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Domande dai lettori (1)La Torre di Guardia 1957 | 1° luglio
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Domande dai lettori
◆ 1 Re 15:33 dichiara che nel terzo anno di Asa, re di Giuda, Baasa divenne re su tutto Israele e regnò ventiquattro anni. Però, 2 Cronache 16:1 dice che Baasa salì contro Giuda nell’anno trentaseesimo del regno di Asa. Come potrebbe essere avvenuto ciò, quando il regno di Baasa era terminato dieci anni prima? — W. M., Inghilterra.
Per mettere in armonia la discordanza fra 1 Re 15:33 e 2 Cronache 16:1 il cronologo arcivescovo Usher calcolò il trentaseesimo anno del regno di Asa dopo la divisione di quell’unica nazione nei regni di Giuda e Israele, alla fine del regno di Salomone. Quindi nel margine della nostra edizione della Versione Autorizzata della Bibbia inglese troverete sotto l’annotazione marginale n. 1 in 2 Cronache questa spiegazione riguardo al trentaseesimo anno: “Cioè, dopo la divisione delle dieci tribù da Giuda, su cui Asa era ora re”.
Inoltre commentatori giudaici citano il Seder Olam, che suggerisce che il trentaseesimo anno fosse determinato dall’esistenza del regno separato di Giuda, che corrispondeva al sedicesimo anno di Asa (Roboamo, 17 anni; Abija, 3 anni e Asa, 16 anni).
Alcuni potrebbero pensare che 2 Cronache 16:1 abbia voluto dire il sedicesimo anno del regno di Asa invece del trentaseesimo, ma la recente Bibbia interpretata (inglese) annuncia la scoperta di una stele che conferma l’uso di trentaseesimo. Pertanto risulta che la veduta corretta è che il trentaseesimo anno di 2 Cronache 16:1 si riferisce, com’è stato suggerito, al calcolo dopo la divisione d’Israele in due regni.
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Domande dai lettori (2)La Torre di Guardia 1957 | 1° luglio
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Domande dai lettori
◆ La credenza nell’insita immortalità dell’anima umana è la base delle religioni del mondo, siano esse cristiane, giudaiche o pagane. Perché i testimoni di Geova credono che l’anima non è immortale?
Per il fatto che nessun testo della Bibbia dice che lo è, e parecchi dicono che non lo è. L’anima che pecca muore: “L’anima che pecca sarà quella che morrà”. Anche dell’uomo senza peccato, Gesù, è scritto: “[Egli] ha dato l’anima sua alla morte”. L’anima non è qualche intangibile, invisibile esistenza spirituale separata dal corpo della creatura, ma “anima” significa “vita”. Sia uomo o bestia, la creatura che ha vita potrebbe dirsi che ha anima. Delle creature animali fatte prima dell’uomo la Bibbia dice, in Genesi 1:30, nota in calce: “E ad ogni animale della terra e ad ogni uccello dei cieli e a tutto ciò che si muove sulla terra ed ha in sé un’anima vivente”. Né gli animali né gli uomini hanno anime immortali; entrambi sono anime viventi e diventano anime morte: “Poiché la sorte de’ figliuoli degli uomini è la sorte delle bestie; agli uni e alle altre tocca la stessa sorte; come muore l’uno, così muore l’altra; hanno tutti un medesimo soffio, e l’uomo non ha superiorità di sorta sulla bestia; poiché tutto è vanità Tutti vanno in un medesimo luogo; tutti vengon dalla polvere, e tutti ritornano alla polvere”. Non è altro che una favola per le religioni asserire che l’uomo abbia una cosciente anima immortale che continua a vivere dopo la morte del corpo: “Difatti, i viventi sanno che morranno; ma i morti non sanno nulla, e non v’è più per essi alcun salario; poiché la loro memoria è dimenticata. Tutto quello che la tua mano trova da fare, fallo con tutte le tue forze; poiché nel soggiorno de’ morti dove vai, non v’è più né lavoro, né pensiero, né scienza, né sapienza”. La morte porta a termine la coscienza dell’uomo: “Il suo fiato se ne va, ed egli torna alla sua terra; in quel giorno periscono i suoi disegni”. — Ezech. 18:4; Isa. 53:12, Martini; Eccl. 3:19, 20; 9:5, 10; Sal. 146:4.
Sarebbe stato detto ai seguaci di Cristo di cercare l’immortalità se l’avessero già avuta? Eppure viene loro detto: “Vita eterna a quelli che . . . cercano gloria e onore e immortalità”, e, “Bisogna che . . . questo mortale rivesta immortalità”. — Rom. 2:7; 1 Cor. 15:53.
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Una moltitudine di dèiLa Torre di Guardia 1957 | 1° luglio
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Una moltitudine di dèi
● Petronio, vissuto nel primo secolo dell’èra cristiana, era il capo cerimoniere della corte di Nerone. Nelle sue Sàtire, capitolo 17, Petronio esprime la sua opinione sulla religione romana di stato: “La nostra nazione è così popolata di divinità che è più facile incontrare un dio che un uomo”.
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