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  • g76 22/10 pp. 19-22
  • Perché ascoltarono Gesù?

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  • Perché ascoltarono Gesù?
  • Svegliatevi! 1976
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Svegliatevi! 1976
g76 22/10 pp. 19-22

Perché ascoltarono Gesù?

NONOSTANTE l’odierno progresso della scienza e della tecnologia, non c’è mai stato più bisogno di guida pratica nelle relazioni umane. Non solo c’è la divisione razziale, nazionale e religiosa del genere umano, ma spesso le persone sentono che non sono accettate da altri della loro stessa razza, nazione e organizzazione religiosa.

La tendenza alla distinzione di classe fa parte della natura umana imperfetta ed è esistita per millenni di storia umana. Comunque alcune cose possono aggravarla. Avete notato l’inclinazione di alcuni che hanno avuto molta istruzione a disprezzare le persone che non sono così istruite? Questo problema esisteva anche al giorno di Gesù. Il prof. George Foot Moore scrive in Judaism in the First Centuries of the Christian Era: “Gli istruiti avevano il comune orgoglio dell’erudizione in doppia misura perché era religiosa. . . . Hillel [che era in vita all’inizio dell’Èra Volgare] lo aveva espresso con una parola; ‘Nessun ignorante [‘am ha-arez, “popolo della terra”, ebraico] è religioso’. — Si paragoni Giovanni 7:49.

Indicando fino a qual punto certe persone portavano questo atteggiamento, il Talmud preserva le seguenti dichiarazioni di rabbini che vissero nei primi secoli dell’Èra Volgare:

“I nostri rabbini hanno insegnato: L’uomo . . . non sposi la figlia di un ‘am ha-arez, perché sono detestabili e le loro mogli sono animali nocivi, e delle loro figlie si dice [in Deuteronomio 27:21]: Maledetto è chi giace con alcuna bestia. . . . Il R[abbino] Eleazaro disse: Un ‘am ha-arez, è permesso pugnalarlo [anche] nel Giorno d’Espiazione che cade di Sabato. . . . Non ci si deve accompagnare con un ‘am ha-arez per strada . . . Il R[abbino] Samuele [figlio di] Nahmani disse in nome del R[abbino] Ioanan: Si può dilaniare un ‘am ha-arez come un pesce! Il R[abbino] Samuele [figlio di] Isacco disse: E [questo significa) lungo il dorso”. — Talmud Babilonese, trattato Pesachim (“Festa di Pasqua”), pagina in folio 49b.

Tuttavia Gesù andò senz’altro tra il popolo comune. Quando certi “scribi dei Farisei” obiettarono che mangiava con i disprezzati esattori di tasse e con i “peccatori”, Gesù dichiarò: “Quelli che son forti non hanno bisogno del medico, ma quelli che sono infermi sì. Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”. (Mar. 2:16, 17) Riguardo a questo atteggiamento, E. R. Trattner in As a Jew Sees Jesus indica:

“Nessun profeta ebreo prima di Gesù cercò mai i miseri, i malati, i deboli, e gli oppressi per manifestare loro amore e rendere compassionevole servizio. Egli si sforzò di redimere gli umili con un tocco di comprensione umana che è veramente unico nella storia ebraica”.

Questo spirito di compassione per il popolo comune sicuramente spinse molti ad ascoltare con attenzione ciò che Gesù aveva da dire. Ma questo non fu tutto. Unico fu anche il contenuto dell’insegnamento di Gesù.

