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  • Alessandria
    Ausiliario per capire la Bibbia
    • la principale città dell’Egitto, e sotto i Tolomei, re ellenistici d’Egitto, Alessandria divenne la capitale. Rimase tale anche quando l’Egitto passò sotto la dominazione romana nel 30 a.E.V. e fu il centro amministrativo in epoca romana e bizantina fino alla conquista araba del VII secolo E.V.

      POSIZIONE E DESCRIZIONE

      Il luogo era ben scelto. A O del delta del Nilo, che si apre a ventaglio, c’è il lago Maryut (Mareotide) che costeggia il Mediterraneo, da cui è diviso da uno stretto istmo. Alessandria fu costruita su questa striscia di terra dove un tempo sorgeva il piccolo villaggio di Rakotide. Siccome il lago Mareotide allora era collegato col ramo canopico del Nilo (la più occidentale delle sette antiche bocche del Nilo), la città poteva servire come porto da entrambe le parti dell’istmo: a N attraccavano le navi d’altomare e a S le barche egiziane che scendevano il Nilo. Proprio a N della città c’era la piccola isola di Faro. Un molo, o strada rialzata, univa l’isola alla terraferma ed era chiamato Heptastadion (cioè “Sette stadi”, la lunghezza del molo [circa sette ottavi di un miglio romano o 1,3 km]). Questa strada rialzata serviva anche a dividere il porto in due spaziosi bacini. A E dell’isola di Faro fu costruito un faro alto 122 m, considerato una delle sette meraviglie del mondo antico.

      Lunga 24 km e larga solo 1,6 km, Alessandria era formata di isolati regolari con ampie vie, a tratti fiancheggiate da colonnati. Si dice che un terzo della città fosse costituito da palazzi e giardini pubblici. Il suo splendore e i magnifici edifici furono decantati da antichi scrittori. Particolarmente famosa era la grande biblioteca che faceva parte del “museo” di Alessandria, specie di università statale in cui dotti di molti paesi studiavano ogni ramo delle arti e delle scienze. La biblioteca era stata fondata e ampliata sotto i primi due Tolomei. Si cercò di raccogliervi copie di tutti i libri scritti in greco e in latino e pare che alla fine comprendesse circa 900.000 volumi o rotoli papiracei. La biblioteca fu però gravemente danneggiata da un incendio all’epoca di Giulio Cesare e fu infine distrutta dagli arabi nel VII secolo E.V.

      CENTRO EBRAICO

      Ad Alessandria fu completata la prima traduzione delle Scritture Ebraiche: la versione greca dei Settanta fatta da ebrei alessandrini, iniziata pare durante il regno di Tolomeo Filadelfo (285–246 a.E.V.).

      Gli ebrei per molto tempo costituirono una parte importante della popolazione di Alessandria che, al massimo del suo splendore, raggiunse circa 800.000 abitanti. Molti degli ebrei erano discendenti di rifugiati fuggiti in Egitto dopo la caduta di Gerusalemme nel 607 a.E.V. All’epoca di Tiberio si dice costituissero circa un terzo di tutta la popolazione della città. Nella loro sezione o quartiere chiamato Regio Iudaeorum, gli ebrei potevano vivere secondo le loro leggi e avevano un governatore proprio o alabarca. Fin dall’inizio ebbero gli stessi diritti dei greci. La loro abilità commerciale contribuì all’economia di Alessandria che, situata com’era in un punto strategico per il commercio con tre continenti, rivaleggiava in ricchezza con Roma. Era un importante centro bancario e dalle sue industrie e dai suoi porti provenivano papiro, vetro, profumi, tessuti, grano e altri beni di consumo.

      ATTIVITÀ CRISTIANA

      Non si sa in quale data o in che modo il cristianesimo fu introdotto ad Alessandria. La tradizione ne attribuisce il merito all’evangelista Marco, ma mancano le prove. Nel II secolo E.V. c’era un importante centro di studi cristiani in cui primeggiavano Clemente e il suo discepolo Origene, che fornirono una preziosa testimonianza sulla canonicità dei testi delle Scritture Greche Cristiane. Simile contributo diede pure Atanasio, vescovo di Alessandria, nel IV secolo E.V.

  • Alfabeto
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    • Alfabeto

      Sistema di segni grafici usati per scrivere i suoni fonetici di una lingua. Il nome “alfabeto” deriva dalle prime due lettere greche alfa e beta, che vengono a loro volta dalle lettere ebraiche ’àleph e behth.

