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    Ausiliario per capire la Bibbia
    • di una donna in cielo, e di un dragone, e conclude questa parte della visione dicendo: “E il dragone si adirò contro la donna, e se ne andò a far guerra contro i rimanenti [loipòn] del seme di lei, che osservano i comandamenti di Dio e hanno l’opera di rendere testimonianza a Gesù”. Questi “rimanenti” che svolgono “l’opera di rendere testimonianza a Gesù” sono gli ultimi fratelli di Gesù Cristo rimasti in vita sulla terra dopo che il Diavolo vi è stato scagliato ed è stato dato l’annuncio: “Ora son venuti la salvezza e la potenza e il regno del nostro Dio e l’autorità del suo Cristo”. Il Diavolo, il dragone, combatte contro questo rimanente dei fratelli spirituali di Cristo servendosi delle ‘bestie selvagge’ e della “immagine della bestia selvaggia”, descritte in Rivelazione capitolo 13. Ma il rimanente è vittorioso, come rivela il capitolo 14.

  • Rimmon
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    • Rimmon

      (Rimmon o Rimmòn).

      Divinità sira. Naaman comandante dell’esercito siro, dopo esser guarito dalla lebbra, riconobbe Geova quale vero Dio ma espresse preoccupazione a motivo del fatto che doveva accompagnare il re di Siria nel tempio di Rimmon e lì inchinarsi insieme al re davanti all’idolo di Rimmon, poiché il re si appoggiava al suo braccio. — II Re 5:15-18.

      Rimmon viene generalmente identificato con Ramman (“ruggente, tonante”), dio che era venerato in Assiria e in Babilonia. È stata avanzata l’ipotesi che il culto di Rimmon (Ramman) dall’Assiria sia stato portato a O da qualche tribù insediatasi poi intorno a Damasco. Rimmon (Ramman) potrebbe essere un titolo del dio della tempesta Adad (Hadad). Il fatto che Tabrimmon e Ben-Adad erano nomi di re della Siria avvalora l’ipotesi che Rimmon e Adad fossero la stessa cosa, dato che quei re probabilmente portavano il nome o il titolo del loro dio principale. — I Re 15:18.

  • Riscatto
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    • Riscatto

      Il termine italiano “riscatto” ha significato affine a quello del termine “redenzione”, che deriva dal latino redemptio, a sua volta derivato dal verbo redimere, che è definito “ricomprare,.. liberare a prezzo, redimere, riscattare”. (Dizionario Enciclopedico Italiano, Treccani, 1959, Vol. X, p. 195; F. Calonghi, Dizionario latino-italiano, III ed., 1965) Questi due vocaboli (in origine sinonimi) sono usati per tradurre diversi termini ebraici e greci. In tutti questi termini l’analogia sta nell’idea di pagare un prezzo o cosa di valore per effettuare il riscatto o la redenzione. Il significato di scambio, come pure quello di corrispondenza, equivalenza o sostituzione, è infatti comune a tutti. Vale a dire, una cosa viene data in cambio di un’altra, soddisfacendo le esigenze della giustizia e riequilibrando le cose.

      Il sostantivo ebraico kòpher deriva dal verbo kaphàr, che fondamentalmente significa “coprire”, come nel caso di Noè che coprì l’arca di catrame. (Gen. 6:14) Kaphàr tuttavia è usato quasi esclusivamente nel senso di appagare la giustizia coprendo o espiando i peccati. Il sostantivo kòpher si riferisce alla cosa data per ottenere questo, al prezzo del riscatto. (Sal. 65:3; 78:38; 79:8, 9) La copertura deve corrispondere alla cosa che copre, sia nella forma (come il “coperchio [ebr. khappòreth]” dell’arca del patto (Eso. 25:17-22), che in quanto a valore (come in un pagamento per coprire il costo dei danni arrecati da una ferita).

