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  • Il congregatore parla su opere vane e meritorie
    La Torre di Guardia 1958 | 15 giugno
    • Il congregatore parla su opere vane e meritorie

      “Temi il [vero] Dio e osserva i suoi comandamenti. Poiché questo è il tutto [l’obbligo] dell’uomo”. — Eccl. 12:13.

      1. Sin dalla fine della prima guerra mondiale, quali due specie di radunamenti hanno avuto luogo, e chi raduna ciascun gruppo?

      SIN dal 1918, anno in cui ebbe fine la prima guerra mondiale, i governanti politici e gli eserciti di tutte le nazioni si sono radunati, congregati, nel “luogo chiamato in ebraico Armaghedon”. (Apoc. 16:14, 16, Ti; Ezech. 38:7, 13, VR) È stato anche compiuto un grande radunamento, un congregamento mondiale, di uomini e donne amanti della pace in un luogo di vera sicurezza. Essi formano già una congregazione che si estende a tutta la terra, e ogni giorno molti altri si uniscono a loro. In questo periodo d’afflizione che cominciò con la prima guerra mondiale, essi hanno avuto prove sempre più schiaccianti che questo mondo, o sistema di cose, non avrà durata ma finirà nel conflitto universale di Armaghedon. Comprendono come siano vane e inutili le opere degli uomini compiute per sostenere questo vecchio mondo. Non vogliono più sciupare la loro vita in una vana corsa dietro al vento. Da ora in poi vogliono impiegare la loro vita in opere meritorie che diano gioia e soddisfazione e che producano un bene che non sarà cancellato da Armaghedon ma che continuerà nel radioso nuovo mondo. Tutti gli operatori di opere meritorie vengono radunati sotto una forza diversa da quella che dirige questo mondo. I governanti e i loro eserciti sono radunati ad Armaghedon mediante l’influenza dei demoni sotto il dominio di Satana il Diavolo. Gli uomini e le donne che fanno opere degne del giusto, pacifico nuovo mondo son radunati da un saggio, teocratico congregatore, che li istruisce e guida nelle opere meritorie.

      2. Come si identifica il congregatore, e perché non v’è nulla da obiettare se egli usa un titolo femminile per riferirsi a se stesso?

      2 Chi è questo congregatore? È possibile sapere chi egli è. Fu prefigurato molto tempo fa dal più sapiente governatore dell’antichità, il re Salomone, che regnò per quarant’anni nella città di Gerusalemme. Mille anni prima dell’èra cristiana il re Salomone scrisse un libro di sapienza più che umana, comunemente chiamato libro di Ecclesiaste, e sin dall’inizio di questo libro egli parla di se stesso come del congregatore o radunatore, dicendo: “Parole del congregatore, figlio di Davide, re di Gerusalemme. ‘La più grande vanità!’ ha detto il congregatore, ‘la più grande vanità! Tutto è vanità!’ Io, il congregatore, sono stato re d’Israele in Gerusalemme”. (Eccl. 1:1, 2, 12) È da notare che, nella lingua in cui scrisse il re Salomone, il libro si chiama Qohèleth, che significa “Congregatore”. È vero che nella lingua ebraica la parola Qohèleth è di genere femminile, ma lo è anche la parola ebraica tradotta “sapienza”; eppure il re Salomone, a causa della sapienza che aveva ricevuta da Dio, fu impiegato come un simbolo di sapienza, come se egli fosse stato la sapienza personificata. Inoltre, Colui che il re Salomone prefigurò ai giorni della sua sapienza è rimarchevolmente la personificazione della sapienza celeste. — Prov. 8:12, 22-31.

      3. Come fu un congregatore il re Salomone, e chi congregò?

      3 Ma come fu un congregatore il re Salomone e chi congregò? Egli fu un congregatore di un popolo, del suo popolo, dei suoi sudditi, e di altre persone amichevoli e di buona volontà. Congregò tutte queste persone all’adorazione dell’Iddio della pace e della felicità, Geova. Per sette anni e mezzo Salomone si occupò della costruzione di un magnifico tempio, che fu innalzato in Gerusalemme al nome di Geova e completato nell’undicesimo anno del suo regno. Per la dedicazione di questo tempio di adorazione il re Salomone radunò o congregò tutte le persone che vi erano particolarmente interessate. La storia dice in proposito: “A quel tempo Salomone cominciò a convocare gli anziani d’Israele, tutti i capi delle tribù, i principi dei padri, dei figli d’Israele, presso il re Salomone a Gerusalemme, per portar su l’arca del patto di Geova dalla città di Davide, cioè da Sion. Poi i sacerdoti portarono l’arca del patto di Geova al suo luogo, alla camera interna della casa, il Santissimo, sotto le ali dei cherubini”. (1 Re 8:1, 6; 2 Cron. 5:2, 7) Così congregando i suoi sudditi al tempio di Geova appena completato, Salomone diede inizio all’adorazione di Dio nel luogo dove egli aveva posto il suo nome.

      4. Scrivendo il suo libro, perché egli si chiamò Qohèleth, e come ci edifica oggi lo studio del suo libro?

      4 In qualità di congregatore del suo popolo, Salomone agì per il loro massimo benessere, inducendoli all’adorazione dell’Iddio col quale avevano fatto un patto nazionale o solenne accordo di amarlo, adorarlo e servirlo. In seguito, quando scrisse il libro di Ecclesiaste, egli si chiamò Qohèleth o “il congregatore”. Egli si chiamò così, non soltanto perché aveva per primo congregato il suo popolo e i loro compagni di buona volontà alla dedicazione del nuovo tempio, ma perché, mediante il nuovo libro che aveva scritto, egli cercava di raccogliere il suo popolo lungi dalle opere vane e infruttuose di questo mondo verso le opere degne dell’Iddio al quale si era dedicato come nazione. Il suo libro chiamato Qohèleth aveva lo scopo d’impedire al popolo di Dio di abbandonarsi alle materialistiche imprese di questo mondo, o di ricondurlo se si fosse allontanato. Questo fatto è messo in risalto nell’ultimo capitolo del libro, dove dice:” ‘La più grande vanità!’ ha detto il congregatore, ‘Tutto è vanità!’ E oltre al fatto che il congregatore era diventato saggio, egli anche insegnò continuamente al popolo la conoscenza, e ponderò e fece un’accurata ricerca, per poter mettere in ordine molti proverbi. Il congregatore cercò di trovare parole piacevoli e di scrivere corrette parole di verità”. (Eccl. 12:8-10) Studiando il libro del Qohèleth e i suoi proverbi scritti con tali scelte parole e con tali precise espressioni di verità noi siamo oggi spronati ad avvicinarci di più a Geova Dio e ad apprezzare maggiormente il suo prezioso servizio.

      5. Oltre al libro del Qohèleth, che cosa abbiamo di maggior importanza, e perché è così importante che ascoltiamo ora?

      5 Ad ogni modo, oggi noi non abbiamo soltanto il libro del Qohèleth, che i traduttori greci erratamente chiamarono Ecclesiaste, ma abbiamo un Congregatore più grande del re Salomone. Egli è il Signore Gesù Cristo, prefigurato dal re Salomone. Era molto importante che il popolo ascoltasse Gesù Cristo quando era sulla terra, poiché, come egli disse, “la regina del meridione sarà destata nel giudizio con questa generazione e la condannerà; perché ella venne dai confini della terra per udire la sapienza di Salomone, ma, ecco! qui c’è più che Salomone”. (Matt. 12:42) Oggi è ancor più importante che noi ascoltiamo Gesù Cristo che ora regna in cielo alla destra del suo celeste Padre, Geova Dio. Noi siamo la generazione del genere umano che vive nel “tempo della fine” di questo vecchio mondo. Per noi, sin dal 1914, le prove visibili del suo regno istituito crescono ogni giorno di più. Siamo nel tempo del giudizio non soltanto della congregazione dei santi, dei quali il re Gesù Cristo è il Capo, ma anche delle nazioni di questo mondo che sono radunate al campo di battaglia di Armaghedon.