Umiltà e perdono

Invece di esortare i suoi ascoltatori a cercare la grandezza nel sapere o altrimenti, Gesù insegnò: “Il più grande fra voi dev’essere vostro ministro. Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato”. (Matt. 23:11, 12) Claude Montefiore, autore ebreo di diverse opere su Gesù di Nazaret, in Rabbinic Literature and Gospel Teachings scrive:

“La dottrina del servizio e dell’umiltà del servizio fu una caratteristica notevole dell’insegnamento di Gesù. Fu anche una caratteristica comparativamente nuova. Non c’è nessun completo parallelo della dottrina nella letteratura rabbinica, per quanto mi è dato sapere e sono stato in grado di investigare. Infatti Gesù . . . intende più che una piccola cosa come servire o mescere vino a un banchetto, nonostante che tale azione possa costituire l’occasione o l’illustrazione del suo insegnamento. Egli intese il servizio di tutta una vita; l’umile o devoto servizio di altri. Intese il prodigarsi per amore dei più umili . . . Tale concetto fu una cosa nuova, un insegnamento nuovo. E qui è inutile parlare dell’importanza e degli effetti enormi che ha avuto nella storia”.

Come avrebbe dovuto reagire una persona che desiderava servire il suo simile quando era offesa? Avete mai sentito qualcuno dire: “Gli ho detto il fatto suo. Non ci riproverà più”. Mentre è popolare magnificare la virtù del perdono, molti stabiliscono un netto limite al numero di volte che sopporteranno una seccatura. È possibile che Simon Pietro, discepolo di Gesù, la ritenesse un’esagerazione quando chiese: “Quante volte il mio fratello peccherà contro di me e io gli perdonerò? Fino a sette volte?” Ma Gesù rispose: “Io non ti dico: Fino a sette volte, ma: Fino a settantasette volte”. (Matt. 18:21, 22) In altre parole, non dovrebbe esserci un limite agli insulti e alle offese personali da perdonare. Questi princìpi di umiltà e sopportazione furono un’altra ragione per cui trovarono piacevole ascoltare Gesù.

Opere buone e “salvezza”

Qual è la vostra opinione delle persone molto religiose? Avete notato la tendenza di alcuni di dare eccessivo risalto al valore di adempiere i precetti religiosi o di compiere opere caritatevoli? Non sembra che certe persone credano che le generose offerte caritatevoli, o altre opere filantropiche o religiose, giustifichino atteggiamenti dannosi o perfino un modo di vivere immorale? Sotto un’apparenza di pietà tali individui possono essere molto egoisti e causare molta infelicità.

Come accade a quasi tutti gli uomini, molti Ebrei ai giorni di Gesù avevano la tendenza di pensare che osservando i precetti religiosi o compiendo opere di carità avrebbero controbilanciato agli occhi di Dio le trasgressioni della sua Legge. I Farisei (che significa “Separàti”) erano in particolar modo inclini ad assumere quest’attitudine. Fra i “7 tipi di Farisei”, il Talmud Palestinese elenca “chi controbilancia”, spiegando: “Dice fra sé: Adempirò una prescrizione religiosa, e quindi ne violerò un’altra, e annulla l’una con l’altra”. Un altro tipo di Fariseo, “che si rende conto dei suoi doveri, cerca di cancellare i suoi peccati con la sua buona condotta”. (Trattato Berakhoth [“Benedizioni”], capitolo 9) La dichiarazione che segue mostra fino a qual punto arrivarono alcuni per controbilanciare gli atti peccaminosi con le opere buone:

“I nostri rabbini hanno insegnato: L’uomo dovrebbe sempre considerarsi mezzo colpevole e mezzo meritevole: se adempie un precetto, felice lui per essersi pesato sulla bilancia del merito; se commette una trasgressione, guai a lui per essersi pesato sulla bilancia della colpa”. — Talmud Babilonese, trattato Kiddushin (“Fidanzamenti”), pagine in folio 40a, 40b.

Riguardo a questo atteggiamento Montefiore osserva: “Sembra che i rabbini giudichino troppo dalle azioni. . . . E questa enfasi conduce a una strana superficialità. Se le opere buone di un uomo, in qualsiasi dato momento, superano di una le sue opere cattive, egli può essere considerato fra i giusti; se le sue opere cattive superano di una le sue opere buone, egli può essere classificato fra i peccatori. Così la sua ‘salvezza’ può dipendere dalla circostanza se, al momento della morte, le sue opere buone superano di una le sue opere empie”.

