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    Ausiliario per capire la Bibbia
    • inclusi quelli che si trovavano nel paese di Amat. — Isa. 11:11, 12.

  • Amazia
    Ausiliario per capire la Bibbia
    • Amazia

      (Amazìa) [Yah(u) è potente].

      Re di Giuda che salì al trono a venticinque anni, nell’858 a.E.V., e regnò per ventinove anni, dall’assassinio del padre Ioas fino alla propria morte nell’829. Sua madre era Ieoaddim (Ieoaddan), sua moglie Iecolia. (II Re 14:1, 2; 15:2; II Cron. 25:1; 26:3) Quando ebbe saldo in mano il regno, giustiziò quelli che avevano assassinato suo padre, ma seguì la legge di Mosè non punendone i figli. (II Re 14:5, 6; Deut. 24:16) Il suo regno fu contrassegnato da un certo entusiasmo per la vera adorazione, ma non con “cuore completo” e non senza gravi mancanze che provocarono il disastro per lui e per la nazione di Giuda. La storia del suo regno ricorda principalmente due campagne militari. — II Cron. 25:2.

      Amazia conseguì dapprima una vittoria contro Edom o Seir, con un esercito di 300.000 uomini di Giuda e Beniamino. Aveva assoldato anche 100.000 mercenari di Israele, ma per consiglio di un uomo di Dio li rimandò a casa pur avendoli già pagati. Geova diede ad Amazia una schiacciante vittoria nella Valle del Sale, permettendogli di uccidere 20.000 nemici, e catturare Sela (Petra), cui diede nome Iocteel. Ma Amazia prese gli dèi di Seir e cominciò ad adorarli, facendo divampare l’ira di Geova contro di lui: “Perché hai ricercato gli dèi del popolo i quali non han liberato il loro proprio popolo dalla tua mano?” Amazia non fece che peggiorare la cosa mettendo a tacere il profeta di Geova. — II Re 14:7; II Cron. 25:5-16.

      La seconda campagna di Amazia fu tragica dall’inizio alla fine. I 100.000 mercenari di Israele che erano stati mandati via, mentre tornavano al nord assalirono alcune città di Giuda. Forse fu questo che indusse Amazia a sfidare stoltamente Ioas, re del forte regno settentrionale: “Vieni. Guardiamoci l’un l’altro in faccia”. Ioas rispose: Che sciocchezza per un’erbaccia spinosa affrontare un imponente cedro solo per essere calpestata da una bestia selvaggia! Amazia rifiutò d’ascoltare, apparentemente insuperbito dalla recente vittoria, ma in effetti perché Geova aveva deciso che fosse sconfitto a motivo della sua idolatria. La battaglia ebbe luogo a Bet-Semes: Giuda fuggì, Amazia fu catturato, nelle mura di Gerusalemme fu aperta una breccia di circa 178 metri e gran parte del tesoro del tempio e molti ostaggi furono portati a Samaria. — II Re 14:8-14; II Cron. 25:13, 17-24.

      Da quando Amazia si era allontanato dall’adorazione di Geova si era formata contro di lui una congiura che infine lo costrinse a fuggire a Lachis. Là i congiurati lo misero a morte. Ad Amazia successe il figlio sedicenne Azaria (Uzzia). — II Re 14:17-21; II Cron. 25:25-28.

  • Ambasciatore
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    • Ambasciatore

      [gr. prèsbys, anziano].

      In tempi biblici uomini maturi, anziani, erano scelti come ambasciatori.

      Gesù Cristo venne come “apostolo” o “inviato” di Geova Dio per diffondere “la luce sulla vita e sull’incorruzione per mezzo della buona notizia”. — Ebr. 3:1; II Tim. 1:10.

