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Domande dai lettori (1)La Torre di Guardia 1968 | 1° settembre
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Domande dai lettori
● Ecclesiaste 3:11 dice che Dio ha posto “il tempo indefinito” nel cuore del genere umano. Che cosa significa questo? — M. O., U.S.A.
Ecclesiaste 3:11 dice: “Ogni cosa egli [Geova] ha fatto bella a suo tempo. Perfino il tempo indefinito ha posto nel loro cuore, affinché il genere umano non trovi mai l’opera che il vero Dio ha fatta dall’inizio alla fine”. La parola ebraica resa “tempo indefinito” qui e altrove nella Traduzione del Nuovo Mondo delle Sacre Scritture è ‘olam’. Si riferisce al tempo, ha il pensiero fondamentale di “nascosto” o “celato”, e le è stata data la definizione di “tempo nascosto, cioè oscuro e lungo, di cui il principio o la fine è incerta o indefinita”. (A Hebrew and English Lexicon of the Old Testament di William Gesenius, 1836, pagina 746) Alcune traduzioni di Ecclesiaste 3:11 dicono che Dio ha messo l’“eternità” nel cuore del genere umano. (VR, Le, SA) Il contesto mostra che viene considerato il tempo. (Eccl. 3:1-8, 17) A motivo di ciò e del significato fondamentale di ‘olam’, il termine “eternità” o “tempo indefinito” è impiegato molto appropriatamente in Ecclesiaste 3:11.
Geova ha un tempo fissato per tutte le cose. (Dan. 2:21, 22; Atti 17:26, 31) Egli ha pure fatto ogni cosa bella o ben disposta a suo tempo. L’ordine e lo splendore della creazione, come il succedersi delle stagioni, lo illustra. Naturalmente, Ecclesiaste 3:11 non significa che Dio mette un letterale meccanismo per il tempo nel cuore della persona. Evidentemente, ciò si riferisce al modo in cui l’apprezzamento dell’uomo per le varie cose sarebbe stato influenzato dal passar del tempo. Questo versetto ci aiuta a capire che Dio non può essere mai completamente scrutato dall’uomo. Le opere di Geova sono perfette, ma nemmeno l’uomo perfetto nel promesso nuovo ordine di Dio sarà in grado di scrutare le profondità della sapienza di Dio. (Deut. 32:4; Isa. 40:28; 55:8, 9; Rom. 11:33-36) Secondo le parole di Ecclesiaste 3:11, il genere umano non troverà “mai l’opera che il vero Dio ha fatta dall’inizio alla fine”. Ci sarà sempre qualche cosa da imparare intorno alle opere di Geova. Quindi, l’uomo non perderà mai l’interesse di imparare intorno a Dio o di scrutare le meraviglie della creazione. Anche se gli abitanti del nuovo ordine di Dio non troveranno mai pienamente “l’opera che il vero Dio ha fatta”, col passare di ogni anno, impareranno e apprezzeranno sempre più la grandemente varia sapienza di Dio.
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Domande dai lettori (2)La Torre di Guardia 1968 | 1° settembre
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Domande dai lettori
● Cercare presagi è condannato nella Bibbia. (Deut. 18:10) Come possiamo dunque spiegare Genesi 44:5, che indica che Giuseppe, il quale aveva il favore di Dio, era in possesso di un calice per mezzo del quale faceva presagi? — A. J., Repubblica del Congo.
Giuseppe era l’amministratore alimentare dell’Egitto, un alto funzionario di un paese pagano. A causa di una grave carestia, i suoi fratelli erano venuti sin da Canaan per prendere provviste di cibo in Egitto. (Gen. 42:1-7) Anni prima, essi avevano venduto Giuseppe come schiavo. Ora, sebbene non se ne rendessero conto, chiedevano cibo al loro proprio fratello. Giuseppe non aveva ancora ritenuto di rivelarsi loro. Invece, era deciso a metterli alla prova. Genesi 44:5 si dovrebbe considerare tenendolo presente.
Evidentemente, Giuseppe agiva secondo un certo disegno, presentandosi non come loro fratello che aveva fede in Geova Dio, ma come amministratore di un paese pagano. In armonia con il suo proposito, Giuseppe comandò all’uomo che era sulla sua casa di riempire di cibo i loro sacchi, di mettere il denaro di ciascuno alla bocca del suo sacco e di porre il calice d’argento di Giuseppe alla bocca del sacco del più giovane. (Gen. 44:1, 2) I fratelli di Giuseppe non erano andati lontano quando egli disse al suo servitore: “Levati! Insegui gli uomini e senza meno raggiungili e di’ loro: ‘Perché avete reso male per bene? Non è questa la cosa da cui il mio padrone beve e per mezzo di cui fa espertamente presagi? Avete commesso una cattiva azione’”. (Gen. 44:3-5) Giuseppe, agendo in maniera coerente con ciò che aveva cercato di conseguire, disse all’uomo che era sulla sua casa quello che doveva dichiarare. Gli fece descrivere il calice come “la cosa da cui il mio padrone beve e per mezzo di cui fa espertamente presagi”, possibilmente per mostrare il grande valore di questo particolare calice e così accrescere la gravità dell’avvenimento.
Quando Giuseppe fu davanti ai suoi fratelli, continuò il suo sotterfugio, chiedendo loro: “Non sapevate che un uomo come me può
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