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I Testimoni di Geova: Una sfida sotto l’aspetto etico-chirurgicoSalvare la vita col sangue: In che modo?
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I Testimoni non pensano che la Bibbia contenga commenti diretti sui trapianti di organi; per cui spetta al singolo Testimone decidere in merito a trapianti di cornea, di rene o di altri tessuti.
POSSIBILI I GROSSI INTERVENTI CHIRURGICI
Ci sono stati spesso chirurghi che hanno rifiutato di prendere in cura i Testimoni perché il loro atteggiamento circa l’uso di parti del sangue apparentemente ‘legava le mani al medico’, ma ora molti medici preferiscono considerare la situazione solo come un’ulteriore complicazione che mette alla prova la loro abilità. Dato che i Testimoni non sono contrari ai liquidi sostitutivi colloidali o cristalloidi, né all’elettrocauterizzazione, all’anestesia ipotensiva3 o all’ipotermia, vi si è fatto ricorso con buoni risultati. Le attuali e future applicazioni di hetastarch,4 la somministrazione per via endovenosa di forti dosi di dextran contenente ferro,5,6 e il bisturi a ultrasuoni7 promettono bene e non danno luogo a obiezioni dal punto di vista religioso. E se un sostituto del sangue a base di fluoro di recente produzione (Fluosol-DA) si dimostrerà innocuo ed efficace,8 il suo uso non sarà in contrasto con le credenze dei Testimoni.
Nel 1977 Ott e Cooley9 riferirono in merito a 542 operazioni cardiovascolari eseguite su Testimoni senza trasfondere sangue e conclusero che questa procedura può essere seguita “con un rischio ragionevolmente basso”. Rispondendo alla nostra richiesta, Cooley ha recentemente preparato una statistica su 1.026 operazioni, il 22% delle quali su minori, concludendo che “il rischio degli interventi chirurgici per i pazienti del gruppo dei testimoni di Geova non è sostanzialmente superiore che nel caso di altri”. In modo analogo, il dott. Michael E. DeBakey comunica “che nella grande maggioranza delle situazioni [riguardanti i Testimoni] il rischio delle operazioni senza l’uso di trasfusioni di sangue non è maggiore che per quei pazienti con cui possiamo usare le trasfusioni di sangue” (comunicazione personale, marzo 1981). Nella letteratura medica si parla anche di complessi interventi all’apparato urinario10 e di chirurgia ortopedica11 eseguiti con successo. Il dott. G. Dean MacEwen e il dott. J. Richard Bowen scrivono che la fusione spinale posteriore “è stata realizzata con successo su 20 [Testimoni] minorenni” (dati inediti, agosto 1981). Essi aggiungono: “Il chirurgo deve imparare a rispettare il diritto del paziente di rifiutare una trasfusione di sangue pur seguendo sempre tecniche chirurgiche tali da risultare innocue per il paziente”.
Herbsman12 riferisce di avere avuto buoni risultati in casi, tra cui alcuni di minorenni, “in cui c’era stata forte perdita di sangue a seguito di traumi”. Egli ammette che “i Testimoni sono alquanto in svantaggio quando si tratta del sangue. Nondimeno è chiaro che ci sono alternative in sostituzione del sangue”. Notando che molti chirurghi hanno ritenuto di non poter accettare come pazienti i Testimoni “per timore di conseguenze legali”, egli mostra che questa non è una preoccupazione valida.
ASPETTI LEGALI E MINORENNI
I Testimoni sono pronti a firmare il modulo dell’Ordine dei Medici Americani che esonera i medici e gli ospedali da ogni responsabilità,13 e quasi tutti i Testimoni portano con sé un “Avviso per il medico”, datato e firmato da testimoni, preparato con la collaborazione di medici e legali. Questi documenti impegnano il paziente personalmente (ed economicamente) e offrono una protezione al medico, poiché il giudice Warren Burger sosteneva che una causa per scorrettezza professionale “apparirebbe priva di fondamento” nei casi in cui fosse stato firmato un tale documento. E commentando questo fatto in un’analisi sul “trattamento medico obbligatorio e libertà religiosa”, Paris14 ha scritto: “Qualcuno che ha esaminato le pubblicazioni ha detto: ‘Non sono riuscito a trovare nessun sostegno per la dichiarazione secondo cui il medico incorrerebbe in sanzioni . . . penali . . . se non imponesse la trasfusione di sangue a un paziente che non la vuole’. Il rischio sembra più il prodotto di una mente fertile in campo legale che una possibilità reale”.
