modo in cui fu fatta la loro prima nomina, ne dobbiamo dedurre che poté essere adottato come naturale appellativo di rispetto per l’anzianità . . ., in modo alquanto simile a come avveniva degli anziani fra i Giudei”.
La Cyclopædia prosegue dicendo che in seguito “gli apostoli riconobbero, possibilmente nominarono” gli anziani, e aggiunge:
“In ogni corpo di anziani c’era la necessità di una presidenza o di un primato per motivi di sorveglianza e direttiva generale. Pertanto sarebbe stato designato uno di loro, o per anzianità o per scelta formale, come primus inter pares [primo fra uguali], perché servisse come sorvegliante (ἐπίσκοπος) del corpo e del gregge affidato loro”.
Inoltre, la Cyclopædia dichiara riguardo alla posizione del sorvegliante:
“Nel suo carattere originale nulla impediva che fosse occupata a turno da parecchi anziani della stessa chiesa o diocesi, tuttavia per amministrarla con successo ci sarebbe stata la tendenza a perpetuarla nello stesso individuo. Quindi divenne ben presto una carica a vita”.
Fu così che un anziano o sorvegliante finì per esercitare permanentemente il primato sugli altri, escludendo gli altri dai privilegi di cui godeva. In questo modo cessò gradualmente la direttiva impartita alla congregazione da un corpo di anziani.a
6. (a) Che cosa si intende per disposizione “monarchica” rispetto alle congregazioni, e che cosa favorì il sorgere di tale disposizione? (b) Mostrano le Scritture che l’accentramento dell’autorità in una sola persona sia il modo cristiano di mantenere vera unità di fede e di credo? Se no, qual è il mezzo per mantenerla?
6 Sorse pertanto una disposizione “monarchica”, cioè un sistema dove l’autorità e il privilegio amministrativo erano investiti in una persona a esclusione delle altre. (Si paragoni 1 Corinti 4:8). Girolamo (del quarto secolo E.V.) avrebbe detto che la supremazia di un solo sorvegliante (epískopos) sorse ‘per usanza anziché per effettiva nomina da parte del Signore’, essendo un mezzo impiegato per impedire divisioni. Quindi, c’era l’idea che si poteva mantenere meglio l’unità conferendo grande autorità a una sola persona che, con il suo accresciuto potere, sarebbe stata in grado di tenere sotto controllo quelli che non erano d’accordo. (Si paragoni 1 Samuele 8:4-7, 19, 20). In contrasto con ciò l’apostolo Pietro esortò gli altri anziani a pascere il gregge affidato alla loro cura, non “signoreggiando su quelli che sono l’eredità di Dio, ma divenendo esempi del gregge”, sottoponendosi umilmente gli uni agli altri. (1 Piet. 5:1-6) L’apostolo Paolo mostra pure che il sorvegliante, ‘attenendosi fermamente alla fedele parola in quanto al suo insegnamento’, sarebbe stato in grado di “esortare mediante l’insegnamento che è sano e di rimproverare quelli che contraddicono”. Dovevano mostrare fede nel potere della verità e dello spirito santo di Dio. — Tito 1:7, 9-11, 13; si paragoni 2 Timoteo 2:24-26.
7. Che effetto ebbe l’apostasia sull’uso dei termini scritturali impiegati in riferimento a quelli che avevano incarichi di responsabilità nella congregazione? E come avvenne questo per il termine greco corrispondente a “sorvegliante”?
7 A causa dell’apostasia, col tempo i termini biblici usati in riferimento a quelli che servivano i fratelli con incarichi di responsabilità nella congregazione assunsero un significato diverso. Il termine greco epískopos che significa “sorvegliante”, descriveva in origine ciascuno degli anziani i quali avevano il compito di curare e sorvegliare gli interessi della congregazione, badando al loro benessere spirituale come pastori. (Atti 20:28) Ma la parola italiana “vescovo” (derivante da epískopos attraverso il latino episcopus) finì per significare un dignitario religioso che esercitava autorità predominante su molte congregazioni in una vasta zona. Come culmine, venne all’esistenza il papato in cui un sorvegliante, il vescovo di Roma, pretese il primato e l’esclusivo diritto di presiedere e dirigere tutti i sorveglianti cristiani e le congregazioni di ogni luogo.