      Dopo che Cristo era stato risuscitato ed era asceso ai cieli, non essendo più in persona sulla terra, i suoi fedeli seguaci furono incaricati di agire in vece sua, come ambasciatori di Dio “in sostituzione di Cristo”. Paolo menziona specificamente il suo incarico di ambasciatore. (II Cor. 5:18-20) Come tutti gli unti seguaci di Gesù Cristo, fu inviato alle nazioni e ai popoli alienati da Geova Dio il Sovrano Supremo: ambasciatori a un mondo che non era in pace con Dio. (Giov. 14:30; 15:18, 19; Giac. 4:4) Come ambasciatore Paolo portava un messaggio di riconciliazione con Dio mediante Cristo e perciò mentre era in prigione disse che era un “ambasciatore in catene”. (Efes. 6:20) Il fatto che era in catene è una dimostrazione dell’atteggiamento ostile del mondo verso Dio e Cristo e il governo del regno messianico, poiché gli ambasciatori da tempo immemorabile sono considerati inviolabili. Ciò rivela la massima ostilità ed era il peggior insulto da parte delle nazioni che non rispettavano gli ambasciatori inviati per rappresentare il regno di Dio retto da Cristo.

      Per adempiere il suo ruolo di ambasciatore, Paolo rispettò le leggi del paese, ma rimase strettamente neutrale verso le attività politiche e militari del mondo. Questo era in armonia con il principio che gli ambasciatori dei governi mondani devono ubbidire alle leggi ma non devono giurare fedeltà al paese a cui sono inviati.

      Come l’apostolo Paolo, tutti i fedeli seguaci di Cristo, unti, generati dallo spirito, che hanno una cittadinanza celeste, sono “ambasciatori in sostituzione di Cristo”. — II Cor. 5:20; Filip. 3:20.

      Il trattamento che uno riserva a questi ambasciatori di Dio determina come Dio tratterà lui. Gesù Cristo espose questo principio con l’illustrazione del proprietario di una vigna che mandò come suoi rappresentanti prima i suoi schiavi, poi suo figlio, che i coltivatori della vigna uccisero. Per questo il proprietario della vigna portò la distruzione sui coltivatori ostili. (Matt. 21:33-41) Gesù fece un’altra illustrazione, quella del re i cui schiavi furono uccisi mentre in qualità di messaggeri invitavano gli ospiti a una festa nuziale. Chi aveva ricevuto in tal modo i suoi rappresentanti fu considerato nemico del re. (Matt. 22:2-7) Gesù affermò chiaramente il principio dicendo: “Chi riceve chiunque io mandi riceve anche me. A sua volta chi riceve me, riceve anche colui che mi ha mandato”. — Giov. 13:20; vedi anche Matteo 23:34, 35; 25:34-46.

      Gesù si servì anche dell’opera pacificatrice di un ambasciatore per illustrare che singolarmente abbiamo bisogno di chiedere la pace a Geova Dio e di rinunciare a tutto per seguire le orme di suo Figlio onde avere il favore di Dio e la vita eterna. (Luca 14:31-33) Viceversa illustrò la follia di unirsi a coloro che mandano ambasciatori per contrastare colui al quale Dio conferisce potere regale. (Luca 19:12-14, 27) I gabaoniti sono un buon esempio di come agire con tatto per avere successo nel chiedere la pace. — Gios. 9:3-15, 22-27.

      INVIATI PRECRISTIANI

      Nei tempi precristiani non esisteva un incarico governativo ufficiale che corrispondesse esattamente a quello del moderno ambasciatore. Non c’erano rappresentanti ufficiali stabili di un governo straniero. Perciò i termini “messaggero” e “inviato” si addicono meglio ai rispettivi incarichi in tempi biblici. Tuttavia il loro rango e la loro condizione erano sotto molti aspetti simili a quelli degli ambasciatori, e alcuni di questi aspetti saranno ora considerati. Tali uomini erano rappresentanti ufficiali che portavano messaggi da un governo o da un sovrano all’altro.

      A differenza degli ambasciatori moderni, gli antichi inviati o messaggeri non risiedevano nelle capitali straniere, ma vi erano inviati solo in occasioni speciali e per scopi precisi. Spesso erano persone d’alto rango (II Re 18:17, 18) e il loro incarico era molto rispettato, inoltre era accordata loro l’inviolabilità personale quando visitavano altri sovrani.

