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    Ausiliario per capire la Bibbia
    • Ebr. 11:32-38) Ma quelli che li accoglievano bene furono benedetti spiritualmente e in altri modi. — I Re 17:8-24; II Re 4:8-37; confronta Matteo 10:41.

      NOMINA E ISPIRAZIONE

      L’incarico di profeta non era ereditario, anche se diversi profeti erano leviti, come Samuele, Zaccaria figlio di Ieoiada, Geremia e Ezechiele, e alcuni erano discendenti di profeti. (I Re 16:7; II Cron. 16:7; Zacc. 1:1) E non era nemmeno una professione intrapresa di propria iniziativa. I profeti erano scelti da Dio e nominati per mezzo dello spirito santo (Num. 11:24-29; Ezec. 1:1-3; Amos 7:14, 15), che pure faceva conoscere loro cosa proclamare. (Atti 28:25; II Piet. 1:21) Alcuni all’inizio si mostrarono molto riluttanti. (Eso. 3:11; 4:10-17; Ger. 1:4-10) Nel caso di Eliseo, la sua nomina divina avvenne tramite il suo predecessore, Elia, e fu simboleggiata dall’atto di Elia di gettare il suo manto ufficiale su Eliseo. — I Re 19:19-21.

      Pur essendo nominati dallo spirito di Geova, non sembra che i profeti parlassero sempre sotto ispirazione. Infatti lo spirito di Dio ‘scendeva su di loro’ in certe occasioni, rivelando i messaggi da annunciare. (Ezec. 11:4, 5; Mic. 3:8) Questo aveva su di loro un effetto stimolante, li spingeva a parlare. (I Sam. 10:10; Ger. 20:9; Amos 3:8) Essi non solo facevano cose che erano fuori dell’ordinario, ma anche il loro modo di esprimersi senza dubbio rifletteva l’intensità dei loro sentimenti. Questo può spiegare in parte cosa s’intendeva dicendo che alcuni “si comportavano da profeti”. (I Sam. 10:6-11; 19:20-24; Ger. 29:24-32; confronta Atti 2:4, 12-17; 6:15; 7:55). L’assoluta concentrazione e il coraggio zelante con cui svolgevano la loro missione poteva fare apparire strano, perfino irrazionale il loro comportamento, proprio come apparve un profeta ai capi militari quando venne unto Ieu. Ma, rendendosi conto che si trattava di un profeta, i capi accolsero il suo messaggio con grande serietà. — II Re 9:1-13; confronta Atti 26:24, 25; vedi ISPIRAZIONE; VISIONE.

      COME DISTINGUERE I VERI DAI FALSI

      A volte, come nel caso di Mosè, di Elia, di Eliseo e di Gesù, i profeti di Dio compirono opere miracolose che attestavano l’autenticità del loro messaggio e incarico. Tuttavia non tutti compirono, per quanto si sa, opere potenti. Le tre cose fondamentali per stabilire le credenziali del vero profeta, indicate da Mosè, erano: il vero profeta parlava nel nome di Geova; le cose predette si avveravano (Deut. 18:20-22) e le sue profezie dovevano promuovere la vera adorazione, essere in armonia con i comandamenti e la rivelata Parola di Dio. (Deut. 13:1-4) L’ultimo requisito era probabilmente il più importante e determinante, perché un individuo poteva usare ipocritamente il nome di Dio e, per coincidenza, la sua predizione poteva avverarsi. Ma il vero profeta non era unicamente e neanche principalmente un annunciatore di cose future, come è stato dimostrato. Piuttosto era un sostenitore della giustizia, e il suo messaggio verteva principalmente su norme morali e sulla loro applicazione. Esprimeva l’idea di Dio su una determinata cosa. (Isa. 1:10-20; Mic. 6:1-12) Quindi non era necessario attendere, forse per anni o per generazioni, l’adempimento di una predizione per determinare se il profeta era vero o falso. Se il suo messaggio contraddiceva le norme e la rivelata volontà di Dio, era un falso profeta. Quindi il profeta che avesse predetto pace per Israele o per Giuda quando la popolazione disubbidiva alla Legge e alla Parola di Dio, era senz’altro falso. — Ger. 6:13, 14; 14:11-16.

