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  • Partecipiamo alla prosperità della nazione di Dio
    La Torre di Guardia 1953 | 1° luglio
    • 20 Ora noi vogliamo continuare a godere la prosperità e la gioia con le quali Geova ha favorito il suo popolo e la sua nazione eletta, non è vero? Per questo, dunque, dobbiamo sempre stare attenti di non dimenticare i suoi potenti atti e la sua amorevole benignità verso la sua nazione per divenire infine lamentatori, egoisticamente ambiziosi, immoralmente impuri, desiderosi delle cose di questo mondo, paurosi delle potenze mondane, idoleggiando le nostre proprie volontà e opinioni, ribelli, negligenti delle nostre responsabilità entro o sotto l’organizzazione teocratica. Essendo stati liberati da questo mondo babilonico, non possiamo più tornare ai suoi peccati e nello stesso tempo partecipare all’ulteriore prosperità dell’ammaestrato popolo di Dio. Perché ce ne ricordassimo fu scritto, in Giobbe 36:10, 11: “Egli apre così i loro orecchi a’ suoi ammonimenti, e li esorta ad abbandonare il male. Se l’ascoltano, se si sottomettono, finiscono i loro giorni nel benessere [nella prosperità], e gli anni loro nella gioia”. Il nostro stesso benessere spirituale impone che noi cerchiamo sempre il benessere dell’organizzazione di Dio, pregando per la sua integrità: “Pregate per la pace di Gerusalemme! Prosperino quelli che t’amano! Pace sia entro i tuoi bastioni, e tranquillità nei tuoi palazzi! Per amore dei miei fratelli e dei miei amici, io dirò adesso: Sia pace in te! Per amore della casa dell’Eterno, dell’Iddio nostro, io procaccerò il tuo bene”. — Sal. 122:6-9.

      21. In che cosa dobbiamo noi riporre la nostra fiducia e a che cosa dobbiamo dare ascolto per continuare a prender parte alla prosperità?

      21 Noi non possiamo mai riuscire con la nostra propria forza o con la nostra sapienza. Quando ci troviamo in condizioni che minacciano la nostra prosperità come popolo di Dio, dobbiamo semplicemente riporre la nostra fiducia nella forza di Geova, incoraggiandoci a far questo col ricordo delle sue meravigliose opere narrate nella sua Parola, e anche delle sue opere compiute verso di noi in adempimento delle sue profezie. Mentre continuiamo ad avanzare verso la battaglia finale, cantando le lodi di Geova, dobbiamo mostrare fede nelle sue profezie per il nostro futuro. Esse sono profezie ispirate. Il suo Re teocratico ci esorta: “Credete ai suoi profeti, così prospererete”. (2 Cron. 20:20, KJ) Noi abbiamo bisogno della guida e dell’incoraggiamento delle sue profezie, che egli rende chiare per noi in questo tempo di crisi. Quando la restaurata nazione d’Israele riedificava la casa di Geova loro Dio, fu aiutata grandemente dai suoi profeti dei quali oggi abbiamo gli scritti, circa i quali leggiamo: “Gli anziani de’ Giudei tirarono innanzi e fecero progredire la fabbrica, aiutati dalle parole ispirate del profeta Aggeo, e di Zaccaria figliuolo d’Iddo”. (Esd. 6:14) Anche noi siamo occupati in un’opera di ricostruzione rispetto alla pura adorazione del vivente e vero Iddio. È saggio da parte nostra che noi diamo ascolto ai profeti di Dio che ci parlano per mezzo della sua Parola. È necessario perciò che studiamo le profezie in privato e che andiamo dove possiamo udirle discutere, alle adunanze nelle nostre Sale del Regno o alle nostre assemblee di circoscrizione, di distretto, nazionali e internazionali. Se prestiamo attenzione, siamo certi di continuare a prosperare nel servizio divino.

      22. Per prosperare che cosa dobbiam cercare di promuovere, e perché?

      22 Se cerchiamo sempre il progresso della Parola di Dio e degl’interessi del Regno noi prospereremo, poiché la sua Parola non tornerà mai a lui senza frutto, ma, egli dice: “Compirà quelle cose per le quali l’ho mandata,” e, ‘dell’incremento del suo regno non ci sarà fine”. — Isa. 55:11, Ti; e Isa. 9:6.

      ULTERIORE LAVORO DA COMPIERE

      23, 24. Perché la preghiera del salmista per ottenere la salvezza non è stata ancora del tutto adempiuta nel nostro caso?

