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  • Peca
    Ausiliario per capire la Bibbia
    • impadronirsi di Gerusalemme (II Re 16:1, 5; Isa. 7:1-7), ma Giuda subì gravi perdite. In un sol giorno Peca uccise 120.000 uomini valorosi di Giuda. Inoltre l’esercito israelita fece prigionieri 200.000 giudei. Tuttavia, per consiglio del profeta Oded, sostenuto da alcuni uomini preminenti di Efraim, i prigionieri furono rimandati in Giuda. — II Cron. 28:6, 8-15.

      Benché rassicurato per mezzo del profeta Isaia che la coalizione siro-israelita non sarebbe riuscita a deporlo (Isa. 7:6, 7), l’incredulo Acaz assoldò Tiglat-Pileser (III) re d’Assiria perché venisse in suo aiuto. In risposta il monarca assiro conquistò Damasco e mise a morte Rezin. (II Re 16:7-9) Evidentemente in quel tempo Tiglat-Pileser conquistò anche Galaad, la Galilea e Neftali e diverse città nella parte settentrionale di Israele. (II Re 15:29) In seguito Oshea, figlio di Ela, uccise Peca e diventò re di Israele. — II Re 15:30.

      Nel frammento di un’iscrizione di Tiglat-Pileser (III) si parla della sua campagna contro Israele: “Tutti i suoi abitanti (e) i loro beni portai in Assiria. Deposero il loro re Peca (Paqaha) e io misi Oshea (Aùsi’) come re su di loro”. — Ancient Near Eastern Texts, p. 284.

  • Pecachia
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    • Pecachia

      (Pecachìa) [Geova ha aperto gli occhi].

      Re di Israele a Samaria, figlio e successore di Menaem. Il suo breve regno, durato due anni (ca. 780-778 a.E.V.), fu contrassegnato dalla stessa adorazione idolatrica dei vitelli introdotta da Geroboamo e permessa da Menaem. Peca, aiutante di campo di Pecachia, cospirò contro di lui, lo uccise e cominciò a regnare al suo posto. — II Re 15:22-26.

  • Peccato
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    • Peccato

      Termine che traduce l’ebraico hhattà’th e il greco hamartìa. In entrambe le lingue le forme verbali (ebr. hhatà’; gr. hamartàno) significano “mancare”, nel senso di mancare o non raggiungere un obiettivo, un bersaglio o un punto esatto, sbagliare strada. In Giudici 20:16 hhatà’ è usato (con una negazione) per descrivere i frombolieri beniaminiti che non mancavano un bersaglio sottile come un cappello. Scrittori greci usavano spesso hamartàno parlando di un lanciere che mancava il bersaglio.

      Entrambi i vocaboli avevano il significato di mancare o di non riuscire a raggiungere non solo oggetti o obiettivi materiali (Giob. 5:24), ma anche mete o obiettivi morali o intellettuali. Proverbi 8:35, 36 dice che chi trova la sapienza di Dio trova la vita, ma chi ‘perde [ebr. hhatà’] la sapienza fa violenza alla propria anima’, provocandone la morte. Nelle Scritture sia il termine ebraico che quello greco si riferiscono principalmente al peccare o mancare il bersaglio da parte di creature intelligenti di Dio nei confronti del Creatore.

      “Peccato” (hhattà’th; hamartìa) dal punto di vista scritturale è fondamentalmente qualsiasi cosa non in armonia e quindi contraria alla personalità, alle norme, alle vie e alla volontà di Dio; qualsiasi cosa offuschi la propria relazione con Dio. Può trattarsi di parole (Giob. 2:10; Sal. 39:1), azioni (fare qualcosa di scorretto [Lev. 20:20; II Cor. 12:21] o non fare ciò che si dovrebbe [Num. 9:13; Giac. 4:17]), o di un atteggiamento della mente o del cuore. (Prov. 21:4; confronta anche Romani 3:9-18; II Pietro 2:12-15). Il peccato dunque guasta ciò che l’uomo riflette della somiglianza e gloria di Dio: rende l’uomo non più santo, cioè impuro, macchiato in senso morale e spirituale. (Confronta Isaia 6:5-7; Salmo 51:1, 2; Ezechiele 37:23; vedi SANTITÀ). La mancanza di fede in Dio è un peccato grave che rivela infatti diffidenza o mancanza di fiducia nella sua capacità di adempiere. (Ebr. 3:12, 13, 18, 19) Un esame dell’uso di questi termini nelle lingue originali e gli esempi relativi lo illustrano.