      L’avvertimento dato in seguito da Gesù circa i falsi profeti era simile a quello di Mosè. Anche se usavano il suo nome e compivano “segni e prodigi da sviare”, i loro frutti avrebbero dimostrato che erano “operatori d’illegalità”. — Matt. 7:15-23; Mar. 13:21-23; confronta II Pietro 2:1-3; I Giovanni 4:1-3.

      Il vero profeta non profetizzava mai solo per soddisfare una curiosità umana. Ogni predizione aveva relazione con la volontà, il proposito, le norme o il giudizio di Dio. (I Re 11:29-39; Isa. 7:3-9) Spesso gli avvenimenti futuri predetti erano la conseguenza di condizioni esistenti: quello che seminavano avrebbero raccolto. I falsi profeti illudevano la popolazione e i suoi capi con piacevoli assicurazioni che, nonostante il loro comportamento scorretto, Dio era sempre con loro per proteggerli e aiutarli. (Ger. 23:16-20; 28:1-14; Ezec. 13:1-16; confronta Luca 6:26). Imitavano i veri profeti, ricorrendo a espressioni e azioni simboliche. (I Re 22:11; Ger. 28:10-14) Mentre alcuni erano dei semplici impostori, molti evidentemente erano profeti che avevano peccato o erano diventati apostati. (Confronta I Re 18:19; 22:5-7; Isaia 28:7; Geremia 23:11-15). A volte erano donne, false profetesse. (Ezec. 13:17-23; confronta Rivelazione 2:20). Uno “spirito di impurità” prendeva il posto dello spirito di Dio. Tutti i falsi profeti dovevano essere messi a morte. — Zacc. 13:2, 3; Deut. 13:5.

      In quanto a quelli che soddisfacevano le norme divine, l’adempimento di certe profezie “a breve scadenza”, forse nel giro di un giorno o di un anno soltanto, dava ragione di confidare che le loro profezie circa un più lontano futuro avrebbero pure avuto adempimento. — I Re 13:1-5; 14:12, 17; II Re 4:16, 17; 7:1, 2, 16-20.

      I “FIGLI DEI PROFETI”

      Come spiega la Gesenius’ Hebrew Grammar (ed. 1980, p. 418), il termine ebraico ben (figlio di) o benèh (figli di) può indicare “appartenenza a una corporazione o associazione (oppure a una tribù, o a una qualsiasi classe particolare)”. (Confronta Neemia 3:8, dove l’espressione “membro dei mischiatori di unguento” letteralmente sarebbe “figlio dei mischiatori di unguento”). L’espressione “figli dei profeti” potrebbe quindi indicare una scuola frequentata da coloro che erano chiamati a svolgere questa professione o semplicemente un’associazione cooperativa di profeti. Simili gruppi di profeti erano presenti a Betel, Gerico e Ghilgal. (II Re 2:3, 5; 4:38; confronta I Samuele 10:5, 10). Samuele presiedeva un gruppo a Rama (I Sam. 19:19, 20), e sembra che ai suoi giorni anche Eliseo avesse un incarico simile. (II Re 4:38; 6:1-3; confronta I Re 18:13). La Bibbia menziona il fatto che nel costruirsi la propria abitazione si servirono di un arnese preso in prestito, il che potrebbe indicare che vivevano molto modestamente. Anche se spesso vivevano insieme e prendevano i pasti in comune, potevano ricevere singolarmente l’incarico di svolgere missioni profetiche. — I Re 20:35-42; II Re 4:1, 2, 39; 6:1-17; 9:1, 2.

      I PROFETI NELLE SCRITTURE GRECHE CRISTIANE

      Il termine greco prophètes corrisponde all’ebraico navì’. Il sacerdote Zaccaria, padre di Giovanni il Battezzatore, fu profeta nel rivelare il proposito di Dio per suo figlio, Giovanni, che sarebbe stato “chiamato profeta dell’Altissimo”. (Luca 1:76) La vita semplice e il messaggio di Giovanni ricordavano gli antichi profeti ebrei. Egli era ben noto come profeta; perfino Erode provava un certo ritegno a motivo di lui. (Mar. 1:4-6; Matt. 21:26; Mar. 6:20) Gesù disse che Giovanni era “assai più che un profeta”. — Matt. 11:7-10; confronta Luca 1:16, 17; Giovanni 3:27-30.