Certo la letteratura talmudica comprende molte dichiarazioni sul bisogno di giusti motivi nell’osservanza dei precetti e nel fare opere di carità. Si dà enfasi ‘all’osservanza dei comandamenti per amore dei comandamenti’ anziché per la ricompensa. Tuttavia le espressioni di questo tipo non compensano i numerosi brani che raffigurano una reputazione di buone opere come una sicura via della “salvezza”. Come dice Montefiore: “C’è molto da citare (al solito) sull’altro aspetto; ma c’era la tendenza a considerare tutta la vita come se si trattasse di dare voti a uno scolaro”.

Mentre Gesù non sminuì l’importanza della condotta giusta, diede enfasi al fatto che gli individui potevano essere disapprovati da Dio nonostante la scrupolosa osservanza di buone opere religiose e caritatevoli. Per esempio i Farisei facevano uno speciale voto di osservare le leggi della purezza religiosa, che includevano la rituale abluzione delle mani ai pasti. Ad ogni modo quando gli fu chiesto perché i suoi discepoli trascurassero di lavarsi le mani ai pasti, Gesù rispose: “Ascoltate e afferratene il significato: Non ciò che entra nella bocca contamina l’uomo; ma ciò che esce dalla bocca contamina l’uomo. . . . le cose che escono dalla bocca vengono dal cuore”. — Matt. 15:10, 11, 18.

Un altro voto fatto dai Farisei implicava la decima, o il dare la decima parte del prodotto della terra, e dei suoi alberi da frutto, delle mandrie e dei greggi per sostenere il sacerdozio levitico ed altre cose necessarie in relazione all’adorazione di Dio. Mentre non c’era niente di male nella decima stessa, Gesù rimproverò severamente i Farisei che pensavano che osservando tali precetti religiosi avrebbero giustificato la mancanza di altre qualità sante. Gesù disse:

“Guai a voi, scribi e Farisei, ipocriti! perché date la decima della menta e dell’aneto e del comino, ma avete trascurato le cose più importanti della Legge, cioè la giustizia e la misericordia e la fedeltà. Queste cose era doveroso fare, senza trascurare le altre. Guide cieche, che scolate il moscerino ma inghiottite il cammello!” — Matt. 23:23, 24.

Gesù diede ripetutamente risalto al fatto che ciò che la persona è nel suo cuore, che implica il suo modello di pensieri, emozioni, desideri e motivi, agli occhi di Dio è molto più importante che compiere specifiche buone opere religiose e caritatevoli. (Si paragoni Matteo 5:27, 28). Di sicuro molti sinceri Ebrei del giorno di Gesù ascoltarono con piacere la sua intrepida presentazione di tali verità basilari.

Discendenza o sforzi zelanti?

Probabilmente conoscete alcuni che mostrano particolare orgoglio perché appartengono a una certa famiglia, razza, nazione o organizzazione religiosa. Come nel caso d’oggi, la tendenza di portare agli estremi tale atteggiamento esisteva nel giorno di Gesù. Avete mai sentito parlare dell’insegnamento noto come “merito dei padri” (in ebraico: Zekhuth’ abhoth’)? Secondo l’Encyclopædia Judaica, “la letteratura rabbinica contiene molte dichiarazioni nel senso che il merito degli antenati influisce sul benessere dei loro discendenti”.

La discendenza da Abraamo era considerata specialmente utile. “Tanto grande è il [merito] di Abraamo”, nota un’autorità sull’ebraismo in A Rabbinic Anthology, “che può espiare tutte le vanità commesse e le menzogne proferite da Israele in questo mondo”. Un commentario rabbinico sul libro di Genesi rappresenta Abraamo seduto alla porta della Geenna, per liberare ogni Israelita che altrimenti potrebbe andarvi a finire. Così, quando esortava i suoi uditori, indipendentemente dai loro antenati, a pentirsi e a mettere la propria vita in armonia con la legge di Dio, Giovanni Battista, precursore di Gesù, ritenne necessario dire: “Producete perciò frutti degni di pentimento. E non cominciate a dire dentro di voi: ‘Per padre abbiamo Abraamo’”. (Luca 3:8) Anche Gesù distolse dall’idea di ottenere merito presso Dio a causa della discendenza da Abraamo quando disse agli Ebrei suoi connazionali:

“Sforzatevi con vigore per entrare dalla porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrare ma non potranno . . . Ivi sarà il vostro pianto e lo stridor dei vostri denti, quando vedrete Abraamo e Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, ma voi stessi gettati fuori. Inoltre, verranno da luoghi orientali e occidentali, e dal settentrione e dal meridione, e giaceranno a tavola nel regno di Dio. Ed ecco, vi sono degli ultimi che saranno primi, e vi sono dei primi che saranno ultimi”. — Luca 13:24-30.

In quel tempo il pensiero ebraico raffigurava le benedizioni del “mondo avvenire” come un banchetto festivo con i patriarchi e i profeti. Ma gli Ebrei naturali che erano i “primi” ad aver diritto a tali benedizioni non le avrebbero ereditate solo a causa della discendenza carnale da Abraamo. Se individualmente si fossero rifiutati di compiere un premuroso sforzo per soddisfare le esigenze di Dio, i loro posti sarebbero stati occupati da quelli disposti a ‘sforzarsi’, nonostante che fossero delle nazioni gentili, per così dire gli “ultimi”.

Le persone di cuore retto, che in coscienza non potevano accettare l’idea che Dio avrebbe condonato l’errore di qualcuno semplicemente a causa della discendenza, dovettero provar piacere ascoltando l’insegnamento di Gesù su questo argomento.

La testimonianza delle opere potenti

Una ragione importante per cui molti ascoltarono Gesù fu la sua manifestazione di poteri miracolosi. In certe occasioni dimostrò conoscenza sovrumana di persone e avvenimenti. (Giov. 1:47-49; 4:16-19) A una festa nuziale trasformò l’acqua in vino e in altre occasioni moltiplicò miracolosamente il cibo per soddisfare i bisogni di grandi folle. (Giov. 2:1-11; Mar. 6:32-44; 8:1-9) Oltre a ciò Gesù andò in giro “guarendo fra il popolo ogni sorta di malattia e ogni sorta d’infermità”. (Matt. 4:23; 9:35; 10:1) In varie occasioni destò perfino i morti. — Mar. 5:35, 38-42; Luca 7:11-17; Giov. 11:1-44.

Tali potenti opere indussero molti a prendere in seria considerazione Gesù. Folle di stupìti astanti pronunciavano esclamazioni come: “Un grande profeta è stato suscitato fra noi”. “Questo è di certo il profeta che doveva venire nel mondo”. — Luca 7:16; Giov. 6:14; si paragoni Deuteronomio 18:15-19.

La letteratura rabbinica, benché consideri il cristianesimo come un’apostasia, non nega che Gesù e i suoi discepoli compirono miracoli. L’erudito ebreo Joseph Klausner nel suo libro Jesus of Nazareth osserva, secondo la traduzione dall’ebraico di Herbert Danby:

“I Vangeli dicono che [Gesù] compì segni e prodigi per mezzo dello Spirito Santo e della potenza di Dio; i racconti del Talmud ammettono che egli operò in realtà segni e prodigi, ma per mezzo della magia. . . . Perciò ne consegue che i racconti dei primi tre Vangeli sono abbastanza antichi, e che è irragionevole mettere in dubbio sia l’esistenza di Gesù . . . che il suo personaggio generale come è raffigurato da questi Vangeli”.

L’incomparabile insegnamento e l’amorevole disposizione di Gesù verso ogni tipo di persone indussero quelli di cuore onesto ad ascoltare ciò che aveva da dire e a prenderlo a cuore. I suoi miracoli senza precedenti indussero molti a esclamare: “Quando il Cristo sarà arrivato, non compirà più segni di quanti ne ha compiuti quest’uomo, non vi pare?” (Giov. 7:31) Infatti verso la fine del primo secolo E.V. diverse migliaia di Ebrei si convinsero fermamente che Gesù di Nazaret era il promesso Messia.

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