      ORIGINE

      Ci sono molte teorie sull’origine dell’alfabeto: il cuneiforme sumero e babilonese, i geroglifici “ittiti” e la scrittura egiziana sono tutti considerati fra le possibili fonti. Tuttavia un noto studioso, il dottor David Deringer, nel suo libro The Story of the Aleph Beth (1958, p. 31) afferma: “Si è ora generalmente d’accordo che tutti gli alfabeti esistenti, e quelli non più in uso, siano derivati da un unico alfabeto originale”. A pagina 39 egli cita le parole di G. R. Driver: “E stato uno, e solo uno, dei doni dei semiti all’umanità”. Quindi prosegue: “Questo alfabeto è l’antenato di tutte le scritture alfabetiche che il mondo ha conosciute”.

      In quanto alle scoperte archeologiche, fra gli esempi di alfabeto più antichi, secondo i metodi di datazione seguiti dagli archeologi, sono le iscrizioni scoperte a Serabit el-Khadem nella penisola sinaitica, ritenute del XIX e XVIII secolo a.E.V., le tavolette ugaritiche di argilla trovate a Ras Sharma in Siria, in alfabeto cuneiforme e attribuite al XV e XIV secolo a.E.V., e le iscrizioni di Biblo in Fenicia, che si pensa risalgano al 1100 a.E.V. circa. Le lettere fenicie sono quasi identiche a quelle dell’alfabeto ebraico antico, mentre quelle del Sinai presentano notevoli diversità. Le più antiche iscrizioni ebraiche pervenuteci includono il frammento di un’iscrizione di Lachis del XII o XI secolo a.E.V., il cosiddetto “Calendario di Ghezer” (vedi CALENDARIO) ritenuto dell’XI o X secolo a.E.V., le belle iscrizioni in corsivo degli ostraca samaritani attribuite al regno di Geroboamo II (844–803 a.E.V.), e l’iscrizione della galleria di Siloe che evidentemente risale al regno del re Ezechia (745–716 a.E.V.). La maggior parte degli antichi scritti ebraici risale solo al III secolo a.E.V.

      In base a queste scoperte c’è la tendenza a considerare gli alfabeti fenicio e sinaitico anteriori a quello ebraico. Ma certo le cose non stanno necessariamente così, e nella pubblicazione già menzionata Diringer chiede: “È possibile che gli antichi ebrei, che hanno donato al mondo la Bibbia e il monoteismo, ci abbiano dato anche l’alfabeto? La possibilità certo esiste”. (The Story of the Aleph Beth, p. 37) La relativa scarsità di antiche iscrizioni ebraiche non prova certo il contrario, visto che gli ebrei non si preoccupavano di erigere monumenti o scrivere lapidi per ricordare le gesta di re ed eroi, come gli altri popoli antichi. Inoltre il clima e il terreno della Palestina, a differenza di quelli dell’Egitto, non contribuiscono alla preservazione di scritti papiracei.

      L’ordine delle lettere dell’alfabeto ebraico è chiaramente indicato negli scritti acrostici dei Salmi (34, 111, 112, 119 e altri), di Proverbi 31:10-31, e Lamentazioni capitoli 1-4 (anche se le lettere ʽàyin e pe’ sono invertite nei capitoli 2-4). In questi scritti le lettere dell’alfabeto compaiono in ordine consecutivo come lettere iniziali di ciascun successivo versetto, sezione o strofa. L’alfabeto ebraico, allora come oggi, consisteva di ventidue lettere, tutte consonanti, e probabilmente rappresentava circa ventotto suoni. Pare che solo verso il VI secolo E.V. sia stato introdotto un sistema di segni per indicare i suoni vocalici. Gli studiosi ebrei detti masoreti, per rappresentare in ebraico i suoni vocalici, impiegavano circa sette diversi “punti vocalici”, separati o combinati fra loro.

      TEORIA DELLA SCRITTURA PITTOGRAFICA

      È teoria comune che l’alfabeto ebraico sia derivato da una scrittura pittografica. Questa teoria cerca sostegno nel fatto che i nomi delle lettere ebraiche spesso sono uguali o simili ai nomi ebraici di certe cose: ’àleph vuol dire “toro”, behth “casa”, gìmel, simile all’ebraico gamàl, “cammello”, e così via. Tuttavia le difficoltà sorgono quando si cerca di continuare con tutte le altre lettere, e per stabilire la presunta somiglianza fra la forma delle lettere e il suggerito significato del nome spesso ci vuole notevole immaginazione. Infatti, mentre alcuni credono che la lettera gìmel originalmente rappresentasse un cammello (o il collo di un cammello), altri suggeriscono che originalmente raffigurasse un “bastone da lanciare”; alcuni che dàleth rappresentasse una porta, altri invece un pesce; zàyin un’arma o forse un ulivo; tehth un serpente oppure un cesto, e così via. È perciò interessante la dichiarazione di Diringer (The Story of the Aleph Beth, p. 40) in cui, dopo aver spiegato che il valore fonetico di ciascuna lettera ebraica corrisponde al suono iniziale del suo nome, fa notare: “Sarebbe erroneo concludere che [questo] indichi necessariamente l’uso di rappresentazioni figurative delle cose che avevano lo stesso nome delle lettere: in altre parole, non c’è alcuna prova che i simboli fossero in origine pittografici”. Infatti, insegnando l’alfabeto italiano, l’insegnante potrebbe dire che A sta per “asino”, B sta per “barca”, C sta per “casa”, indicando semplicemente che il suono della lettera è rappresentato dall’iniziale della parola seguente, non che la forma della lettera assomigli in alcun modo alla cosa identificata da tale parola o a qualche sua caratteristica.