      Gesù, il Messia, era “Il Profeta” lungamente atteso predetto da Mosè. (Giov. 1:19-21, 25-27; 6:14; 7:40; Deut. 18:18, 19; Atti 3:19-26) La sua capacità di compiere opere potenti e avere discernimento straordinario indusse altri a riconoscerlo quale profeta. (Luca 7:14-16; Giov. 4:16-19; confronta II Re 6:12). Più di tutti egli era “nell’intimo gruppo” di Dio. (Ger. 23:18; Giov. 1:18; 5:36; 8:42) Citava sempre gli antichi profeti che attestavano che la sua era una nomina e missione divina. (Matt. 12:39, 40; 21:42; Luca 4:18-21; 7:27; 24:25-27, 44; Giov. 15:25) Predisse come sarebbe stato tradito e come sarebbe morto, che quale profeta sarebbe morto a Gerusalemme, la città ‘che uccideva i profeti’, che i discepoli l’avrebbero abbandonato, che Pietro l’avrebbe rinnegato tre volte, che sarebbe stato risuscitato il terzo giorno; e molte di queste profezie si basavano su profezie precedenti contenute nelle Scritture Ebraiche. (Luca 13:33, 34; Matt. 20:17-19; 26:20-25, 31-34) Inoltre predisse la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio. (Luca 19:41-44; 21:5-24) L’esatto adempimento di tutto questo nel corso della vita dei suoi ascoltatori offriva una valida ragione per aver fede ed essere convinti dell’adempimento delle sue profezie relative alla sua presenza. — Confronta Matteo 24; Marco 13; Luca 21.

      La Pentecoste del 33 E.V. vide il predetto versamento dello spirito di Dio sui discepoli radunati a Gerusalemme, che permise loro di ‘profetizzare e avere visioni’. Essi fecero questo annunciando le “magnifiche cose di Dio”, e mediante ispirata rivelazione di conoscenza circa il Figlio di Dio e di ciò che questo significava per gli ascoltatori. (Atti 2:11-40) Ancora una volta, si ricordi che profetizzare non significa unicamente o necessariamente predire il futuro. L’apostolo Paolo affermò che “chi profetizza edifica e incoraggia e consola gli uomini con la sua parola”, e secondo lui quello di profetizzare era un obiettivo giusto e particolarmente desiderabile che tutti i cristiani si dovevano sforzare di raggiungere. Mentre parlare in lingue straniere era un segno per i non credenti, profetizzare lo era per i credenti. Ma anche il non credente che avesse assistito a un’adunanza cristiana avrebbe tratto beneficio dalla profezia, essendo da essa ripreso ed esaminato attentamente, tanto che ‘i segreti del suo cuore sarebbero divenuti manifesti’. (I Cor. 14:1-6, 22-25) Anche questo indica che la profezia cristiana non consisteva principalmente nel predire ma spesso riguardava piuttosto cose del presente, pur provenendo chiaramente da una fonte fuori dell’ordinario, essendo ispirata da Dio. Paolo diede consigli circa la necessità di mantenere l’ordine e la padronanza di sé nel profetizzare nell’ambito della congregazione, in modo che tutti potessero imparare ed essere incoraggiati. — I Cor. 14:29-33.

      C’erano senz’altro alcuni particolarmente dotati o scelti per prestare servizio come profeti. (I Cor. 12:4-11, 27-29) Paolo stesso aveva il dono della profezia, eppure è noto più che altro come apostolo. (Confronta Atti 20:22-25; 27:21-26, 31, 34; I Cor. 13:2; 14:6). Sembra che quelli designati in special modo come profeti, quali Agabo, Giuda e Sila fossero speciali rappresentanti della congregazione cristiana, secondi solo agli apostoli. (I Cor. 12:28; Efes. 4:11) Come gli apostoli, non solo prestarono servizio nella congregazione locale, ma si recarono anche in diversi luoghi, pronunciarono discorsi e inoltre predissero certi avvenimenti futuri. (Atti 11:27, 28; 13:1; 15:22, 30-33; 21:10, 11) Come nell’antichità, alcune donne cristiane ricevettero il dono di profetizzare, ma sempre sottomesse all’autorità dei componenti della congregazione di sesso maschile. — Atti 21:9; I Cor. 11:3-5.

