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    Perspicacia nello studio delle Scritture, volume 1
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    Perspicacia nello studio delle Scritture, volume 1
    • Nelle Scritture Greche Cristiane. Alla luce di quanto detto finora, sembra molto strano constatare che le copie manoscritte esistenti del testo originale delle Scritture Greche Cristiane non contengano il nome divino per intero. Perciò il nome non compare nemmeno nella maggior parte delle traduzioni del cosiddetto Nuovo Testamento. Eppure ricorre in forma abbreviata nell’espressione “Alleluia” in Rivelazione 19:1, 3, 4, 6 (Di, Ma, CEI, Ga, VR). L’invito “Lodate Iah!” (NM) fatto dai figli spirituali di Dio indica chiaramente che il nome divino non era caduto in disuso: era importante e pertinente come lo era stato in epoca precristiana. Perché allora non compare per intero nelle Scritture Greche Cristiane?

      Perché il nome divino per intero non compare in nessuno degli antichi manoscritti delle Scritture Greche Cristiane che ci sono pervenuti?

      L’argomento addotto per molto tempo era che gli scrittori ispirati delle Scritture Greche Cristiane citavano le Scritture Ebraiche dalla Settanta, e dal momento che quella versione sostituiva il Tetragramma con Kỳrios o Theòs, questi scrittori non usarono il nome Geova. Com’è stato spiegato, questo argomento non è più valido. Osservando che i più antichi frammenti della Settanta greca conservano il nome divino nella forma ebraica, P. E. Kahle dice: “Ora sappiamo che il testo greco della Bibbia [la Settanta] in quanto scritto da ebrei per ebrei non traduceva il nome divino con kyrios, ma in tali MSS [manoscritti] era conservato il Tetragramma scritto in caratteri ebraici o greci. Furono i cristiani a sostituire il Tetragramma con kyrios, quando il nome divino scritto in caratteri ebraici non era più comprensibile”. (The Cairo Geniza, Oxford, 1959, p. 222) Quando avvenne questo cambiamento nelle traduzioni greche delle Scritture Ebraiche?

      Evidentemente avvenne nei secoli successivi alla morte di Gesù e degli apostoli. Nella versione greca di Aquila, che risale al II secolo E.V., compariva ancora il Tetragramma in caratteri ebraici. Verso il 245 E.V., il noto studioso Origene produsse la sua Esapla, che su sei colonne contiene le ispirate Scritture Ebraiche, (1) nell’originale ebraico e aramaico, accompagnato da (2) una traslitterazione in greco, e dalle versioni greche (3) di Aquila, (4) di Simmaco, (5) dei Settanta, e (6) di Teodozione. In base alle copie frammentarie ora conosciute, W. G. Waddell dice: “Nell’Esapla di Origene . . . le versioni greche di Aquila, di Simmaco e dei LXX rappresentano tutte JHWH con ΠΙΠΙ; nella seconda colonna dell’Esapla il Tetragramma era scritto in caratteri ebraici”. (The Journal of Theological Studies, Oxford, vol. XLV, 1944, pp. 158, 159) Altri ritengono che il testo originale dell’Esapla di Origene contenesse il Tetragramma in caratteri ebraici in tutte le colonne. Origene stesso, commentando Salmo 2:2, scrive che “nei manoscritti più fedeli IL NOME ricorre in caratteri ebraici, ma non nei [caratteri] ebraici odierni, bensì nei più antichi”. — J. P. Migne, Patrologia Graeca, vol. XII, col. 1104.

      Ancora nel IV secolo E.V., Girolamo, il traduttore della Vulgata latina, dice nel prologo ai libri di Samuele e Re: “In certi volumi greci troviamo tuttora il nome di Dio, il Tetragramma [cioè, יהוה], espresso in caratteri antichi”. In una lettera scritta a Roma nel 384 E.V., Girolamo dice: “Il nono [nome di Dio] è composto di quattro lettere (tetragramma); lo si pensava anecfòneton, cioè ineffabile, e si scrive con queste lettere: iod, he, vau, he. Ma alcuni non l’hanno decifrato a motivo della rassomiglianza dei segni; e quando lo hanno trovato nei libri greci l’hanno letto di solito [ΠΙΠΙ, lettere greche che corrispondono alle romane PIPI]”. — Le lettere, Roma, 1961, vol. I, pp. 237, 238; cfr. J. P. Migne, Patrologia latina, vol. 22, coll. 429, 430.

      Quindi i cosiddetti cristiani che si permisero di “sostituire il Tetragramma con kyrios” nelle copie della Settanta non erano i primi discepoli di Gesù. Erano persone che vissero nei secoli successivi, quando la predetta apostasia si era già affermata e aveva corrotto i puri insegnamenti cristiani. — 2Ts 2:3; 1Tm 4:1.

