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    Ausiliario per capire la Bibbia
    • umani. Questo per combattere le tendenze idolatriche e insegnare il dovuto rispetto per la creazione di Dio. (Lev. 19:28) Sotto la Legge l’unico marchio che si poteva apporre su un essere umano era quello di forare l’orecchio di uno schiavo che volontariamente chiedeva di poter servire il suo padrone “a tempo indefinito”. — Deut. 15:16, 17.

      Paolo scriveva ai galati: “Porto sul mio corpo i marchi [gr. stìgmata, segni impressi con ferro rovente, tatuaggi] d’uno schiavo di Gesù”. (Gal. 6:17) Molti furono i maltrattamenti fisici inflitti a Paolo a motivo del suo servizio cristiano, alcuni dei quali senza dubbio lasciarono cicatrici che attestavano l’autenticità della sua affermazione di essere un fedele schiavo di Gesù Cristo. (II Cor. 11:23-27) Tali potevano essere i marchi a cui alludeva. Oppure poteva trattarsi della sua vita cristiana, infatti sotto l’influenza dello spirito santo ‘trattava con durezza il suo corpo e lo conduceva come uno schiavo’, manifestando i frutti dello spirito nel compimento del suo ministero cristiano. — I Cor. 9:27.

      USO FIGURATIVO

      Le Scritture parlano di esseri umani su cui è apposto un marchio, ma in senso figurativo. Nella visione di Ezechiele un uomo con un corno da scrivano ricevette l’ordine di passare in mezzo a Gerusalemme e ‘apporre un segno sulla fronte di coloro che sospiravano e gemevano per tutte le cose detestabili che si facevano in mezzo ad essa’. Tale loro comportamento indicava che erano persone rette, servitori di Dio, e perciò meritevoli di essere preservati durante l’esecuzione del giudizio di Geova. Il segno bene in vista sulla loro fronte lo attestava. — Ezec. cap. 9; confronta II Pietro 2:6-8.

      Viceversa nella visione di Giovanni coloro che hanno il marchio della bestia selvaggia sulla fronte o sulla mano sono destinati alla distruzione. Il marchio sulla fronte li identifica pubblicamente quali adoratori della bestia selvaggia e quindi suoi schiavi. In tal modo rivelano di essere oppositori di Dio, dato che la bestia selvaggia ha ricevuto autorità dal dragone, Satana il Diavolo. Il marchio sulla mano significa attivo aiuto offerto alla bestia selvaggia, dato che la mano serve per lavorare. — Riv. 13:1, 2, 16-18; 14:9, 10; 16:1, 2; 20:4.

  • Marco
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    • Marco

      [gr. Màrkos, dal lat. Marcus, che significa “grosso martello”].

      Soprannome romano del figlio di Maria di Gerusalemme. Il suo nome ebraico era Giovanni, che significa “Geova è stato benigno”. (Atti 12:12, 25) Marco era cugino di Barnaba e compagno di viaggio suo e di altri primi missionari cristiani, e fu ispirato a scrivere il Vangelo che porta il suo nome. (Col. 4:10) È il Giovanni Marco menzionato nel libro di Atti e il Giovanni di Atti 13:5, 13.

      Era evidentemente fra i primi che riposero fede in Cristo. La casa di sua madre era usata come luogo di adorazione dalla primitiva congregazione cristiana, quindi può darsi che sia lui che sua madre fossero diventati seguaci di Gesù Cristo prima della sua morte. (Atti 12:12) Poiché solo Marco menziona il ragazzo sommariamente vestito che fuggì la notte del tradimento di Gesù, c’è ragione di ritenere che quel ragazzo fosse lui. (Mar. 14:51, 52) Sembra dunque probabile che Marco fosse presente quando lo spirito santo fu versato su circa 120 discepoli di Cristo alla Pentecoste del 33 E.V. — Atti 1:13-15; 2:1-4.

