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Avete motivo di preoccuparviÈ questa vita tutto quello che c’è?
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Capitolo I
Avete motivo di preoccuparvi
Potrà mai l’uomo vivere per sempre?
Alcuni alberi ora vivono per molti secoli.
VI è preziosa la vita? Desiderate la vita con buona salute per voi e per i vostri cari? La maggioranza delle persone risponderà: Sì.
Ma oggi molte cose ci rammentano di continuo l’incertezza della vita, per noi, per il nostro coniuge e per i nostri figli. Incidenti, delitti, insurrezioni, guerre e carestie stroncano milioni di persone nel rigoglio della vita. Le malattie prendono uno spaventoso pedaggio nonostante i progressi della medicina. L’inquinamento pone una gravissima minaccia.
Non è dunque strano che oggi molti chiedano: ‘È questa vita tutto quello che c’è? O può darsi che la nostra più cara speranza sia quella di trovarci in una vita dopo la morte? Che accade in realtà quando si muore? Qualche parte dell’individuo continua a vivere? È ancora conscio e in grado di vedere, udire, parlare, di fare qualche cosa? C’è dopo la morte qualche cosa di simile al tormento? Veramente, la morte è un amico o un nemico?’ Conoscere la risposta a queste domande ci è di sicuro profittevole.
LA MORTE MODELLA LA NOSTRA VITA?
Potete non averci pensato, ma la vita di tutti noi è grandemente modellata dalla veduta che abbiamo della morte. Influisce sulla nostra gioia di vivere e sul modo in cui conduciamo la nostra vita assai più di quanto la maggioranza non creda. Per questo abbiamo bisogno di conoscere la verità sulla morte.
Vi rendete conto, per esempio, che la maggior parte delle religioni del mondo sono basilarmente orientate verso la morte anziché essere orientate verso la vita? A centinaia di milioni di persone è stato insegnato che la morte le introdurrà in un altro mondo, ‘nel mondo dei morti’, dove si troveranno di fronte alla beatitudine o al tormento. Le preghiere per i morti, le costose cerimonie a loro favore e i sacrifici per placarli formano una parte essenziale di molte grandi religioni che hanno un notevole numero di aderenti.
Si può dire: ‘Forse è così, ma io non perdo il mio tempo preoccupandomi della morte o di ciò che verrà dopo di essa. Il mio problema è quello di vivere e di ottenere ora dalla vita il massimo mentre mi è possibile’. Ma anche questa risposta mostra l’effetto che la morte ha sulla vita delle persone che modella. Dopo tutto, non è la morte a determinare per quanto tempo ancora si potrà ottenere alcuna cosa dalla vita?
Così, anche se cerchiamo di cancellare dalla mente il pensiero della morte, continua a presentarcisi la realtà che la durata della nostra vita, nel migliore dei casi, è assai breve. Esso può spingere una persona al violento sforzo d’arricchire in giovane età, ‘mentre può ancora provare gioia’. La brevità della vita rende molti impazienti, sgarbati, insensibili verso altri. Li spinge a seguire vie disoneste per raggiungere la loro mèta. Essi pensano che non ci sia proprio tempo per agire nel modo giusto. Tuttavia, possono nel frattempo asserire che la morte non contribuisca a modellare la loro vita.
Qual è la vostra propria veduta della morte? Quale parte ha nei vostri pensieri circa il futuro, o, a questo scopo, nel modo in cui vivete proprio ora la vostra vita?
BISOGNO DI ASSICURARSI
Il problema è che fra le vedute che la gente ha della vita e della morte c’è una tale ampia varietà. Spesso le vedute sono contraddittorie, esattamente opposte.
Molti credono che la morte sia la fine completa di ogni cosa o, almeno, che l’uomo fu fatto per morire. Lo trovate accettevole? Vi sembra logico che certi alberi possano vivere per migliaia d’anni più dell’uomo intelligente? Ritenete che settanta o ottant’anni di vita siano per voi abbastanza lunghi per fare tutto ciò che volete fare, per imparare tutto ciò che volete imparare, per vedere tutto ciò che volete vedere e per accrescere il talento e la capacità che avete fin dove desiderate?
C’è poi un enorme numero di persone che credono che la vita continui dopo la morte perché qualche cosa, l’anima o lo spirito, sopravvive alla morte del corpo. Tuttavia anche le loro vedute differiscono grandemente. E, certo, le loro credenze contraddicono l’idea di quelli che pensano che ogni vita termini con la morte. Le vedute contraddittorie non possono tutte esser vere. Quali sono quelle giuste? Ha importanza? Sì, moltissima. Consideratene la ragione.
Prima di tutto, se i morti potessero realmente trarre profitto dalle preghiere e dalle cerimonie a loro favore, non saremmo noi crudeli non provvedendole? Ma che accade se i morti sono in realtà morti e non possono essere aiutati dai superstiti umani? Questo significherebbe che centinaia di milioni di persone sono vittime di una terribile frode. Significherebbe che molti grandi sistemi religiosi si sono arricchiti con l’inganno, usando falsità circa i morti per sfruttare i vivi invece di fare per loro qualche cosa di utile.
Quale conforto possiamo offrire quando, presto o tardi, la morte invade la nostra cerchia familiare o quella di un amico? Sostiene la logica la veduta che il “destino” dirige i nostri avvenimenti e la durata della nostra vita? Che dire se il morto è un piccolo bambino? Dio ‘se lo prese’, come direbbero alcuni?
Ci sono davvero molte, molte cose che abbiamo bisogno di conoscere in quanto alla morte, e più amiamo la vita più dovremmo voler essere sicuri di ottenere le risposte giuste. Ma dove, specialmente giacché c’è tanta confusione e contraddizione?
Ci sono molti libri religiosi che parlano della vita e della morte, e alcuni di essi sono molto antichi. Ma c’è un libro antichissimo che presenta una veduta del tutto diversa da quella di tutti gli altri. Infatti, la veduta che esso presenta è sorprendentemente diversa da ciò che la grande maggioranza delle persone pensa vi sia contenuto. Questo libro è la Bibbia.
Si riferisce a persone reali, a persone che dovettero affrontare gli stessi basilari problemi che oggi si presentano a noi. Esse pure ponderarono l’intero scopo della vita, chiedendosi: “Che ha l’uomo per tutto il suo duro lavoro e per lo sforzarsi del suo cuore con cui lavora duramente sotto il sole?” “Pure supposto che abbia vissuto mille anni per due volte e tuttavia non ha visto ciò che è bene, non è a un solo luogo che vanno tutti?” (Ecclesiaste 2:22; 6:6) Esse posero inoltre la domanda: “Se l’uomo robusto muore può egli tornare a vivere?” (Giobbe 14:14) Conoscete le risposte?
Nella pubblicazione che ora avete in mano troverete non solo la considerazione dei molti tentativi popolari di rispondere alle domande finora proposte, ma anche il modo essenzialmente importante in cui la Bibbia risponde a ciascuna di queste. Potrete apprendere l’incomparabile speranza che essa presenta a quelli che vanno incontro alla morte o che si trovano nella sua stretta. L’intendimento che queste informazioni possono recare potrà grandemente contribuire alla vostra presente e futura felicità e pace mentale.
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Come la morte influisce sulla vita quotidiana delle personeÈ questa vita tutto quello che c’è?
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Capitolo II
Come la morte influisce sulla vita quotidiana delle persone
PROPRIO ora in maggioranza gli uomini si preoccupano moltissimo di ciò che influisce sulla loro vita e su quella della loro famiglia. Ma pochi sono disposti a parlare o a pensare prolungatamente della morte.
È vero che la morte non è una prospettiva brillante, ma ha un determinato effetto sulla propria vita quotidiana. Chi di noi non ha sentito l’angustia e il profondo senso di perdita per la morte di un caro amico o di un diletto parente? Un decesso in una famiglia può cambiare l’intero modello di vita della famiglia, distruggere un’entrata stabile e generare solitudine o depressione per i sopravvissuti.
Per quanto sia spiacevole, la morte è un avvenimento quotidiano che dovete riconoscere. Non potete protrarre certe azioni indefinitamente. Domani potrebbe essere troppo tardi.
Come questo ha influito su di voi? Vi sentite a volte spinti dalla brevità della vita a cercar di ottenere disperatamente da essa tutto quello che potete? O assumete la veduta fatalistica, concludendo che, ebbene, quel che sarà sarà?