8. Quale simile cambiamento ci fu riguardo al termine “ministro”?
8 Accadde la stessa cosa con la parola “ministro”. In latino si usava la parola minister per tradurre il greco diákonos e quindi, in origine, significava “servitore”, e, in senso religioso, uno del corpo di “servitori” della congregazione che lavoravano al fianco del corpo degli anziani come loro assistenti. In seguito il termine “ministro” è stato usato per intendere un ecclesiastico che generalmente esercita esclusiva e completa autorità amministrativa su una congregazione o chiesa (anche se i gruppi più numerosi potrebbero avere dei ‘vice-pastori’). Pertanto è considerato uno speciale servitore (ministro) di Dio in quella congregazione. In molti paesi la parola “ministro” si usa quasi esclusivamente per gli ecclesiastici protestanti, per distinguerli dai sacerdoti cattolici (il termine “prete” viene dal greco presbyteros [anziano] attraverso il latino presbyter). Nell’America Latina, per esempio, chi si presenta come “ministro” viene preso spesso per un predicatore protestante, uno che ammaestra la congregazione dal pulpito nell’edificio di una chiesa protestante.
9. Mettete in contrasto l’idea moderna espressa dalla parola “ministro” con il significato che il termine aveva in latino nei primi secoli dell’Èra Volgare.
9 Così un termine che inizialmente esprimeva umiltà e modestia finì per indicare una posizione relativamente alta nella comunità. Nei tempi antichi, la persona di lingua latina che si presentava come minister poteva intendere con ciò che lavorava come servitore nella casa di qualcuno, come maggiordomo o come cameriera. Ma oggi il titolo “ministro” è in genere un titolo di considerevole importanza e prestigio nel mondo, e pone la persona sullo stesso livello di dottori, avvocati e uomini che svolgono varie professioni. C’è una bella differenza dal senso in cui è usata la parola diákonos nelle dichiarazioni di Gesù. Come abbiamo visto nei precedenti articoli, nelle sue dichiarazioni il diákonos (servitore o ministro) è posto accanto allo “schiavo” e all’opposto di chi è considerato “grande” o “primo”. (Matt. 20:26-28) Così, com’è accaduto con la parola “vescovo” (epískopos, sorvegliante), nella mente della maggioranza l’uso ecclesiastico ha oscurato il significato originale della parola latina minister.
10. (a) Essendo studiosi della parola di Dio, che cosa dobbiamo fare a causa di queste alterazioni ecclesiastiche? (b) Se una traduzione della Bibbia usa la parola “ministro” per tradurre la parola greca diàkonos, quale quadro mentale dovremmo farci?
10 Che cosa significa questo per noi se siamo sinceri studiosi della Parola di Dio? Significa che ogni qualvolta leggiamo in una traduzione della Bibbia il termine “ministro” dobbiamo regolare il nostro pensiero e rammentare il significato originale di questo termine, altrimenti non afferreremo il senso dei consigli di Gesù e delle ispirate espressioni dei suoi apostoli e discepoli. Anziché farci un quadro mentale di una persona in abito elegante o formale, dotata di insolite abilità oratorie e amministrative, sarebbe più appropriato immaginare un diákonos o ministro (nel senso originale del termine latino) come un modesto servitore di Dio che cammina lungo una strada polverosa sotto il sole cocente, o forse come qualcuno che messosi il grembiule serve altri a tavola. — Si paragonino 2 Corinti 10:10; 1 Corinti 2:1-5; Luca 17:8.
11, 12. (a) Quanto è esteso nel mondo l’uso del termine “ministro” in senso religioso? (b) La traduzione tedesca del libro inglese I Testimoni di Geova nel proposito divino come illustra i problemi che possono sorgere per tradurre questo termine?