      23 Il lavoro che si deve compiere prima della guerra di Harmaghedon non è ancora completato. La nostra stessa salvezza non è ancora compiuta. Ci sono innumerevoli altre pecore molto lontane dal Giusto Pastore di Geova le quali han bisogno d’essere aiutate per ottenere la salvezza. Le nostre preghiere devono essere innalzate a Dio, comprendendo oltre alla nostra salvezza individuale quella di queste altre pecore. La preghiera che fece il salmista come conclusione è appropriatamente la nostra ora: “Salvaci, o Eterno, Iddio nostro, e raccoglici di fra le nazioni, affinché celebriamo il tuo santo nome, e mettiamo la nostra gloria nel lodarti. Benedetto sia l’Eterno, l’Iddio d’Israele, d’eternità in eternità! E tutto il popolo dica: Amen! Alleluia”. — Sal. 106:47, 48.

      24 Molte sono le altre pecore che il Giusto Pastore deve ancora radunare. Fra tutte le nazioni esse son tenute prigioniere a Babilonia mediante ignoranza e paura, ma nel profondo dei loro cuori bramano di partecipare alla prosperità degli eletti di Geova e di rallegrarsi nella letizia della sua nazione. Finché non abbiamo lavorato per la loro liberazione secondo la volontà di Dio la preghiera non sarà del tutto adempiuta da Dio per la NOSTRA salvezza e per il NOSTRO radunamento (non solo mia) fra le nazioni, onde sia ringraziato il suo santo nome e si trionfi nella lode di lui.

      25. (a) Per non contraddirci quando invitiamo ogni persona ad approvare, che cosa dobbiamo fare? (h) Perché noi possiamo, dobbiamo, esser munifici con la nostra prosperità?

      25 Sarebbe contradditorio andare da tutte le persone per invitarle ad approvare la nostra benedizione di Geova il nostro Dio e poi non far udire e conoscere loro il suo essere mettendole in contatto con la sua organizzazione teocratica sotto Cristo per la loro liberazione. Avanti, dunque. Facciamoci vedere e udire come suoi testimoni perché osservino la nostra prosperità spirituale e sentano il vivo desiderio di parteciparvi. La nostra attitudine verso di loro dev’essere quella del salmista che disse: “Cantino e si rallegrino quelli che si compiacciono della mia giustizia, e dican del continuo: Magnificato sia l’Eterno che vuole la pace [la prosperità, AS] del suo servitore!” (Sal. 35:27) La prosperità con la quale egli ci ha benedetti è abbondante abbastanza perché la gran folla di altre pecore vi partecipi, per quanto possa esser grande il loro numero. Noi possiamo permetterci di esser munifici, liberali. Condividendo altruisticamente il nostro benessere con altri vedremo la prosperità dell’organizzazione visibile di Dio crescere sempre più, malgrado la peggiorante situazione del mondo. Noi aumenteremo la nostra letizia in Geova con tutto il suo popolo, fino al nuovo mondo. A noi stessi, e ad altri, diremo quindi col salmista: “Lodate Geova”. — AS.

  • Schiavi teocratici
    La Torre di Guardia 1953 | 1° luglio
    • Schiavi teocratici

      “Siate schiavi a Geova” — Rom. 12:11, NW.

      1. Che cosa rende discutibile se essere uno schiavo sia un onore, ma da quali circostanze dipende?

      SI HA qualche onore e dignità essendo uno schiavo? Secondo le condizioni di questo mondo, no di certo. Nel tempo in cui prevaleva la schiavitù quelli che erano in tale servitù, benché spesso svolgessero attività e doveri che oggi son considerati professionali, culturali e onorevoli, erano in genere guardati dall’alto in basso come inferiori. C’era molto abuso dell’istituzione dello schiavismo, e l’emancipazione degli schiavi era lenta e richiedeva notevole tempo. Siamo informati che alcuni paesi mussulmani si attengono ancora a questa istituzione. Essa fu introdotta nelle colonie britanniche d’America nel diciassettesimo secolo, e non fu abolita negli Stati Uniti d’America fino alla seconda metà del diciannovesimo secolo. Infatti, non fu prima di quello stesso diciannovesimo secolo che la schiavitù fu abolita dai governi della Cristianità in generale. In molte parti i discendenti di quei liberati schiavi sono ancora considerati con disprezzo e tenuti entro limiti e restrizioni. In che modo, dunque, essendo uno schiavo si potrebbe avere onore e dignità? Come, essendo chiamati schiavi o determinando d’esser chiamati schiavi, si potrebbe provare qualche cosa che non sia umiliazione? Ebbene, tutto questo dipende dalla persona alla quale siete schiavi e dalla specie di schiavi che voi siete. Essere uno schiavo teocratico è un onore e un privilegio. Essa è una servitù che conduce alla vita eterna.