      Il trattamento riservato ai messaggeri o inviati di un sovrano era considerato come se fosse riservato al sovrano e al suo governo. Infatti quando Raab mostrò favore ai messaggeri inviati a Gerico come esploratori da Giosuè, in realtà agì in tal modo perché riconosceva che Geova era l’Iddio e Re d’Israele. Geova, per mezzo di Giosuè, le mostrò quindi favore. (Gios. 6:17; Ebr. 11:31) L’azione di Anun re di Ammon, a cui il re Davide aveva inviato alcuni servitori in segno di amicizia, fu una flagrante violazione della consuetudine internazionale di rispettare gli inviati. Il re di Ammon diede ascolto ai suoi prìncipi, considerando quei messaggeri come spie, e li umiliò pubblicamente mostrando mancanza di rispetto per Davide e il suo governo. Quest’azione ignobile provocò la guerra. — II Sam. 10:2–11:1; 12:26-31.

      All’opposto della consuetudine moderna di richiamare l’ambasciatore quando si rompono le relazioni diplomatiche con un governo, nell’antichità si mandavano messaggeri o inviati nei momenti di tensione per cercare di ristabilire relazioni pacifiche. Isaia parla di tali “messaggeri di pace”. (Isa. 33:7) Ezechia mandò a Sennacherib re d’Assiria una richiesta di pace. Anche se Sennacherib minacciava le città fortificate di Giuda, gli assiri lasciarono passare i messaggeri perché erano inviati di Ezechia. (II Re 18:13-15) Un altro esempio è la storia di Iefte, giudice d’Israele. Egli inviò messaggeri con una lettera di rimostranze contro un’azione errata da parte del re degli ammoniti e per risolvere la disputa sui diritti territoriali. Iefte, per mezzo dei suoi inviati, avrebbe voluto risolvere la cosa senza guerra. A questi messaggeri fu permesso di passare avanti e indietro fra gli eserciti senza incontrare ostacolo. — Giud. 11:12-28.

  • Amen
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    • Amen

      (àmen) [ebr. ’amèn; gr. amèn]

      Sia in greco che in italiano questa parola è una traslitterazione dall’ebraico. Il significato originale è “sicuro”, “veramente”, “così sia”, “verità”. La radice ebraica da cui deriva (ʼamàn) significa letteralmente “costruire, sostenere”, e in senso figurato “essere saldo, fedele”.

      Nelle Scritture Ebraiche il termine è usato come solenne espressione che impegna legalmente a un giuramento o patto con le sue conseguenze (Num. 5:22; Deut. 27:15-26; Nee. 5:13), come solenne adesione a una preghiera (I Cron. 16:36), a un’espressione di lode (Nee. 8:6) o a un proposito espresso. (I Re 1:36; Ger. 11:5) Ciascuno dei primi quattro libri o collezioni dei Salmi termina con questa espressione, forse a indicare che la congregazione d’Israele aveva l’abitudine d’intervenire alla fine del cantico o salmo con un “amen”. — Sal. 41:13; 72:19; 89:52; 106:48.

      Il termine ebraico ʼamàn è applicato a Geova come il “Dio fedele” (Deut. 7:9; Isa. 49:7), e descrive i suoi rammemoratori e le sue promesse come ‘fedeli’ e ‘degni di fede’. (Sal. 19:7; 89:28, 37) Nelle Scritture Greche Cristiane il titolo “Amen” è applicato a Cristo Gesù quale “testimone fedele e verace”. (Riv. 3:14) Gesù fece un singolare uso dell’espressione, ricorrendovi molto spesso per introdurre un’affermazione, promessa o profezia, sottolineando così l’assoluta veracità e attendibilità di quello che diceva. (Matt. 5:18; 6:2, 5, 16; 24:34; ecc.) In questi casi la parola greca (amèn) è tradotta “veramente” (VR; “in verità”) o, quando è raddoppiata, come in tutto il libro di Giovanni, “verissimamente”. (Giov. 1:51) Si dice che tale uso della parola “amen” da parte di Gesù sia unico nella letteratura sacra, ed è coerente con l’autorità datagli da Dio. — Matt. 7:29.