      Usato da Gesù e dai discepoli. Ai giorni di Gesù e dei discepoli il nome divino compariva senz’altro nelle copie delle Scritture, sia nei manoscritti in ebraico che in quelli in greco. Gesù e i discepoli usavano dunque il nome divino nel parlare e nello scrivere? Dal momento che Gesù condannava le tradizioni farisaiche (Mt 15:1-9), sarebbe del tutto irragionevole concludere che Gesù e i discepoli si lasciassero influenzare al riguardo da idee farisaiche (come quelle riportate nella Mishnàh). Il nome stesso di Gesù significa “Geova è salvezza”. Egli disse: “Sono venuto nel nome del Padre mio”. (Gv 5:43) E insegnò ai suoi seguaci a pregare: “Padre nostro che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome”. (Mt 6:9) Le sue opere, disse, erano compiute “nel nome del Padre” (Gv 10:25), e in preghiera, la sera prima di morire, disse che aveva reso manifesto ai discepoli il nome del Padre suo e chiese: “Padre santo, vigila su di loro a motivo del tuo nome”. (Gv 17:6, 11, 12, 26) Perciò, quando citava o leggeva le Scritture Ebraiche, Gesù certamente usava il nome divino, Geova. (Cfr. Mt 4:4, 7, 10 con De 8:3; 6:16; 6:13; Mt 22:37 con De 6:5; Mt 22:44 con Sl 110:1; e Lu 4:16-21 con Isa 61:1, 2). Logicamente i discepoli di Gesù, fra cui gli scrittori ispirati delle Scritture Greche Cristiane, avranno seguito in questo il suo esempio.

      Perché allora il nome non compare nei manoscritti delle Scritture Greche Cristiane, il cosiddetto Nuovo Testamento, che ci sono pervenuti? Evidentemente perché quando furono fatte quelle copie (dal III secolo E.V. in poi) il testo originale degli scritti degli apostoli e dei discepoli era già stato alterato. Quindi copisti successivi devono aver sostituito il nome divino nella forma del Tetragramma con Kỳrios e Theòs (ILLUSTRAZIONE, vol. 1, p. 324), proprio come era avvenuto nelle copie più tarde della traduzione dei Settanta delle Scritture Ebraiche.

      Il nome divino nelle traduzioni. Riconoscendo come stavano le cose, alcuni traduttori hanno usato il nome “Geova” nelle loro traduzioni delle Scritture Greche Cristiane. The Emphatic Diaglott, traduzione inglese del XIX secolo ad opera di Benjamin Wilson, contiene diverse volte il nome Geova (Jehovah), specie dove gli scrittori cristiani citavano le Scritture Ebraiche. Ma già nel 1533, in una traduzione di Anton Margaritha, il Tetragramma aveva cominciato a comparire in traduzioni delle Scritture Cristiane in ebraico. Successivamente, in varie altre traduzioni in ebraico, i traduttori usarono il Tetragramma nei luoghi in cui lo scrittore ispirato citava un passo delle Scritture Ebraiche che conteneva il nome divino.

      Alcune delle numerose traduzioni delle Scritture Greche Cristiane che contengono il nome divino:

      [Immagine a pagina 1029]

      The New Testament of Our Lord and Saviour Jesus Christ, traduzione di John Eliot (lingua algonchina del Massachusetts); Cambridge, Massachusetts, 1661; Matteo 21:9

      [Immagine a pagina 1029]

      An English Version of the New Testament . . . From the Text of the Vatican Manuscript, a cura di Herman Heinfetter; Londra, 1864; Marco 12:29, 30

      [Immagine a pagina 1029]

      Novum Testamentum Domini Nostri Iesu Christi, traduzione di Elias Hutter (parte ebraica); Norimberga, 1599; Efesini 5:17

      [Immagine a pagina 1029]

      Sämtliche Schriften des Neuen Testaments, traduzione di Johann Jakob Stolz; Zurigo, 1781-1782; Romani 15:11

      In quanto alla correttezza di questa impostazione, si noti la seguente dichiarazione fatta prima del ritrovamento di manoscritti comprovanti che la Settanta greca conteneva in origine il nome Geova: “Se quella versione [LXX] avesse ritenuto il termine [Geova], oppure avesse usato un termine greco per Geova e un altro per Adonai, tale uso sarebbe stato senz’altro seguito nei discorsi e nelle argomentazioni del N. T. Quindi nostro Signore, nel citare il 110º Salmo, invece di dire ‘Il Signore ha detto al mio Signore’, avrebbe potuto dire: ‘Geova ha detto ad Adoni’”. — R. B. Girdlestone, Synonyms of the Old Testament, 1897, p. 43.

      Proseguendo il ragionamento (che ora risulta basato su fatti reali) viene detto: “Supponiamo che uno studioso cristiano stesse traducendo in ebraico il Testamento Greco: ogni volta che incontrava il termine Κύριος, egli avrebbe dovuto valutare se nel contesto c’era qualche cosa che indicasse il vero corrispondente ebraico; e questa è la difficoltà che sarebbe sorta nel tradurre il N. T. in qualsiasi lingua se il titolo Geova fosse stato lasciato nell’A. T. [LXX]. Le Scritture Ebraiche avrebbero costituito una norma per molti brani: infatti ogni volta che ricorre l’espressione ‘l’angelo del Signore’, sappiamo che il termine Signore rappresenta Geova; si poteva giungere a una conclusione simile per l’espressione ‘la parola del Signore’, secondo il precedente stabilito dall’A. T.; e così anche nel caso del titolo ‘il Signore degli Eserciti’. Quando invece ricorre l’espressione ‘Mio Signore’ o ‘Nostro Signore’, dovremmo sapere che sarebbe inammissibile il termine Geova, e si dovrebbe usare Adonai o Adoni”. (R. B. Girdlestone, op. cit., p. 43) Per questa ragione traduzioni delle Scritture Greche (già menzionate) contengono il nome Geova.

      Notevole a questo riguardo è la Traduzione del Nuovo Mondo, usata in questa pubblicazione, in cui il nome divino nella forma “Geova” ricorre 237 volte nelle Scritture Greche Cristiane. Com’è già stato spiegato, ci sono valide ragioni per far questo.

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