VEDUTA FATALISTICA
Molti oggi credono che vita e morte siano dirette dal destino. Questo è un concetto basilare di oltre 477 milioni di indù. Infatti, le vedute fatalistiche sono quasi universali. Non avete sentito dire: ‘Doveva proprio avvenire’, ‘Il suo tempo era scaduto’, o, ‘È scampato perché la sua ora non era arrivata’? Tali dichiarazioni si fanno frequentemente riguardo agli incidenti. Sono veritiere? Considerate un esempio:
Durante un volo dimostrativo all’Esposizione Aeronautica di Parigi del 1973, l’aereo supersonico TU-144 esplose e ne morì l’equipaggio. Grosse parti del velivolo si schiantarono sul villaggio di Goussainville, in Francia. Lì una donna s’era appena chiusa alle spalle la porta della stanza da letto, quando un pezzo di relitto sfondò la parete esterna demolendo completamente la stanza da letto. Ella rimase incolume.
Altri non sfuggirono. Le vittime compresero i tre nipoti di una donna anziana, ma non la nonna.
Morirono quei fanciulli e altri perché era arrivata la loro “ora” o il loro “tempo”? Furono altri risparmiati perché il destino non li dovette reclamare che più tardi?
Quelli che rispondono “Sì” a queste domande credono che nessuno possa fare nulla per impedire la morte d’una persona se il suo ‘tempo è scaduto’. Credono che, nonostante qualsiasi precauzione presa, essi semplicemente non possano sfuggire a ciò che il destino comanda. Questa è una veduta simile a quella degli antichi Greci i quali consideravano il destino dell’uomo controllato da tre dee: Cloto, Làchesi e Atropo. Si supponeva che Cloto filasse il filo della vita, che Làchesi ne determinasse la lunghezza e che Atropo lo tagliasse quando il tempo era scaduto.
È ragionevole una tale veduta fatalistica? Chiedetevi: Perché il numero dei morti negli incidenti diminuisce quando si osservano le regole di sicurezza e aumenta quando esse non sono osservate? Perché si può dimostrare che la maggioranza dei morti per incidenti stradali è la conseguenza di trascuratezza umana, ubriachezza, errori o illegalità? Perché nei paesi che hanno alte norme igieniche e una buona dieta la durata della vita umana è in media assai maggiore che nei paesi dove queste cose mancano? Perché muoiono di cancro polmonare più fumatori che non fumatori? Come potrebbe tutto questo attribuirsi al cieco fato su cui non c’è nessun controllo? Non avviene invece che ci sono cause per ciò che accade all’uomo?
Per molti decessi accidentali, non si tratta forse del fatto che la persona semplicemente era venuta a trovarsi in una situazione pericolosa? Per illustrare: Un uomo esce di casa ogni giorno feriale a una certa ora. Una mattina, mentre passa davanti alla casa di un vicino, ode grida e urla. Affretta il passo e, appena volta l’angolo, è colpito da una pallottola vagante. La sua morte è causata dal fatto che si è trovato all’angolo al momento sbagliato; la circostanza non era stata prevista.
Avendo osservato ciò che realmente accade nella vita quotidiana, il saggio scrittore del libro biblico di Ecclesiaste disse: “Tornai a vedere sotto il sole che i veloci non hanno la corsa, né i potenti la battaglia, i saggi neanche hanno cibo, quelli che hanno intendimento neanche hanno ricchezze, neppure quelli che hanno conoscenza hanno favore; perché il tempo e l’avvenimento imprevisto capitano a tutti loro”. — Ecclesiaste 9:11.
Chi capisce questo non trasgredisce le regole sulla sicurezza e non corre inutili rischi, pensando d’essere immune dalla morte finché il suo “tempo” non sia scaduto. Comprende che la veduta fatalistica può essere pericolosa sia per lui che per altri. Questa conoscenza, messa saggiamente in pratica, può accrescere gli anni della vostra vita.
D’altra parte, la veduta fatalistica può condurre ad azioni stolte e può anche rendere la persona negligente in quanto a informarsi di cose che possono influire profondamente su lui e sulla sua famiglia.
VIVERE SOLO PER IL PRESENTE
Oltre alla veduta fatalistica, gli avvenimenti del ventesimo secolo hanno influito sulle azioni delle persone.
Considerate per un momento ciò che è accaduto. Milioni di individui sono stati vittime di guerra, delitti, insurrezione e carestia. L’aria e l’acqua necessarie per sostenere la vita sono inquinate a un ritmo allarmante. Sembra che la vita umana sia minacciata da ogni parte. E non c’è nulla per dare vera assicurazione che nel prossimo futuro il genere umano sia in grado di risolvere i suoi problemi. La vita sembra molto incerta. Qual è il risultato?
Molti abitanti della terra vivono solo per il presente, per ottenere oggi tutto il possibile. Si sentono spinti a far questo, ragionando che la vita che hanno ora sia tutta la vita che potranno mai sperar di avere. Appropriatamente la Bibbia descrive la loro attitudine: “Mangiamo e beviamo, poiché domani morremo”. — 1 Corinti 15:32.
Nel tentativo di sfuggire alle dure realtà della vita, possono ricorrere all’alcool o alla droga. Altri cercano di trovare sfogo per le loro frustrazioni e preoccupazioni circa la brevità della vita, abbandonandosi personalmente a pratiche sessuali d’ogni specie: fornicazione, adulterio, omosessualità, lesbismo. Il libro Death and Its Mysteries dice:
“Sembra che oggi più persone normali subiscano l’effetto di questo timore della morte collettiva, almeno inconsciamente. Questa è almeno una spiegazione parziale del disordine dei nostri tempi che si esprime con gratuiti delitti, vandalismo, erotismo e affrettato ritmo di vita. Sembra che anche musiche e danze moderne esprimano la disperazione di un’umanità che non crede più nel proprio futuro”.
Qual è stato l’effetto di tutto tale vivere per il presente come se non potesse esserci nessun domani?
Quelli che bevono molto e si ubriacano possono temporaneamente dimenticare le loro difficoltà. Ma sacrificano la loro dignità e, mentre sono in stato di ebbrezza, possono a volte nuocere a sé e ad altri. E il giorno dopo riscontrano d’aver aggiunto alle difficoltà che già avevano un tormentoso mal di testa.
Anche i drogati pagano un alto prezzo per i loro sforzi di sfuggire alla realtà. Spesso subiscono lesioni permanenti sia fisiche che mentali. E, per sostenere la loro costosa abitudine, possono riscontrar di degradarsi fino a praticare il furto e la prostituzione.
Che dire dei rapporti sessuali promiscui? Contribuiscono a migliorare la propria sorte nella vita? Al contrario, frequentemente il frutto è una disgustosa malattia venerea, gravidanze indesiderate, figli illegittimi, aborti, casa divisa, amara gelosia, lotte e perfino assassinio.
Naturalmente, molti non sono caduti così in basso da vivere una vita corrotta. Tuttavia non sono sfuggiti alla pressione che deriva dal rendersi conto, coscientemente o subcoscientemente, che la loro vita finirà. Sapendo che il tempo è limitato, possono cercar di farsi avanti nel mondo il più presto possibile. Con quale risultato? Il loro desiderio di possedimenti materiali può spingerli a sacrificare l’onestà personale. Come il proverbio biblico veracemente afferma: “Chi si affretta a guadagnar ricchezze non rimarrà innocente”. (Proverbi 28:20) Ma questo non è tutto.
Si impiegano tanto tempo ed energia per progredire materialmente che rimane poco tempo per rallegrarcisi con la propria famiglia. È vero che i figli possono ottenere tutte le cose materiali che vogliono. Ma ottengono la guida e la correzione di cui hanno bisogno per divenire giovani uomini e donne responsabili? Molti genitori, mentre si rendono conto che il tempo che trascorrono con i loro figli è alquanto limitato, non vedono in realtà nessuna ragione di speciale preoccupazione, finché non è troppo tardi. Sì, è angoscioso apprendere che il proprio figlio è stato arrestato o che la propria figlia adolescente diverrà una madre non sposata.
Da ciò che oggi accade, non si comprende che, nonostante la brevità della vita, molti hanno bisogno di imparare un più soddisfacente modo di vivere?
L’evidente inevitabilità della morte non fa abbandonare a tutti i principi morali, né genera in tutti un’apatia fatalistica. Al contrario, centinaia di migliaia di persone oggi si rallegrano conducendo una vita morale, perché non hanno subìto l’effetto avverso della prospettiva della morte.
UNA VIA MIGLIORE
Vista in modo corretto, la morte ci può insegnare qualche cosa di utile. Quando la morte reclama vittime, possiamo trarre beneficio dalla riflessiva considerazione di come conduciamo la nostra propria vita. Circa tremila anni fa un attento osservatore dell’umanità mise in risalto questo, dicendo: “Un nome è meglio che il buon olio, e il giorno della morte che il giorno della nascita. È meglio andare alla casa del lutto che andare alla casa del banchetto, perché quella è la fine di tutto il genere umano; e chi è in vita lo dovrebbe prendere a cuore. . . . Il cuore dei saggi è nella casa del lutto, ma il cuore degli stupidi è nella casa dell’allegrezza”. — Ecclesiaste 7:1-4.