      Portata a termine l’opera di soccorso a Gerusalemme, Barnaba e Saulo (Paolo) “tornarono e presero con sé Giovanni, quello soprannominato Marco”. Sembra che Marco fosse una specie di servitore che probabilmente si occupava delle loro necessità fisiche durante il viaggio. (Atti 12:25; 13:5) Per qualche ragione sconosciuta, quando giunsero a Perga in Panfilia, “Giovanni [Marco] si ritirò da loro e tornò a Gerusalemme”. (Atti 13:13) Poi quando Paolo partì per il secondo viaggio missionario, benché Barnaba fosse deciso a portare con sé Marco, l’apostolo “non pensava fosse convenevole condurre questi con loro, visto che si era partito da loro in Panfilia e non era andato con loro all’opera”. Ne seguì “un’accesa esplosione d’ira” ed essi si separarono, Barnaba portò con sé Marco a Cipro e Paolo portò con sé Sila in Siria e in Cilicia. — Atti 15:36-41.

      Comunque, qualche tempo dopo, la frattura che poteva esserci stata fra Paolo, Barnaba e Marco si era evidentemente rimarginata, infatti Marco era con Paolo a Roma e insieme a lui mandava saluti ai cristiani di Colosse (ca. 60-61 E.V.). Paolo parla bene di lui: “Vi manda saluti Aristarco, mio compagno di cattività, e Marco, cugino di Barnaba (circa il quale avete ricevuto i comandi di accoglierlo se viene da voi)”. (Col. 4:10) Marco è menzionato da Paolo anche fra quelli che inviavano saluti a Filemone nella lettera che l’apostolo gli scrisse da Roma (pure ca. 60-61 E.V.). (Filem. 23, 24) Poi (ca. 65 E.V.), quando era di nuovo prigioniero a Roma, Paolo disse espressamente a Timoteo: “Prendi Marco e conducilo con te, poiché mi è utile per il servizio”. — II Tim. 4:11.

      Giovanni Marco si trovava anche con Pietro a Babilonia, poiché è menzionato fra coloro che inviano saluti nella prima lettera dell’apostolo (scritta verso il 62-64 E.V.). Pietro lo chiama “Marco, mio figlio”, forse per indicare il forte vincolo d’affetto cristiano che esisteva fra loro. (I Piet. 5:13; confronta I Giovanni 2:1, 7). Perciò Marco, che un tempo era stato causa di difficoltà, meritò la lode e la fiducia di preminenti servitori di Dio ed ebbe il privilegio ancora più grande di essere ispirato a scrivere un resoconto del ministero di Gesù.

  • Marco, la buona notizia secondo
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    • Marco, la buona notizia secondo

      Storia del ministero di Gesù Cristo, divinamente ispirata, scritta da Giovanni Marco. Questo resoconto della “buona notizia di Gesù Cristo” inizia narrando l’opera del suo precursore, Giovanni il Battezzatore, e termina descrivendo le circostanze relative alla risurrezione di Gesù. Quindi include il periodo di tempo che va dalla primavera del 29 alla primavera del 33 E.V. — Mar. 1:1.

      Questo Vangelo, il più breve dei quattro, è una descrizione concisa e vivace del ministero e dei miracoli compiuti da Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Frequente è l’uso dei termini “immediatamente” o “subito”. (Mar. 1:10, 12, 18, 29) Si divide quasi in parti uguali fra conversazione e azione.

      FONTE D’INFORMAZIONE

      Un’antica tradizione indica che fu Pietro a provvedere le informazioni che sono alla base del Vangelo di Marco; e questo concorderebbe col fatto che Marco era con Pietro a Babilonia. (I Piet. 5:13) Secondo Origene, Marco nel suo Vangelo “riproduce la esposizione di Pietro”. (Eusebio, Storia ecclesiastica, Libro VI, cap. 25) Tertulliano attesta: “Il Vangelo di Marco è attribuito a Pietro, di cui era interprete, . . . poiché è possibile che ciò che gli studiosi pubblicano sia considerato opera del loro maestro”. Eusebio (Storia ecclesiastica, Libro III, cap. 39, nella traduzione a cura di Giuseppe Del Ton, ed. Desclée, Roma 1964) riporta le parole di Giovanni “il presbitero” citate da Papia (ca. 140 E.V.): “Il presbitero diceva questo: ‘Marco, interprete di Pietro, scrisse con esattezza, ma senza ordine, tutto ciò che si ricordava delle parole e delle azioni del Signore; . . . Marco non c’ingannò scrivendo secondo che si ricordava; ebbe questa sola preoccupazione: di nulla tralasciare di quanto aveva udito, e di non dire veruna menzogna’”.