11 Vale la pena menzionare pure che molte lingue, anzi la maggioranza, non hanno nessun termine corrispondente alla parola italiana “ministro” nel senso religioso. Le lingue che si basano sul latino, come italiano, francese, spagnolo e portoghese, hanno tale termine. Ma nelle lingue come tedesco od olandese o nelle lingue scandinave (norvegese, svedese e danese) e nelle lingue slave (polacco, russo e altre), come pure nelle lingue asiatiche e di altre parti del mondo, non c’è una parola corrispondente a “ministro”. In Germania l’ecclesiastico ordinato si chiama “servitore religioso”.
12 Per illustrare, nell’edizione inglese del libro I Testimoni di Geova nel proposito divino, a pagina 223, si fa riferimento all’asserzione secondo cui “tutti i testimoni di Geova che insegnano e predicano il vangelo regolarmente e abitualmente sono ministri”. Nell’edizione tedesca, l’ultima parte di questa dichiarazione dice che sono “predicatori, cioè ecclesiastici”, e la parola inglese “ministers” è inserita tra parentesi (Prediger bzw. Geistliche [ministers]). Nella stessa pagina, citando una comunicazione del Servizio di Leva degli Stati Uniti, in cui viene usata l’espressione “ministri di religione”, di nuovo l’edizione tedesca di questo libro usa la parola tedesca corrispondente a “predicatori” e la fa seguire dalla parola tedesca corrispondente a “ecclesiastici” tra parentesi (“Prediger” [Geistliche]”).
13, 14. (a) Nei casi in cui la Traduzione del Nuovo Mondo è stata tradotta in lingue che non si basano sul latino o che non hanno risentito della sua influenza, quali termini sono usati al posto di “ministro” e “ministero”? (b) Al posto di “servitore di ministero”, quali espressioni usano alcune di queste traduzioni?
13 Anche in altri casi, quando fu tradotta la Traduzione del Nuovo Mondo della Bibbia in lingue come danese, tedesco, olandese e giapponese, in tutti i casi in cui ricorrono le parole “ministro”, “ministero”, e le loro forme verbali, fu necessario tradurle con termini che significano “servitore”, “servizio” o forme di “servire” in quelle lingue.
14 In giapponese, ad esempio, per tradurre diákonos si usa una parola composta, hoshisha (“persona che serve umilmente”). L’espressione “servitori di ministero” che ricorre nella Traduzione del Nuovo Mondo è resa in danese con una parola danese che significa “servitori di congregazione”; in svedese si usa l’espressione “servitore assistente”; mentre in tedesco compare il termine Dienstamtgehilfe che, letteralmente, significa, “assistente della carica di servizio”.
15, 16. (a) Pur non cavillando sulle parole, di che cosa devono giustamente interessarsi i cristiani riguardo all’uso dei termini biblici? (b) Come mostreranno tale interesse presentando la buona notizia a persone di ogni nazione?
15 Le parole sono semplici veicoli usati per trasmettere idee da una mente all’altra. La cosa importante è di trasmettere l’idea corretta. Tra i cristiani in particolare, sono essenziali l’unità di pensiero e l’armonia di vedute. Come dice l’apostolo ispirato in I Corinti 1:10: “[Parlate] tutti concordemente, e [non abbiate] fra voi divisioni, ma [siate] perfettamente uniti nella stessa mente e nello stesso pensiero”.
16 Questa è un’ulteriore ragione per cui, quando leggiamo o usiamo il termine “ministro” con il senso del termine greco diákonos, dovremmo pensare al significato biblico di umile servitore, e non a quello comune di predicatore religioso. Facendo parte di una congregazione mondiale, cercheremo di non farci delle idee personali del cristianesimo o delle sue norme in base a un qualsiasi termine, specialmente se questo termine è caratteristico di certe lingue, ma non esiste in altre. Cercheremo sempre di usare espressioni comprensibili che esprimono chiaramente il pensiero corretto. Fin dove è possibile e fin dove la traduzione lo consente, queste espressioni dovrebbero essere facilmente comprese da persone d’ogni specie, ovunque abitino o qualunque lingua parlino. Infatti, come disse anche l’apostolo Paolo: “Se voi non pronunciate con la lingua una parola facilmente comprensibile, come si saprà ciò che vien detto? Infatti parlerete all’aria”. — 1 Cor. 14:9.