      6. Come possiamo sapere se la regina di Saba fu migliore di ciò che siamo noi oggi, e chi in particolar modo prefigurò ella?

      6 Il fedele esempio della regina di Saba proveniente dal meridione ci condannerà se oggi non apprezziamo il più grande Salomone che è in cielo e non veniamo a lui per imparare la sua sapienza e le sue opere divine. Ella, pur non essendo Giudea, fu migliore di molti Giudei dei giorni di Gesù, perché apprezzò la sapienza di Salomone. È ella migliore di noi oggi? Sì, se non apprezziamo Colui che è ora presente e che è assai più grande del re Salomone. Il Congregatore, Gesù Cristo, raduna oggi insieme una gran folla di persone di buona volontà, prefigurata dalla regina di Saba, e si rende il reale Pastore di queste “altre pecore”. Questo lo ha fatto da quando ha radunato sulla terra i rimanenti del “piccolo gregge”, la congregazione delle 144.000 pecore di cui egli stesso è il celeste capo. Tutti questi suoi mansueti seguaci sono stati in questo giorno congregati da lui presso il regno di Dio e il tempio spirituale dell’adorazione di Dio. Riguardo a ciò è scritto: “Affinché i figli di Dio che sono dispersi siano anche radunati insieme da lui”. — Giov. 11:52; Apoc. 7:1-17; Giov. 10:16.

      “TUTTO È VANITÀ”

      7. Che cosa incluse il re Salomone nell’espressione: “Tutto è vanità!”, e che cosa escluse?

      7 Alla congregazione governata dal re Gesù Cristo l’apostolo Paolo scrive: “Miei diletti fratelli, siate saldi, incrollabili, avendo sempre molto da fare nell’opera del Signore, sapendo che il vostro lavoro non è vano riguardo al Signore”. (1 Cor. 15:58) Ma proprio al principio del libro di Ecclesiaste il re Salomone esclama: “La più grande vanità! Tutto è vanità!” (Eccl. 1:2) Se dunque il re Salomone è un tipo profetico del re Gesù Cristo, perché dice questo? Il re Salomone non si riferiva qui all’opera di servire Geova Dio e il suo unto Re. Egli non incluse questo nella sua generale espressione “tutto”. Con “tutto” egli volle dire tutto ciò che era sotto la sua osservazione, tutto ciò che indicava nel suo libro mediante vari esempi. Queste cose riguardano questo mondo, non il regno di Dio, il regno dei cieli, che governerà per sempre nel nuovo mondo di giustizia di Dio. In qualità di unto Re di Dio assiso allora sul “trono di Geova” e che aveva specialmente chiesto a Dio la sapienza per giudicare il popolo di Geova, Salomone era nella posizione più favorevole per esaminare la condotta e le attività degli uomini ed esperimentarle poi per proprio conto. Egli stesso ci dice:

      8. Che cosa ci dice egli riguardo alle cose che lo rallegrarono e alla conclusione a cui arrivò?

      8 “Io, il congregatore, ero re d’Israele in Gerusalemme. E disposi il mio cuore per cercare e investigare la sapienza rispetto a tutto ciò che è stato fatto sotto i cieli, calamitosa occupazione che Dio ha dato ai figli del genere umano perché vi siano occupati. Vidi tutte le opere che furono fatte sotto il sole, ed ecco! tutto era vanità e un correre dietro al vento. E tutto ciò che i miei occhi chiedevano io non rifiutai loro. Non privai il mio cuore di alcuna gioia, poiché il mio cuore si rallegrava di tutta la mia fatica, e questa fu la parte di tutta la mia fatica. E io, proprio io, considerai tutte le mie opere che le mie mani avevano fatte e la fatica che avevo faticato a compiere, ed ecco! tutto era vanità e un correre dietro al vento, e non v’era nulla di profittevole sotto il sole. Non v’è nulla di meglio per l’uomo [che] egli mangi, beva e faccia vedere all’anima sua il bene della sua fatica. Anche questo io, proprio io, ho visto, che questo viene dalla mano del [vero] Dio [Geova, Versione Siriaca; Targum]. Infatti chi mangia e beve meglio di me?” — Eccl. 1:12-14; 2:10, 11, 24, 25.

      9. Perché Salomone, parlando in tal modo, non ebbe in mente il tempio e la sentita adorazione di Dio?

      9 Quando disse che provando personalmente varie cose aveva constatato che “tutto era vanità e un correre dietro al vento”, il re Salomone non vi includeva l’opera di costruzione del tempio di Geova sul Monte Moria a Gerusalemme. Questa era la più grande opera che avesse compiuta. Egli non la menziona quando parla delle numerose opere nelle quali s’impegnò, le case che costruì, le vigne che piantò, i giardini e i parchi che fece, i bacini d’acqua che edificò per l’irrigazione, il gran numero di servi e di serve che acquistò, poiché tutte queste cose erano, come egli disse, “per me stesso”, e non per Geova Dio e per la sua adorazione. Queste eran cose che il re Salomone vedeva fare e godere da altri uomini, ma nessun altro uomo del suo tempo edificò un tempio al nome di Geova Dio come fece il re Salomone. Edificando questo tempio egli non copiò né esperimentò ciò che altri uomini facevano. Questa, la sua maggiore opera di costruzione, non era la “più grande vanità”, perché la costruzione del tempio compiuta da Salomone era stata predetta da Dio e fu completata con l’aiuto e con la guida di Dio. Esso servì inoltre allo scopo di Geova per tutto il tempo che volle usare questo tempio materiale come tipo del suo più grande tempio spirituale. (2 Sam. 7:12, 13; 1 Re 8:15-21) Quindi dicendo che tutto era vanità e un correr dietro al vento Salomone non si riferì al tempio e alla sentita adorazione di Dio; né dovremmo pensarlo noi.

      10. Qual è il dono di Dio per noi, secondo le parole di Salomone nel libro di Ecclesiaste?

      10 Geova Dio il Creatore desidera che le sue creature umane siano felici e godano la vita sulla terra. Questo è un dono che egli ci fa, se lo accetteremo. Notate come il re Salomone richiama l’attenzione su questo dono di Dio: “Io ho riconosciuto che non c’è nulla di meglio per loro del rallegrarsi e del fare il bene durante la loro vita, e che ogni uomo mangi e beva e veda il bene di tutta la sua fatica. Ciò è il dono di Dio”. Inoltre: “Ecco! la migliore cosa che io abbia vista, che è bella, è che uno mangi e beva e veda il bene di tutta la sua fatica con cui fatica sotto il sole nel numero dei giorni della sua vita che il [vero] Dio gli ha dati, poiché questa è la sua parte. E ad ogni uomo a cui il [vero] Dio ha dato ricchezze e possedimenti materiali, egli ha dato potere di mangiarne e di prenderne la sua parte e di rallegrarsi della sua fatica. Questo è il dono di Dio. Poiché non spesso egli si ricorderà dei giorni della sua vita, perché il [vero] Dio [gli] riempie il cuore di gioia”. Ancora: “Io ho lodato l’allegrezza perché il genere umano non ha nulla di meglio sotto il sole del mangiare e del bere e del rallegrarsi, e che essa li accompagni nella loro fatica durante i giorni della loro vita, che il [vero] Dio ha dato loro sotto il sole”. — Eccl. 3:12, 13; 5:18-20; 8:15.

