Romani (Lezione 59)
“PAOLO, servo di Cristo Gesù, chiamato ad essere apostolo, . . . a quanti sono in Roma, amati da Dio, chiamati ad esser santi”. (Rom. 1:1-7) Questi versetti di saluto che danno inizio a questa mirabile epistola identificano lo scrittore e i destinatari. Allorché Paolo scrisse questa lettera alla congregazione cristiana di Roma egli aveva dato prova di essere uno dei più zelanti ‘servitori di Cristo Gesù’, e certamente non era “in nulla da meno di cotesti sommi apostoli”. In base a che cosa si può dire questo? In base alla sua attività nel campo di servizio. Egli aveva in precedenza portato a compimento due lunghi viaggi di predicazione per ‘ammaestrare tutti i popoli’, e allorché scriveva ai Romani era molto lontano dalla sua residenza in Antiochia di Siria e si trovava nel suo terzo viaggio. Evidentemente scrisse da Corinto, perché menziona Gaio ed Erasto, abitanti di Corinto, che erano con lui. (16:23; 1 Cor. 1:14; 2 Tim. 4:20) Egli raccomandava loro anche Febe della vicina Cencrea della quale molto probabilmente si servì per consegnare l’epistola alla congregazione di Roma. (16:1, 2) La migliore evidenza disponibile indica che Paolo soggiornò per tre mesi nella città greca di Corinto e nei dintorni durante l’inverno 55-56 d.C.; e quindi determina approssimativamente l’epoca in cui scrisse il libro di Romani. — Atti 20:2, 3; 1 Cor. 16:6.
Quanto ai destinatari dell’epistola, il gruppo dei testimoni di Geova in Roma, si può dire che la loro congregazione era composta sia di Giudei che di Gentili. (1:13; 2:17-29; 4:1; 7:1; 11:13) In quel tempo i Giudei erano numerosi a Roma. Verso il 50 d.C. erano stati banditi dalla città da Claudio Cesare (Atti 18:2), ma vi erano ritornati all’epoca dell’epistola di Paolo ai Romani (Rom. 16:3). Alcuni anni dopo, quando Paolo era prigioniero a Roma, i Giudei vi erano alquanto numerosi. (Atti 28:17) Il quattordicesimo capitolo sembra aver lo scopo di eliminare alcuni malintesi esistenti tra i Gentili e i Giudei della congregazione di Roma. Il tono dell’intera lettera sembra quello di voler mettere Giudei e Gentili su una base di completa uguaglianza davanti a Dio. Non mediante la legge, ma mediante la fede in Cristo Gesù e per grazia di Dio si ottiene giustificazione. Questa era l’essenza della lettera scritta alla congregazione cristiana di Roma.
A questo punto sorge una domanda interessante: Come il vangelo giunse per la prima volta a Roma, e come vi fu stabilito un gruppo di Cristiani? L’ingiustificabile pretesa della Gerarchia Cattolica che ciò fosse dovuto alla visita dell’apostolo Pietro può essere scartata senza seria considerazione; non esiste la minima prova che sostenga tale pretesa. È una tradizione inventata di sana pianta che Pietro sia stato il primo “vescovo” della città e che i suoi successori esistano fino ad oggi. Nella sua lettera ai Romani Paolo non attribuisce a Pietro l’istituzione della congregazione di Roma. Sebbene egli menzioni trentacinque nomi nella sua lettera, e mandi i saluti a ventisei persone facendone i nomi, egli non menziona né manda saluti a Pietro. (Capitolo 16) La Bibbia narra tuttavia che quando fu sparso lo spirito santo alla Pentecoste (33 d.C.), fra quelli che ascoltarono il discorso di Pietro e la predicazione del vangelo in molte lingue, vi erano certi “visitatori di Roma”. (Atti 2:10, Goodspeed) Costoro al loro ritorno a Roma avrebbero potuto facilmente fondarvi la prima chiesa cristiana.
