Domande dai lettori
Come può armonizzare Ezechiele 18:20, che dice che il figlio non porterà l’iniquità del padre, con Esodo 20:5, che dice che Dio visiterà l’iniquità dei padri sui figliuoli fino alla terza e alla quarta generazione? — M. L., Germania.
Ezechiele 18:20 mostra che ogni individuo, dopo aver raggiunto l’età della responsabilità, è giudicato in base alla sua attitudine e condotta. La prima educazione e l’ambiente familiare possono essere di grande aiuto o di impedimento per la prole, e come regola generale i fanciulli seguono gli esempi di condotta posti durante gli anni della loro formazione. (Prov. 22:6) Tuttavia non è sempre e invariabilmente così, e giungendo all’età della responsabilità la prole agisce di propria scelta, indipendentemente da quanto tali decisioni possano essere più o meno influenzate dalla prima educazione e dall’ambiente. Essa adotta una certa condotta nella vita, e viene giudicata secondo i suoi stessi atti. “Dio non può essere beffato. Poiché quello che un uomo semina, quello pure mieterà”. “Egli renderà a ciascuno secondo le sue opere”. Gesù mostrò che le famiglie sarebbero state divise per causa sua, alcuni avrebbero scelto di seguirlo nel servizio di Geova ed altri della famiglia si sarebbero opposti: “Io venni per causare divisione, mettendo un uomo contro suo padre, e una figlia contro sua madre”. Il figlio cristiano di un padre oppositore non porterebbe l’iniquità di suo padre, ma sarebbe favorevolmente giudicato in base alle sue opere cristiane — Gal. 6:7; Rom. 2:6; Matt. 10:35, NW.
Ezechiele 18:20 indica l’estrema penalità della morte: “L’anima che pecca sarà quella che morrà”. Se l’empio si cambia e pratica la giustizia, “egli certamente vivrà, non morrà”. Se il giusto si cambia e pratica l’empietà, “per la prevaricazione di cui s’è reso colpevole e per il peccato che ha commesso, per tutto questo morrà”. Di conseguenza vi è l’ammonitrice esclamazione di Geova: “E perché morreste, o casa d’Israele? . . . Convertitevi dunque, e vivete!” (Ezech. 18:21, 24, 31, 32) Quindi Ezechiele 18:20 corrisponde a Deuteronomio 24:16 riguardo a chi subisce la penalità della morte: “Non si metteranno a morte i padri per i figliuoli, né si metteranno a morte i figliuoli per i padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato”.
Il caso di Esodo 20:5 è differente. Per mezzo di Mosè Geova disse a Israele: “Se ubbidirete strettamente alla mia voce e osserverete davvero il mio patto, diverrete di certo la mia speciale proprietà fra tutti gli altri popoli, perché tutta la terra appartiene a me. E voi stessi mi diverrete un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Gli anziani rappresentanti della nazione diedero a Mosè la risposta che la nazione dava a Dio: “Noi faremo tutto ciò che Geova ha detto”. Il patto doveva essere fatto con la nazione, non con gli individui. Le parole inauguranti questo patto stavano a dimostrare che Geova era il loro Dio, ch’essi non dovevano averne altri davanti a lui, e che non dovevano mai farsi delle immagini per adorarle. Poi, in relazione con questo divieto dell’idolatria, Dio diede la ragione di questo comando: “Perché io, Geova, il tuo Dio, sono un Dio che esige devozione esclusiva, e porta la punizione dell’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione nel caso di quelli che mi odiano, ma esercita amorevole benignità verso migliaia di quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti”. — Eso. 19:3-8; 20:1-6, NW.
Questo pone il principio del modo in cui Dio ricompensa la fedeltà e l’infedeltà, e questo principio può esser applicato tanto contro individui quanto contro una nazione rispetto all’idolatria o ad altro peccato. La storia nazionale d’Israele rivelata più tardi fu conforme all’ammonimento di Geova. Quando la nazione si diede all’idolatria ne soffrì le cattive conseguenze per successive generazioni. Vi furono sempre alcuni che mantennero l’integrità, e a volte quelli che amarono Dio e osservarono i suoi comandamenti salirono a migliaia, malgrado la condotta idolatra della nazione. (1 Re 19:14, 18) I fedeli non furono puniti per i peccati della nazione, ma, benché ne subissero gli effetti, essi godettero della benignità di Dio. Benché dei singoli potessero evitare ed evitassero le idolatrie dell’intera nazione, fu difficile per loro andare contro la corrente nazionale della delinquenza religiosa.
Quando i capi nazionali caddero nell’idolatria il popolo in generale vi precipitò con loro e l’ambiente nazionale divenne spiritualmente infermo. In quel pessimo ambiente crebbe la nuova generazione che subì la forte tendenza di seguire le religioni idolatre dei loro padri. Talvolta le generazioni successive prima di raccogliere le calamità derivanti dalla loro idolatria precipitarono in una crisi nazionale, la quale di solito apportava una parziale se non totale riabilitazione dall’impura adorazione.
In ogni caso la nazione soffriva per generazioni la conseguenza della sua caduta, se le generazioni seguenti non manifestavano pentimento rispetto al patto di Geova Dio. Il libro di Giudici è pieno di episodi di collasso nazionale e delle disastrose conseguenze. (Giud. 2:11-19) La stessa situazione è riscontrata nel periodo in cui governarono i re. Per esempio, Geova decise di punire la nazione a causa della sua idolatria durante il regno di Manasse, e neanche un successivo buon regno di Giosia riuscì a mutare il proposito di Dio. (2 Re 22:13-20; 23:25-27) Malgrado una riabilitazione temporanea durante il regno di Giosia, la nazione andò di male in peggio finché fu condotta schiava a Babilonia e vi rimase per settant’anni. Vi fu un caso in cui la nazione fu punita a causa dei misfatti dei genitori per un periodo di tre o quattro o anche più generazioni. Al tempo di Gesù i capi della nazione influenzarono il popolo perché chiedesse la morte di Gesù, e quando Pilato dichiarò ch’egli era innocente del sangue di Gesù il popolo rispose: “Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli”. (Matt. 27:25, NW) La nazione giudaica rigettò il Messia e si volse all’idolatra Impero romano, e furono primariamente i figli di quegli adulti Giudei che formarono la nazione quand’essa soffri per i peccati di quei genitori, allorché vennero i Romani nel 70 d.C.
L’espressione visitare l’iniquità sui discendenti non implica necessariamente la pena di morte, poiché se significasse la morte, come avrebbero i padri peccatori avuto dei pronipoti? Casi nei quali Geova applicò il principio contro individui furono quelli di Eli, il quale per la sua negligenza vide la sua famiglia privata del sommo sacerdozio, come avvenne ad Abiathar, pronipote di Eli; (1 Sam. 2:27-36; 3:11-14; 14:3; 22:20; 1 Re 2:26, 27) e Ghehazi, che fu colpito dalla lebbra per aver chiesto doni al generale siro Naaman contrariamente ai voleri di Eliseo, e al quale Eliseo disse poi: “La lebbra di Naaman s’attaccherà perciò a te e alla tua progenie in perpetuo”. (2 Re 5:1-27) Ciò non condannò i loro figli o i loro discendenti alla pena capitale della morte ma lasciò provare loro i perniciosi effetti dell’iniquità dei loro progenitori. Degli individui fra questi discendenti potrebbero ritornare a Geova e ricevere un certo sollievo e favore.