La cura dei minori costituisce il problema maggiore, ed è spesso intentata un’azione giudiziaria contro i genitori in base alle norme sulla tutela dei figli. Ma tali provvedimenti sono contestati da molti medici e avvocati che conoscono bene i casi dei Testimoni e che sono convinti che i genitori Testimoni si interessano di assicurare ai loro figli una buona assistenza medica. Non volendo sottrarsi alla loro responsabilità di genitori o scaricarla su un giudice o su terzi, i Testimoni raccomandano di tener conto dei princìpi religiosi della famiglia. Il dott. A. D. Kelly, ex segretario dell’Ordine dei Medici Canadesi, ha scritto15 che “i genitori di minorenni e il parente prossimo di pazienti privi di sensi hanno il diritto di interpretare la volontà del paziente. . . . Non ammiro il comportamento dei giudici di un dubbio tribunale che si riuniscono alle due del mattino per sottrarre un fanciullo alla custodia dei suoi genitori”.
È assiomatico che i genitori abbiano voce in capitolo quando si tratta della cura dei loro figli, come ad esempio quando si tratta dei potenziali rischi o benefìci di interventi chirurgici, radiazioni o chemioterapia. Per ragioni morali che esulano dal problema del rischio delle trasfusioni,16 i genitori Testimoni chiedono di usare terapie che non siano vietate sotto il profilo religioso. Questo è in armonia con il principio medico di curare “la persona integrale”, non trascurando il possibile danno psicosociale permanente derivante da una tecnica che va contro le credenze fondamentali di una famiglia. In molti casi grossi centri del paese che hanno avuto a che fare con i Testimoni accettano ora il trasferimento di pazienti da istituti non disposti a curare i Testimoni, anche casi di bambini.
È UNA SFIDA PER IL MEDICO
È comprensibile che il medico, dedito a salvaguardare la vita e la salute dei pazienti con l’impiego di tutte le tecniche a sua disposizione, dovendo curare i testimoni di Geova si trovi davanti a un dilemma. Nella prefazione a una serie di articoli sui grossi interventi chirurgici su Testimoni, Harvey17 ammette: “Sono irritato da quelle credenze che ostacolano il mio lavoro”. Ma poi aggiunge: “Forse dimentichiamo troppo facilmente che la chirurgia è un’arte che dipende dalla tecnica personale dei singoli individui. La tecnica è suscettibile di miglioramento”.
Il professor Bolooki18 menziona un’inquietante notizia secondo cui uno dei centri traumatologici più attivi della contea di Dade, in Florida, “rifiutava regolarmente di curare” i Testimoni. Egli fa notare che “quasi tutte le tecniche chirurgiche per questo gruppo di pazienti comportano meno rischio del solito”. E aggiunge: “Sebbene i chirurghi pensino di venir privati di uno strumento della medicina moderna . . . sono convinto che c’è moltissimo da imparare operando questi pazienti”.
Anziché considerare il paziente Testimone un problema, un crescente numero di medici accetta la situazione come una sfida. Accogliendo la sfida hanno adottato uno standard di assistenza medica per questo gruppo di pazienti che è accettato in numerosi centri medici del paese. Questi medici forniscono allo stesso tempo la cura migliore per il benessere generale del paziente. Gardner e altri19 osservano infatti: “A che servirebbe guarire il corpo del paziente se, a suo giudizio, fosse pregiudicata la sua vita spirituale agli occhi di Dio, cosa che condurrebbe a una vita priva di significato e forse peggiore della morte stessa?”
I Testimoni riconoscono che, dal punto di vista medico, la loro convinzione, a cui si attengono tenacemente, aumenta apparentemente il rischio e può costituire una complicazione. Perciò in genere mostrano insolita riconoscenza per le cure che ricevono. Oltre ad avere gli elementi essenziali di una profonda fede e di una forte volontà di vivere, essi cooperano lietamente coi medici e col personale sanitario. Così paziente e medico affrontano insieme questa sfida che non ha uguale.
BIBLIOGRAFIA
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Sangue: Un fatto di scelta e di coscienzaSalvare la vita col sangue: In che modo?
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Appendice
Sangue: Un fatto di scelta e di coscienza
del dott. J. Lowell Dixon
Ristampato con l’autorizzazione del New York State Journal of Medicine, 1988; 88:463-464, copyright della Medical Society dello stato di New York.