      Al fine di soddisfare la giustizia e mettere le cose a posto col suo popolo Israele, Geova, nel patto della Legge, ordinò vari sacrifici e offerte per espiare o coprire i peccati, inclusi quelli dei sacerdoti e dei leviti (Eso. 29:33-37), di altri singoli individui o della nazione intera (Lev. 1:4; 4:20, 26, 31, 35), e per purificare l’altare e il tabernacolo, facendo espiazione a motivo dei peccati di coloro che vi stavano intorno. (Lev. 16:16-20) In effetti la vita dell’animale sacrificato prendeva il posto della vita del peccatore, e il suo sangue faceva espiazione sull’altare di Dio, almeno per quanto poteva farlo. (Lev. 17:11; confronta Ebrei 9:13, 14; 10:1-4). Il “giorno dell’espiazione [yohm hak-kippurìm]” potrebbe giustamente chiamarsi anche “giorno dei riscatti”. (Lev. 23:26-28) Questi sacrifici erano necessari affinché la nazione e la sua adorazione avessero e conservassero il beneplacito e l’approvazione del giusto Iddio.

      Il significato di scambio o redenzione è ben illustrato dalla legge relativa al proprietario di un toro che si sapeva solito cozzare, il quale lasciava libero l’animale che finiva per uccidere qualcuno. Il proprietario doveva essere messo a morte, pagare con la propria vita la vita dell’ucciso. Tuttavia, dal momento che non aveva ucciso direttamente o intenzionalmente, se i giudici ritenevano opportuno imporgli invece un “riscatto [kòpher]”, egli doveva pagare quel prezzo di redenzione. Era come se la somma stabilita e pagata avesse preso il posto della sua stessa vita e compensato per la vita perduta. (Eso. 21:28-32; confronta Deuteronomio 19:21). Viceversa non si poteva accettare riscatto per l’assassino volontario; solo la sua stessa vita poteva coprire la morte della vittima. (Num. 35:31-33) Poiché un censimento riguardava delle vite, quando veniva fatto per ogni maschio al di sopra dei vent’anni si doveva dare a Geova per la sua anima un riscatto (kòpher) di mezzo siclo, lo stesso prezzo sia che l’individuo fosse ricco o povero. — Eso. 30:11-16.

      Poiché non fa piacere a Dio, e neanche agli uomini, che la giustizia rimanga in qualche modo insoddisfatta, il riscatto poteva avere l’ulteriore effetto di allontanare o placare l’ira. (Confronta Geremia 18:23; e anche Genesi 32:20, dove kaphàr è tradotto ‘placare’). Il marito adirato con l’uomo che ha commesso adulterio con sua moglie rifiuta però qualsiasi “riscatto [kòpher]”. (Prov. 6:35) Questo termine può essere usato anche a proposito di chi dovrebbe far giustizia ma invece accetta un regalo come “prezzo [kòpher] del silenzio” per nascondere la trasgressione. — I Sam. 12:3; Amos 5:12.

      Il termine ebraico padhàh, secondo il lessicografo Gesenius, fondamentalmente significa “liberare” o “lasciare andare” mediante il pagamento di un prezzo di redenzione (pidhyòn: Eso. 21:30). Quindi questo termine dà risalto alla liberazione ottenuta mediante il prezzo di redenzione mentre kaphàr pone l’accento sulla qualità o sul contenuto del prezzo stesso e sulla sua efficacia per equilibrare la bilancia della giustizia. Si può ottenere liberazione o redenzione (padhàh) dalla schiavitù (Lev. 19:20; Deut. 7:8), da qualche altra condizione penosa o ingiusta (II Sam. 4:9; Giob. 6:23; Sal. 55:18) oppure dalla morte e dalla tomba. (Giob. 33:28; Sal. 49:15) Spesso viene menzionato il fatto che Geova redense la nazione di Israele dall’Egitto perché divenisse sua “privata proprietà” (Deut. 9:26; Sal. 78:42), e molti secoli dopo la redense dall’esilio in Assiria e Babilonia. (Isa. 35:10; 51:11; Ger. 31:11, 12; Zacc. 10:8-10) Anche in questi casi la redenzione richiese un prezzo, uno scambio. Nel redimere Israele dall’Egitto, Geova fece evidentemente pagare il prezzo all’Egitto. Israele era in effetti il “primogenito” di Dio e Geova avvertì il faraone che l’ostinato rifiuto di liberare Israele sarebbe costato la vita del primogenito del faraone e dei primogeniti di tutto l’Egitto, sia degli uomini che degli animali. (Eso. 4:21-23; 11:4-8) Similmente in cambio della vittoria riportata da Ciro su Babilonia e della liberazione degli ebrei esiliati, Geova diede ‘l’Egitto come riscatto [forma di kòpher] per il suo popolo, l’Etiopia e Seba’ in cambio. Infatti l’impero persiano in seguito conquistò quelle regioni e quindi ‘gruppi nazionali furono dati al posto delle anime di israeliti’. (Isa. 43:1-4) Questi scambi sono in armonia con l’ispirata dichiarazione che “il malvagio è [o serve come] un riscatto [kòpher] per il giusto; e chi si comporta slealmente prende il posto dei retti”. — Prov. 21:18.

