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  • Abdia e Giona
    La Torre di Guardia 1957 | 15 novembre
    • ferventi supplicazioni di Giona, Geova indusse il pesce a vomitare Giona sulla spiaggia. Ingiuntogli per la seconda volta di recarsi nella capitale, Ninive, Giona non osò disubbidire ancora. Andò a Ninive e pubblicamente proclamò: “Ancora quaranta giorni, e Ninive sarà distrutta!” Un’ondata di pentimento scosse la gran città; re e popolazione digiunarono e si umiliarono con abiti di sacco e sulla cenere. Geova pietosamente risparmiò la città. — 1:4–3:10.

      Deluso e contrariato perché la sua predizione non si era avverata e perché era stata accordata grazia a una nazione pagana, Giona si ritirò fuori della città in una baracca, imbronciato, aspettando invano di vedere l’esecuzione del giudizio che aveva proclamato. Allora, con un’obiettiva lezione di misericordia e compassione, Geova biasimò il crucciato profeta. Dio fece spuntare un ricino per riparare dal caldo l’osservatore imbronciato; la sua ombra fu assai gradita. Ma il giorno seguente Dio fece sì che un verme rodesse il ricino e in luogo del suo refrigerio vennero un ardente vento orientale e un sole bruciante. Nell’angoscia il profeta desiderò morire. Era irritato perché il ricino non c’era più. Gli ultimi due versetti del libro rivelano Geova in atto di mostrare l’inconsistenza di Giona rispetto alla misericordia. Il profeta voleva misericordia per il ricino affinché vivesse, servisse allo scopo pietoso di ripararlo dal caldo; egli però non mostrava interesse per la misericordia usata verso i pentiti Niniviti. — 4:1-11.

      Sotto la direttiva di Geova, Giona recitò bene la sua parte nel dramma profetico. Poi registrò il dramma fedelmente, non risparmiando se stesso. Si può presumere che ritornò in Israele e rimase fedele a Geova. Certo la condotta di pentimento della pagana Ninive costituì un rimprovero per Israele, che a quel tempo aveva infranto il patto con Geova e si era dato al demonismo.

  • Domande dai lettori
    La Torre di Guardia 1957 | 15 novembre
    • Domande dai lettori

      ◆ Perché Giacobbe è chiamato Siro in Deuteronomio 26:5 (Diodati)? — V. H., Stati Uniti.

      In Deuteronomio 26:5 (Diodati) si legge: “Il padre mio era un misero Siro, e discese in Egitto con poca gente, e dimorò quivi come straniero, e quivi divenne una nazione grande, e potente, e numerosa”. La Versione Riveduta dice: “Mio padre era un Arameo errante”. Questo si riferisce a Giacobbe. Egli soggiornò in Aram col suocero arameo Labano per tanto tempo, vent’anni, da poter essere facilmente chiamato arameo o siro, come un italiano che viva negli Stati Uniti per vent’anni potrebbe essere chiamato americano. Per di più, la madre di Giacobbe era aramea, essendo venuta da quel luogo per sposare Isacco. Giacobbe non si stabilì mai là definitivamente, e sarebbe partito prima se Labano l’avesse lasciato andare.

      Altre versioni in Deuteronomio 26:5 rendono il testo in modo da indicare che il Siro era Labano, ed alcune che Giacobbe abbandonò o lasciò la Siria, ma tale traduzione non è accettata. Primo Samuele 1:1 parla di Elkana come di un Efraimita, mentre secondo la sua discendenza indicata in 1 Cronache 6:22-28 egli era un Levita. Fu chiamato Efraimita perché si era stabilito nel territorio di Efraim. Per la stessa identica ragione Giacobbe fu chiamato Siro o Arameo.

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