      La teoria che l’alfabeto sia il risultato di una graduale evoluzione attraverso scritture pittografiche, ideografiche o sillabiche, non ha alcun fondamento solido. Anche se gli antichi egiziani finirono per usare alcuni segni fonetici per rappresentare certe consonanti, non li isolarono mai come un alfabeto distinto, e continuarono a usare i loro ideogrammi e fonogrammi sillabici fino all’inizio dell’era volgare. Poi adottarono l’alfabeto greco. Non ci sono nella storia esempi di alcuna scrittura pittografica che si sia sviluppata da sé in un alfabeto. Oltre agli egiziani, altri popoli, come i maya, usarono evidentemente per millenni una scrittura pittografica, che però non si evolse in un alfabeto. Anche i cinesi non hanno finora tratto un alfabeto dalla loro scrittura originalmente pittografica.

      SVILUPPI PIÙ RECENTI

      A proposito dell’unico alfabeto originale, Diringer spiega che altri popoli o civiltà apportarono poi le proprie varianti a tale scrittura alfabetica fondamentale, varianti che, col passar del tempo, finirono per essere quasi irriconoscibili rispetto ad altre della stessa famiglia (ed anche alla scrittura originale). Egli aggiunge: “Infatti la scrittura brahmi, il grande sistema di scrittura dell’India, l’alfabeto coreano, i caratteri mongoli, derivano dalla stessa fonte degli alfabeti greco, latino, runico, ebraico, arabo e russo, anche se è praticamente impossibile per il profano vedere una vera somiglianza fra loro”. — The Story of the Aleph Beth, p. 39.

      Dopo l’esilio in Babilonia gli ebrei adottarono caratteri aramaici da cui deriva la forma quadrata delle lettere caratteristica dell’alfabeto ebraico moderno. Comunque l’evidenza indica che anche dopo l’esilio si continuò a usare l’antica scrittura ebraica.

      L’alfabeto greco deriva dall’alfabeto semitico. Ai greci si deve un importante contributo in quanto presero le lettere in più per le quali non avevano consonanti corrispondenti (’àleph, he’, hhehth, ʽàyin, waw e yohdh) e se ne servirono per rappresentare i suoni vocalici a, e (breve), e (lunga), o, y, i. Dei due modi di scrivere il greco, orientale e occidentale, quest’ultimo diede origine all’alfabeto latino e quindi al nostro alfabeto.

  • Alfa e Omega
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    • Alfa e Omega

      (àlfa e omèga).

      Nomi rispettivamente della prima e dell’ultima lettera dell’alfabeto greco, usati tre volte come titolo nel libro di Rivelazione. Nella versione di Diodati questa espressione ricorre anche in Apocalisse (Rivelazione) 1:11, ma non trova alcun sostegno nei più antichi manoscritti greci, inclusi l’Alessandrino, il Sinaitico e il Codex Ephraemi Rescriptus. È perciò omessa in molte traduzioni moderne.

      Anche se molti commentatori applicano questo titolo sia a Dio che a Cristo, un più attento esame ne limita l’applicazione al Dio supremo. Il primo versetto di Rivelazione spiega che la rivelazione era stata data in origine da Dio e per mezzo di Gesù Cristo, quindi a parlare (per mezzo di un rappresentante angelico) a volte è Dio stesso e altre volte Cristo Gesù. (Riv. 22:8) Infatti Apocalisse 1:8, CEI, dice: “Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio [“Geova Dio”, NM], Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente”. Anche se il precedente versetto parla di Cristo Gesù, è chiaro che nel versetto 8 il titolo è applicato a Dio “Onnipotente”. Albert Barnes in Barnes’ Notes on the New Testament osserva in proposito: “Non può essere assolutamente certo che qui lo scrittore volesse riferirsi specificamente al Signore Gesù . . . E non c’è nessuna vera incongruenza nel supporre che lo scrittore qui volesse riferirsi a Dio come tale”.

      Il titolo ricorre di nuovo in Rivelazione 21:6, e il versetto successivo (Riv. 21:7) identifica chi parla dicendo: “Chiunque vincerà erediterà queste cose, e io gli sarò Dio ed egli mi sarà figlio”. Dato che

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