La Bibbia non raccomanda qui la tristezza a preferenza della gioia. Piuttosto, si fa riferimento al tempo particolare in cui una famiglia fa lutto per la morte di un suo componente. Non è il tempo di dimenticare gli orbati e di procedere con il proprio banchetto e divertimento. Poiché, proprio come la morte ha posto fine a tutti i piani e le attività del deceduto, può fare la stessa cosa a noi. È bene chiedersi: Che cosa farò della mia vita? Mi sto facendo un nome o una reputazione eccellente? Quanto contribuisco alla felicità e al benessere di altri?
Non alla nascita, ma durante il pieno corso della nostra vita, il nostro “nome” assume effettivamente vero significato, identificandoci in quanto alla specie di persona che siamo. Chi ha il cuore, per così dire, in una ‘casa di lutto’ presta attenta considerazione al modo in cui vive la propria vita, senza tener conto di quanto possa esser breve. Egli la tratta come qualche cosa di prezioso. Non riflette il basso, imprudente spirito caratteristico di un luogo di gozzoviglia. Piuttosto, si esercita per condurre una vita significativa, secondo uno scopo, e in tal modo contribuisce alla felicità e al benessere dei suoi simili.
Come può chiunque determinare se ora gode la migliore vita che gli sia possibile, se vive veramente una vita con uno scopo? Per certo ci vuole una norma di giudizio. In tutta la terra le persone sincere pervengono in numero crescente alla conclusione che la Bibbia è tale norma degna di fiducia. L’esame che han fatto della Bibbia ha permesso loro di trovare ora un vero scopo nella vita e ha dato loro una splendida speranza per il futuro, una speranza che comprende la vita in condizioni giuste su questa stessa terra. Esse hanno compreso che il proposito di Dio per il genere umano non è la morte, ma la vita.
[Immagine a pagina 11]
Il destino controlla la vostra vita, come credevano gli antichi Greci?
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L’uomo fu fatto per vivereÈ questa vita tutto quello che c’è?
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Capitolo III
L’uomo fu fatto per vivere
DIO fece l’uomo affinché vivesse. Questo è ciò che la Bibbia indica con la sua descrizione dei provvedimenti che Dio prese per i nostri primogenitori umani, Adamo ed Eva. Essa ci informa che Geova Dio li pose in un bel giardino, in una dimora paradisiaca, che occupava una parte della regione chiamata “Eden”. Quel paradiso conteneva tutto ciò che era loro necessario per continuare a vivere. Riguardo a ciò, Genesi, il primo libro della Bibbia, dice: “Geova Dio fece crescere dalla terra ogni albero desiderabile a vedersi e buono da cibo e anche l’albero della vita nel mezzo del giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male”. — Genesi 2:9.
Notate che in questo incantevole paradiso non c’era un ‘albero della morte’, ma un “albero della vita”. Quell’“albero della vita” si ergeva come immutabile garanzia che la vita di quelli che avrebbero avuto diritto a parteciparvi sarebbe continuata. Non c’era nessuna ragione perché Adamo ed Eva provassero morboso timore della possibilità di morire. Finché avessero continuato a ubbidire al loro Creatore non mangiando del proibito “albero della conoscenza del bene e del male” la loro vita non sarebbe terminata. — Genesi 2:16, 17.
Ma è ciò che la Bibbia dice, che l’uomo fu fatto per godere un’interminabile durata di vita, in armonia con ciò che della vita possiamo vedere? Non mostrano i fatti che gli uomini muoiono da migliaia d’anni? Sì, ma sapevate che proprio nella vostra costituzione è la prova che dovreste avere una durata di vita assai più lunga di quella solita nel nostro giorno?
Considerate, per esempio, il cervello umano. È stato progettato per una vita di soli settanta o ottant’anni? È interessante che il biochimico Isaac Asimov, commentando la facoltà del cervello, notò che nel suo sistema di archiviazione è “perfettamente in grado di accogliere qualsiasi carico di conoscenza e di memoria che l’essere umano probabilmente vi ponga, e anche un miliardo di volte più di tale quantità”.
È logico che il cervello di un uomo abbia la facoltà di accogliere informazioni mille milioni di volte più di quanto sia in grado di usare durante quella che è oggi la durata media della vita? Piuttosto, non indica questo che l’uomo fu fatto per vivere una vita che avrebbe richiesto un cervello con una facoltà di ricordare illimitata?
Questo non è assolutamente tutto.
SOLO L’UOMO HA IL CONCETTO DELL’ETERNITÀ
Qui un rimarchevole punto da notare è che la Bibbia pone la prospettiva della vita senza fine solo dinanzi all’uomo, non dinanzi a qualsiasi altra creatura della terra. Infatti, essa dice che anche il concetto del tempo indefinito o dell’eternità passata o futura è unicamente dell’uomo. L’ispirato scrittore del libro biblico di Ecclesiaste notò: “Ho visto l’occupazione che Dio ha data ai figli del genere umano per occuparvisi. Ogni cosa egli ha fatto bella a suo tempo. Perfino il tempo indefinito ha posto nel loro cuore”. — Ecclesiaste 3:10, 11.
Ora, se ciò che la Bibbia dice dell’uomo è vero, dovremmo essere in grado di vederne in tal senso la prova. La vediamo? È l’uomo in netto contrasto con gli animali? Solo l’uomo pensa seriamente al futuro, se ne occupa e opera in direzione d’esso? Reagisce verso la morte in modo diverso dagli animali, mostrando d’essere il solo a capire ciò che la vita ha significato per lui nel passato e potrebbe significare per lui nel futuro?
Non si nega che tutti i viventi si attaccano alla vita. Per istinto gli animali che sono divorati da altri animali cercano di sfuggire ai loro predatori con la fuga o nascondendosi. Molte creature lottano contro probabilità che sembrano impossibili per proteggere i loro piccoli dalla morte. È noto che i conigli colpiscono i procioni con tale violenza da farli cadere a zampe levate. Nella parte occidentale degli Stati Uniti si osservò un’antilope femmina che difese con successo il suo piccolo da un lupo, e i suoi affilati zoccoli gli ferirono le parti posteriori e gli ruppero i denti. Mentre esso cercava di fuggire, gli saltò sopra e lo pestò a morte.
Tale reazione istintiva alla minaccia di morte ha un ruolo vitale nella preservazione della vita delle creature. Ma significa questo che gli animali capiscano il passato e il futuro come l’uomo?
Come sappiamo, l’uomo può riflettere sul passato e può fare piani per il futuro. Nell’intimità della sua propria casa, può ripensare ai giorni della sua fanciullezza, alle sue monellerie, alle sue delusioni, ai suoi fallimenti, ai suoi successi e alle sue gioie. Può fare i piani di azioni future, costruire una nuova casa, acquistare mobili, decidere quale specie di istruzione far ricevere ai suoi figli e così via. Ma può un cane, per esempio, meditare sui suoi primi giorni da cucciolo, sui bambini che allora giocavano con esso, sulla sua crescita fino a divenire grande e sul suo accoppiamento? Nel suo libro Animals Are Quite Different, Hans Bauer mostra ciò che è stato rivelato dalla ricerca:
“Il cane ha sempre bisogno di un’effettiva impressione sensibile per evocare avvenimenti precedenti. Può essere portato, diciamo, per una certa occasione in un paese sconosciuto in cui gli capita un avvenimento o l’altro. Dopo il suo ritorno a casa, le impressioni allora ricevute saranno dimenticate. Ma se va di nuovo nello stesso posto le ricorderà. Infatti è una delle speciali caratteristiche e dei vantaggi dell’uomo in paragone con la struttura psicologica degli animali che il contenuto della memoria umana non sia associato ai bisogni di ogni giorno ma sia impresso nel flusso della consapevolezza nel suo insieme”.
Così, a differenza dell’uomo, gli animali non possono ricostruire a volontà gli avvenimenti del passato.
Ma possono fare piani in anticipo per il futuro? I criceti, certe formiche, gli scoiattoli e altri animali non accumulano o non nascondono forse provviste di cibo da usare in futuro? Non è questo un fare i piani in anticipo per il futuro per non soffrirne la mancanza nell’inverno? “No”, dice il summenzionato autore, e menziona questi fatti per confermarlo:
“Essi non sanno cosa fanno o perché lo fanno. Semplicemente seguono l’istinto, e la prova è che anche gli animali privati dei genitori in età molto precoce e tenuti in gabbia cominciano a ‘raccogliere’ in autunno. Tali animali non hanno mai conosciuto le condizioni dell’inverno e non saranno privati di nutrimento nei mesi avvenire. Ciò nondimeno, ‘accumulano’ semplicemente per ‘accumulare’”.