      11. Come possiamo ora godere questo “dono di Dio”, e contraddice ciò il fatto che Geova ha dato una “calamitosa occupazione” agli uomini?

      11 Noi possiamo godere ora questo “dono di Dio” in qualità di fedeli e ubbidienti sudditi del dominante re Gesù Cristo, il Congregatore, agendo secondo la sapienza divina che egli impartisce agli umili e ammaestrabili. Perché Salomone dice dunque che egli cercò di investigare e acquistare sapienza rispetto alla “calamitosa occupazione che Dio ha dato ai figli del genere umano perché vi siano occupati”? Non v’è qui una contraddizione? No! Come dunque ha dato Dio una “calamitosa occupazione” e a chi?

      12. Come spiega Salomone la causa della “calamitosa occupazione”, e come l’ha data Dio agli uomini?

      12 Salomone stesso ne dà la spiegazione, dicendo: “Ecco! Questo solo ho trovato, che il [vero] Dio ha fatto il genere umano retto, ma essi stessi hanno cercato molti disegni”. (Eccl. 7:29) Circa 6.000 anni fa, nel giardino d’Eden, Geova Dio fece l’uomo Adamo retto, perfetto, a immagine e somiglianza del perfetto Iddio. Inoltre egli diede ad Adamo una moglie. Tentati dall’originale Serpente, Satana il Diavolo, essi cercarono altri disegni per rendersi “saggi come Dio” senza morire. Anche quando Geova Dio distrusse il vecchio mondo col diluvio dei giorni di Noè, egli preservò in vita una famiglia retta, Noè, sua moglie e i loro tre figli sposati, affinché il genere umano potesse avere un nuovo inizio nella rettitudine e nel timore di Dio. Ma col passare del tempo il genere umano cercò di nuovo molti disegni contrari alla volontà e ai comandamenti di Dio. Per questa ragione, semplicemente eseguendo il suo giudizio contro il peccaminoso, sviato genere umano, Dio ha portato ciò che è risultato calamitoso nella loro egoistica vita. Egli informò Adamo che la punizione del peccato sarebbe stata la morte; e quando Adamo peccò, la condanna a morte venne anche sulla progenie non ancora nata. (Gen. 2:16, 17; Rom. 5:12) Essi cominciarono a morire come semplici bestie.

      13. In che modo Salomone mostra che gli uomini, in questo rispetto, sono come bestie?

      13 Salomone disse: “Io, proprio io, ho detto in cuor mio in quanto ai figli del genere umano che il [vero] Dio li sceglie in modo che possano vedere che essi stessi son bestie. Poiché vi è un’eventualità rispetto ai figli del genere umano e un’eventualità rispetto alle bestie, ed essi hanno la stessa eventualità. Come muore l’uno, così muore l’altra; e tutti hanno un solo spirito, per cui l’uomo non ha superiorità sulla bestia, poiché tutto è vanità. Tutti vanno in un solo luogo. Tutti vengono dalla polvere, e tutti ritornano alla polvere. Chi sa se lo spirito dei figli del genere umano sale in alto; e se lo spirito della bestia scende in basso nella terra?” — Eccl. 3:18-21.

      CALAMITÀ

      14. Perché gli uomini non hanno potuto godere continuamente il beneficio delle loro opere personali, e se tuttavia moriamo, di che cosa dovremmo ora cercare di mostrarci meritevoli?

      14 La morte è una calamità, ma Adamo avrebbe potuto evitarla per se stesso e per noi, sua progenie, temendo Dio e osservando il suo comando. La morte è una nemica (1 Cor. 15:26), ma Adamo avrebbe potuto impedire che cadessimo negli artigli di questa nemica rimanendo l’amico di Dio mediante l’amorevole ubbidienza a lui. A causa della morte nessun uomo o donna ha potuto godere il beneficio delle proprie opere personali e del proprio lavoro di continuo, senza interruzione. Tutto il genere umano morirebbe perpetuamente, proprio come le bestie, se non fosse per il fatto che Dio, mediante il Congregatore, Gesù Cristo, ha amorevolmente provveduto un mezzo per togliere la punizione della morte e risuscitare tutti i morti che sono nelle tombe commemorative. (1 Cor. 15:17-24) Quelli che per amore del peccato determinano di disubbidire a Geova Dio volontariamente periranno per sempre come irragionevoli bestie. Come bestie, essi determinano di mangiare, bere e vivere secondo i loro desideri animali nel completo materialismo, senza pensiero o riguardo verso Dio. Dato che preferiscono vivere come bestie, non servendo i propositi di Dio neanche come fanno le bestie, periscano essi come bestie. Perché dovremmo noi essere come bestie e vivere semplicemente nell’egoismo come gli animali per morire con loro? Se pure dobbiamo morire, perché non cercare ora di mostrarci meritevoli della risurrezione alla vita nel nuovo mondo di Dio ed esser quindi considerati migliori delle semplici bestie?

      15. Come può avvenire una calamità riguardo all’eredità di un figlio, e come possiamo agire più saggiamente nel lasciare un’eredità?

      15 Non occorre dire che l’invasione della morte fra il genere umano ha portato molte condizioni calamitose e delusorie a quelli che non conoscono e non vogliono conoscere Geova Dio. Un padre dalla mente materialistica potrebbe lavorar duramente per dare un’eredità al proprio figlio, per esempio, denaro in banca o proprietà di qualche specie. In seguito, avviene un fallimento bancario o qualche altro disastro che fa perdere al padre tutto e non gli resta nulla da lasciare al figlio. Non lo considererebbe una calamità una mente materialistica? Salomone dice: “Vi è una grave calamità che io ho vista sotto il sole: ricchezze conservate dal loro grande possessore per sua calamità. E queste ricchezze sono perite a causa di una calamitosa occupazione, ed egli è divenuto padre di un figlio quando nella sua mano non vi è proprio nulla”. (Eccl. 5:13, 14) Come sono fuggevoli e incerte le ricchezze terrene, e come possono perdersi subito o anche esser spiritualmente dannose per il loro possessore o per il figlio al quale egli lascia tali ricchezze! È molto meglio e più saggio cercar dunque di dare ai nostri figli ricchezze spirituali, che siano permanenti, un buon nome, un fedele esempio di genitori timorati di Dio, una buona disciplina nel condurli alla maturità, un’istruzione familiare nella verità di Dio e un addestramento teocratico sul modo di dispensare tale verità ad altri in qualità di ministro di Dio. Una calamità materiale non può privarci di questi valori spirituali e, anche se moriamo, i nostri figli erediteranno vere ricchezze.

      16. Come Salomone descrive un’altra calamità che si abbatterà certamente su coloro che hanno ricchezze materiali, e perché dunque non dovremmo renderci schiavi delle Ricchezze?