In seguito i Giudei si sparsero in tutto l’Impero Romano; alcuni di loro erano divenuti cristiani, e avrebbero potuto compiere ulteriore predicazione in Roma. Due Giudei ai quali Paolo predicò a Corinto e che credettero, più tardi ritornarono a Roma e senza dubbio trasmisero alla congregazione romana il messaggio proclamato da Paolo. (Atti 18:2; Rom. 16:3) Sembra inoltre che Paolo conoscesse personalmente ventisei membri della congregazione di Roma; essi riferirono le parole dell’apostolo ai Cristiani. Così la congregazione nella capitale della sesta potenza mondiale fu probabilmente fondata e alimentata. Paolo, non Pietro, fu “apostolo dei Gentili”; Paolo, non Pietro, fu colui al quale Cristo Gesù disse che doveva andare a Roma a render testimonianza; e fu Paolo, non Pietro, che scrisse la lettera ai Romani per rafforzare la loro fede e salvaguardarli dal pericolo di cadere in schiavitù di un giogo religioso. Paolo, non Pietro, fu colui che sentì la responsabilità di scrivere loro. — Atti 23:11; Rom. 15:14-16.
Paolo adempì questa responsabilità scrivendo, per mano di Terzio, una delle più belle epistole delle Scritture Greche. Dopo una presentazione di sé e del suo apostolato, e un saluto a quelli “chiamati ad esser santi” in Roma, Paolo esprime il suo vivo interessamento per la chiesa di Roma e il suo ardente desiderio di visitarla. L’empietà degli uomini è condannata come inescusabile, perché, sebbene invisibile agli uomini, la potenza ed eternità e sovranità di Dio si scorgono chiaramente nelle Sue potenti opere della creazione. Invece di adorare il Creatore, gli uomini si fanno stoltamente dèi delle cose create, e affondano sempre più nella degradazione e nell’ingiustizia. La morte li aspetta. (1:9-31) Ma se i Gentili fanno queste cose, i Giudei non devono giudicarli affrettatamente e dichiararli peccatori indegni di udire il vangelo. Un esame potrebbe rivelare gli stessi peccati in tali severi giudici. Tenete presente che Dio non ha riguardi personali, ma tanto i Giudei quanto i Gentili sono ricompensati secondo le loro opere. I Giudei che tendevano a vantarsi della legge dovevano ricordare che non chi ascolta la legge è giusto dinanzi a Dio, ma chi la mette in pratica. — 2:1-29.
Tutto il genere umano è compreso nella citazione di Paolo: “Non v’è alcun giusto, neppur uno”. L’essenza e sostanza della questione è che nessuno può essere giustificato per le opere della legge, che giustizia e giustificazione vengono solo per grazia mediante la fede in Cristo Gesù, che vantarsi delle opere della legge è quindi escluso, e che entrambi Giudei e Gentili sono giustificati per fede. (3:1-31) L’apostolo sostiene la sua argomentazione con la storia, citando il caso di Abrahamo. La giustificazione gli fu imputata o accreditata per il fatto che aveva una posizione di favore presso Dio, ma quella posizione non l’ebbe per la legge o per le opere. Egli fu considerato giusto per la sua fede, fede esemplare. — 4:1-25.
Il quinto capitolo rivela la riconciliazione mediante Cristo. “Per mezzo d’un sol uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato v’è entrata la morte, e in questo modo la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato”. La morte regnò da Adamo fino a Mosè. Quando fu data la legge, la morte continuò a regnare e il peccato abbondò. Ma se il peccato abbondò, la grazia di Dio sovrabbondò nel mandare Cristo Gesù. Per il peccato di Adamo la morte venne su tutti gli uomini, ma mediante la giustizia del perfetto Gesù tutti i credenti, siano essi Giudei o Gentili, ricevono la giustificazione di vita. Ma affinché nessuno torcesse il significato per dare licenza al peccato sfrenato, Paolo dimostra nel capitolo seguente che quelli che sono battezzati in Cristo Gesù sono morti al peccato, non devono vivere nel peccato, ma devono camminare in novità di vita, vivere per Dio. Essendo liberati dal peccato, non devono più servire il peccato o esserne schiavi. “Il salario del peccato è la morte; ma il dono di Dio è la vita eterna in Cristo Gesù, nostro Signore”.
