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    Ausiliario per capire la Bibbia
    • Da Aza [forse il villaggio o distretto che inviava vino e olio].

      Abi-ba‘al 2

      Acaz 2

      Seba 1

      Meriba‘al 1

      Tali ricevute rivelano inoltre il frequente uso del nome “Baal” come parte dei nomi propri; circa sette nomi propri includono questo nome su undici che contengono qualche forma del nome Geova, probabilmente a indicare l’infiltrazione dell’adorazione di Baal descritta nella Bibbia.

      L’archeologia e le Scritture Greche Cristiane

      Quanto dice Luca (2:1-3) del censimento che costrinse Giuseppe e Maria ad andare a Betleem un tempo era da molti considerato inaccurato per ciò che riguardava il censimento stesso, la posizione di Quirinio come legato in Siria nella data indicata, e l’obbligo che tutti i censiti si recassero al luogo d’origine. Ma sono stati scoperti documenti papiracei indicanti che tale censimento veniva fatto periodicamente e che Quirinio era stato legato di Siria non una ma due volte, e anche un editto del governatore romano d’Egitto del 104 E.V. che imponeva a coloro che dovevano essere censiti di recarsi nel luogo d’origine.

      Che Gesù si sia servito di un denaro con l’effigie di Tiberio Cesare (Mar. 12:15-17) è confermato dalla scoperta di un denaro d’argento con l’effigie di Tiberio e posto in circolazione verso il 15 E.V. (Confronta Luca 3:1, 2). Il fatto che Ponzio Pilato era procuratore romano della Giudea è dimostrato anche da una lapide scoperta a Cesarea che porta i nomi Pontius Pilatus e Tiberius in latino.

      Gli Atti degli Apostoli, che forniscono chiara evidenza di esser stati scritti da Luca, contengono numerosi riferimenti a città e relative province e a funzionari di diverso grado con vari titoli, in carica in una data particolare, tutti riferimenti suscettibili di errore da parte dello scrittore. (Nota anche Luca 3:1, 2). Eppure l’archeologia ha dimostrato in modo rimarchevole l’accuratezza di Luca. Infatti, in Atti 14:1-6, Luca pone Listra e Derbe nella Licaonia ma sottintende che Iconio era in un’altra regione. Alcuni scrittori romani, fra cui Cicerone, menzionarono Iconio come se fosse in Licaonia. Tuttavia un monumento scoperto nel 1910 spiega che Iconio era considerata senz’altro una città della Frigia e non della Licaonia.

      Similmente, a Soli, sulla costa N dell’isola di Cipro, è stata scoperta un’iscrizione che menziona il “proconsole Paolo” (Atti 13:7); un’iscrizione scoperta a Delfi conferma che Gallione era proconsole dell’Acaia nel 52 E.V. (Atti 18:12) Diciannove iscrizioni che risalgono al periodo dal II secolo a.E.V. al III secolo E.V. confermano la correttezza di Luca nell’usare il titolo “capi della città” (politàrkhes, sing.) parlando delle autorità di Tessalonica (Atti 17:6, 8), e cinque di tali iscrizioni si riferiscono proprio a questa città; pure corretto è il riferimento a Publio come “l’uomo principale” (pròtos) di Malta (Atti 28:7); tale era l’esatto titolo in uso, com’è indicato dalla sua presenza in due iscrizioni maltesi, una in latino e una in greco. Testi di magia sono stati scoperti a Efeso, e anche il tempio di Artemide (Atti 19:19, 27); qui gli scavi hanno riportato alla luce un teatro capace di 25.000 persone e iscrizioni che menzionano “commissari delle feste e dei giochi”, come quelli intervenuti a favore di Paolo, e pure un “cancelliere”, come quello che placò la turba in quell’occasione. — Atti 19:29-31, 35, 41.

      Alcune di queste scoperte spinsero Charles Gore a scrivere nel New Commentary on the Holy Scriptures a proposito dell’accuratezza di Luca: “Si dovrebbe, naturalmente, riconoscere che l’archeologia moderna ha quasi costretto i critici di S. Luca a emettere un verdetto di notevole accuratezza in tutte le sue allusioni a fatti e avvenimenti secolari”.