QUANDO SI PUÒ PARLARE DI “ORDINAZIONE”?
17. Che cosa significa la parola “ordinare”?
17 In italiano la parola “ordinare” significa “eleggere a una carica, conferire un alto ufficio . . . con questo sign[ificato] . . . rimane nell’uso solo per il conferimento degli ordini sacri: il vescovo lo ordinò sacerdote (ma anche assol[utamente], lo ordinò”. — Dizionario Enciclopedico Italiano di Giovanni Treccani.
18, 19. (a) In che senso si potrebbe dire che tutti i veri discepoli di Cristo Gesù sono “ministri”? (b) Tutti quelli che diventano battezzati servitori di Dio sono forse ‘costituiti’ per adempiere particolari incarichi di servizio e responsabilità nella congregazione?
18 Tutti quelli che diventano veri discepoli di Cristo Gesù diventano “servitori” di Dio. Secondo il significato antico della parola latina, si potrebbero tutti chiamare “ministri”, poiché in origine la parola latina significava la stessa cosa: “servitori”. Ma come abbiamo visto, la Bibbia indica che alcuni sono “servitori” per nomina, avendo ricevuto dalla congregazione la ‘nomina’ di servire con un particolare incarico di servizio, come nel caso degli anziani o dei servitori assistenti. — Tito 1:5; 1 Tim. 3:1-13.
19 Essi non ricevono tale nomina mediante il battesimo. L’apostolo Paolo non si riferiva al battesimo quando scrisse a Timoteo: “Non porre mai le mani su nessun uomo affrettatamente”, ma si riferiva all’azione di nominare un uomo per un incarico di servizio nella congregazione e alla responsabilità che l’accompagnava. (1 Tim. 5:22; si paragoni 1 Timoteo 3:1-15). Lo stesso Paolo, insieme a Barnaba, era stato ‘appartato’ dallo spirito santo per compiere una certa opera. Quindi il corpo degli anziani di Antiochia, riconoscendo questo fatto, ‘pose su di essi le mani’. — Atti 13:1-5; si paragoni l’azione con cui gli apostoli ‘costituirono’ i ‘sette uomini attestati’ per adempiere un certo incarico di servizio, narrata in Atti 6:1-6.
20, 21. Gli esempi di Paolo, Timoteo e Archippo come illustrano che certi membri della congregazione sono “servitori” o “ministri” per nomina, avendo ricevuto l’incarico dalla congregazione?
20 Mentre tutti i veri cristiani (fratelli e sorelle) rendono servizio, solo alcuni di loro sono nominati per svolgere un particolare servizio nella congregazione. Ma questo non vuol dire che i fratelli e le sorelle che non hanno tale nomina siano una classe di laici. Quando l’apostolo Paolo disse: “Io non tengo in nessun conto la vita stessa, pur di terminare la mia corsa e l’incarico [diakonía; il servizio, Ge; il ministero, NM] ricevuto dalle mani del Signore Gesù d’annunziare l’evangelo”, si riferiva evidentemente allo speciale incarico di servizio che aveva ricevuto di portare ‘il nome di Gesù dinanzi ai popoli’ o Gentili. (Atti 20:24, Ga; 9:15, Ge; si paragonino Atti 21:19; 1 Timoteo 1:12; Colossesi 1:25). In Romani 11:13 egli dice: “Dal momento che sono, in realtà, apostolo delle nazioni, io glorifico il mio ministero [diakonía; servizio, Int]”. — Si paragoni anche Atti 1:15-17, 20-25.