Riassumendo il contrasto fra gli uomini e gli animali, egli osserva:
“Il mondo degli animali è perciò esclusivamente quello del momento presente nel senso più letterale della parola. Poiché possono facilmente essere distolti anche dagli oggetti più attraenti per mezzo di altri che richiamino un’attenzione più immediata per il momento e poi non tornano mai più ai precedenti”.
Veramente, dunque, solo l’uomo ha il concetto del “tempo indefinito”, la capacità di meditare sul passato e di guardare avanti al futuro, facendo piani per esso.
Perché gli animali vivono solo nel presente è chiaro che per loro la morte non è la tragedia che essa è per gli uomini. Sembra che gli animali reagiscano alla morte come a un corso di eventi naturali.
Prendete il caso della leonessa che fu vista con i suoi tre leoncini nel Parco Nazionale di Serengeti. Mentre la leonessa era assente, i leoncini si nascosero in un boschetto. Quindi comparvero due leoni provenienti da un altro territorio. Trovati i leoncini nascosti, li uccisero tutt’e tre. Ne divorarono uno, ne portarono via un altro e lasciarono dietro il terzo. Quando fu tornata ed ebbe visto il suo leoncino morto, che cosa fece la leonessa? Essa non mostrò nessun cordoglio, nessuna emozione, ma semplicemente ne annusò il corpo e quindi lo divorò.
È anche degno di nota che gli animali predati dai leoni non reagiscono con terrore alla vista del leone a qualche distanza. Una volta che il leone ha avuto il suo pasto, il branco di animali riprende presto la sua solita attività. Infatti, gli animali da preda possono venire a circa trentacinque metri da un leone visibile.
L’UOMO REAGISCE ALLA MORTE COME A QUALCHE COSA DI INNATURALE
Quanto diversamente gli uomini reagiscono alla morte! Per la maggioranza, la morte di moglie, marito o figlio è l’avvenimento più sconvolgente di tutta l’esistenza. L’intera costituzione emotiva dell’uomo è alterata per lungo tempo dopo la morte di una persona che ha caramente amata.
Anche quelli che asseriscono che ‘la morte è naturale per gli uomini’ trovano difficile accettare l’idea che la loro propria morte significherà la fine di ogni cosa. The Journal of Legal Medicine osserva: “Gli psichiatri sono in genere d’accordo che c’è un inconscio diniego della morte, anche quando sembra essere imminente”. Un noto giovane ateo, per esempio, prima della sua esecuzione capitale dichiarò che, da un punto di vista razionale, la sua morte non avrebbe significato ‘nulla di più del termine definitivo di una vita ch’era stata breve ma molto intensa’. Ma poi notò che gli era difficile, davvero impossibile, ‘ammettere che ogni cosa sarebbe stata ridotta a nulla’.
Il desiderio dell’uomo di partecipare all’attività futura è così forte che parecchi hanno disposto di far congelare alla morte il loro corpo. Il costo iniziale può salire per questo fino a $8.500 [L. 5.270.000], con altri $1.000 [L. 620.000] da pagare ogni anno per mantenere il cadavere congelato. Cadaveri sono stati congelati nella speranza che gli scienziati siano eventualmente in grado di farli tornare in vita. Certo, al presente gli scienziati non sono in nessun luogo neanche prossimi alla possibilità di fare una tal cosa. Tuttavia il solo pensiero che ciò possa divenire possibile è stato abbastanza da spingere alcuni a far preservare il loro cadavere con grande spesa.
Siccome gli uomini trovano difficile accettare la morte come la fine di ogni cosa, in ogni luogo hanno il desiderio di perpetuare il ricordo dei morti e di separarsene in maniera cerimoniosa. Il libro Funeral Customs the World Over nota:
“Non c’è nessun gruppo, per quanto primitivo a un’estremità o civilizzato all’altra, che lasciato libero a se stesso e nei limiti dei propri mezzi, non si separi con cerimonia dal cadavere dei propri componenti. Questo fatto universale di fare i funerali con cerimonia è così vero che sembra ragionevole concludere che esso sorga dalla natura umana. È ‘naturale’, normale, ragionevole. Soddisfa profondi stimoli universali. Compierlo sembra ‘giusto’, e non compierlo, in particolar modo a quelli che hanno stretti legami di famiglia, sentimenti, parte nella vita, esperienza comune o altri vincoli, sembra ‘sbagliato’, un’omissione innaturale, una cosa di cui scusarsi o vergognarsi”.
A quale conclusione perviene quest’opera sull’usanza universale dei funerali? Essa continua:
“Questo è così vero che alle varie definizioni dell’uomo se ne potrebbe aggiungere un’altra. Egli è un essere che seppellisce i suoi morti con cerimonia”.
Tuttavia, nonostante tutto questo, alla fine, mentre generazioni vengono e vanno, i deceduti sono del tutto dimenticati. Anche quelli che in secoli passati si fecero nella storia un nome notevole, come persone reali, sono svaniti dal ricordo quotidiano dei viventi. La loro influenza su altri è cessata. Per esempio, potenti governanti dei tempi antichi come Nabucodonosor, Alessandro Magno e Giulio Cesare non influiscono ora sulla nostra vita quotidiana, sebbene influissero sulla vita di milioni di loro contemporanei. Lo spiacevole fatto che col tempo i morti siano dimenticati fu riconosciuto dal perspicace scrittore del libro biblico di Ecclesiaste: “Non c’è ricordo delle persone dei tempi precedenti, neanche ce ne sarà di quelli che verranno in seguito. Non ci sarà ricordo nemmeno d’essi fra quelli che verranno ancora più tardi”. (Ecclesiaste 1:11) Il fatto stesso che l’uomo cerchi tutto ciò che è in suo potere per essere ricordato pur sapendo che alla fine sarà dimenticato mostra che il suo desiderio di vivere, magari solo nella memoria, è innato.
LA MORTE DELL’UOMO PARE CHE NON ABBIA SENSO
Dati la generale reazione dell’uomo alla morte, il suo sorprendente potenziale in quanto alla facoltà di ricordare e imparare, e la sua intima comprensione dell’eternità, non è chiaro che egli fu fatto per vivere? Solo quando accettiamo la spiegazione della Bibbia che l’attuale stato mortale dell’uomo non fece mai parte dell’originale proposito di Dio acquistano senso le cose che altrimenti sarebbero molto sconcertanti. Prendete per esempio la durata della vita di certi alberi e di certi animali che supera quella dell’uomo.
Un albero può vivere centinaia d’anni; alcuni, come le sequoie e i pini aristati, migliaia d’anni. Non è insolito che una tartaruga gigante superi i 150 anni d’età. Perché dovrebbe accadere questo? Perché le piante che non hanno mente e le tartarughe che non ragionano vivono più a lungo dell’uomo intelligente?
E non è poi la morte dell’uomo un enorme spreco? Mentre una frazione della conoscenza e dell’esperienza dell’uomo può essere trasmessa ad altri, nella maggior parte queste cose sono perdute per i posteri. Per illustrare, un uomo può essere un notevole scienziato, un eccellente architetto o un valente musicista, pittore o scultore. Può aver ammaestrato altri. Ma alla sua morte nessuno ha tutta la somma del suo talento e della sua esperienza. Può anche essere stato sul punto di fare qualche cosa di nuovo dopo aver risolto molti problemi. Quelli che avrebbero potuto trarre beneficio dalla conoscenza e dall’esperienza da lui acquistate possono ora dover apprendere con prove ed errori, perché la loro propria opera sia quindi troncata dalla morte. Poiché il campo della conoscenza è molto vasto, perché dovrebbe l’umanità affaticarsi con la difficoltà d’esser privata delle persone che hanno acquistato esperienza le quali cadono vittime della morte?
Per giunta, l’affermazione che l’uomo dovesse vivere sulla terra solo pochi anni e poi morire non si può mettere in armonia con la credenza in un Creatore amorevole. Perché no? Perché questo significherebbe che il Creatore si interessa più di certe piante prive d’intelligenza e di certi animali muti che non degli uomini, che possono esprimere amore e apprezzamento. Significherebbe inoltre che egli ha poca compassione degli uomini, che, di tutte le forme di vita terrestre, son quelli più profondamente colpiti dalla morte.