I medici si impegnano a usare la propria conoscenza, le proprie capacità e la propria esperienza per combattere le malattie e la morte. Tuttavia, che dire se un paziente rifiuta il trattamento raccomandato? C’è la probabilità che questo accada se il paziente è un testimone di Geova e il trattamento prevede l’uso di sangue intero, eritrociti concentrati, plasma o piastrine.
Un medico può pensare che la scelta del paziente di non accettare un trattamento che implica l’uso di sangue leghi le mani a un personale medico scrupoloso. Tuttavia non bisogna dimenticare che anche pazienti che non sono testimoni di Geova decidono spesso di non seguire le raccomandazioni del loro medico. Secondo Appelbaum Roth,1 e il 19% dei pazienti delle cliniche universitarie ha rifiutato almeno un trattamento o una tecnica, anche se il 15% di questi dinieghi “poteva mettere a repentaglio la vita”.
L’idea generale che “il medico sa cosa è meglio” induce la maggioranza dei pazienti a rimettersi alla sua abilità e alla sua conoscenza. Ma sarebbe molto pericoloso se un medico si comportasse come se tale idea fosse un fatto scientificamente provato e agisse con i pazienti di conseguenza. È vero che la nostra preparazione, l’abilitazione alla professione e l’esperienza ci danno notevoli privilegi in campo medico. I pazienti, però, hanno dei diritti. E, come probabilmente sappiamo, la legge (anche la Costituzione) dà più importanza ai diritti.
Sulle pareti di quasi tutti gli ospedali è esposta la “Carta dei diritti del paziente”. Uno di questi diritti è quello del consenso consapevole, che più precisamente si potrebbe chiamare scelta consapevole. Dopo che il paziente è stato informato dei possibili risultati di vari trattamenti (o del mancato trattamento), spetta a lui decidere il da farsi. Nell’Albert Einstein Hospital del Bronx (New York), una direttiva di massima nei confronti delle trasfusioni di sangue e dei testimoni di Geova diceva: “Qualsiasi paziente adulto che non sia privo della capacità di intendere e di volere ha diritto di rifiutare un trattamento indipendentemente da quanto tale rifiuto possa nuocere alla sua salute”.2
Anche se i medici possono esprimere preoccupazioni in relazione all’etica o alla responsabilità, i tribunali hanno ribadito il fatto che la scelta del paziente è più importante.3 La Corte d’Appello di New York ha detto che “il diritto del paziente di decidere l’andamento della sua cura [è] la cosa più importante . . . [Un] medico non può essere ritenuto colpevole di inadempienza delle sue responsabilità legali o professionali quando rispetta il diritto che un paziente adulto capace ha di rifiutare un trattamento medico”.4 Quel tribunale ha pure fatto rilevare che “l’integrità etica della professione medica, pur essendo importante, non può avere maggior peso dei diritti individuali fondamentali qui rivendicati. Ad essere di somma importanza sono le necessità e i desideri dell’individuo, non le esigenze di un’istituzione”.5
Quando un Testimone rifiuta il sangue, la coscienza dei medici può essere turbata al pensiero di non seguire quella che sembra essere la terapia ottimale. Ciò che il Testimone chiede ai medici coscienziosi di fare, però, è di provvedergli la migliore cura alternativa possibile in quelle circostanze. Spesso dobbiamo modificare la terapia in base alle circostanze, come ad esempio ipertensione, forte allergia agli antibiotici o il non disporre di certe costose attrezzature. Trattandosi di pazienti Testimoni, si chiede ai medici di affrontare il problema medico o chirurgico tenendo conto della scelta e della coscienza del paziente, della sua decisione morale/religiosa di astenersi dal sangue.
Numerosi rapporti su grossi interventi chirurgici eseguiti su pazienti Testimoni mostrano che molti medici possono, in tutta coscienza e con esito favorevole, accondiscendere alla richiesta di non far uso di sangue. Per esempio, nel 1981, Cooley passò in rassegna 1.026 interventi cardiovascolari, il 22% dei quali su minori. Egli affermò che “il rischio degli interventi chirurgici per i pazienti del gruppo dei testimoni di Geova non è sostanzialmente superiore che nel caso di altri”.6 Kambouris7 ha parlato di interventi di alta chirurgia eseguiti su Testimoni ad alcuni dei quali era stato “negato un trattamento chirurgico urgente perché rifiutavano la trasfusione di sangue”. Egli ha detto: “A tutti i pazienti è stato assicurato prima del trattamento che in sala operatoria le loro convinzioni religiose sarebbero state rispettate, indipendentemente dalle circostanze. Questa linea di condotta non ha avuto effetti negativi”.