      16 Chi ha ricchezze materiali dovrebbe ricordare un’altra calamità che certamente lo colpirà. Salomone la descrisse in questo modo: “Come uno è uscito dal seno di sua madre, così nudo se ne andrà di nuovo, com’era venuto; e della sua fatica non può portar via nulla, che possa prender con la sua mano. E anche questa è una grave calamità: esattamente come è venuto, così egli andrà via; e che profitto vi è per chi s’affatica per il vento? Inoltre, per tutti i suoi giorni egli mangia nelle tenebre stesse, e ha molti fastidi, infermità da parte sua e [causa di] indignazione”. (Eccl. 5:15-17) Perché dunque dovrebbe uno rendersi schiavo delle ricchezze egoistiche, di Mammona, con tutte le tenebre relative al proposito di Dio, tutti i fastidi, tutte le delusioni, tutte le tentazioni e i lacci, e tutte le dolorose pene che questo causa? Noi non possiamo essere schiavi di Dio e allo stesso tempo essere schiavi delle Ricchezze o di Mammona. (Matt. 6:24) Un uomo potrebbe egoisticamente divenire straricco, multimilionario, e alla sua morte potrebbero mettere nella sua tomba tante forniture casalinghe, gioielli preziosi e abiti, un’aeronave, e perfino i corpi morti degli schiavi uccisi per essere seppelliti con lui, eppure non potrebbe portar nulla con sé per goderne. Egli non portò nulla in questo mondo e non ne potrà portar via nulla. È morto come una irragionevole bestia, e non ha posto alcun fondamento per la vera vita e per la libertà nel mondo avvenire. Quale calamità per tale uomo che non è stato uno schiavo di Dio! “Poiché che gioverà ad un uomo se guadagna tutto il mondo ma perde l’anima sua? o che darà l’uomo in cambio dell’anima sua?” Questa domanda di Gesù Cristo indica anche la risposta. — Matt. 16:26.

      17. Quale calamità riguardante la vanagloria è anche menzionata da Salomone, e come fu ciò illustrato dal caso di Nabucodonosor?

      17 Salomone continua il suo elenco delle calamità: “Vi è una calamità che io ho vista sotto il sole e che è frequente fra il genere umano: un uomo a cui il [vero] Dio dà ricchezze, possedimenti materiali e gloria e che, per la sua anima, non ha bisogno di nulla che egli mostri di desiderare, eppure il [vero] Dio non gli permette di mangiarne, sebbene un semplice straniero ne possa mangiare. Questa è una vanità e un grave male”. (Eccl. 6:1, 2) Acquistare qualche possedimento e non poterne godere è doloroso se uno pensa solo a se stesso. Avere un cibo gustoso e per un mal di stomaco o intestinale non poterlo gustare è come esser derisi. Geova Dio permise a Nabucodonosor di divenire governante mondiale a Babilonia; ma quando Dio lo umiliò per la sua superbia, per il suo orgoglio e per la sua vanagloria e divenne pazzo, pensando d’essersi mutato in una bestia, i ricchi cibi e le bevande del suo palazzo imperiale non lo soddisfecero. Egli preferiva mangiare l’erba come un bue. Quale calamità, quale grave afflizione, fu questa per Nabucodonosor per sette anni! — Dan. 4:28-37.

      18. Rispetto a che cosa Salomone dice che è meglio non nascere, e da che cosa deriva tutto ciò?

      18 Una lunga vita senza godimento di ciò che si possiede, perfino con l’ardente desiderio di morire, lascia l’uomo insoddisfatto, con un senso di avvilimento e molti desideri. “Se un uomo divenisse padre cento volte e vivesse molti anni, per quanto fossero numerosi i giorni dei suoi anni, eppure la sua anima non è soddisfatta di cose buone e nemmeno la tomba è di sua proprietà, devo dire che uno nato prematuramente sta meglio di lui. Poiché questo [nato prematuramente] è venuto invano e nelle tenebre se ne va, e il suo stesso nome sarà coperto di tenebre. Neanche il sole stesso egli ha visto né conosciuto. Questo ha riposo più del precedente [che ha lunga vita]. Anche supponendo che egli abbia vissuto due volte mille anni, eppure non ha visto ciò che è bene, non vanno tutti nello stesso luogo?” (Eccl. 6:3-6) Se non si ha altra speranza che in questa vita, è meglio non nascere e non aver principio in questo mondo di materialismo anziché vivere una lunga vita e non averne vera soddisfazione, solo soffrendo tristezze e afflizioni. Tutto questo deriva dal non trarre vantaggio da altre cose oltre che dai benefici materiali di questa terra o dalle imprese egoistiche di questo mondo.

      19. Quale calamità inerente ai governi è descritta da Salomone e perché significherà ciò una calamità per i sostenitori di tali governi ad Armaghedon?

      19 Un’altra calamità che Salomone descrive è costituita dall’uomo o dalla forma di governo che assume il potere in un Paese. Quindi esso si arroga la responsabilità di dettar legge al popolo e di tenerlo lontano da Dio, conducendolo per una via sbagliata. Il popolo che si sottomette a tale guida infedele e ubbidisce ad essa anziché a Dio assume la responsabilità degli errori del governo e della lotta del governo contro Dio. Esso diviene responsabile della stoltezza del governo coi suoi governanti. Salomone dice: “Vi è qualche cosa di calamitoso che io ho visto sotto il sole, come quando viene commesso un errore a causa di chi è al potere: La stoltezza è stata posta in molte alte posizioni, ma i ricchi stessi dimorano semplicemente in una condizione bassa. Ho visto servitori a cavallo ma principi camminare sulla terra come servitori”. (Eccl. 10:5-7) In questo “tempo della fine” le nazioni di questo mondo sono giudicate dinanzi all’istituito regno di Dio. Quindi per mezzo della sua Parola e dei suoi testimoni egli ha dato ai governanti e ai giudici politici il consiglio di agire con saggezza, di temere Geova e di baciare il suo figlio con ubbidienza. Ma i governanti e i capi del popolo continuano ad agire stoltamente verso Geova Dio, e i loro governi saranno frantumati ad Armaghedon dal figlio di Geova, Gesù Cristo. Questo significherà una calamità mondiale non solo per i governi e i loro governanti, ma anche per il popolo che ha sostenuto i gravi errori dei suoi governi nella lotta contro Geova Dio e il suo regno retto da Cristo. — Sal. 2:1-12.

      20. Dato che la morte è la comune fine di tutti, che cosa hanno gli uomini nel loro cuore, e come si pongono essi in una condizione impotente e afflitta?

      20 Poiché gli uomini non hanno alcuna speranza di risuscitare dai morti ma pensano che la morte ponga fine a tutto per ogni persona, essi promuovono un’altra calamità sotto il sole: “Questo è calamitoso in tutto ciò che è stato fatto sotto il sole, che, perché vi è una sola eventualità per tutti, il cuore dei figli degli uomini è anche pieno di male, e nel loro cuore vi è pazzia durante il tempo della loro vita, e dopo, se ne vanno ai morti”. (Eccl. 9:3) I governi democratici dell’Occidente guardano l’Ungheria e chiamano una terribile calamità ciò che le è accaduto sin dal 1956. Ma vi sono oppressioni che si commettono anche in altre parti del mondo. Gli uomini sono deboli in se stessi. Ma se essi non si rivolgono a Geova Dio e al suo regno, quale altra fonte di aiuto vi è per loro? L’antico congregatore mise in risalto questa calamitosa situazione, dicendo: “Io stesso tornai per vedere tutti gli atti d’oppressione che si commettono sotto il sole, ed ecco! le lacrime di coloro che erano oppressi, ma non avevano chi li confortasse; e dalla parte dei loro oppressori era il potere, in modo che essi non avevano chi li confortasse. E io mi congratulai coi morti che erano già morti anziché coi vivi che erano ancora vivi. Quindi meglio di entrambi [sta] chi non è ancora venuto all’esistenza, che non ha visto la calamitosa opera che si compie sotto il sole”. — Eccl. 4:1-3.

