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    Ausiliario per capire la Bibbia
    • benedizioni che avevano in ogni giorno e periodo dell’anno. Tali feste offrivano agli israeliti il tempo e l’opportunità di meditare, di stare insieme e parlare della legge di Geova. Permettevano di conoscere meglio il paese dato loro da Dio, di avere maggior intendimento e amore del prossimo, e promuovevano l’unità e la pura adorazione. Le feste erano motivo di felicità. La mente dei presenti era piena dei pensieri e delle vie di Dio, e tutti coloro che vi partecipavano sinceramente ricevevano ricche benedizioni spirituali. Pensate per esempio alla benedizione che ebbero le migliaia di persone che si trovavano a Gerusalemme per la Pentecoste del 33 E.V. — Atti 2:1-47.

  • Festa dei pani non fermentati
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    • Festa dei pani non fermentati

      Questa festa iniziava il 15 nisan, il giorno dopo la Pasqua, e continuava per sette giorni fino al 21 nisan. Prende nome dal pane senza lievito (ebr. matstsàh), l’unico pane consentito durante i sette giorni della festa. Il pane non fermentato viene impastato con acqua ma senza lievito. Si deve prepararlo in fretta per impedirne la fermentazione.

      Il primo giorno della festa dei pani non fermentati era un’assemblea solenne o sabato. Il secondo giorno, 16 nisan, si doveva portare al sacerdote un covone delle primizie della mietitura dell’orzo, il primo prodotto dei campi in Palestina. Prima di tale festa non si poteva mangiare grano nuovo né pane o grano abbrustolito del nuovo raccolto. Il sacerdote offriva simbolicamente tali primizie a Geova agitando un covone di spighe avanti e indietro, mentre veniva offerto in olocausto un montone sano di un anno insieme a un’offerta di grano intriso con olio e a una libagione. (Lev. 23:6-14) Non era stato comandato di bruciare parte del grano o della farina sull’altare, come usavano fare in seguito i sacerdoti. Non solo c’era un’offerta di primizie nazionale o pubblica, ma anche ogni famiglia e singolo individuo che aveva un possedimento in Israele poteva offrire sacrifici di rendimento di grazie durante la festa. — Eso. 23:19; Deut. 26:1, 2.

      SCOPO

      In tale occasione si mangiavano pani non lievitati, in armonia con le istruzioni che Mosè aveva ricevute da Geova, riportate in Esodo 12:14-20, che includono (v. 19) il preciso ordine: “Per sette giorni non si deve trovare pasta acida nelle vostre case”. In Deuteronomio 16:3 i pani non fermentati sono chiamati “pane d’afflizione”, e dovevano ogni anno ricordare agli ebrei l’affrettata partenza dall’Egitto (quando non ebbero il tempo di lasciar lievitare il pane [Eso. 12:34]). Così ricordavano l’afflizione e la schiavitù da cui Israele era stato liberato, come Geova stesso aveva detto: “Onde tu ti ricordi del giorno della tua uscita dal paese d’Egitto per tutti i giorni della tua vita”. Era appropriato che nella prima delle tre grandi feste annuali gli israeliti si rendessero conto della loro presente libertà nazionale e riconoscessero che Geova era il loro Liberatore. — Deut. 16:16.

      SIGNIFICATO PROFETICO

      Gesù Cristo spiegò il significato simbolico del fermento o lievito, come si legge in Matteo 16:6, 11, 12, quando consigliò ai discepoli: “Tenete gli occhi aperti e guardatevi dal lievito dei Farisei e dei Sadducei”. Poiché i discepoli ragionavano erroneamente fra loro sul significato di tali parole, disse esplicitamente: “‘Come mai non discernete che non vi ho parlato di pani? Ma guardatevi dal lievito dei Farisei e dei Sadducei’. Allora compresero che egli diceva di guardarsi . . . dall’insegnamento dei Farisei e dei Sadducei”. Anche Luca riferisce che in un’altra occasione Gesù disse: “Guardatevi dal lievito dei Farisei, che è ipocrisia”. (Luca 12:1) L’apostolo Paolo attribuisce un significato simile al lievito in relazione alla festa dei pani non fermentati quando descrive la condotta che i cristiani dovrebbero intraprendere. — I Cor. 5:6-8.