      Un altro termine ebraico che ha relazione con la redenzione è gaʼàl, che ha il significato principale di reclamare, ricuperare o riacquistare. (Ger. 32:7, 8) L’analogia con padhàh è evidente dall’uso che ne viene fatto in un parallelismo in Osea 13:14: “Li redimerò [padhàh] dalla mano dello Sceol; li ricupererò [gaʼàl] dalla morte”. (Confronta Salmo 69:18). Gaʼàl dà risalto al diritto di redenzione o ricompra, sia da parte di uno stretto parente di colui la cui proprietà o persona stessa dev’essere riacquistata o redenta, che di colui che ha venduto se stesso o la sua proprietà. Un parente stretto, chiamato go’èl, era dunque il “ricompratore” (Rut 2:20; 3:9, 13), o se si trattava di un omicidio, il “vendicatore del sangue”. — Num. 35:12.

      La Legge prevedeva che se un israelita povero era costretto dalle circostanze a vendere le terre che aveva avute in eredità, la casa in città, o anche se stesso come schiavo, “un ricompratore che gli [era] parente stretto”, cioè un go’èl, aveva diritto di “ricomprare [gaʼàl] ciò che il suo fratello [aveva] venduto”, oppure lo poteva fare il venditore stesso se aveva i fondi necessari. (Lev. 25:23-27, 29-34, 47-49; confronta Rut 4:1-5). Se un uomo aveva fatto voto di offrire a Dio una casa o un campo e poi desiderava ricomprarli, doveva versare una somma corrispondente al valore della proprietà più un quinto del suo valore. (Lev. 27:14-19) Tuttavia non si poteva dare nulla in cambio di qualche cosa “votata alla distruzione”. — Lev. 27:28, 29.

      In caso di omicidio volontario, l’assassino non poteva trovare protezione nelle apposite città di rifugio, ma, dopo un’udienza, i giudici lo consegnavano al “vendicatore [go’èl] del sangue”, uno stretto parente della vittima, che lo metteva quindi a morte. Poiché non si poteva pagare un “riscatto [kòpher]” per l’assassino e poiché il parente stretto avente diritto di ricompra non poteva redimere o ricuperare la vita del parente defunto, giustamente esigeva la vita di colui che aveva tolto la vita al suo parente. — Num. 35:9-32; Deut. 19:1-13.

      Non si trattava sempre di un prezzo tangibile

      Come si è detto, Geova ‘redense (padhàh) o ‘reclamò’ (gaʼàl) Israele dall’Egitto. (Eso. 6:6; Isa. 51:10, 11) In seguito, dato che gli israeliti “si vendevano per fare ciò che era male” (II Re 17:16, 17), Geova più volte ‘li vendette nelle mani dei loro nemici’. (Deut. 32:30; Giud. 2:14; 3:8; 10:7; I Sam. 12:9) Il loro pentimento lo indusse a ricomprarli o liberarli dall’afflizione o dall’esilio (Sal. 107:2, 3; Isa. 35:9, 10; Mic. 4:10), agendo in tal modo quale Go’el, Ricompratore, loro parente in quanto la nazione era la sua sposa. (Isa. 43:1, 14; 48:20; 49:26; 50:1, 2; 54:5-7) Quando li ‘vendette, Geova non ricevette alcun compenso materiale dalle nazioni pagane. Il ricavato della ‘vendita’ poteva non essere qualcosa di tangibile, come beni o denaro. Per esempio, gli israeliti ‘si erano venduti’ per trarre piacere dalla trasgressione, come il re Acab si era venduto per fare ciò che era male e provare questo piacere. (I Re 21:20) Quindi anche Geova, ma con giusti motivi, poté ‘vendere’ il suo popolo per qualche cosa che non era tangibile, e il pagamento fu la soddisfazione della sua giustizia e l’adempimento del suo proposito di farli correggere e disciplinare per la loro condotta ribelle e irrispettosa. — Confronta Isaia 48:17, 18.