      VALORE COMPARATIVO DELL’ARCHEOLOGIA

      L’archeologia ha fornito informazioni utili che hanno contribuito all’identificazione (spesso ipotetica) di luoghi biblici, alla scoperta di documenti scritti che hanno consentito una migliore comprensione delle lingue originali in cui fu scritta la Bibbia, e ha fatto luce sulle condizioni di vita e le attività di sovrani e popoli antichi menzionati nelle Scritture. Eppure, per quanto riguarda l’autenticità e attendibilità della Bibbia e la fede nella Bibbia, nei suoi insegnamenti e nella sua rivelazione dei propositi e delle promesse di Dio, bisogna dire che l’archeologia è un contributo non essenziale e una conferma non richiesta della veracità della Parola di Dio. Come dice l’apostolo Paolo: “La fede è la sicura aspettazione di cose sperate, l’evidente dimostrazione di realtà benché non vedute. Per fede comprendiamo che i sistemi di cose furono posti in ordine dalla parola di Dio, per cui ciò che si vede è sorto da cose che non appaiono”. “Camminiamo per fede, non per visione”. — Ebr. 11:1, 3; II Cor. 5:7.

      Ciò non significa che la fede del cristiano non abbia alcuna base in quello che si può vedere né che riguardi solo l’intangibile. Ma è vero anzi che in ogni periodo ed epoca gli uomini hanno avuto in ciò che li circonda, e anche in loro stessi e nelle proprie esperienze, prove atte a convincerli che la Bibbia è la vera fonte della rivelazione divina e non contiene nulla che non sia in armonia coi fatti dimostrabili. (Rom. 1:18-23) La conoscenza del passato alla luce delle scoperte archeologiche è interessante e apprezzata, ma non indispensabile. Solo la conoscenza del passato alla luce della Bibbia è essenziale e veramente fidata. La Bibbia, con o senza l’archeologia, dà vero senso al presente e illumina il futuro. (Sal. 119:105; II Piet. 1:19-21) La fede che ha bisogno di essere rafforzata e sostenuta da mattoni sbriciolati, vasi rotti e mura cadenti è davvero una fede debole.

      Incertezza delle conclusioni archeologiche

      Anche se le scoperte archeologiche a volte hanno dato una risposta appropriata a quelli che trovano da ridire sulla Bibbia o criticano la storicità di certi avvenimenti, e hanno contribuito a sgombrare la mente di persone sincere eccessivamente impressionate dagli argomenti di tali critici, l’archeologia non li ha però messi a tacere né è un fondamento veramente solido su cui basare la propria fede nella Bibbia. Le conclusioni tratte sulla base di gran parte degli scavi compiuti sono principalmente frutto del ragionamento deduttivo e induttivo del ricercatore che, un po’ come un detective, costruisce la sua tesi. Anche in tempi moderni, se un detective scopre e raccoglie una quantità di indizi e prove, una tesi basata unicamente su prove del genere non confermate da testimoni degni di fede direttamente interessati alla questione, in tribunale sarebbe considerata una tesi molto debole. Le sentenze basate unicamente su simili evidenze hanno provocato grossi errori e ingiustizie. Tanto maggiore è il rischio quando due o tremila anni sono intercorsi fra l’investigazione e la data dell’avvenimento.

      Un esempio della grande diversità di opinioni o interpretazioni che gli studiosi possono dare ai reperti archeologici sono le rovine di certi grandi edifici a colonnati con cortili lastricati scoperti sia a Meghiddo che a Hazor. Quasi tutte le opere di consultazione li identificano come rovine di scuderie, probabilmente per i cavalli dei carri di Salomone. Ma D. J. Wiseman, professore di assiriologia presso l’università di Londra, in un articolo di The New Bible Dictionary (a cura di J. D. Douglas; p. 77) suggerisce che “potrebbero benissimo essere cancellerie o altri uffici pubblici piuttosto che edifici militari”.