      21. Perché Salomone fu ben in grado di commentare le condizioni dei popoli governati da uomini che non adoravano Geova?

      21 Il re Salomone non descriveva qui ciò che accadeva nel suo reame, nel regno tipico di Dio sulla terra. Finché governò da re saggio non vi fu oppressione governativa: Essi “mangiavano e bevevano allegramente”, vivendo “al sicuro, ognuno all’ombra della sua vite e del suo fico da Dan fino a Beer-Sceba”. (1 Re 4:20-25) Il regno dell’antico congregatore si distingueva dagli oppressivi governi degli uomini che non adoravano Geova. Quindi Salomone poté ben fare commenti sulla calamitosa situazione in cui si trovavano.

      22. Quale conoscenza impedisce ai testimoni di Geova che si trovano sotto tali oppressivi governi di commiserarsi, e come esprimono compassione per quelli che lo meritano?

      22 Ma i testimoni di Geova che oggi vivono sotto tali oppressivi governi di uomini infedeli e materialisti non cercano commiserazione. Essi hanno un consolatore. Sanno che Geova li aiuta quotidianamente. Si rendono conto che la loro integrità verso Geova, di cui sono testimoni, è ora alla prova in tali oppressive condizioni. Sanno ciò che l’antico congregatore disse: “Se vedi fare qualche oppressione a chi ha pochi mezzi e la violenta repressione del giudizio e della giustizia in un distretto giurisdizionale, non te ne meravigliare, poiché vigila uno che è più in alto di colui che è alto, e vi son quelli che sono in alto sopra di loro”. (Eccl. 5:8) Noi sappiamo che al disopra del Presidio Supremo o Corte Suprema, o qualunque cosa gli uomini chiamino supremo sulla terra, vi sono, infinitamente più alti, Geova Dio l’Altissimo e il suo re Gesù Cristo che regna alla sua destra. Essi sono i Divini Giudici a cui nessuna Cortina di Ferro o Cortina di Bambù può impedire di vigilare e vedere, e i loro giudizi saranno eseguiti ad Armaghedon contro tutti gli oppressori. Gli oppressi testimoni di Geova attendono con fiduciosa pazienza l’azione di questi Giudici della più alta Corte dell’universo. Sostenuti dalla Parola e dallo spirito di Dio e avendo il cuore pieno dell’amore di Dio, essi provano compassione per le povere persone che si trovano senza speranza e aiuto in tali calamitose condizioni. A coloro che hanno orecchi che ascoltano essi predicano coraggiosamente la buona notizia del regno di Dio quale sola speranza e solo aiuto per il genere umano.

      UNA VITA ODIOSA

      23. A causa di quale incertezza per il futuro, Salomone espresse odio per la vita e per le sue calamità?

      23 Ripensando a tutte le calamità umane al di fuori del regno di Dio, e non sapendo quale successore avrebbe avuto al suo trono, il re Salomone, il più saggio uomo che allora fosse sulla terra, disse: “Io ho odiato la vita, perché il lavoro che è stato fatto sotto il sole secondo il mio punto di vista è stato calamitoso, poiché tutto era vanità e un correr dietro al vento. Ed io, proprio io, ho odiato tutta la mia fatica con cui mi sono affaticato [sperimentalmente] sotto il sole, che devo lasciare all’uomo che verrebbe dopo di me. E chi sa se egli si mostrerà saggio o stolto? Eppure egli prenderà controllo di tutta la mia fatica per cui io ho faticato e in cui ho mostrato sapienza sotto il sole. Anche questo è vanità. E io mi volsi attorno facendo disperare il mio cuore per tutta la fatica nella quale mi ero affaticato sotto il sole. Poiché vi è l’uomo che ha faticato con saggezza, con conoscenza e con successo, ma ad un uomo che non ha faticato in tal modo sarà data la porzione di quello. Anche questo è vanità e una grande calamità”. — Eccl. 2:17-21.

      24. Come è considerata la vita dagli Indù, e se la vita avesse da offrire soltanto le calamità descritte da Salomone, quale attitudine avremmo ragione di tenere riguardo alla vita?

      24 Gli Indù affermano di odiare la vita perché religiosamente pensano che la vita in mezzo ad un mondo materiale e fisico non significhi altro che continue sofferenze. Quindi cercano di lasciarsi annientare in questa vita per essere assorbiti in una nullità eterna, o nirvana, proprio quando pensano di star meglio ed avere il massimo merito. Se la vita in questo vecchio mondo non avesse da offrire altro che le calamità descritte da Salomone, egli avrebbe avuto ragione di odiare tale vita mondana e materialistica. Non vi sarebbe scopo di vivere. A nulla di valore eterno sarebbe servita la loro vita. La propria esistenza terrena, col ripetersi di calamità minori di un genere o dell’altro, finirebbe nella grande calamità di morire come tutti gli altri e in modo simile alle bestie, essendo la tomba il comune luogo dove va a finire il corpo. E che cosa offre ai morti la tomba, la comune tomba o Sceol? Ascoltate:

      25. Qual è la differenza fra i vivi e i morti, secondo le parole di Salomone e che cosa offre lo Sceol ai morti?

      25 “Un cane vivo sta meglio di un leone morto. Poiché i viventi sono consapevoli che morranno; ma in quanto ai morti, non sono consapevoli di nulla, né hanno più alcun salario, perché la loro memoria è stata dimenticata. E il loro amore, il loro odio e la loro gelosia son già periti, ed essi non hanno più parte per un tempo indefinito in alcuna delle cose che si devono fare sotto il sole. Tutto ciò che la tua mano trova da fare, fallo con tutta la tua forza, perché non c’è lavoro né disegno né conoscenza né sapienza nello Sceol, nel luogo dove vai”. — Eccl. 9:4-6, 10.

  • Opere meritorie dei congregati
    La Torre di Guardia 1958 | 15 giugno
    • Opere meritorie dei congregati

      1. Perché le nostre opere non devono finire calamitosamente, com’è descritto nell’articolo precedente, e quale mezzo è stato provveduto affinché la nostra vita divenga eternamente utile?

      MA DEVONO le nostre opere in questo presente, empio mondo di peccato e morte finire in maniera calamitosa come abbiamo descritto, per cui dovremmo provar disgusto per l’opportunità di vivere? Deve la nostra vita essere semplicemente vissuta invano, un semplice correre dietro a qualche cosa d’inafferrabile come il vento? No, se ci volgiamo dal servire questo mondo e operiamo quindi per il nuovo mondo di Dio. Operare per il suo nuovo mondo significa servire Geova Dio; e il lavoro che si fa per lui non è mai vano. Ne vale la pena, indipendentemente dalla persecuzione e dall’opposizione cui andiamo incontro a causa di tale lavoro devoto. Noi non possiamo ottenere niente senza Dio. Gli uomini sono imperfetti, indubbiamente peccatori, sotto la condanna di una corte celeste e perciò morituri. Provino ciò che vogliono, lavorino così duramente come vogliono senza Dio, queste condizioni li fermeranno sempre, li condanneranno sempre alla calamità. Essi non possono evitare da soli questo ostacolo. Ma Geova Dio ha provveduto la via mediante cui la nostra vita può acquistar valore, può avere uno scopo nobile e può essere eternamente utile. Questo mezzo è fornito dal regno del suo Congregatore, Gesù Cristo.