      Il 16 nisan, secondo giorno della festa dei pani non fermentati, il sommo sacerdote agitava le primizie della mietitura dell’orzo, il primo raccolto dell’anno cioè quello che si poteva definire la prima delle primizie della terra. (Lev. 23:10, 11) Significativo é il fatto che Gesù Cristo è stato risuscitato proprio quel giorno, il 16 nisan del 33 E.V. — Vedi PRIMIZIE.

  • Festa della Dedicazione
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    • Festa della Dedicazione

      [ebr. hhanukkàh, inaugurazione, dedicazione].

      Questa celebrazione commemorava la riacquistata indipendenza degli ebrei dalla dominazione sirogreca e la ridedicazione a Geova del tempio di Gerusalemme, profanato da Antioco IV Epifane che si faceva chiamare Theòs Epiphanès (“Dio Manifesto”). Antioco aveva fatto costruire un altare sopra il grande altare su cui si immolava l’olocausto giornaliero. (I Maccabei 1:54-59, CEI) In quell’occasione (25 chislev 168 a.E.V.) immolò un maiale sull’altare e con parte della carne fece un brodo che spruzzò in tutto il tempio per mostrare l’odio e il disprezzo che aveva per Geova, il Dio degli ebrei, e per profanare al massimo il Suo tempio. Bruciò le porte del tempio, abbatté le camere dei sacerdoti e asportò l’altare d’oro, la tavola del pane di presentazione e il candelabro d’oro. Il tempio di Zorobabele fu poi dedicato al dio pagano Zeus Olimpio.

      Due anni dopo Giuda Maccabeo riconquistò la città e il tempio. Il santuario giaceva desolato e nei cortili del tempio crescevano erbacce. Giuda abbatté il vecchio altare profanato e costruì un nuovo altare con pietre non squadrate. Fece rifare gli arredi del tempio e rimise al suo posto l’altare dell’incenso, la tavola dei pani di presentazione e il candelabro. Una volta purificato il tempio da ogni contaminazione, il 25 chislev 165 a.E.V. ebbe luogo la ridedicazione, tre anni esatti dopo che Antioco aveva profanato l’altare col sacrificio in onore del dio pagano. Furono inoltre ripristinati gli olocausti continui o giornalieri. — I Maccabei 4:36-54; II Maccabei 10:1-9, CEI.

      CARATTERISTICHE DELLA FESTA

      La natura stessa della festa ne faceva un’occasione di grande giubilo. Si svolgeva in modo simile alla festa delle capanne. La celebrazione durava otto giorni dal 25 chislev in poi. (I Maccabei 4:59) Nei cortili del tempio c’era un gran bagliore di luce e tutte le abitazioni private erano illuminate da lampade decorative. Il Talmud la chiama “festa dell’illuminazione”. In seguito alcuni avevano la consuetudine di esporre otto lampade la prima sera e di ridurne il numero ogni sera, altri iniziavano con una e arrivavano fino a otto. Lo scopo non era unicamente quello di illuminare la casa all’interno, ma che tutti all’esterno vedessero la luce, infatti le lampade venivano sistemate vicino alla porta che dava sulla strada. Quando si accendevano le lampade si cantavano cantici di lode a Dio, il Liberatore di Israele. Giuseppe Flavio dice a proposito dell’istituzione della festa: “Furono così felici al rinnovarsi delle loro consuetudini quando, dopo una lunga interruzione, avevano inaspettatamente riacquistato la libertà di adorazione, che la imposero

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