      L’ovvia incapacità degli archeologi di mettere a fuoco con accuratezza più che approssimativa avvenimenti dell’antico passato non è il solo problema. A complicare ulteriormente la cosa sta il fatto che, nonostante si sforzino di conservare un punto di vista puramente obiettivo nel considerare ogni scoperta, gli archeologi, come altri scienziati, sono comunque soggetti a errori umani, preferenze e ambizioni personali, che possono incoraggiare ragionamenti tutt’altro che infallibili. Mettendo in risalto il problema, il professor W. F. Albright osserva: “D’altra parte, è pericoloso tentare nuove scoperte e punti di vista inediti a discapito del più solido lavoro di un tempo. Ciò è vero particolarmente in campi come archeologia e geografia biblica, dove è così difficile essere padroni degli strumenti e dei metodi di ricerca che c’è sempre la tentazione di abbandonare un metodo solido, sostituendo abili combinazioni e brillanti congetture a un lavoro più lento e più sistematico”. — The Westminster Historical Atlas to the Bible, Edizione riveduta, p. 9.

      Differenze nella datazione

      È importante tener conto anche di questo problema nel considerare le date attribuite dagli archeologi alle loro scoperte. H. H. Rowley, autorità nel campo, afferma: “Non si dovrebbe dare troppo peso alle date stabilite dagli archeologi, poiché dipendono, almeno in parte, da fattori soggettivi, com’è dimostrato sufficientemente dai grandi contrasti fra loro”. (Unger, Archaeology and the Old Testament, p. 152) A riprova di ciò, Merrill F. Unger dice (p. 164, nota in calce 15): “Per esempio, Garstang fissa la data della caduta di Gerico al 1400 a.C. circa . . . ; Albright accetta la data del 1290 a.C. circa . . . ; Hugues Vincent, il celebre archeologo palestinese, sostiene la data del 1250 a.C. . . . ; mentre H. H. Rowley considera Ramsete II il Faraone dell’Oppressione, e l’Esodo avvenuto sotto il suo successore Marniptah [Meneptah] verso il 1225 a.C.”. Pur sostenendo l’attendibilità di analisi e processi archeologici moderni, il professor Albright riconosce che “riesce ancora assai difficile ai non specializzati di orientarsi fra le contraddittorie datazioni e conclusioni degli archeologi”. — L’archeologia in Palestina, p. 319.

      È vero che si è ricorsi al metodo del radiocarbonio, insieme ad altri metodi moderni, per datare i reperti archeologici. Ma questo metodo non è del tutto accurato, com’è evidente dalla seguente dichiarazione di G. Ernest Wright in The Biblical Archaeologist (Vol. XVIII, 1955, p. 46): “Si noti che il nuovo metodo di datare antichi resti mediante il carbonio 14 non è risultato scevro di errori come si era sperato. . . . Certe valutazioni hanno ovviamente prodotto risultati sbagliati, probabilmente per diverse ragioni. Per il momento si può fare completo affidamento sui risultati ottenuti solo quando diverse valutazioni hanno dato risultati essenzialmente identici e quando la data sembra corretta secondo altri metodi di calcolo” (il corsivo è nostro). La continua divergenza d’opinione fra gli archeologi sulle conclusioni raggiunte indica che questo metodo non ha risolto il problema della datazione.

      Valore relativo delle iscrizioni

      Migliaia e migliaia di antiche iscrizioni sono state scoperte e vengono interpretate. Albright afferma: “I documenti scritti costituiscono di gran lunga la più importante singola massa di materiale scoperto dagli archeologi. È quindi estremamente importante farsi una chiara idea del loro carattere e della nostra capacità di interpretarle”. (The Westminster Historical Atlas to the Bible, Edizione riveduta, p. 11) Possono essere scritte su frammenti di ceramica, tavolette di argilla, papiro, o scolpite nella roccia granitica. Qualunque sia il materiale, le informazioni devono prima essere soppesate e vagliate per stabilirne il valore e l’attendibilità. Errori o complete falsità possono essere e spesso sono state scritte su pietra come su carta.