Davvero, se questa vita fosse tutto quello che c’è, e se Dio avesse invero avuto questo proposito, come potremmo realmente amarlo? Sì, come potremmo essere attratti verso Colui che non ci permise di giungere alla piena attuazione del nostro potenziale? Non sarebbe una mancanza di benignità esser dotati di un enorme potenziale per acquistare conoscenza e quindi l non poterlo usare?
Comunque, se gli uomini furono fatti per continuare a vivere, hanno bisogno di una risposta alla domanda: Perché l’uomo muore? E ci vuole una risposta soddisfacente per aiutarli a capire perché Dio ha permesso che la morte continuasse a reclamare vittime umane per migliaia d’anni. Questo potrebbe ben rimuovere un grave impedimento che ostacola la via di chi viene in una relazione eccellente con il Creatore e ora trova vero significato e gioia nella vita.
Ma come possiamo esser sicuri della causa della morte?
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HA SENSO LA BREVE DURATA DELLA VITA DELL’UOMO?
Nonostante il loro sorprendente potenziale per imparare, gli uomini vivono solo 70 o 80 anni
È noto che anche i cigni vivono più di 80 anni
Benché prive d’intelligenza, le tartarughe vivono più di 150 anni
Alcuni alberi vivono migliaia d’anni
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Come vennero la vecchiaia e la morte?È questa vita tutto quello che c’è?
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Capitolo IV
Come vennero la vecchiaia e la morte?
PUR essendo popolarmente accettate come normali, la vecchiaia e la morte ancora sconcertano l’uomo. Questo è evidente dal fatto che per secoli sono state tramandate leggende per tentar di spiegare perché gli uomini invecchiano e muoiono.
Una versione di un antico mito greco narra che la donna Pandora aprì una scatola o vaso che le era stato detto di tener chiuso. Si dice che questo atto liberasse la “Vecchiaia”, la “Malattia”, la “Pazzia” e altri “Mali” che han continuato a piagare il genere umano.
In Australia, varie tribù aborigene credono che in principio gli uomini dovessero vivere per sempre. Ma dovevano tenersi lontani da un certo albero cavo. Quando le api selvatiche fecero di questo albero la loro dimora, le donne ne desiderarono grandemente il miele. Non tenendo conto dell’avvertimento degli uomini, una donna usò sull’albero la sua ascia. A ciò, dice la leggenda, volò via un grosso pipistrello. Il pipistrello era la “Morte”. Liberata dall’albero, essa prese a reclamare tutto ciò che toccava con le sue ali.
È significativo che le leggende di altri popoli ampiamente sparsi attribuiscano in modo simile la morte alla disubbidienza, in cui inizialmente è spesso implicata una donna.
PERCHÉ CI SONO SIMILARITÀ
Quando si leggono tali miti, alcuni possono essere inclini a porre la spiegazione biblica della causa della vecchiaia e della morte nella stessa categoria. Possono anche additare che sotto alcuni aspetti i miti sembrano paralleli al racconto biblico. Ma perché esistono queste similarità? È possibile che queste leggende abbiano in effetti una base che è stata semplicemente alterata?
La Bibbia stessa fa luce sulle risposte a queste domande. Indica l’antica Babele nella Caldea come il luogo da cui si sparsero gli uomini che si eran ribellati contro Dio sfidandone il comando. (Genesi 11:2-9) Le tavole della genealogia biblica mostrano che questo avvenne in un tempo nel quale vivevano alcuni uomini che, come fedeli servitori di Dio, conoscevano la verità sulla vita e la causa della morte. (Genesi 6:7, 8; 8:20, 21; 9:28; 10:1-9; 11:10-18; 1 Cronache 1:19) La maggioranza, comunque, poiché mostrava essa stessa di non curarsi della verità del proposito di Dio riguardo all’uomo, si poteva difficilmente ritenere che preservasse con accuratezza la verità su come venne la morte. Mentre si spargevano e il tempo passava, i fatti furono alterati e abbelliti; si formarono i miti. Nelle loro spiegazioni mitiche della causa della vecchiaia e della morte c’è una grande varietà, tuttavia vi si può discernere sotto una base comune.
Questa non è una semplice supposizione. Le prove disponibili mostrano che i miti religiosi, compresi quelli sulla morte, sorgono da un’origine comune. Nel suo libro The Worship of the Dead, il colonnello J. Garnier osserva:
“Non solo Egiziani, Caldei, Fenici, Greci e Romani, ma anche indù, buddisti della Cina e del Tibet, Goti, Anglosassoni, Druidi, Messicani e Peruviani, aborigeni dell’Australia e anche selvaggi delle isole dei mari del sud, tutti devono aver tratto le loro idee religiose da una fonte comune e da un centro comune. In tutti i luoghi troviamo in riti, cerimonie, usanze, tradizioni, e nei nomi e nelle relazioni dei loro rispettivi dèi e dee le più sorprendenti coincidenze”.
E quale luogo è questa fonte comune? Le prove indicano forse la Caldea, come la Bibbia fa capire? Il prof. George Rawlinson nota:
“La sorprendente somiglianza del sistema caldeo e di quello della Mitologia Classica [primariamente greca e romana] pare degna di particolare attenzione. Questa somiglianza è troppo generale, e troppo stretta sotto alcuni aspetti, per consentire la supposizione che la coincidenza sia stata prodotta dal semplice caso. Nei Panteon della Grecia e di Roma, e in quello della Caldea, deve riconoscersi lo stretto raggruppamento generale [di dèi e dee]; non infrequentemente si deve tracciare la stessa successione genealogica; e in alcuni casi anche i nomi e i titoli di divinità classiche familiari ammettono le più curiose illustrazioni e spiegazioni che vengono da fonti caldee”.
Perciò, a quale conclusione egli perviene? Egli dice:
“Possiamo a mala pena dubitare che, in un modo o l’altro, ci fu una comunicazione di credenze, un passaggio in tempi antichissimi, dalle spiagge del golfo Persico [dov’era l’antica Babele] ai paesi bagnati dal Mediterraneo, di nozioni e idee mitologiche”.
Così si riscontra che quello che la Bibbia indica come lo sviluppo di concetti religiosi è coerente con le altre prove storiche. Se la Bibbia realmente preserva con accuratezza la verità che i miti religiosi in seguito alterarono, il racconto biblico dovrebbe interessare le nostre facoltà di ragionare. Il racconto dovrebbe aver senso. Lo ha?
LA VITA DIPENDE DALL’UBBIDIENZA
Trattando le ragioni della vecchiaia e della morte, il primo libro della Bibbia, Genesi, non presenta qualche ambiente da “c’era una volta” in un “paese dei sogni”, ma fa un racconto reale. Si riferisce a un luogo reale, Eden, la cui generale località geografica è identificata da certi fiumi. Due di questi, l’Eufrate e il Tigri (Iddechel), son conosciuti fino a questo giorno. (Genesi 2:10-14, Versione di mons. Garofalo) Il tempo può fissarsi secondo la cronologia biblica come l’anno 4026 a.E.V. o poco dopo. Per giunta, il riferimento della Bibbia alla prima coppia umana è scientificamente corretto. Notate la pubblicazione The Races of Mankind:
“La storia biblica di Adamo ed Eva, padre e madre dell’intera razza umana, narrò secoli or sono la stessa verità che la scienza oggi ha mostrato: che tutti i popoli della terra sono una singola famiglia e hanno un’origine comune”.
Dopo aver narrato in quale maniera il primo uomo venne alla vita, il racconto biblico mostra che il Creatore, Geova Dio, diede inizio all’umanità in una dimora simile a un parco. Egli pose dinanzi all’uomo la prospettiva della vita senza fine, mentre nello stesso tempo ne rese condizionale il godimento. Dio disse all’uomo: “D’ogni albero del giardino puoi mangiare a sazietà. Ma in quanto all’albero della conoscenza del bene e del male non ne devi mangiare, poiché nel giorno in cui ne mangerai positivamente morrai”. — Genesi 2:16, 17.
Quello fu un comando semplice. Ma non è questo ciò che dovremmo attenderci? L’uomo Adamo in quel tempo era solo. La vita era semplice, non complicata. Non c’era nessun problema per procurarsi da vivere. Non c’erano le pressioni di un avido sistema commerciale. Non erano necessarie complesse leggi per controllare le inclinazioni peccaminose insite nel primo uomo. Come uomo perfetto, Adamo non aveva nessuna tendenza peccaminosa.
Per quanto questo comando fosse semplice, implicava una contesa morale che avrebbe potuto avere serie conseguenze. La disubbidienza al comando di Dio da parte delle prime creature umane avrebbe significato la ribellione contro di Lui quale Governante. In che modo?