21 Nello stesso modo, quando Paolo scrisse a Timoteo: “Adempi tutti i doveri della tua chiamata [compi pienamente il tuo ministero (diakonía), NM]”, si riferiva al particolare incarico di servizio affidato a Timoteo a Efeso, dove fu lasciato per aiutare a risolvere certi problemi della congregazione. (2 Tim. 4:5; NE; 1 Tim. 1:3, 4) In Colossesi 4:17 (Con) Paolo mandò a dire ad Archippo: “Stai attento al servizio [diakonía; ministero, NM] che hai ricevuto nel Signore, per compierlo bene”. Mentre tutti gli altri discepoli di Colosse erano servitori di Dio, Archippo aveva evidentemente ricevuto qualche specifico incarico di servizio, e senz’altro un corpo di anziani aveva posto le mani su di lui.
SERVITORI “ORDINATI” DELLE CONGREGAZIONI
22. Nel senso in cui si usa oggi la parola “ordinato”, a chi si riferirebbe, in armonia coi precedenti scritturali stabiliti da Cristo Gesù e dai suoi apostoli?
22 Che vediamo dunque? Che, sebbene Gesù avesse molti discepoli, ne scelse dodici, che ‘costituì’ come apostoli. (Mar. 3:14, 15; Luca 6:12, 13; Giov. 15:16) Vediamo che Paolo e Barnaba furono ‘costituiti’ specialmente di fra i discepoli di Antiochia per portare alle nazioni la buona notizia. (Atti 13:47) Inoltre, Paolo disse agli anziani di Efeso che erano stati “costituiti” dallo spirito santo per servire il resto della congregazione. (Atti 20:17, 28) In tutti questi casi le nomine furono effettuate non al tempo del battesimo, ma dopo di esso. Così oggi, nelle congregazioni del popolo di Dio ci sono uomini (di solito battezzati da qualche tempo) nominati per servire la congregazione in certi incarichi stabiliti. Quelli che hanno ricevuto tale nomina dalla congregazione per svolgere particolari servizi si possono dire “ordinati”, nel senso in cui è usata oggi la parola.b
23, 24. (a) Gli organi governativi come intendono generalmente l’espressione “ministro ordinato”, e se nel chiedere informazioni usano questa espressione, come si deve rispondere? (b) Sarebbe ragionevole dire che le persone del territorio dove si compie la pubblica opera di testimonianza sono la propria “congregazione” e che la soglia della loro casa è il proprio “pulpito”?
23 In considerazione di tutto questo, che cosa si deve fare se, come avviene talvolta, un organo governativo chiede informazioni in merito alla professione o alla posizione dei cittadini? Con l’espressione “ministro ordinato” essi intendono uno che è nominato per aver cura di una congregazione e per servirle le cose spirituali, uno che funge da “pastore” di una congregazione. Per esempio, la definizione ecclesiastica, generalmente compresa, di “ministro”, che troviamo nei dizionari è: ‘chi è autorizzato ad amministrare il culto’. Con il termine “ministro” tali organi governativi non descrivono o non intendono il servizio che ogni singolo cristiano può compiere quando si sforza personalmente di far conoscere ad altri la buona notizia. Quindi, rispondendo alle domande dei funzionari, sarebbe ragionevole rispondere in armonia con ciò che desiderano sapere, anziché imporre la propria definizione di tali termini.
24 Le persone non si aspetterebbero, ad esempio, che il proclamatore che va di casa in casa dica che la “congregazione” che serve è formata dalle famiglie del territorio dove si compie l’opera di testimonianza, in quanto gli abitanti di quella zona possono non riconoscere o non accettare come loro “ministro” colui che dà testimonianza, e, anzi, possono avere la loro religione. Allo stesso modo, capiranno correttamente se definiamo la soglia della loro casa come “pulpito” di chi reca la buona notizia, anche se fa quello che chiama un “sermone” da tre a otto minuti? Con la parola “pulpito” si intende in genere il palco dell’oratore nell’edificio a cui è invitato il pubblico in generale.
25. Chi ha una nomina di servizio in una congregazione, quale data può indicare come data della sua “ordinazione”?
25 Certo, chi ha effettivamente ricevuto la nomina a un particolare incarico di servizio dagli uomini debitamente autorizzati può rispondere in tal senso e, come data della sua “ordinazione”, può indicare la data non del battesimo, ma di quando il corpo cristiano avente la facoltà di nominare in effetti ‘pose le mani su di lui’ conferendoli tale nomina.