      2. Quando cominciò lo schiavismo, e per chi fu esso uno stato maledetto?

      2 Lo schiavismo è un’antica istituzione. Se esisteva socialmente ed economicamente prima del diluvio non è narrato nella Bibbia. Ma che sarebbe sorto dopo il diluvio fu preveduto quando Noè, dopo essere stato insultato dal figlio Cam, maledisse uno dei ragazzi di Cam, dicendo: “Maledetto sia Canaan! Egli sarà l’infimo degli schiavi dei suoi fratelli. . . . Benedetto dal Signore mio Dio sia Sem; e Canaan sia suo schiavo! Il mio Dio estenda Jafet, ed abiti nelle tende di Sem; ma Canaan sia suo schiavo!” (Gen. 9:25-27, AT; Mo.) Questo non condannò uno dei tre principali rami della famiglia umana ad una inevitabile schiavitù. No, ma il fatto è che questa maledizione che Dio fece pronunciare per ispirazione da Noè fu adempiuta secoli dopo. In quel tempo Geova Dio condusse il suo popolo eletto, gl’Israeliti, nella terra di Canaan e al comando divino essi sterminarono i Cananei o ne resero schiavi molti, come gli abitanti di Gabaon e le città alleate. Essere un tale schiavo, a causa della discendenza dal maledetto Canaan, sarebbe davvero un’umiliazione.

      3. Perché fu un onore essere uno schiavo d’Abrahamo?

      3 Ma paragonando schiavi a schiavi, quale uomo o donna che tema Dio non considererebbe un onore l’essere stato uno schiavo d’Abrahamo, il discendente di Sem figlio di Noè? Perché? Perché Abrahamo fu un uomo con fede nel vero Dio Geova, e per la sua ubbidiente fede fu l’“amico di Dio”. Geova Dio non proibì ad Abrahamo di avere schiavi secondo la consuetudine di quegli antichi tempi. Noè aveva benedetto il bisnonno di Sem, Abrahamo, e conforme a questo Geova avrebbe approvato che Abrahamo avesse degli schiavi. Mentre risiedeva come un immigrante nella terra di Canaan Abrahamo ne ebbe centinaia. Essi combatterono con lui riportando una vittoria teocratica quando re aggressori delle vicinanze di Babilonia invasero il paese di Canaan e portarono via il suo parente Lot con la famiglia. Noi leggiamo: “Quando Abrahamo udì che il suo parente era stato preso prigioniero, chiamò i suoi servitori, i suoi schiavi di casa, fino al numero di trecentodiciotto, e andò all’inseguimento sino a Dan. Coi suoi schiavi li assalì di notte, e li sconfisse”. Quindi quegli schiavi erano strumenti di Dio e furono con Abrahamo al suo ritorno quando il re Melchisedec di Salem lo incontrò e attribuì la vittoria a Geova, dicendo: “Benedetto sia Abrahamo dall’Iddio Altissimo, il creatore dei cieli e della terra! E benedetto sia l’Iddio Altissimo, che ha dato i tuoi nemici in tuo potere!” — Gen. 14:1-20, AT.

      4. (a) Come fu onorato il più vecchio schiavo di Abrahamo? (b) Perché Abrahamo non fu mai colpevole di degradare lo schiavismo abusandone?

      4 Finché Abrahamo fu senza figli uno schiavo che presiedeva sulla sua casa dopo la partenza di Lot era logicamente il suo erede, cioè, Eliezer di Damasco. Quando Abrahamo ebbe il suo Figlio Isacco e venne il tempo di farlo sposare, fu ancora un servitore, “lo schiavo più anziano della sua casa, che aveva cura di tutto ciò che gli apparteneva,” probabilmente questo Eliezer, che Abrahamo mandò perché procurasse una moglie a Isacco. In questo dramma profetico questo vecchio schiavo è onorato di rappresentare lo spirito santo di Dio, la forza attiva che Geova adopera per trarre e preparare al suo unigenito Figlio Gesù una

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