      2. Quale lavoro è un dono di Dio, e quale era il proposito di Dio riguardo al lavoro dell’uomo?

      2 Ricordiamo che il lavoro è un dono di Dio, cioè il lavoro al suo servizio. Dio pose l’uomo retto nel giardino d’Eden perché lavorasse. Dio non dispose che il suo lavoro fosse sprecato e terminasse in maniera calamitosa con la morte, dopo che era stato cacciato dal suo giusto luogo di lavoro. (Gen. 2:7, 8, 15) Dio dispose che l’uomo fosse felice nel suo lavoro, che vedesse e godesse i risultati di esso e ne tramandasse i benefici ai propri figli.

      3. Che cosa siamo obbligati a fare se adoriamo Dio, e come siamo favoriti rispetto al dono del servizio di Dio?

      3 Se il perfetto e retto uomo avesse lavorato in ubbidienza a ciò che il suo Creatore gli aveva dato da fare, egli avrebbe adorato Dio. L’adorazione di Dio non è mai vana o calamitosa. Essa significa la vita eterna sotto l’universale sovranità di Geova Dio. Rammentiamo che la parola ebraica a volte tradotta “adorazione” realmente significa “servizio”. (2 Re 10:20-23; Eso. 12:25, nota in calce) Se lavoriamo al servizio di Dio noi lo adoriamo. Se siamo pigri e poltroni, non adoriamo Dio, non imitiamo Dio. Il fatto che l’uomo era stato fatto a immagine e somiglianza di Dio richiedeva che l’uomo lavorasse e che non lavorasse invano, poiché il grande Congregatore, Gesù, una volta disse: “Il Padre mio ha continuato a operare fino ad ora, e io continuo a operare”. (Giov. 5:17) Anche Salomone disse: “Ho visto tutta l’opera del [vero] Dio, come il genere umano non può comprendere l’opera che è stata fatta sotto il sole; per quanto il genere umano continui a lavorare duramente per cercare, non riesce a comprendere. E anche se dicessero d’esser saggi abbastanza da sapere, essi sarebbero incapaci di comprendere”. (Eccl. 8:17) In tutta l’eternità del nuovo mondo il genere umano continuerà a cercare, sforzandosi di comprendere la profondità dell’opera di Dio, ma non vi riuscirà. Noi siamo favoriti se riconosciamo che Dio ha un’opera meritoria da affidarci, e se comprendiamo che cos’è e diveniamo quindi cooperatori di Dio. Non è un dono vano.

      4. A che cosa dobbiamo oggi essere congregati, quale passo dobbiamo quindi fare, e come dovremmo considerare tale passo?

      4 Per farci allontanare dalle opere vane e infruttuose, dalle opere morte di questo mondo che finiscono nella calamità, Salomone scrisse il libro del Qohèleth, il Congregatore. Oggi, per evitare la “calamitosa occupazione che Dio ha dato ai figli del genere umano” in questo vecchio mondo condannato, dobbiamo essere congregati dal più grande Salomone, il dominante re Gesù Cristo, ascoltando la sua voce, la sua sapienza espressa nella scritta Parola di Dio. Per mezzo di lui dobbiamo venire a Geova Dio e dedicarci pienamente a lui con fede e amore. Dobbiamo considerare con attenzione che cosa significhi questo passo e tutto ciò che esso ora esigerà che siamo e facciamo. Noi non dovremmo esser precipitosi nel fare il voto di dedicazione a Dio, come non dovremmo inutilmente ritardare di fare il voto di servirlo e compiere per sempre la sua volontà. Ma una volta fatto tale solenne, irrevocabile voto, dovremmo mantenerlo, non considerandolo vano perché vada a finire nella calamità. Quando ci dedichiamo pienamente a Geova Dio mediante Gesù Cristo noi dovremmo pertanto averne la determinazione. Non sia una semplice ripetizione di parole dette frettolosamente e stoltamente senza sentirle nel proprio cuore.

      5. Che cosa dice Salomone riguardo al pronunciare voti, e come dovremmo mostrare timor di Dio?

      5 “Non t’affrettare in quanto alla tua bocca; e, riguardo al tuo cuore, non sia precipitoso nel pronunciare una parola dinanzi al [vero] Dio. Poiché il [vero] Dio è nei cieli ma tu sei sulla terra. Perciò le tue parole siano poche [non promettendo più di quanto intendi]. Perché il sogno certamente viene a causa della moltitudine delle occupazioni [in questo mondo], e la voce di uno stupido a causa della moltitudine delle parole [pronunciate frettolosamente, pronunciate in maniera emotiva senza intendimento]. Quando fai un voto a Dio, non esitare ad adempierlo, poiché non ci si compiace degli stupidi [chiacchieroni]. Il voto che hai fatto, adempilo. È meglio per te non far voto che far voto e non adempierlo. Non permettere alla tua bocca di far peccare la tua carne, e non dire dinanzi all’angelo che sia stato uno sbaglio. Perché dovrebbe il [vero] Dio indignarsi a causa della tua voce [in un voto] e distruggere l’opera delle tue mani? Poiché per la moltitudine [delle occupazioni] vi sono dei sogni, e vi sono vanità quando si moltiplicano le parole [in un voto affrettato]. Ma temi il [vero] Dio”. — Eccl. 5:2-7.

      6. Essendo stati congregati mediante un voto a Dio, perché dovremmo evitare di essere allontanati o isolati?

      6 Quando una persona è stata congregata al dominante Re Gesù Cristo facendo voto a Dio, dovrebbe stare con tutti i congregati adoratori. Chi è sotto tale voto non si dovrebbe isolare o estraniare dalla congregazione. Proverbi 18:1 ci ammonisce: “Chi si isola cercherà i propri desideri egoistici; a ogni pratica sapienza egli si opporrà”. Egli cercherà pretesti egoistici per allontanarsi, per giustificarsi, ma facendo ciò egli agisce in modo non saggio e indebolisce la sua capacità di adempiere il proprio voto; infatti agisce contrariamente al suo voto di fare la volontà di Dio. Si priva dell’aiuto che Dio dà solo per mezzo del suo popolo congregato, e certo cadrà in maniera calamitosa.

      7. Che cosa dissero i due congregatori dell’associazione reciproca, e perché coloro che hanno fatto un voto a dio non possono permettersi di mancare alle adunanze di congregazione?

      7 Il grande Congregatore disse: “Dovunque due o tre persone sono riunite nel mio nome, io sono in mezzo a loro”. (Matt. 18:20) L’antico congregatore, Salomone, disse: “Due sono meglio di uno, perché hanno una buona ricompensa per la loro fatica [insieme]. Poiché se uno di loro cade, l’altro può rialzare il suo compagno. Ma che sarà di colui che cade quando non c’è un altro a rialzarlo? Ancora, se due giacciono insieme, certamente si riscalderanno, ma come può uno solo riscaldarsi? E se qualcuno potesse sopraffare uno solo, due potrebbero insieme tenergli testa. Ed una corda a tre capi non può essere facilmente spezzata in due”. (Eccl. 4:9-12) Tutti i congregati al tempio spirituale di Geova per la sua adorazione sono sotto uno stesso voto. Essi devono tutti adempiere insieme il loro voto, aiutandosi amorevolmente l’un l’altro ad adempiere il loro voto onde nessuno sia sopraffatto da Satana il Diavolo e dal suo mondo. Essi non si possono perciò permettere di allontanarsi dalle adunanze di congregazione e dalle altre assemblee. Devono edificare il loro senso di associazione, di solidarietà, e di reciproca dipendenza e bisogno.