26. I primi cristiani ricevettero tutti una nomina (od “ordinazione”) dalla congregazione per un particolare incarico di servizio, e influì questo sulla loro unità?
26 Nella congregazione cristiana primitiva tutti i credenti battezzati erano “unti” con lo spirito santo, avendo ricevuto una chiamata celeste. Ma non tutti erano apostoli, profeti, insegnanti, anziani o servitori di ministero. Quindi dopo il battesimo non tutti ricevevano una nomina ufficiale per qualche servizio particolare. Ma tutti rendevano servizio insieme, come un corpo ha molte membra che cooperano tutte insieme e hanno “la stessa cura le une per le altre”, come spiega l’apostolo in I Corinti 12:12-30.
27. Tutti noi quale sano atteggiamento dovremmo assumere lietamente riguardo al servizio che rendiamo a Dio e ai nostri simili?
27 Quindi, sia che siamo qualificati per ricevere e abbiamo ricevuto tale nomina ufficiale per un servizio e una responsabilità particolari oppure no, serviamo tutti insieme a spalla a spalla per compiere ciò che Dio vuole nel nostro tempo. Facciamo tutti tesoro del privilegio che abbiamo in comune, dichiarando ad altri con zelo la verità, facendo loro conoscere la buona notizia che ha dato luce e speranza alla nostra vita.
[Note in calce]
a Il New Bible Dictionary (pag. 158) di Douglas avanza pure l’idea che “l’episcopato [sorveglianza] monarchico fece la sua comparsa nelle congregazioni locali quando alcune persone dotate ottennero la presidenza permanente del consiglio dei vescovi-presbiteri [sorveglianti anziani]”.
E La Bibbia di Gerusalemme, nella nota in calce su Tito 1:5, dice che “le prime comunità cristiane . . . avevano a capo un collegio di ‘presbiteri’, anziani”, e menziona il “passaggio da questi episcopi-presbiteri al vescovo [sorvegliante] capo unico del collegio”.
b Atti 14:23 parla dell’opera di Paolo e Barnaba nelle città dell’Asia Minore e dice che “costituirono per loro [in ciascuna] congregazione degli anziani”. Lì la parola “costituirono” è resa “aver ordinato” nella versione di Eusebio Tintori (14:22).
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Si conclude una lunga ricercaLa Torre di Guardia 1976 | 15 maggio
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Si conclude una lunga ricerca
UNA volta Gesù Cristo disse: “Continuate a cercare, e troverete”. (Matt. 7:7) Quindi, chi cerca con sincerità e diligenza di stringere una relazione approvata con il Creatore ci riuscirà. Ma talora ci vorrà molta perseveranza per non rinunciare alla ricerca della verità.
Questo è illustrato dal caso di una donna abitante in un paese prevalentemente musulmano del Medio Oriente. Da piccola, Melek (Angela) aveva imparato che Dio provvide quattro libri per insegnare al genere umano la sua volontà. Questi libri sono il Tevrat (la Legge o cinque libri di Mosè), lo Zebur (i Profeti e gli Agiografi), l’Incil (il Nuovo Testamento o Scritture Greche Cristiane) e il Corano. Quando il suo insegnante ebbe destato in lei la curiosità di conoscere il Tevrat, lo Zebur e l’Incil, Melek gli chiese perché usassero solo il Corano dal momento che Dio aveva dato anche gli altri tre libri. Egli la esortò a non occuparsene, spiegando che il Corano era stato dato per ultimo e quindi sostituiva il Tevrat, lo Zebur e l’Incil. Ma questa risposta non soddisfece Melek.
Man mano che proseguiva gli studi, Melek fece domande sul Tevrat, sullo Zebur e sull’Incil ad altri insegnanti di religione. La risposta era sempre la stessa: ‘Questi tre libri non sono necessari’. Terminate le scuole, Melek si trasferì in una città più grande. Chiese il Tevrat, lo Zebur e l’Incil in varie librerie, ma le sue ricerche furono tutte vane.