Quando un paziente è testimone di Geova, oltre al fatto della scelta entra in gioco anche la coscienza. Non si può pensare solo alla coscienza del medico. Che dire di quella del paziente? I testimoni di Geova considerano la vita un dono di Dio rappresentato dal sangue. Accettano il comando biblico dato ai cristiani di ‘astenersi dal sangue’ (Atti 15:28, 29).8 Quindi, se un medico assumesse un atteggiamento paternalistico e calpestasse le profonde e radicate convinzioni religiose del paziente, le conseguenze potrebbero essere tragiche. Papa Giovanni Paolo II ha osservato che violentare la coscienza di qualcuno “è il più doloroso colpo inferto alla dignità umana. È, in un certo senso, peggiore dell’infliggere la morte fisica, dell’uccidere”.9
Mentre i testimoni di Geova rifiutano il sangue per motivi religiosi, sono sempre di più i pazienti non Testimoni che decidono di evitare il sangue per rischi come AIDS, epatite non-A non-B e reazioni immunologiche. Possiamo dire loro il nostro parere circa il fatto che tali rischi sembrano minori rispetto ai vantaggi. Ma, come fa notare l’Ordine dei Medici Americani, il paziente è “l’ultimo arbitro nella decisione se accettare i rischi del trattamento o dell’operazione raccomandata dal medico o rischiare di farne a meno. Tale è il diritto naturale dell’individuo, che la legge riconosce”.10
A questo proposito, Macklin11 ha menzionato il problema dei rischi/vantaggi in relazione a un Testimone che “rischiò di morire dissanguato senza trasfusione”. Uno studente di medicina disse: “Era nel pieno possesso delle sue facoltà mentali. Che si fa quando le convinzioni religiose sono contrarie all’unico trattamento esistente?” Il ragionamento di Macklin: “Potremmo essere fermamente convinti che quest’uomo stia facendo uno sbaglio. Ma i testimoni di Geova credono che l’essere trasfusi . . . [possa] avere come risultato la dannazione eterna. Noi siamo preparati ad analizzare i rischi e i vantaggi dal punto di vista medico, ma se si contrappone la dannazione eterna alla vita che rimane da vivere sulla terra, l’analisi assume un’angolazione diversa”.11
In questo numero del Journal Vercillo e Duprey12 fanno riferimento a In re Osborne per sottolineare la necessità di garantire la sicurezza delle persone a carico. Ma com’è stato risolto il caso? Esso riguardava il padre gravemente ferito di due minorenni. Il tribunale stabilì che, se fosse morto, i figli sarebbero stati affidati alle cure, materiali e spirituali, dei parenti. Perciò, come in altri casi recenti,13 il tribunale non ha ritenuto che lo stato avesse alcun motivo impellente per non tener conto della cura scelta dal paziente; l’intervento del giudice per autorizzare un trattamento che il paziente riteneva molto discutibile era ingiustificato.14 Con un trattamento alternativo il paziente si riprese e continuò ad aver cura della sua famiglia.
Non è forse vero che la maggioranza dei casi che si sono presentati, o che probabilmente si presenteranno, ai medici si può risolvere senza far uso di sangue? I nostri studi e la nostra sfera di competenza riguardano problemi medici, tuttavia i pazienti sono esseri umani i cui valori e le cui aspirazioni non si possono ignorare. Nessuno meglio di loro sa quali sono le cose più importanti per ciascuno, qual è la propria morale e la propria coscienza, cioè le cose che danno un senso alla vita.
Può essere una sfida per noi medici rispettare la coscienza religiosa dei pazienti Testimoni. Ma nell’accettare questa sfida diamo risalto a preziose libertà che tutti noi abbiamo a cuore. John Stuart Mill ha scritto appropriatamente: “Nessuna società in cui queste libertà, nell’insieme, non siano rispettate può dirsi libera, qualunque sia la sua forma di governo . . . Ciascuno è il legittimo custode della propria salute, fisica, mentale o spirituale. Gli uomini hanno molto da guadagnare lasciando che ognuno viva come gli sembra bene, anziché costringerlo a vivere come sembra bene agli altri”.15
[RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI]
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