      TEMPO PER L’ATTIVITÀ DEL REGNO

      8. Che cosa disse il nostro Congregatore riguardo al venire a lui, e quali ragioni presenta Salomone per ubbidire agli ordini del re?

      8 Colui che ci congrega quando facciamo voto a Geova è il dominante re Gesù Cristo, che disse: “Nessun uomo può venire a me se il Padre, che mi ha mandato, non lo attira”. (Giov. 6:44) Geova ci attira al suo unto Re affinché seguiamo le sue orme e lo serviamo. Quando facciamo voto a Geova noi pronunciamo dinanzi a lui il giuramento di sostenere il regno del suo Unto, poiché il suo Re è il Capo ch’egli ci ha dato. Nell’adempiere il nostro voto noi dobbiamo ubbidire agli ordini dell’unto Re di Geova. Il congregatore dice: “Io [dico]: ‘Osserva l’ordine del re, e questo, a motivo del giuramento fatto a Dio. Non t’affrettare ad andar via dalla sua presenza. Non persistere in una cosa cattiva. Poiché egli farà tutto ciò che gli piace, perché la parola del re è la forza del potere; e chi gli può dire: “Che cosa fai?”’ Chi osserva il comandamento non conoscerà alcuna cosa calamitosa, e il cuore saggio conoscerà sia il tempo che il giudizio. Poiché vi è un tempo e un giudizio per ogni cosa, perché la calamità del genere umano grava su di loro”. — Eccl. 8:2-6.

      9. In che modo Geova ha ben disposto ogni cosa a suo tempo riguardo al suo regno e alla sua proclamazione?

      9 Ben dice il congregatore: “Per ogni cosa vi è un tempo fissato, vi è un tempo per ogni cosa sotto i cieli: io ho visto l’occupazione che Dio ha data ai figli del genere umano perché vi siano occupati. Ogni cosa egli ha fatta ben disposta a suo tempo”. (Eccl. 3:1, 10, 11) Geova fissò un certo anno in cui sarebbero terminati i sette “tempi delle nazioni”; e nell’anno 1914 venne quindi il tempo fissato in cui avrebbe dovuto dar potere al suo regno retto dal suo unto Re. In seguito, al tempo fissato, nella primavera dell’anno 1918, egli venne nel suo tempio spirituale accompagnato dal suo reale messaggero, Gesù Cristo, per l’opera di giudizio. Dopo di ciò venne il tempo di congregare le pecore del suo “piccolo gregge” e quindi della “gran folla” secondo il calcolo degli avvenimenti compiuto da Geova. Venne allora il tempo per le pecore di fare una certa opera finale, di annunciare cioè in tutto il mondo l’istituzione del suo Regno e di far risuonare su tutta la terra l’avvertimento circa la fine di questo vecchio mondo. Nella sua profezia sulla fine del mondo Gesù Cristo, ora re, ci diede l’ordine di fare questa proclamazione del Regno, dicendo: “Questa buona notizia del regno sarà predicata in tutta la terra abitata a scopo di testimonianza a tutte le nazioni, e allora verrà la fine compiuta”. — Matt. 24:14.

      10. Come mostriamo saggezza in merito agli ordini del Re, al nostro voto e al nostro rifiuto di sfidare il Re di Geova?

      10 Il congregatore ci dice di mostrar saggezza e di adempiere questo ordine del re Gesù Cristo, e in ispecial modo di far questo a motivo del giuramento che abbiamo fatto a Dio in relazione col nostro voto di fare la sua volontà. Noi abbiamo dato la nostra parola; non osiamo dimostrarci spergiuri; non possiamo violare il nostro voto. A causa del voto fatto e giurato dinanzi all’Iddio Altissimo abbiamo l’obbligo di osservare l’ordine del suo Re che siede sul trono di Geova. Non possiamo allontanarci dal suo Re rinunciando a lui, trascurando i nostri doveri rispetto al Regno. Sarebbe una cattiva cosa far questo. Non ci possiamo unire ai governanti di questo mondo e sfidare il Re di Geova con le parole: “Che cosa fai?” Essi non possono e noi non possiamo impedire al Re di fare “tutto ciò che gli piace”; e nel tempo attuale a lui piace che questa buona notizia del regno di Dio sia predicata in ogni luogo a persone di ogni specie. La parola del Re è la forza del potere. Essa sarà osservata e viene osservata indipendentemente dalla sfida di tutto il mondo di Satana.

      11. Se noi congregati siamo di cuore saggio, che cosa sapremo e vedremo e quindi che cosa faremo per evitare la calamità del mondo?

      11 Sebbene alcuni sedicenti Cristiani non vogliano prender parte alla predicazione del Regno a causa dello sforzo che richiede e della persecuzione che reca, la predicazione della buona notizia non diminuirà né cesserà. Essa continuerà ad ogni modo senza quelli che si traggono indietro, perché la predicazione mostra ubbidienza all’ordine del Re e il suo ordine è la “forza del potere”. Se noi congregati siamo di cuore saggio, sapremo che la predicazione del Regno fu ben disposta da Dio per questo “tempo della fine” prima della battaglia di Armaghedon. Vedremo che questo è il tempo fissato per essa e che il suo giudizio opera verso tutte le cose degli uomini e anche verso ciò che facciamo. Noi vogliamo avere la sua approvazione nel giudizio. Perciò osserveremo il suo comandamento per mezzo del suo Re. Facendo ciò, non conosceremo la cosa calamitosa che ora ostacola e frustra tutti gli uomini di questo mondo e che giungerà alla sua catastrofica espressione ad Armaghedon.

      12. (a) Secondo il tempo di chi dovremmo noi ora calcolare il nostro tempo, e come? (b) Quali pretesti non dovremmo cercare, e perché no?

      12 Questo è il tempo dei tempi. In armonia col nostro voto calcoliamo ora il nostro tempo secondo il tempo di Dio. Proviamo a noi stessi che questo è il tempo di predicare il messaggio regale della sua salvezza. Inoltre, assicuriamoci di fare la particolare opera destinata a questo tempo. Allora faremo l’opera meritoria. Fare l’opera errata in questo importantissimo tempo significa andare a finire nella calamità. Significa darci alla “più grande vanità”. Tranne quest’opera destinata da Dio a questo tempo, tutto “è vanità”, da cui l’uomo non trarrà alcun profitto nonostante tutta la sua attuale fatica. (Eccl. 1:2, 3) Accettiamo dunque il “dono di Dio”, l’opera che egli ora ci dà da fare. Non andiamo in cerca di pretesti per non impegnarci nell’uso di questo “dono di Dio”, giudicando la cosa dall’aspetto esteriore che la renderebbe sfavorevole. “Chi bada al vento non seminerà, e chi guarda le nuvole non raccoglierà”. (Eccl. 11:4) Nonostante le apparenze sfavorevoli, sia il nostro motto: Il lavoro continui! “La mattina semina la tua semente e fino alla sera non dar posa alla tua mano, poiché non sai dove questo avrà successo, qui o là, o se entrambi saranno ugualmente buoni”. (Eccl. 11:6) Non perdiamo tempo; non ci mostriamo pigri in questa grandissima opportunità.

      13. Perché dovremmo dedicare tutta la nostra forza al servizio del Regno, e a questo riguardo quale avvertimento del congregatore è appropriato per i giovani?