Benché passassero molti anni, il desiderio di Melek di trovare gli altri tre libri sacri menzionati dall’insegnante non si affievolì. Una sera, a tarda ora, avvicinò tre giovani donne che aspettavano alla fermata dell’autobus. “Che cosa fanno tre ragazze giovani come voi fuori di casa a un’ora così tarda?” chiese. “Siamo andate a studiare i libri sacri”, risposero. Piena di speranza, Melek chiese: “Quali libri sacri?” Benché avesse sessant’anni, il cuore le si riempì di gioia quando esse risposero: “Il Tevrat, lo Zebur e l’Incil”. “Questi sono i libri che cerco da quasi cinquant’anni!” esclamò.
Ma la felicità di Melek cedette subito il posto allo sgomento. Proprio in quel momento arrivò l’autobus e le ragazze dovettero andarsene. Non ci fu il tempo per scambiarsi gli indirizzi o neppure i nomi.
Ma dopo aver cercato tanto a lungo, Melek non si sarebbe data per vinta così facilmente. Nelle settimane che seguirono si recò la stessa sera alla stessa fermata dell’autobus, aspettando sempre con la speranza di incontrare di nuovo quelle ragazze. Ma i suoi sforzi furono infruttuosi.
Poi, un giorno, Melek entrò in una sartoria. Chi c’era seduta davanti a lei? Una delle tre ragazze! Melek corse da lei, l’abbracciò, la baciò e dichiarò: “Tu sei quella che ha i tre libri sacri. Me li vuoi dare?” La giovane, una testimone di Geova, rispose che glieli avrebbe dati, ma non solo, li avrebbe anche studiati con lei. Conclusasi una ricerca durata tutta una vita, ora Melek aiuta altri a trarre profitto dai tre libri sacri che formano la Bibbia completa.
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Domande dai lettoriLa Torre di Guardia 1976 | 15 maggio
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Domande dai lettori
● Come si può concordare Atti 7:16, che attribuisce ad Abraamo l’acquisto di un luogo di sepoltura a Sichem, con Genesi 23:15-19?
Parrebbe ci sia un contrasto, poiché Atti 7:16 dice che Abraamo comprò un luogo di sepoltura a Sichem, mentre Genesi 23:15-19 afferma che acquistò tale appezzamento a Macpela nei pressi di Ebron. Le spiegazioni possibili sono diverse. Notiamo alcuni particolari.
Subito dopo che Abraamo era entrato nella Terra Promessa (1943 a.E.V.) risiedette per qualche tempo a Sichem, situata nella parte settentrionale dove fu in seguito costruita Samaria. (Gen. 12:6-8) Quando in seguito sua moglie Sara morì (1881 a.E.V.), Abraamo acquistò come luogo di sepoltura il campo e la caverna di Macpela, situata vicino a Ebron a sud di Gerusalemme. “Abraamo seppellì quindi Sara sua moglie nella caverna del campo di Macpela di fronte a Mamre, vale a dire Ebron, nel paese di Canaan”. (Gen. 23:15-19) A suo tempo vi furono sepolti anche Abraamo, Isacco, Rebecca e Lea. — Gen. 25:9; 49:29-32.
Anche Giacobbe, nipote di Abraamo, dimorò per qualche tempo vicino a Sichem, vi acquistò un tratto di terra e costruì un altare. (Gen. 33:18-20) Quando stava per morire in Egitto, Giacobbe comandò ai suoi figli di seppellirlo non a Sichem, ma con i suoi padri nell’appezzamento acquistato da Abraamo vicino a Ebron. (Gen. 49:29-32; 50:12, 13) Per quanto riguarda la sepoltura a Sichem, Giosuè 24:32 dice che dopo essere entrati nella Terra Promessa, gli Israeliti seppellirono le ossa di Giuseppe “in Sichem nel tratto di campo che Giacobbe aveva acquistato”, e che venne a trovarsi nel territorio di Manasse, figlio di Giuseppe.