      INTRODUZIONE DEL PECCATO

      Il peccato fu introdotto sul piano spirituale prima della sua introduzione sulla terra. Per epoche immemorabili nell’universo era regnata una completa armonia con Dio. La spaccatura fu provocata da una creatura spirituale chiamata semplicemente Oppositore, Avversario (ebr. Satàn; gr. Satanàs; Giob. 1:6; Rom. 16:20), il principale falso Accusatore o Calunniatore (gr. Diàbolos) di Dio. (Ebr. 2:14; Riv. 12:9) Perciò l’apostolo Giovanni dice: “Chi pratica il peccato ha origine dal Diavolo, perché il Diavolo ha peccato dal principio”. — I Giov. 3:8.

      Per “principio” Giovanni chiaramente intende l’inizio della carriera di opposizione di Satana (come “principio” è usato in I Giovanni 2:7; 3:11 a proposito dell’inizio del servizio cristiano dei discepoli). Le parole di Giovanni indicano che, una volta introdotto il peccato, Satana continuò il suo corso peccaminoso. Perciò chiunque “fa del peccato la sua attività o pratica” (The Expositor’s Greek Testament, Vol. V, p. 185) rivela di essere ‘figlio’ dell’Avversario, progenie spirituale che riflette le qualità del proprio “padre”. — Giov. 8:44; I Giov. 3:10-12.

      Poiché il peccato nasce da un desiderio errato coltivato fino al punto di renderlo fertile (Giac. 1:14, 15), la creatura spirituale che si trasformò in oppositore aveva già cominciato a deviare dalla giustizia, provava già malcontento nei confronti di Dio, prima dell’effettiva manifestazione del peccato.

      Ribellione in Eden

      La volontà di Dio espressa ad Adamo e a sua moglie era prima di tutto positiva, stabiliva che cosa dovevano fare. (Gen. 1:26-29; 2:15) Ad Adamo fu dato un solo comando negativo, che proibiva di mangiare (o toccare) l’albero della conoscenza del bene e del male. (Gen. 2:16, 17; 3:2, 3) La prova dell’ubbidienza e devozione alla quale Dio sottopose l’uomo si distingue per il rispetto della dignità umana. Dio non attribuiva ad Adamo nulla di male; non lo mise alla prova vietandogli, per esempio, di commettere bestialità, assassinio o qualche azione similmente vile e ignobile, rivelando in tal modo di pensare che Adamo potesse avere dentro di sé inclinazioni spregevoli. Mangiare era una cosa normale, corretta, e ad Adamo era stato detto di “mangiare a sazietà” di ciò che Dio gli aveva provveduto. (Gen. 2:16) Ma ora Dio metteva alla prova Adamo vietandogli di mangiare del frutto di quest’unico albero; in tal modo Dio fece sì che il mangiarne simboleggiasse da parte di chi ne avrebbe mangiato una conoscenza che gli avrebbe permesso di decidere da sé ciò che era “bene” o “male” per l’uomo. Così Dio non gli impose delle privazioni né attribuì ad Adamo qualcosa al di sotto della sua dignità di figlio umano di Dio.

      Il primo essere umano a peccare fu la donna. L’avversario di Dio, che comunicò con lei per mezzo di un serpente, non la tentò con un aperto invito a commettere immoralità di natura sensuale. Anzi lo presentò come un appello al desiderio di una presunta libertà ed elevazione intellettuale. Dopo averle fatto ripetere la legge di Dio, di cui Eva era stata evidentemente informata dal marito, il tentatore attaccò la veracità e bontà di Dio. Asserì che il risultato di mangiare il frutto di quell’albero non sarebbe stato la morte ma il progresso e la divina qualità di decidere da sé se una cosa era buona o cattiva. Questa asserzione rivela che il cuore del tentatore si era ormai interamente alienato dal Creatore, infatti le sue parole costituiscono un’aperta

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