Fu la proibizione di Dio a rendere errata la partecipazione del frutto dell’“albero della conoscenza del bene e del male”. Non c’erano in esso proprietà velenose. Il frutto era sano, letteralmente “buono come cibo”. (Genesi 3:6) Quindi, la proibizione di Dio riguardo all’albero semplicemente dava enfasi al fatto che l’uomo dipendeva appropriatamente dal suo Creatore quale Governate. Il primo uomo e la prima donna avrebbero potuto mostrare con l’ubbidienza di rispettare il diritto di Dio di far loro conoscere ciò ch’era “bene” o divinamente approvato, e ciò ch’era “male” o divinamente condannato. La disubbidienza da parte loro avrebbe significato perciò ribellione contro la sovranità di Dio.
Geova Dio dichiarò che la pena per tale ribellione era la morte. Era questa una pena troppo severa? Ebbene, non considerano molte nazioni del mondo un loro diritto condannare certi delitti con la pena capitale? Eppure queste nazioni non possono dare la vita a nessuno né possono sostenerne indefinitamente la vita. Ma il Creatore dell’uomo lo può. E fu a causa della sua volontà che Adamo ed Eva vennero all’esistenza. (Rivelazione 4:11) Non era dunque giusto che il Datore e Sostenitore della vita ritenesse la disubbidienza a lui meritevole di morte? Certo! E poi egli solo riconobbe la serietà dei dannosi effetti che sarebbero derivati dalla disubbidienza alla sua legge.
Ubbidendo al proibitivo comando, quella prima coppia umana, Adamo ed Eva, avrebbe potuto dimostrare il proprio apprezzamento e la propria gratitudine a Dio per tutto ciò che egli aveva fatto per loro. L’ubbidienza giustamente motivata avrebbe impedito loro di divenire egoistici e di non tener conto del loro Benefattore, Dio.
Il comando fu della specie che ci attenderemmo da un Dio di amore e di giustizia. Non fu irragionevole. Non li privò delle necessità della vita. C’erano molti altri alberi dai quali potevano soddisfare il loro bisogno di cibo. Pertanto, né Adamo né Eva ebbero alcuna ragione per sentire la necessità del frutto dell’“albero della conoscenza del bene e del male”.
Il racconto mostra che comunque un giorno, mentre non era in compagnia di suo marito, Eva cadde vittima di un inganno e prese del frutto proibito.a In seguito riuscì a persuadere suo marito di violare insieme a lei la legge di Dio. — Genesi 3:1-6.
Ora si potrebbe argomentare che Dio avrebbe potuto assumere un atteggiamento permissivo verso questa ribellione delle prime creature umane. Si potrebbe asserire che egli avrebbe potuto chiudere gli occhi alla loro trasgressione, lasciandola impunita. Ma sarebbe stata questa la condotta migliore? Non è vero che il non avere oggi sostenuto la legge fra gli uomini ha condotto alla mancanza di rispetto per le leggi giuste e all’aumento dei delitti e della violenza? Lasciare la trasgressione di Adamo ed Eva senza la punizione da Dio avrebbe significato far imbaldanzire essi e i loro discendenti in modo da commettere ulteriori illegalità. Questo avrebbe fatto partecipare Dio alla responsabilità delle loro azioni.
Quindi, la permissività avrebbe inoltre fatto dubitare della fidatezza della parola di Dio. Avrebbe fatto apparire che non intende ciò che dice e che le sue leggi possono perciò essere impunemente violate.
Così è chiaro che sostenere la sua legge e far subire alle prime creature umane le giuste conseguenze della loro volontaria, deliberata disubbidienza fu da parte di Dio la sola cosa giusta e retta da fare. Da non trascurare è che non ci fu in loro nessun pentimento. Essi non diedero nessuna prova di un cambiamento di cuore.
LA RAGIONE BASILARE: IL PECCATO
Con la loro ribellione contro Dio, Adamo ed Eva si recisero dalla buona relazione con lui. Non possedevano una vita indistruttibile, immortale. La Bibbia dice che mediante il suo potere Dio ‘fa stare sole, luna e stelle per sempre, a tempo indefinito’. (Salmo 148:3-6) Così anche per la prima coppia umana. Per continuare a vivere dipendevano da Dio.
Rifiutandosi di sottostare alla legge di Dio, Adamo ed Eva si privarono del Suo potere sostenitore. Per giunta, alienatisi da Dio, furono senza la sua direttiva e guida divine. Con l’andar del tempo, il peccato che aveva alienato Adamo ed Eva da Dio recò quindi la loro morte.
Comunque, dopo la loro trasgressione contro Dio avevano ancora in sé un enorme potenziale di vita. Ciò è evidente dal racconto storico che mostra come Adamo visse 930 anni. (Genesi 5:5) Tuttavia, su Adamo si adempì l’avvertimento: “Nel giorno in cui . . . mangerai [dell’albero della conoscenza del bene e del male] positivamente morrai”, poiché quel giorno Dio condannò Adamo a morte. — Genesi 2:17.
Con la sua disubbidienza, Adamo, quale progenitore della famiglia umana, recò la morte non solo su se stesso, ma anche sulla sua non generata progenie. Perciò la Bibbia dice: “Per mezzo di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e la morte per mezzo del peccato, e così la morte si estese a tutti gli uomini perché tutti avevano peccato”. — Romani 5:12.
Avendo perduto la perfezione, Adamo non la poté trasmettere alla sua progenie. Dall’inizio i suoi figli nacquero con debolezze. L’effetto che il peccato ebbe sul suo corpo non gli permise di generare una progenie senza limitazioni e debolezze. Questo è in armonia con la dichiarazione biblica di Giobbe 14:4: “Chi può produrre qualcuno puro da qualcuno impuro? Non c’è nessuno”. Pertanto, la vecchiaia e la morte degli uomini possono farsi oggi risalire al peccato ereditato all’inizio da Adamo. Come sua progenie, essi ricevono il salario che il peccato paga, la morte. — Romani 6:23.
In realtà, che cosa significa questo? Segna la morte la fine di tutti i propri processi vitali, o c’è qualche parte dell’uomo che continua a vivere? Continua l’esistenza cosciente, dopo la morte del corpo?
[Nota in calce]
a I particolari su questo inganno e sul suo istigatore sono trattati nel capitolo X.
[Cartina a pagina 28]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
LA MITOLOGIA DI MOLTI PAESI EBBE ORIGINE A BABELE
GRECIA
BABELE
INDIA
AFRICA
Golfo Persico
[Immagine a pagina 32]
La Bibbia dice che Dio diede alle prime creature umane la prospettiva della vita senza fine
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Che è questa cosa chiamata “anima”?È questa vita tutto quello che c’è?
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Capitolo V
Che è questa cosa chiamata “anima”?
CHE cosa sei tu? Sei tu, in effetti, due persone in una, un corpo umano con un cervello, un cuore, occhi, orecchi, lingua e così via, ma che hai anche dentro di te un’invisibile persona spirituale completamente separata dal tuo organismo carnale e che si chiama “anima”? In tal caso, che accade quando muori? Muore solo il tuo corpo, mentre l’anima continua a vivere? Come puoi saperlo con sicurezza?
Quasi tutte le religioni insegnano che, nel caso degli uomini, la morte non è la fine di tutta l’esistenza. Questo avviene non solo nei cosiddetti paesi cristiani dell’America Settentrionale e Meridionale, dell’Europa e dell’Australia, ma anche nei paesi non cristiani dell’Asia e dell’Africa. Il libro Funeral Customs the World Over nota: “Le persone della maggioranza delle culture credono che alla morte qualche cosa che lascia il corpo abbia una vita ulteriore”.
La credenza nell’immortalità dell’anima è assai prevalente fra le religioni non cristiane. Per esempio, i più stimati scritti sacri indù, Bhagavadgita, si riferiscono esattamente all’anima come immortale. La presentano come una giustificazione per uccidere in guerra, dicendo:
“Questi corpi giungono alla fine,
Si dichiara, dell’eterno incorporato (anima),
Il quale è indistruttibile e insondabile.
Perciò combatti, figlio di Bharata!
Chi lo crede un uccisore,
E chi lo crede ucciso,
Entrambi questi non capiscono:
Egli non uccide, non è ucciso.
Non nasce, né mai muore;
Né, essendo venuto all’esistenza, vorrà mai più venire a non essere.
Non nato, eterno, imperituro, questo antico
Non è ucciso quando il corpo è ucciso”.
— Bhagavadgita, II, 18-20.