      Per esempio, la Bibbia afferma che Sennacherib re d’Assiria fu ucciso da due figli, Adrammelec e Sarezer, e che un altro figlio, Esar-Addon, gli successe al trono. (II Re 19:36, 37) Eppure le cronache babilonesi scoperte dagli archeologi affermavano che, il 20 tebet, Sennacherib fu ucciso da suo figlio durante una rivolta. Sia Beroso, sacerdote babilonese del III secolo a.E.V., che Nabonedo, re di Babilonia del VI secolo a.E.V., nei loro scritti danno la stessa versione, secondo cui Sennacherib fu assassinato da uno solo dei figli. Ma in un frammento del prisma di Esar-Addon scoperto più di recente, il figlio succeduto a Sennacherib afferma chiaramente che i suoi fratelli (plurale) si ribellarono e uccisero il padre e poi si diedero alla fuga. Philip Biberfeld dice in proposito nell’Universal Jewish History (1948, p. 27): “Le cronache babilonesi, Nabonedo e Beroso erano in errore; solo quanto dice la Bibbia si è dimostrato corretto. È stato confermato in tutti i minimi particolari dall’iscrizione di Esar-Addon e a proposito di questo avvenimento della storia assiro-babilonese si è dimostrato più accurato delle stesse fonti babilonesi. Questo è un fatto della massima importanza per la valutazione anche di fonti contemporanee non d’accordo con la tradizione biblica”.

      Problemi di decifrazione e traduzione

      Inoltre il cristiano dev’essere cauto prima di accettare senza obiezione l’interpretazione delle numerose iscrizioni scoperte in diverse lingue antiche. In alcuni casi, come quello della stele di Rosetta e dell’iscrizione di Bisutun, i decifratori hanno potuto approfondire notevolmente una lingua fino ad allora sconosciuta grazie a scritti paralleli in quella e in un’altra lingua nota. Ma non bisogna aspettarsi che ciò aiuti a risolvere tutti i problemi o consenta una piena comprensione della lingua con tutte le sue sfumature ed espressioni idiomatiche. Anche la comprensione delle fondamentali lingue bibliche, ebraico, aramaico e greco, ha fatto notevoli passi avanti negli ultimi tempi e queste lingue sono ancora oggetto di studio. In quanto all’ispirata Parola di Dio, possiamo giustamente aspettarci che l’Autore della Bibbia ci permetta di avere il corretto intendimento del suo messaggio grazie alle traduzioni disponibili nelle lingue moderne.

      Per illustrare la necessità di essere cauti e spiegare ancora una volta che l’obiettività nell’affrontare i problemi che si incontrano nel decifrare antiche iscrizioni spesso non è così rispettata come si potrebbe pensare, basta esaminare Il libro delle rupi: alla scoperta dell’impero degli Ittiti di C. W. Ceram (Einaudi, 1955) che riporta le seguenti informazioni su un eminente assiriologo che contribuì alla decifrazione della lingua “ittita” (pp. 125-129): “Il suo lavoro è veramente prodigioso: tanta era l’intelligenza con cui si mescolavano e si intrecciavano in esso errori veri e propri e notevoli scoperte, . . . e c’erano in lui errori motivati con tanto acume, che occorsero decenni per poterli individuare e sopprimere. È assolutamente impossibile seguire qui, sia pure nelle linee più generali, il processo del suo pensiero così traboccante di erudizione filologica”. Lo scrittore descrive poi la cocciutaggine di questo studioso che non rivedeva mai le proprie tesi: solo dopo molti anni acconsentì ad apportare alcune correzioni, ma a quelle che risultarono poi le interpretazioni giuste! A proposito della violenta polemica, piena di recriminazioni personali, fra questo studioso e un altro esperto di cuneiforme “ittita”, l’autore osserva come questo “fanatismo costituisse la forza motrice che animava gli scienziati”. Perciò, anche se il tempo e lo studio hanno eliminato molti errori nella comprensione delle iscrizioni antiche, facciamo bene a renderci conto che ulteriori ricerche porteranno probabilmente altre correzioni.

      La preminenza della Bibbia, quale fonte di conoscenza fidata, di informazioni veraci e quale guida sicura, è messa in risalto da questi fattori. Questa raccolta di documenti scritti ci dà il quadro più chiaro del passato dell’uomo e ci è giunta non grazie agli scavi, ma essendo preservata dal suo Autore stesso, Geova Dio. È “vivente ed esercita potenza” (Ebr. 4:12), ed è la “parola dell’Iddio vivente e permanente”. “Ogni carne è come l’erba, e tutta la sua gloria è come il fiore dell’erba; l’erba si secca, e il fiore cade, ma la parola di Geova dura per sempre”. — I Piet. 1:23-25.

  • Arciere
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    • Arciere

      Dopo il Diluvio l’uso dell’arco e delle frecce permise all’uomo di uccidere animali troppo veloci e pericolosi per essere catturati altrimenti, che gli servivano per nutrirsi, vestirsi e coprirsi. Con l’ascesa di Nimrod, arcieri furono probabilmente arruolati al suo servizio.