  • Profetessa
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    • Profetessa

      Donna che profetizza o fa opera di profeta. Miriam è la prima donna chiamata profetessa nella Bibbia. Dio evidentemente trasmise uno o più messaggi per mezzo di lei, forse ispirandola nel canto. (Eso. 15:20, 21) Infatti si legge che lei e Aaronne dissero a Mosè: “Non ha [Geova] parlato anche mediante noi?” (Num. 12:2) Geova stesso, per mezzo del profeta Michea, disse di aver mandato “Mosè, Aaronne e Miriam” davanti agli israeliti quando li fece uscire dall’Egitto. (Mic. 6:4) Anche se Miriam ebbe il privilegio di essere usata come mezzo di comunicazione divina, come tale la sua relazione con Dio era inferiore a quella di suo fratello Mosè. Quando non rimase al suo posto fu severamente castigata da Dio. — Num. 12:1-15.

      All’epoca dei giudici Debora fu impiegata per trasmettere informazioni provenienti da Geova, per far conoscere i suoi giudizi su certe questioni e comunicare le sue istruzioni, come i comandi che Dio diede a Barac. (Giud. 4:4-7, 14-16) Quindi in un periodo di debolezza e apostasia da parte della nazione, essa servì figurativamente come “madre in Israele”. (Giud. 5:6-8) In maniera simile, ai giorni del re Giosia, venne impiegata la profetessa Ulda per far conoscere il giudizio di Dio nei confronti della nazione e del suo re. — II Re 22:14-20; II Cron. 34:22-28.

      Isaia chiama sua moglie ‘la profetessa’. (Isa. 8:3) Questo fa pensare che essa avesse ricevuto da Geova un incarico profetico di qualche genere, come le profetesse precedenti.

      Geova parlò a Ezechiele di israelite che agivano “da profetesse di loro proprio cuore”. Questo lascia intendere che quelle profetesse non avessero ricevuto nessun divino incarico da Dio, ma fossero semplicemente donne che si spacciavano per profetesse. (Ezec. 13:17-19) Con la loro propaganda e le loro pratiche intese a irretire e ingannare esse ‘cacciavano anime’, condannando i giusti e perdonando i malvagi, ma Geova liberò il suo popolo dalle loro mani. — Ezec. 13:20-23.

      Nel I secolo E.V., quando gli ebrei erano ancora il popolo del patto di Geova, l’anziana Anna serviva come profetessa. “Non si assentava mai dal tempio, rendendo notte e giorno sacro servizio con digiuni e supplicazioni”. “Parlando del fanciullo [Gesù] a tutti quelli che aspettavano la liberazione di Gerusalemme”, essa agiva come una profetessa nel senso fondamentale di ‘rivelare’ il proposito di Dio. — Luca 2:36-38.

      Quello della profezia era uno dei doni miracolosi dello spirito concessi alla nuova congregazione cristiana. Certe cristiane, come le quattro figlie vergini di Filippo, profetizzavano sotto l’impulso dello spirito santo di Dio. (Atti 21:9; I Cor. 12:4, 10) Questo avvenne in adempimento di Gioele 2:28, 29 che prediceva: “I vostri figli e le vostre figlie profetizzeranno”. (Atti 2:14-18) Questo dono però non toglieva che la donna dovesse essere sottomessa all’autorità del marito o a quella degli uomini nella congregazione cristiana; come simbolo della sua sottomissione essa doveva coprirsi il capo quando profetizzava (I Cor. 11:3-6) e non doveva insegnare nella congregazione. — I Tim. 2:11-15; I Cor. 14:31-35.

      Nella congregazione di Tiatira, una donna simile a Izebel vantava di avere poteri profetici, comportandosi

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