Tenendo presenti questi fatti storici, possiamo considerare Atti 7:15, 16. Nella sua magistrale difesa il discepolo cristiano Stefano disse: “Giacobbe scese in Egitto. E decedette, e così i nostri antenati, e [gli “antenati”] furon trasferiti a Sichem e posti nella tomba che Abraamo aveva comprata a prezzo con denaro d’argento dai figli di Emor, in Sichem”. In apparenza, Stefano avrebbe detto che Abraamo, non Giacobbe, acquistasse del terreno a Sichem. Tuttavia Genesi 23:17, 18 ci dice che Abraamo acquistò un luogo di sepoltura a Macpela vicino a Ebron.
Certi studiosi credono che oltre all’acquisto dell’appezzamento di terra a Ebron, Abraamo poté anche avere comprato il terreno a Sichem dove Geova gli apparve e dove costruì poi un altare. (Gen. 12:7) In tal caso, potrebbe essere lo stesso terreno che secondo Genesi 33:18, 19 Giacobbe acquistò da quelli che ne erano in possesso a quel tempo. Questo pensiero eliminerebbe ogni apparente contraddizione con Atti 7:16.
Un’altra idea è che Stefano condensasse semplicemente due racconti, unendo l’acquisto di Abraamo riportato in Genesi 23:15-19 e l’acquisto di Giacobbe menzionato in Genesi 33:18, 19. Questa possibilità è in certo qual modo avvalorata dal fatto che in Atti 7:7 evidentemente Stefano combinò in una dichiarazione qualcosa che Dio aveva detto ad Abraamo e qualcosa che aveva detto a Mosè. (Gen. 15:14; Eso. 3:12) Pertanto Atti 7:16 potrebbe essere solo una dichiarazione condensata o ellittica che fu sufficiente per lo scopo di Stefano, come lo fu Atti 7:7.
Si può considerare un’altra soluzione possibile. Abraamo era il nonno di Giacobbe. Quindi, anche se Genesi 33:18, 19 dice che Giacobbe acquistò del terreno a Sichem, Stefano avrebbe potuto attribuire l’acquisto ad Abraamo, il capo patriarcale. Questo è confermato da altri esempi della Bibbia in cui i nomi degli antenati furono usati in riferimento ai discendenti. — Osea 11:1, 3, 12; Matt. 2:15-18.
Ciascuna di queste possibilità può essere la spiegazione dell’apparente contrasto esistente fra Atti 7:16 e Genesi 23:15-19. Il fatto che sono possibili varie spiegazioni sottolinea quanto sarebbe irragionevole pensare che Stefano fosse in errore, dal momento che oggi non si conoscono tutti i fatti.
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Studi “Torre di Guardia” per le settimaneLa Torre di Guardia 1976 | 15 maggio
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Studi “Torre di Guardia” per le settimane
del 20 giugno: Il cristiano che vuole essere grande deve servire. Pagina 300. Cantici da usare: 58, 15.
del 27 giugno: Serviamo unitamente come associazione dei fratelli. Pagina 307. Cantici da usare: 64, 14.
del 4 luglio: Che cosa vuol dire essere un “ministro”? Pagina 313. Cantici da usare: 29, 32.
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Date ai vostri figli una buona guidaLa Torre di Guardia 1976 | 15 maggio
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Date ai vostri figli una buona guida
I vostri figli hanno bisogno di una buona guida mentre crescono per essere in grado di far fronte al generale declino morale fra i giovani. La migliore guida che possiate dare loro è quella della Bibbia. Pertanto avete bisogno di studiare regolarmente la Bibbia con loro.
Valetevi dell’aiuto de “La Torre di Guardia” per lo studio biblico familiare.
Questa pubblicazione di studio biblico è disponibile in settantotto lingue. Potete riceverla in abbonamento annuo (due volte al mese) inviando L. 1.200.
Vogliate inviarmi “La Torre di Guardia” per un anno. Mandatemi anche tre opuscoli biblici in omaggio. Vi invio L. 1.200.
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