      Comunque, come spiega Paolo in II Cor. 1:19, 20, il titolo “Amen” si applica a Gesù non soltanto come annunciatore di verità o vero profeta e portavoce di Dio, ma anche come colui nel quale tutte le promesse di Dio trovano adempimento; e la sua condotta di fedeltà e ubbidienza fino a una morte di sacrificio conferma e rende possibile la realizzazione di tutte quelle promesse. Egli è la vivente Verità di quelle rivelazioni del proposito di Dio, delle cose giurate da Dio. — Confronta Giovanni 1:14, 17; 14:6; 18:37.

      L’espressione “amen” ricorre molte volte nelle lettere, specialmente in quelle di Paolo, dopo qualche forma di lode a Dio (Rom. 1:25; 16:27; Efes. 3:21; I Piet. 4:11), o esprime il desiderio che il favore di Dio si manifesti in qualche modo verso quelli a cui è indirizzata la lettera. (Rom. 15:33; Ebr. 13:20, 21) È usata anche quando lo scrittore sottoscrive fervidamente quanto è stato detto. — Riv. 1:7; 22:20.

      La preghiera riportata in I Cronache 16:36 e quelle dei Salmi (41:13; 72:19; 89:52; 106:48), come pure le espressioni contenute nelle lettere canoniche, indicano tutte la correttezza di dire “amen” alla conclusione delle preghiere. È vero che non tutte le preghiere riportate hanno tale conclusione, come l’ultima preghiera di Davide per Salomone (I Cron. 29:19) o la preghiera di dedicazione pronunciata da Salomone all’inaugurazione del tempio (I Re 8:53-61), anche se tale espressione poté essere usata. (Nota I Cronache 29:20). Similmente non ne è documentato l’uso nelle preghiere di Gesù (Matt. 26:39, 42; Giov. 17:1-26), né nella preghiera dei discepoli riportata in Atti 4:24-30. Tuttavia il peso dell’evidenza addotta indica chiaramente che è giusto dire “amen” a conclusione di una preghiera, e in particolare le parole di Paolo in I Corinti 14:16 spiegano che i cristiani radunati avevano l’abitudine di intervenire dicendo amen a una preghiera. Inoltre gli esempi di quanto avviene in cielo, riportati in Rivelazione 5:13, 14; 7:10-12 e 19:1-4, sostengono tutti l’uso di aderire a preghiere o dichiarazioni solenni pronunciando quest’unica parola, e di esprimere in tal modo la fiducia, la decisa approvazione e la sincera speranza del proprio cuore.

  • Ametista
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    • Ametista

      (ametìsta).

      Varietà semipreziosa di cristalli di quarzo, color ciclamino o viola, usata in gioielleria. Assume la forma di cristalli esagonali, e il colore è attribuito a tracce di manganese o ferro. Un tipo di ametista è una varietà del quarzo (occidentale), mentre l’ametista più pregiata (orientale) è una varietà del corindone o zaffiro. Il nome “ametista” deriva dalla parola greca amèthystos, che significa “contro l’ubriachezza”.

      Il “pettorale del giudizio” indossato dal sommo sacerdote di Israele, al terzo posto della terza fila di pietre aveva un’ametista. (Eso. 28:2, 15, 19, 21; 39:12) Nella visione della “Nuova Gerusalemme” Giovanni osservò che il dodicesimo fondamento delle mura della città santa era di ametista. — Riv. 21:2, 10, 19, 20.

  • Amico
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    • Amico

      La Bibbia dice che il vero amico è più affezionato di un fratello, la sua amicizia e lealtà sono costanti, viene in aiuto del suo compagno nell’angustia e lo consiglia con fedeltà. (Prov. 18:24; 17:17; 27:6, 9) Invece i numerosi amici del ricco e di chi fa regali si interessano solo dei benefici egoistici che traggono dall’amicizia. (Prov.

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