Ma che cos’è l’anima di cui qui si parla? Pur essendo fermi credenti nell’immortalità dell’anima umana, gli indù ne descrivono la natura in termini vaghi. La pubblicazione Hinduism, di Swami Vivekananda, dice:
“L’indù crede che ogni anima è un circolo la cui circonferenza non è in nessun luogo, benché il suo centro sia situato nel corpo; e che la morte significa solo il cambiamento di questo centro da un corpo a un altro. Né l’anima è legata dalle condizioni della materia. Nella sua medesima essenza, essa è libera, non legata, santa, pura e perfetta. Ma in un modo o nell’altro si trova legata alla materia e si considera come materia”.
Qual è, dunque, la credenza generale fra i membri delle chiese della cristianità? Il prof. Cullmann (della facoltà di teologia nell’Università di Basilea e nella Sorbona di Parigi) afferma:
“Se dovessimo oggi chiedere a un comune cristiano (sia egli un colto protestante o cattolico, o no) che cosa concepisce che sia l’insegnamento del Nuovo Testamento circa il destino dell’uomo dopo la morte, con poche eccezioni otterremmo la risposta: ‘L’immortalità dell’anima’”.
Quando sono interrogati sulla natura dell’“anima”, gli aderenti delle chiese della cristianità pure rispondono con termini vaghi e oscuri. Essi non hanno dell’anima immortale un concetto più chiaro di quanto non l’abbiano gli aderenti delle religioni non cristiane. Questo fa sorgere la domanda: Insegna la Bibbia che l’anima è una parte immortale dell’uomo?
È L’ANIMA IMMORTALE?
Nella Bibbia la parola “anima” compare in molte traduzioni come una versione della parola ebraica neʹfesh e della parola greca psy·cheʹ (Si vedano, per esempio, Ezechiele 18:4 e Matteo 10:28 nelle Versioni di Diodati, mons. Martini, Nardoni, Pontificio Istituto Biblico e Riveduta). Questi stessi termini ebraico e greco sono stati anche tradotti “essere”, “creatura” e “persona”. Senza tener conto se la tua Bibbia rende le parole delle lingue originali in maniera coerente con “anima” (come fa la Traduzione del Nuovo Mondo), un esame delle scritture dove le parole neʹfesh e psy·cheʹ compaiono ti aiuterà a vedere ciò che questi termini significarono per il popolo di Dio dei tempi antichi. Così potrai determinare per tuo conto la vera natura dell’anima.
Descrivendo la creazione del primo uomo, Adamo, il primo libro della Bibbia dice: “Geova Dio formava l’uomo dalla polvere della terra e gli soffiava nelle narici l’alito della vita, e l’uomo divenne un’anima [neʹfesh] vivente”. (Genesi 2:7) Possiamo notare che la Bibbia non dice che ‘l’uomo ricevette un’anima’, ma che “l’uomo divenne un’anima vivente”.
Differì forse l’insegnamento cristiano del primo secolo da questo concetto dell’“anima”? No. In quello che è comunemente chiamato “Nuovo Testamento”, la dichiarazione circa la creazione di Adamo è citata come un fatto: “Così è anche scritto: ‘Il primo uomo Adamo divenne anima vivente’”. (1 Corinti 15:45) Nella lingua originale di questo versetto compare la parola per “anima”, psy·cheʹ. Conformemente, in questa scrittura la parola greca psy·cheʹ, come la parola ebraica neʹfesh, significa non qualche spirito invisibile che risieda nell’uomo, ma l’uomo stesso. Con giustezza, dunque, nella loro versione di Genesi 2:7 e di I Corinti 15:45, certi traduttori della Bibbia han preferito usare parole come “essere”, “creatura” e “persona”. — Versione Civiltà Cattolica, New English Bible, Young’s Literal Translation; Revised Standard Version; si paragoni la Versione a cura di Ricciotti, che usa “persona” in Genesi 2:7 ma “anima” in I Corinti 15:45.
È anche degno di nota che i termini neʹfesh, e psy·cheʹ si applicano agli animali. Riguardo alla creazione di creature marine e terrestri, la Bibbia dice: “Dio proseguì, dicendo: ‘Brulichino le acque di un brulichìo di anime [“creature”, New English Bible] viventi e creature volatili volino sopra la terra’ . . . Dio creava i grandi mostri marini e ogni anima vivente che si muove . . . ‘Produca la terra anime viventi secondo la loro specie, animali domestici e animali che si muovono e bestie selvagge della terra secondo la loro specie’”. — Genesi 1:20-24.
Tali riferimenti agli animali come anime non si limitano al libro iniziale della Bibbia. Dal primo libro delle Sacre Scritture fino all’ultimo, gli animali continuano a esser designati come anime. È scritto: “Devi togliere dagli uomini di guerra che sono usciti nella spedizione un’anima [neʹfesh] su cinquecento, del genere umano e della mandra e degli asini e del gregge”. (Numeri 31:28) “Il giusto ha cura dell’anima [neʹfesh] del suo animale domestico”. (Proverbi 12:10) “Ogni anima [psy·cheʹ] vivente morì, sì, le cose nel mare”. — Rivelazione 16:3.
L’applicazione della parola “anima” agli animali è molto appropriata. È in armonia con ciò che si pensa sia il significato basilare del termine ebraico neʹfesh. Si comprende che questa parola deriva da una radice che significa “respirare”. Quindi, in senso letterale, un’anima è “uno che respira”, e gli animali veramente respirano. Sono creature viventi che respirano.
In quanto alla loro applicazione agli uomini, le parole neʹfesh e psy·cheʹ sono ripetute volte usate in modo da significare l’intera persona. Leggiamo nella Bibbia che l’anima umana nasce. (Genesi 46:18) Essa può mangiare o digiunare. (Levitico 7:20; Salmo 35:13) Può piangere e venir meno. (Geremia 13:17; Giona 2:7) L’anima può giurare, bramare e cedere al timore. (Levitico 5:4; Deuteronomio 12:20; Atti 2:43) La persona può rapire un’anima. (Deuteronomio 24:7) L’anima può essere inseguita e messa nei ferri. (Salmi 7:5; 105:18) Non sono queste le specie di cose che possono esser fatte da o a persone carnali? Non stabiliscono tali passi della Scrittura con chiarezza che l’anima umana è l’intero uomo?
Numerosi eruditi cattolici, protestanti ed Ebrei del ventesimo secolo sono stati portati a questa conclusione. Notate i loro commenti:
“Il famoso versetto di Genesi [2:7] non dice, come spesso si suppone, che l’uomo consista di un corpo e di un’anima; esso dice che Yahweh formò l’uomo, terra dal suolo, e quindi animava il corpo inerte con l’alito vivente che gli soffiò nelle narici, così che l’uomo divenne un essere vivente, il che è tutto quello che qui nefesh [anima] significa”. — H. Wheeler Robinson del Regent’s Park College di Londra, in Zeitschrift für die alttestamentliche Wissenschaft (Giornale per la scienza del Vecchio Testamento), Vol. 41 (1923).
“Non si deve pensare che l’uomo ha un’anima: egli è un’anima”. — E. F. Kevan, Preside del London Bible College, in The New Bible Commentary (1965), 2a ediz., pag. 78.
“Nel V[ecchio] T[estamento] l’anima significa non una parte dell’uomo, ma l’intero uomo, l’uomo come essere vivente. In modo simile, nel N[uovo] T[estamento] significa la vita umana: la vita di un individuo, di un soggetto cosciente”. — New Catholic Encyclopedia (1967), Vol. 13, pag. 467
“La Bibbia non dice che abbiamo un’anima. La ‘nefesh’ è la persona stessa, il suo bisogno di cibo, il medesimo sangue delle sue vene, il suo essere”. — Dott. H. M. Orlinsky dello Hebrew Union College, citato nel Times di New York del 12 ottobre 1962.
Ti pare strano che eruditi di varie credenze religiose ora dicano che l’anima è l’uomo stesso? È questo ciò che ti è stato insegnato? O ti è stato insegnato che l’anima è una parte immortale dell’uomo? In tal caso, quale effetto ha avuto su di te questo insegnamento? Ti ha spinto a spender denaro per scopi religiosi che altrimenti avresti usato per le necessità della vita? Può darsi che la tua chiesa sia stata disonesta nel suo insegnamento? Chi ha ragione, la chiesa o i suoi eruditi?
Se gli eruditi hanno ragione di dire che l’anima umana è l’intera persona, compreso il suo corpo carnale, dovremmo attenderci che la Bibbia si riferisca all’anima come mortale. Avviene questo? Sì. La Bibbia dice che la neʹfesh o anima è ‘trattenuta’, ‘liberata’, ‘salvata’ dalla morte. (Salmi 78:50; 116:8; Giacomo 5:20) Leggiamo anche: “Non colpiamo a morte la sua anima”. (Genesi 37:21) “Vi deve fuggire l’omicida che senza intenzione colpisca mortalmente un’anima”. (Numeri 35:11) “La loro anima morrà nella stessa giovinezza”. (Giobbe 36:14) “L’anima che pecca, essa stessa morrà”. — Ezechiele 18:4, 20.