      Giovanni Marco evidentemente aveva anche altre fonti d’informazione. Dato che i primi discepoli di Gesù si radunavano in casa di sua madre (Atti 12:12), Marco doveva conoscere altri oltre Pietro che erano stati con Gesù Cristo, persone che l’avevano visto all’opera, e che l’avevano sentito predicare e insegnare. Essendo probabilmente quel “giovane” che coloro che volevano arrestare Cristo avevano cercato di afferrare ma che “se ne fuggì nudo”, Marco stesso aveva evidentemente avuto qualche contatto personale con Gesù. — Mar. 14:51, 52.

      SCRITTA EVIDENTEMENTE PER I NON EBREI

      Anche se la “buona notizia” secondo Marco poteva essere interessante e utile per lettori ebrei, non è però stata scritta appositamente per loro. Sembra che sia stata scritta principalmente per lettori non ebrei, specie romani. La sua concisione e il suo carattere brusco sono ritenuti particolarmente adatti alla mentalità dei lettori romani. A volte termini latini sono traslitterati in greco; per esempio il termine greco praitòrion sta per il latino praetorium (Mar. 15:16, Int), e il termine greco kentyrìon sta per il latino centurio, ufficiale preposto a cento soldati. — Mar. 15:39, Int.

      Questo Vangelo contiene spiegazioni che non sarebbero state necessarie per lettori ebrei. Precisa che il Giordano era un fiume e spiega che il tempio era visibile dal Monte degli Ulivi. (Mar. 1:5; 13:3) Menziona che i farisei erano soliti digiunare e che i sadducei non credevano nella risurrezione. (Mar. 2:18; 12:18) Spiega inoltre che la vittima pasquale veniva sacrificata “il primo giorno dei pani non fermentati” e che la “Preparazione” era “il giorno prima del sabato”. — Mar. 14:12; 15:42.

      Mentre non sarebbe stato necessario spiegare termini semitici a dei lettori palestinesi, il Vangelo di Marco contiene molte spiegazioni del genere. Viene fatta la traduzione di espressioni come “Boanerges” (“Figli del Tuono”), “Talitha cumi” (“Fanciulla, ti dico: Alzati!”), “corban” (“dono dedicato a Dio”) ed “Eli, Eli, lama sabactani?” (“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”). — Mar. 3:17; 5:41; 7:11; 15:34.

      QUANDO E DOVE FU SCRITTA

      Secondo un’antica tradizione, la “buona notizia” secondo Marco fu resa pubblica inizialmente a Roma, e questo è attestato da antichi scrittori come Clemente, Eusebio e Girolamo. Marco era a Roma al tempo della prima prigionia di Paolo. (Col. 4:10; Filem. 1, 23, 24) In seguito era con Pietro a Babilonia. (I Piet. 5:13) Poi, durante la sua seconda prigionia a Roma, Paolo chiese a Timoteo di venire subito e portare con sé Marco. (II Tim. 4:11) Probabilmente Marco allora tornò a Roma. Poiché non è menzionata la distruzione di Gerusalemme in adempimento della profezia di Gesù, il suo Vangelo dev’esser stato scritto prima del 70 E.V. La sua presenza a Roma almeno una volta, forse due, negli anni 60-65 E.V. fa pensare che Marco possa averlo scritto a Roma in quegli anni.