      Similmente la ‘ricompra’ da parte di Dio non richiede il pagamento di qualcosa di tangibile. A parte il caso di Ciro che di buon grado liberò gli israeliti in esilio, nel liberare il suo popolo Geova non pagò nulla alle nazioni che li avevano oppressi, poiché queste avevano agito senza giusto motivo e con intenzione malvagia. Anzi Geova esigeva il prezzo dagli oppressori stessi, costringendoli a pagare con la loro stessa vita. (Confronta Salmo 106:10; Isaia 41:11-14; 49:26). Il fatto di esser stato venduto a nazioni pagane non fruttò “nulla” al suo popolo in quanto a vero beneficio o sollievo da chi lo aveva reso schiavo e quindi Geova non doveva effettuare alcun pagamento per saldare i conti coi catturatori. Dio effettuò la ricompra grazie al potere del “suo santo braccio”. — Isa. 52:3-10; Sal. 77:14, 15.

      Il ruolo di Go’èl richiedeva dunque che Geova vendicasse i torti fatti ai suoi servitori ed ebbe come risultato la santificazione e rivendicazione del suo stesso nome di fronte a coloro che avevano approfittato della calamità di Israele per biasimare lui. (Sal. 78:35; Isa. 59:15-20; 63:3-6, 9) Quale stretto Parente e grande Redentore sia della nazione che dei singoli individui che la componevano, Dio difese la loro “causa” per fare giustizia. — Sal. 119:153, 154; Ger. 50:33, 34; Lam. 3:58-60; confronta Proverbi 23:10, 11.

      IL RUOLO DI CRISTO GESÙ QUALE REDENTORE

      Le precedenti informazioni sono fondamentali per capire il riscatto provveduto per mezzo del Figlio di Dio, Cristo Gesù, per l’umanità. La necessità di riscattare il genere umano sorse in seguito alla ribellione in Eden. Adamo si era venduto a fare il male per il piacere egoistico di prestare ascolto alla voce della moglie e rimanere in compagnia della peccatrice, e per ricevere da Dio la stessa condanna. In tal modo vendette se stesso e i suoi discendenti in schiavitù al peccato e alla morte, prezzo richiesto dalla giustizia di Dio. (Rom. 5:12-19; confronta Romani 7:14-25). Poiché aveva posseduto la perfezione umana, Adamo rinunciò a quel prezioso possedimento per sé e per tutti i suoi discendenti.

      La Legge, che aveva “un’ombra delle buone cose avvenire”, provvide sacrifici animali per coprire il peccato. Questo però solo in modo simbolico, dato che quegli animali erano inferiori all’uomo; infatti, come fa notare l’apostolo, ‘non era possibile che il sangue di tori e di capri togliesse effettivamente i peccati’. (Ebr. 10:1-4) Quei sacrifici animali rappresentativi dovevano essere fatti con esemplari perfetti, senza macchia. (Lev. 22:21) Il vero sacrificio di riscatto, un essere umano effettivamente in grado di eliminare i peccati, doveva quindi essere pure perfetto, senza macchia. Per poter pagare il prezzo di redenzione che avrebbe affrancato i discendenti di Adamo dal debito, dall’impotenza e dalla schiavitù, condizione in cui si trovavano essendo stati venduti dal loro primogenitore, egli doveva corrispondere al perfetto Adamo e possedere la perfezione umana. (Confronta Romani 7:14; Salmo 51:5). Solo così poteva soddisfare la perfetta giustizia di Dio che richiede “anima per anima”. — Eso. 21:23-25; Deut. 19:21.

      La rigorosa giustizia di Dio rendeva impossibile al genere umano provvedere un proprio redentore o go’èl.

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