Ma è possibile che almeno in alcuni riferimenti della Scrittura le parole delle lingue originali rese “anima” designino qualche cosa che lascia il corpo alla morte ed è immortale? Che dire di scritture come le seguenti? “Mentre la sua anima se ne usciva (perché morì) gli mise nome Ben-Oni”. (Genesi 35:18) “Mio Dio, ti prego, fa tornare in lui l’anima di questo fanciullo”. (1 Re 17:21) “Smettete di suscitar clamore, poiché la sua anima è in lui”. (Atti 20:10) Non indicano questi passi che l’anima è qualche cosa che esiste indipendentemente dal corpo?
Il versetto di Giobbe 33:22, scritto in stile poetico, provvede la chiave per capire questi passi. Qui “anima” e “vita” sono poste in parallelo, così che le due parole potrebbero scambiarsi senza mutare il senso del passo. Leggiamo: “La sua anima si avvicina alla fossa, e la sua vita a quelli che infliggono la morte”. Da questo parallelo possiamo vedere che la parola “anima” può significare vita come persona e, perciò, la dipartita dell’anima può intendersi come un riferimento alla fine della vita come persona.
Per illustrare: Un uomo potrebbe dire che il suo cane ha ‘perduto la vita’ quando è stato investito da un autocarro. Intende dire egli che la vita di questo animale ha lasciato il corpo e ha continuato a esistere? No, semplicemente usa una figura di linguaggio per indicare che l’animale è morto. La stessa cosa avviene quando parliamo di un uomo dicendo che ‘ha perduto la vita’. Non intendiamo che la sua vita esiste indipendentemente dal corpo. In modo simile, ‘perdere la propria anima’ significa ‘perdere la propria vita come anima’ e non rende affatto il senso che l’esistenza continui dopo la morte. Avendo riconosciuto ciò, The Interpreter’s Dictionary of the Bible dichiara:
“La ‘dipartita’ della nefesh [anima] deve considerarsi come una figura di linguaggio, poiché non continua a esistere indipendentemente dal corpo, ma muore con esso (Num. 31:19; Giud. 16:30; Ezec. 13:19). Nessun versetto biblico autorizza la dichiarazione che l’‘anima’ al momento della morte si separi dal corpo”.
FONTE DELLA CREDENZA
La prova scritturale mostra con infallibile chiarezza che l’uomo non ha un’anima immortale, ma che è egli stesso un’anima. Come questa credenza circa un’anima immortale si fece dunque strada negli insegnamenti delle chiese della cristianità? Oggi si ammette con franchezza che questo è avvenuto per mezzo dell’influenza della filosofia pagana greca. Il prof. Douglas T. Holden, nel suo libro Death Shall Have No Dominion, scrive:
“La teologia cristiana si è tanto fusa con la filosofia greca che ha educato individui i quali sono un miscuglio di nove parti di pensiero greco su una parte di pensiero cristiano”.
La rivista cattolica Commonweal, nel suo numero del 15 gennaio 1971, confessò che l’idea dell’anima immortale era un concetto che “gli ultimi Giudei e i primi cristiani ereditarono da Atene”.
A chi si deve dare la colpa per questo miscuglio di pensiero greco pagano e cristiano? Non si deve dare forse al clero religioso? I componenti delle chiese non sono sicuramente venuti fuori da sé con questo insegnamento, insegnamento che gli eruditi biblici ora ammettono apertamente è antiscritturale.
Ma da dove gli antichi Greci presero il loro basilare fondamento religioso? Com’è già stato indicato, vi è la vigorosa prova che i concetti religiosi dei Greci e di altri popoli subirono l’influsso dei Babilonesi. E in quanto alle credenze babilonesi circa l’anima, notate ciò che dice The International Standard Bible Encyclopædia:
“Si supponeva che dopo la morte le anime degli uomini continuassero a esistere. . . . I Babilonesi . . . spesso ponevano accanto al morto oggetti che avrebbe potuto usare nella sua esistenza futura. . . . Nel mondo futuro pare si facciano distinzioni fra i morti. Pare che quelli che caddero in battaglia abbiano speciali favori. Essi ricevettero acqua fresca da bere, mentre quelli che non avevano nessuna posterità che mettesse offerte presso le loro tombe soffrivano pene e molte privazioni”.
Così i Greci poterono facilmente aver ricevuto le loro basilari idee sull’immortalità dell’anima da Babilonia, idee che furono quindi ampliate dai filosofi greci.
Sembra che qualche cosa di simile sia accaduto riguardo alle religioni non cristiane oggi ancora esistenti. Per esempio, un paragone dell’antica civilizzazione della valle dell’Indo, dove l’induismo è la religione prevalente, con quella della Mesopotamia rivela notevoli somiglianze. Queste comprendono costruzioni come le piattaforme delle religiose ziqqurat di Mesopotamia e i segni pittografici che assomigliano molto alle prime forme mesopotamiche. In base al suo studio, il noto assiriologo Samuel N. Kramer diede l’idea che la valle dell’Indo fosse colonizzata da un popolo fuggito dalla Mesopotamia quando i Sumeri assunsero il controllo della zona. Non è dunque difficile capire dove l’induismo prese la sua credenza in un’anima immortale.
Così le prove indicano Babilonia come la più antica fonte da cui la credenza nell’immortalità dell’anima umana si irradiò sino ai confini della terra. E lì a Babilonia, secondo la Bibbia, avvenne una ribellione contro Dio. In se stessa questa sarebbe una causa sufficiente per considerare la dottrina di un’anima immortale con riserve. Ma non dimenticate che, come abbiamo già visto, questo insegnamento è anche in diretto contrasto con la Bibbia.
Per di più, non è l’idea che l’anima umana sia immortale contraria a ciò che tu hai osservato personalmente? Per esempio, che cosa accade quando una persona perde i sensi, sviene, o è sotto l’effetto di un anestetico in un ospedale? Se la sua “anima” è in realtà qualche cosa di separato dal corpo e in grado di funzionare in maniera intelligente separatamente dal corpo, così che la stessa morte non influisce sulla sua esistenza e sulle sue funzioni, perché mai durante tale tempo di inconsapevolezza la persona non si rende affatto conto di tutta l’attività che si svolge intorno a lei? Perché le si deve poi dire ciò che è accaduto durante tale tempo? Se la sua “anima” può vedere, udire, sentire e pensare dopo la morte, come le religioni in genere insegnano, perché mai qualche cosa di assai meno drastico della morte, come un intervallo di inconsapevolezza, ferma tutte queste funzioni?
Inoltre, il corpo morto, sia esso di un uomo o di un animale, torna infine agli elementi della terra. Nulla della morte fa neanche pensare che ci sia un’anima immortale che continui a vivere.
EFFETTO DELLA DOTTRINA CIRCA L’IMMORTALITÀ DELL’ANIMA
Ciò che si crede riguardo all’anima non è di poca importanza.
L’insegnamento dell’immortalità dell’anima umana è stato usato per placare la coscienza della gente in tempo di guerra. I capi religiosi hanno fatto apparire che la soppressione della vita non sia una cosa così cattiva, giacché gli uccisi dopo tutto non muoiono realmente. E quelli che muoiono in battaglia contro il nemico hanno la promessa della beatitudine. Tipiche sono le osservazioni come quelle riferite dal Times di New York dell’11 settembre 1950: “Ai genitori afflitti i cui figli sono stati arruolati o richiamati per andare in battaglia fu detto ieri nella Cattedrale di S. Patrizio che la morte in battaglia faceva parte del piano di Dio per popolare ‘il regno del Cielo’”. L’idea qui espressa differisce di poco dall’insegnamento babilonese antico che i morti in guerra guadagnavano favori speciali.
Le errate rappresentazioni di ciò che la Bibbia dice sull’anima hanno così contribuito a far attribuire alla vita umana un valore inferiore e han fatto pensare alle persone di dipendere dai grandi sistemi religiosi i quali hanno falsamente preteso di interessarsi alle loro anime.
Conoscendo queste cose, che farai? È ovvio che il vero Dio che è il “Dio di verità” e che odia le menzogne, non guarderà con favore quelli che aderiscono alle organizzazioni che insegnano falsità. (Salmo 31:5; Proverbi 6:16-19; Rivelazione 21:8) E, realmente, vorresti ancora associarti con una religione che con te non è stata sincera?
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SONO TUTTE ANIME
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