Con l’illustrazione di una coppia di Giudei sposati e della libertà ottenuta con la morte, Paolo dimostra come gli eredi cristiani del Regno vengono liberati dal vecchio patto della legge. Essi sono morti alla legge e liberi di sposare un altro, cioè Cristo. Il peccato dimora negli imperfetti corpi carnali, e la legge palesò questo peccato e condannò i peccatori alla morte. Tutte le buone intenzioni del mondo non potrebbero rendere il corpo peccaminoso atto a soddisfare la giusta e perfetta legge di Dio, ma l’affrancamento dalla legge del peccato che esiste nelle nostre membra proviene dalla grazia divina mediante Cristo Gesù. (7:1-25) Sotto la legge la carne debole non potrebbe meritare altro che la morte, ma quelli che sono in Cristo non camminano secondo la carne bensì secondo lo spirito. Così sono guidati dallo spirito e generati come figli di Dio e coeredi di Cristo. Lo spirito aiuta il Cristiano a superare le infermità, e alla fine è Iddio che giustifica. Con tale aiuto divino, “chi ci separerà dall’amore di Cristo?” Nessuno; noi siamo “più che vincitori”. — 8:1-39.
Nel nono capitolo Paolo esprime il suo dolore per i Giudei, ma mostra che Israele secondo la carne non è l’Israele di Dio. Non i figli secondo la carne o la legge, ma i figli secondo la promessa, sono quelli che costituiscono la vera progenie insieme al Messia Cristo. Solo un rimanente dell’Israele secondo la carne ottiene questo, e il numero predestinato dei componenti della Progenie è completato estendendo la chiamata ai Gentili. Inciampando a causa del Messia o Cristo e cercando ostinatamente di stabilire la loro propria giustizia mediante le opere della legge, la maggioranza dei Giudei così venne meno. (9:1-33) Essi rifiutarono di ravvisare nel Cristo la fine del vecchio patto della legge. La salvezza doveva ora essere aperta a tutti mediante Cristo; la differenza fra Giudei e Gentili era ora abolita. La salvezza si ottiene mediante la confessione e l’invocazione del nome del Signore. Per dare a tutte le creature umane la possibilità d’invocare il Signore e per render ferma la fede, i predicatori della verità sono mandati in tutte le nazioni. — 10:1-21.
Sebbene un rimanente d’Israele sia passato a Cristo, la maggioranza rimase prigioniera della propria idea di giustizia mediante le opere e la tradizione. Per la caduta dei Giudei, le opportunità dell’eredità cristiana sono estese anche ai Gentili; ma questi non devono vantarsene, perché se Dio non risparmiò i rami naturali d’Israele non risparmierà certo i rami innestati tratti dai Gentili se essi s’ostinano e s’insuperbiscono. (11:1-36) In seguito a questo consiglio, Paolo fa diverse esortazioni. Presentate i vostri corpi consacrati in sacrificio vivente, e questo è un servizio ragionevole! Non vi conformate a questo mondo malvagio, ma siate trasformati rinnovando la mente con lo studio della volontà di Dio! Non abbiate un concetto troppo elevato di voi stessi, perché tutti siamo membri dell’unico corpo di Cristo con differenti mansioni da compiere! Quanto all’onore, prevenitevi gli uni gli altri; servite il Signore, siate allegri nella speranza, pazienti nella tribolazione, siate ospitali, non vi stimate savi da voi stessi, e non fate le vostre vendette. Siate inoltre sottomessi alle Autorità Superiori, Geova Dio e Cristo il Suo Re. Non giudicate il servo altrui; se uno sta in piedi o cade è cosa che riguarda il suo padrone. — 12:1–14:23.
Paolo conclude la sua epistola considerando il suo apostolato fra i Gentili, la sua passata condotta nella predicazione, il suo desiderio di vedere la congregazione di Roma mentre va in Spagna, ma precisa che ciò dev’essere rimandato finché abbia portato a Gerusalemme un fondo di soccorso per i poveri del Signore in Giudea, e termina con un elenco di saluti per i conoscenti di Roma. (15:1–16:27) Questa lettera ai Romani è la più estesa esposizione del messaggio o vangelo predicato da Paolo.
[Domande per lo studio]
1. Chi scrisse la lettera ai Romani? e perché lo scrittore poté parlare in tal modo di se stesso?
2. Quando e da dove fu scritta l’epistola?
3. Che specie di congregazione esisteva a Roma?
4. Come era stata fondata e alimentata?
5. Riassumete (a) Capitoli 1, 2. (b) Capitoli 3, 4. (c) Capitoli 5, 6. (d) Capitoli 7, 8. (e) Capitoli 9, 10. (f) Capitoli 11-14. (g) Capitoli 15, 16.