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DibonAusiliario per capire la Bibbia
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d’acqua e di altri generi di prima necessità. — Ger. 25:9, 17-21.
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Dichiarare giustoAusiliario per capire la Bibbia
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Dichiarare giusto
In molte traduzioni questa espressione biblica è resa “giustificare” e il sostantivo corrispondente “giustificazione”. I termini originali (dikaiòo [verbo] e dikàioma, dikàiosis [sostantivi]) nelle Scritture Greche Cristiane, dove troviamo una spiegazione più completa, hanno fondamentalmente il significato di ‘assolvere o prosciogliere da ogni accusa’, ‘ritenere innocente’ e quindi ‘assolvere e dichiarare o considerare giusto’. — Arndt e Gingrich, A Greek-English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian Literature, pp. 196, 197; Liddell e Scott, A Greek-English Lexicon, p. 354; Edward Robinson, A Greek and English Lexicon of the New Testament, pp. 184, 185.
Perciò l’apostolo Paolo dice che Dio è “provato giusto [forma di dikaiòo]” nelle sue parole e vince quando viene giudicato da diffamatori. (Rom. 3:4) Gesù aveva detto: “Che la sapienza sia giusta è provato dalle sue opere”. Poi aggiunse che quando dovrà render conto nel Giorno del Giudizio, ogni uomo sarà “dichiarato giusto [forma di dikaiòo]” o condannato dalle sue stesse parole. (Matt. 11:19; 12:36, 37) Gesù spiegò che l’umile esattore di tasse che pregava contrito nel tempio “scese a casa sua più giustificato” del vanaglorioso fariseo che pregava nello stesso tempo. (Luca 18:9-14; 16:15) Comunque, oltre all’uso suddetto, i termini greci possono riferirsi anche a un atto di Dio grazie al quale uno è considerato innocente. — Atti 13:38, 39.
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DidrammaAusiliario per capire la Bibbia
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Didramma
Moneta greca d’argento del valore di due dramme. Gli ebrei pagavano ogni anno al tempio una tassa di due dramme o di un didramma. — Matt. 17:24, NW, nota in calce ed. 1950; vedi anche Ga, VR.
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DieciAusiliario per capire la Bibbia
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Dieci
Vedi NUMERI.
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Dieci comandamentiAusiliario per capire la Bibbia
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Dieci comandamenti
Vedi DIECI PAROLE.
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Dieci paroleAusiliario per capire la Bibbia
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Dieci parole
Equivalente italiano dell’espressione ebraica ʽasèreth had-devarìm, che ricorre solo nel Pentateuco e indica le dieci leggi fondamentali del patto della Legge, comunemente chiamate i Dieci Comandamenti. (Eso. 34:28; Deut. 4:13; 10:4) Questo speciale codice di leggi è chiamato anche le “Parole” (Deut. 5:22) e “le parole del patto”. (Eso. 34:28) La Settanta (Eso. 34:28; Deut. 10:4) ha “dèka [dieci] lògous [parole]”, da cui deriva il termine Decalogo.
LE TAVOLE DELLA LEGGE
Le Dieci Parole o Comandamenti furono prima trasmesse oralmente dall’angelo di Geova presso il monte Sinai. (Eso. 20:1; 31:18; Deut. 5:22; 9:10; Atti 7:38, 53; vedi anche Galati 3:19; Ebrei 2:2). Poi Mosè salì sul monte per ricevere le Dieci Parole scritte su due tavole di pietra, insieme ad altri comandamenti e istruzioni. Durante la sua prolungata assenza di quaranta giorni il popolo si spazientì e fuse un vitello da adorare. Scorgendo questo spettacolo di idolatria mentre scendeva dal monte, Mosè gettò in terra e spezzò “le tavolette [che] erano l’opera di Dio”, le tavolette stesse su cui erano state scritte le Dieci Parole. — Eso. 24:12; 31:18–32:19; Deut. 9:8-17; confronta Luca 11:20.