      13 Non sciupiamo la nostra forza in una occupazione calamitosa. Il tempo di usare la nostra forza nel servizio del Regno ora, prima di Armaghedon, è troppo limitato. Dedichiamo tutta la nostra forza al servizio del Regno. I giovani hanno a questo riguardo una speciale opportunità. Se trascorrono male la loro giovinezza in opere vane e calamitose, Dio a suo tempo li giudicherà. Il congregatore avverte: “Rallegrati, giovane, nella tua adolescenza e affinché il tuo cuore ti faccia del bene nei giorni della tua giovinezza, e cammina nelle vie del tuo cuore e nelle cose viste dai tuoi occhi. Ma sappi che a causa di tutte queste il [vero] Dio ti chiamerà in giudizio. Quindi scaccia la tristezza dal tuo cuore e allontana la calamità dalla tua carne, poiché la giovinezza e il meglio della vita sono vanità”. — Eccl. 11:9, 10.

      14. (a) Che cosa dice il congregatore ai giovani di fare per evitare la calamità e per non usare la giovinezza e il meglio della vita invano? (b) Perché la maggioranza dei ragazzi non avrà oggi l’opportunità di raggiungere vecchiaia dopo una giovinezza sciupata?

      14 Come può un giovane o una giovanetta allontanare la calamità, scacciare dal cuore la tristezza, e non lasciare che la giovinezza e il meglio della vita sian vissuti invano? Il congregatore risponde: “Ricorda, ora, il tuo grande Creatore nei giorni della tua giovinezza prima che vengano i giorni calamitosi, o arrivino gli anni quando dirai: ‘Non ne ho alcun piacere’; . . . prima che sia tolta la corda d’argento e si frantumi la scodella d’oro, e alla fonte la brocca si rompa e si frantumi la ruota dell’acqua per la cisterna. Quindi la polvere torna alla terra com’era prima e lo spirito stesso torna al [vero] Dio che l’ha dato”. (Eccl. 12:1-7) È un fatto calamitoso che la maggioranza dei ragazzi e delle ragazze non avranno oggi la possibilità di sciupare la giovinezza e il meglio della vita e pervenire ai calamitosi giorni della vecchiaia, quando la vita sarà per loro una cosa vana. Secondo il divino calcolo del tempo la calamità della guerra universale di Armaghedon li abbatterà, quando saranno ancora nella loro giovinezza e nel meglio della vita, perché non si ricordano del loro grande Creatore, servendolo con opere meritorie.

      15. Perché non abbiamo bisogno di farne l’esperienza, e prestando ascolto alle parole ispirate di Salomone che cosa eviteremo?

      15 Abbiamo dunque considerato ciò che dice il congregatore. Ci è stato detto quale è la “più grande vanità” e quale è l’“occupazione calamitosa”. Non abbiamo bisogno di provarlo personalmente per farne l’esperienza. Egli, con tutte le risorse e le opportunità di un re, ha fatto ogni prova necessaria e ci dice quali siano i risultati della sua ricerca. Noi eviteremo la più grande vanità e ci risparmieremo la calamità, prestando ascolto alle sue sagge parole ispirate.

      16. (a) Quale dovrebbe essere dunque la nostra conclusione sull’argomento e l’azione da compiere conforme alla nostra giusta conclusione? (b) Quale giudizio riceveranno le nostre opere meritorie?

      16 Avendo considerato con lui tutte tali cose meritorie, quale dovrebbe essere la nostra conclusione e l’azione da compiere conforme alla nostra giusta conclusione? Questa, come è dichiarata dalle sue parole: “La conclusione dell’argomento, essendo stata udita ogni cosa, è: Temi il [vero] Dio e osserva i suoi comandamenti. Poiché questo è il tutto [l’obbligo] dell’uomo. Poiché il [vero] Dio porterà ogni sorta di opera nel giudizio relativo a ogni cosa nascosta, sia buona che cattiva”. (Eccl. 12:13, 14) Noi non gli possiamo nascondere nulla, né gli possiamo impedire di giudicare alcuna cosa. Il nostro obbligo ci è quindi posto chiaramente dinanzi. Nella nostra vita privata o nascosta e nella nostra vita all’aperto dinanzi a tutti gli uomini, mostriamo il nostro timore di Dio osservando i suoi comandamenti. Allora le nostre opere saranno meritorie e riceveremo un favorevole giudizio da Dio, affinché otteniamo la vita eterna con la sua benedetta congregazione, nel suo giusto mondo avvenire. — Eccl. 8:12, 13.

  • Primo e Secondo Timoteo (Lezione 64)
    La Torre di Guardia 1958 | 15 giugno
    • Primo e Secondo Timoteo (Lezione 64)

      LE SCRITTURE ispirate dichiarano esplicitamente che Paolo fu lo scrittore delle due epistole a Timoteo. Se questo non bastasse per ridurre al silenzio i vanagloriosi critici dei tempi moderni i quali pretendono che le lettere non furono scritte da Paolo e che il suo nome all’inizio di ciascuna non è altro che una contraffazione, tutte le antiche versioni e gli antichi cataloghi del cànone delle Scritture Greche contengono le epistole e le attribuiscono a Paolo. Una delle obiezioni sollevate dai cosiddetti “critici” è che queste epistole non hanno alcun riferimento nel racconto della vita di Paolo riportato in Atti. Tuttavia Atti non ebbe lo scopo di narrare per intero la storia della vita di Paolo dopo la sua conversione. Né la fine del libro di Atti racconta la fine della vita di Paolo. Nelle epistole scritte da Roma egli prevede una prossima liberazione. Altri antichi resoconti attendibili indicano che Paolo fu assolto da Nerone e riprese i suoi viaggi come predicatore del vangelo. Vi sono antichi scritti del primo secolo dell’èra cristiana che confermano la credenza che Paolo fece il suo progettato viaggio in Spagna dopo la sua prima assoluzione. Altri antichi scritti parlano della ripresa dei viaggi missionari di Paolo nell’Asia Minore, in Macedonia e in Grecia. Infine, alcune testimonianze non molto lontane dai giorni dell’apostolo indicano che dopo la sua prima prigionia e liberazione egli fu nuovamente arrestato e processato a Roma. Questa seconda volta egli fu condannato e decapitato, verso il 65 o 66 d.C.

      Fu durante questi ultimi viaggi che Paolo scrisse la prima epistola a Timoteo. Sembra che la situazione fosse molto simile a quella che riguardava Tito. (Tito 1:5) Risulta che Paolo e Timoteo erano stati insieme ad Efeso, e che Paolo era poi partito per la Macedonia, lasciando Timoteo ad Efeso per occuparsi delle cose relative all’organizzazione della congregazione di Efeso. A questo riguardo si legge in 1 Timoteo 1:3, 4: “Come io t’incoraggiai di stare a Efeso quando ero sul punto di andarmene in Macedonia, così ti esorto ora, affinché comandi a certuni di non insegnare dottrina diversa”. Questa è ritenuta da molti una prova che mentre Paolo era in Macedonia scrisse a Timoteo ad Efeso. La lettera fu scritta durante gli anni 61-64 d.C. In alcuni antichi manoscritti della Bibbia una nota alla fine dichiara che l’epistola fu scritta da Laodicea, ma questa idea sembra essere derivata da una credenza tradizionale basata su prove insufficienti secondo cui l’epistola sarebbe quella menzionata in Colossesi 4:16 come “quella da Laodicea”.

      La lettera al giovane Timoteo serve ad istruirlo nell’adempimento dei suoi doveri. Egli deve insegnare solo la sana dottrina;

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