      PARTICOLARITÀ DELLA NARRAZIONE DI MARCO

      Anche se in gran parte tratta materiale analogo a quello trattato da Matteo e da Luca, Marco fornisce altri particolari inediti. Alcuni di questi spiegano cosa Gesù provò in determinate occasioni. Gesù fu ‘addolorato per l’insensibilità del cuore’ di coloro che obiettavano perché aveva guarito di sabato un uomo con una mano rattrappita. (Mar. 3:5) A motivo della cattiva accoglienza avuta nella sua città ‘egli si meravigliava della mancanza di fede’ dei suoi concittadini. (Mar. 6:6) Invece “provò amore” per il giovane ricco che gli aveva chiesto cosa era necessario fare per avere la vita eterna. — Mar. 10:21.

      Un’altra particolarità della narrazione di Marco sono certi punti relativi alla fine della vita terrena di Gesù. Egli precisa che durante il processo di Gesù i falsi testimoni non erano d’accordo. (Mar. 14:59) Il passante costretto ad aiutare Gesù a portare il palo di tortura era Simone di Cirene, “il padre di Alessandro e Rufo”. (Mar. 15:21) Inoltre Marco riferisce che Pilato si assicurò che Gesù fosse morto prima di concedere a Giuseppe di Arimatea il permesso di prendere il corpo per seppellirlo. — Mar. 15:43-45.

      Una delle quattro illustrazioni riportate da Marco si trova solo nel suo Vangelo. (Mar. 4:26-29) Vi sono menzionati almeno diciannove miracoli compiuti da Gesù Cristo. Due di questi (la guarigione di un sordo che aveva anche difficoltà di parola e di un certo cieco) sono descritti solo nel Vangelo di Marco. — Mar. 7:31-37; 8:22-26.

      RIFERIMENTI ALLE SCRITTURE EBRAICHE

      Anche se Marco pare aver scritto principalmente per i romani, il suo Vangelo contiene riferimenti e citazioni delle Scritture Ebraiche. Indica che l’opera di Giovanni il Battezzatore era un adempimento di Isaia 40:3 e Malachia 3:1. (Mar. 1:2-4) Riferisce casi in cui Gesù ha citato o applicato le Scritture Ebraiche o vi ha fatto allusione. Per esempio: servire Dio solo a parole (Mar. 7:6, 7; Isa. 29:13); onorare i genitori (Mar. 7:10; Eso. 20:12; 21:17); creazione dell’uomo e della donna e istituzione del matrimonio (Mar. 10:6-9; Gen. 1:27; 2:24); vari comandamenti (Mar. 10:19; Eso. 20:12-16; Lev. 19:13); osservazioni di Gesù circa il tempio (Mar. 11:17; Isa. 56:7; Ger. 7:11) e circa l’essere rigettato (Mar. 12:10, 11; Sal. 118:22, 23); le parole di Geova a Mosè presso il roveto ardente (Mar. 12:26; Eso. 3:2, 6); i due grandi comandamenti sull’amore (Mar. 12:29-31; Deut. 6:4, 5; Lev. 19:18); le parole profetiche di Geova al Signore di Davide sulla sottomissione dei nemici (Mar. 12:36; Sal. 110:1); la dispersione dei discepoli di Gesù (Mar. 14:27; Zacc. 13:7); le parole di Gesù sull’essere abbandonato da Dio (Mar. 15:34; Sal. 22:1); le istruzioni che diede a un lebbroso sanato (Mar. 1:44; Lev. 14:10, 11) e la sua profezia circa la cosa disgustante che causa desolazione. — Mar. 13:14; Dan. 9:27.

      I riferimenti alle Scritture Ebraiche nel Vangelo di Marco sono un’ampia dimostrazione che Gesù Cristo aveva piena fiducia in tali Scritture e le usava nel suo ministero. Questo ci permette inoltre di conoscere meglio il Figlio dell’uomo, che “non è venuto per esser servito, ma per servire e per dare la sua anima come riscatto in cambio di molti”. — Mar. 10:45.

      SCHEMA DEL CONTENUTO

      I Ministero di Giovanni il Battezzatore (1:1-11)

      II Attività di Gesù da quando fu tentato dal Diavolo fino all’invio dei dodici apostoli (1:12—6:6)

      A. Tentato dal Diavolo; inizia ministero in Galilea dopo l’arresto di Giovanni (1:12-15)

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