In seguito Geova disse a Mosè: “Tagliati due tavolette di pietra come le prime, e io devo scrivere sulle tavolette le parole che erano sulle prime tavolette, che tu spezzasti”. (Eso. 34:1-4) E così, dopo aver trascorso altri quaranta giorni sul monte, Mosè ricevette una copia delle Dieci Parole, che ripose in un’arca di legno d’acacia. (Deut. 10:1-5) Le due tavole furono chiamate “le tavolette del patto”. (Deut. 9:9, 11, 15) Per questo l’arca rivestita d’oro fatta più tardi da Bezalel, in cui furono poi riposte le tavolette, era chiamata “l’arca del patto”. (Gios. 3:6, 11; 8:33; Giud. 20:27; Ebr. 9:4) Questo codice di leggi era anche chiamato “la testimonianza” (Eso. 25:16, 21; 40:20), e “tavolette della Testimonianza” (Eso. 31:18; 34:29), da cui le espressioni “arca della testimonianza” (Eso. 25:22; Num. 4:5) e anche “tabernacolo della Testimonianza”, a indicare la tenda che ospitava l’Arca. — Eso. 38:21.
A proposito delle prime tavole della legge non solo è precisato che erano opera di Geova, ma anche che erano “scritte col dito di Dio”, evidentemente a indicare lo spirito di Dio. (Eso. 31:18; Deut. 4:13; 5:22; 9:10) Anche le seconde tavolette, benché tagliate da Mosè, furono scritte da Geova. Quando, in Esodo 34:27, fu detto a Mosè, “scriviti queste parole”, non si parlava delle Dieci Parole stesse, ma piuttosto, come in una precedente occasione (Eso. 24:3, 4), egli doveva mettere per iscritto alcuni altri particolari relativi alle norme del patto. Quindi, come spiega il versetto 1, in Esodo 34:28b il soggetto del verbo “scriveva” è Geova: “E [Geova, non Mosè] scriveva sulle tavolette le parole del patto, le Dieci Parole”. Più tardi, ricordando questi avvenimenti, Mosè confermò che era stato Geova a riscrivere le tavolette. — Deut. 10:1-4.
CONTENUTO DEI COMANDAMENTI
Come introduzione a queste dieci grandi Parole troviamo l’esplicita dichiarazione fatta in prima persona: “Io sono Geova tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa degli schiavi”. (Eso. 20:2) Ciò non solo rivela chi parla e a chi, ma spiega anche perché il Decalogo venne dato agli ebrei proprio in quel tempo e non ad Abraamo. — Deut. 5:2, 3.
Il primo comandamento, “non devi avere altri dèi contro la mia faccia”, metteva al primo posto Geova. (Eso. 20:3) Si riferiva alla sua posizione eccelsa e unica di Onnipotente, Altissimo, Sovrano Supremo. Questo comandamento indicava che gli israeliti non dovevano avere altri dèi rivali di Geova.
Il secondo comandamento era conseguenza naturale del primo, in quanto vietava qualsiasi genere o forma di idolatria, un palese affronto alla gloria e alla Persona di Geova. ‘Non ti devi fare immagine scolpita né forma simile ad alcuna cosa nei cieli o sulla terra o nelle acque sotto la terra, e non ti devi inchinare a loro né servirle’. Tale proibizione è sottolineata dalla dichiarazione: “Perché io, Geova tuo Dio, sono un Dio che esigo esclusiva devozione”. — Eso. 20:4-6.
Il terzo comandamento, nel suo ordine giusto e logico, diceva: “Non ti devi servire del nome di Geova tuo Dio in modo indegno”. (Eso. 20:7) Ciò è in armonia con l’importanza attribuita al nome di Geova nel testo ebraico primitivo (dove ricorre 6.961 volte). Nei pochi versetti delle Dieci Parole (Eso. 20:2-17), il nome ricorre otto volte. La frase “non ti devi servire” rende l’idea di “non pronunciare” o “non prendere (o portare)”. Far questo del nome di Dio in “modo indegno” sarebbe come prendere quel nome per una falsità, o “invano”. Gli israeliti che avevano il privilegio di portare il nome di Geova quali suoi testimoni e che diventavano apostati in effetti assumevano e portavano il nome di
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