      Nel XX secolo a.E.V., Ismaele figlio primogenito di Abraamo “divenne arciere” per sopravvivere nel deserto. (Gen. 21:20) Anche Esaù, nipote di Abraamo, era abile nel maneggiare l’arco. (Gen. 27:3) I monumenti attestano che dai tempi più antichi gli arcieri costituivano il grosso delle truppe d’assalto egiziane, e sono presenti arcieri anche in sculture babilonesi. Ai giorni di Giosuè (Gios. 24:12) e di Davide (I Cron. 12:1, 2) e anche dopo, gli arcieri ebbero un ruolo importante nell’esercito d’Israele. (II Cron. 14:8; 26:14) Arcieri filistei, siri ed egiziani colpirono rispettivamente i re Saul, Acab e Giosia. — I Sam. 31:1-3; I Re 22:34, 35; II Cron. 35:20, 23.

      Bassorilievi di Ninive raffigurano arcieri assiri su carri da guerra, con due archi, uno lungo e uno corto. Quando lanciavano una freccia ne tenevano altre in mano, aumentando così la rapidità del tiro. Il piano d’attacco assiro era di sopraffare il nemico con una pioggia di frecce, e poi ricorrere alla spada e alla lancia nell’inseguimento.

      I persiani erano considerati gli arcieri più esperti del mondo. Bassorilievi di Persepoli e Susa mostrano soldati medi e persiani armati di arco e faretra. Dai cinque ai vent’anni i ragazzi persiani imparavano a maneggiare l’arco e cavalcare; i cavalieri persiani erano esperti anche nel tirare all’indietro. La mobilità e la libertà di movimento degli arcieri erano fondamentali nella strategia persiana per tempestare di frecce l’avversario.

      Le potenze occidentali greca e romana non facevano così grande uso di arco e frecce come le nazioni orientali, anche se a volte gli arcieri ebbero una parte importante nelle loro vittorie. Questo poteva dipendere dalla minor efficacia del metodo greco di tendere l’arco all’altezza del busto, invece di tenderlo all’altezza della guancia o dell’occhio come facevano egiziani e persiani. Mercenari cretesi e asiatici sembra fornissero esperti arcieri, mentre greci e romani preferivano usare spada e lancia.

      [Figura a pagina 102]

      Arciere egizio in piedi sul carro, da un dipinto scoperto in una tomba a Tebe

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      Vedi ARMI, ARMATURA.

  • Arcobaleno
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    • Arcobaleno

      Arco semicircolare che riflette i colori dello spettro solare. In ebraico non c’è un vocabolo particolare per arcobaleno, quindi nella Bibbia ricorre il vocabolo corrispondente a un normale “arco” (con cui si lanciano frecce). — Gen. 9:13; Ezec. 1:28.

      Complicate teorie sono state formulate per spiegare la formazione dell’arcobaleno. Basilarmente, quando un raggio di luce bianca penetra in una goccia d’acqua si rifrange in diversi colori, perché la goccia agisce come un minuscolo prisma. Ciascun colore colpisce la superficie interna della goccia e torna indietro riflesso a un angolo diverso e particolare. Infatti l’osservatore vede un arco con tutti e sette i colori dello spettro (dall’interno verso l’esterno dell’arco: violetto, indaco, blu, verde, giallo, arancione e rosso), anche se a volte questi si fondono in modo che solo quattro o cinque sono chiari. A volte si forma un arco “secondario” più grande e meno distinto con i colori invertiti. L’arcobaleno è tuttora oggetto di studio da parte degli scienziati.

      La prima menzione biblica di un arcobaleno si ha in relazione al patto che Dio fece con Noè e la sua progenie dopo che i superstiti del Diluvio erano usciti dall’arca. (Gen. 9:8-17; Isa. 54:9, 10) Tale splendida vista in se stessa poteva essere rassicurante e indicare pace per Noè e la sua famiglia. Ma se l’arcobaleno fosse già stato visto in precedenza, non avrebbe avuto vero senso che Dio lo dichiarasse uno straordinario segno del suo patto. Sarebbe stato una cosa ovvia, e non avrebbe

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