Lezione 41
Ecclesiaste e Cantico dei Cantici
“ECCLESIASTE” è il titolo del libro, così come è stato tramandato dalla versione greca dei Settanta, e significa “predicatore”. Nella Bibbia ebraica il libro è chiamato Qoheleth (si pronuncia cohèlet), dalla seconda parola del versetto iniziale. Qoheleth è la parola ebraica che il sapiente re Salomone applicò a se stesso come un nome, e che significa “ecclesiaste”, o “predicatore”, o proclamatore. (Eccl. 1:1, 2, nota in calce) Benché il libro non menzioni realmente il nome di Salomone come suo scrittore, parecchi passi sembrano abbastanza convincenti per poter stabilire che egli ne fu l’autore. Il Predicatore è identificato in Ecclesiaste 1:1, 12 come un figlio di Davide e re d’Israele a Gerusalemme. Nella storia biblica Salomone è l’unico che risponda a queste condizioni. I versetti 13-16 di questo stesso capitolo mostrano lo zelo del Predicatore nel cercare la sapienza, e l’eccellente successo ottenuto in questa sua ricerca di sapienza. Questo si addice a Salomone. Ecclesiaste 12:11 ci informa che il Predicatore fu un compositore di massime o sentenze. Il sapiente re Salomone non pronunciò forse tremila massime? — 1 Re 4:32.
È chiaro che il Predicatore di Ecclesiaste e Salomone sono una stessa ed unica persona. Questo è vero nonostante la contraria opinione di alcuni “critici” della Bibbia, che pare prendano piacere a intorbidare le chiare acque della verità con le loro “alte critiche”. I pochi termini aramaici che si trovano nel libro potrebbero essere stati appresi da Salomone da alcune delle sue mogli o concubine straniere. Inoltre la Siria, nella quale si parlava l’aramaico, faceva parte dei domini di Salomone. Può darsi che queste massime di Salomone, come i suoi proverbi, siano stati raccolti nella loro attuale forma come Ecclesiaste da un compilatore posteriore; ma questa possibilità non influisce nemmeno di un iota sul fatto che Salomone ne fu lo scrittore. Egli probabilmente compose questa serie di brevi saggi piuttosto innanzi nei quarant’anni del suo regno (1037-997 a.C.), ma prima della sua caduta nell’idolatria e della perdita del favore e del santo spirito di ispirazione di Dio. Alcuni Giudei e altri tradizionalisti cercano di giustificare il recidivo Salomone sostenendo che egli si riprese dalla sua caduta e che in seguito scrisse Ecclesiaste; ma non possono dare la minima prova di questa loro tradizione. La testimonianza biblica indica chiaramente che Salomone morì nella disapprovazione divina. — 1 Re 11:1-43.
Ma quando compose il libro di Ecclesiaste, Salomone era nel favore e sotto l’ispirazione di Geova. L’essenza del libro è: Temi Dio, il Giudice di tutti, e osserva i suoi comandamenti; eccetto la sua approvazione, tutto il resto è vanità. Questo tema è esplicitamente enunciato nell’introduzione e ribadito nella conclusione: “Vanità delle vanità dice l’Ecclesiaste, vanità delle vanità; tutto è vanità”. “Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: — Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell’uomo. — Poiché Dio farà venire in giudizio ogni opera, tutto ciò ch’è occulto, sia bene, sia male”. — 1:2; 12:10, 15, 16 12:8, 13, 14, NM.
Il seguente è un breve schema generale del contenuto di Ecclesiaste. Lo stato temporaneo dell’uomo è contrapposto alla terra che dura per sempre e alle continue operazioni dei suoi cicli naturali; il re prova e riprova i frutti delle occupazioni e fatiche umane solo per respingerli come vani con lo stanco commento: “Anche questo è vanità”; egli vede stabilito un tempo per ogni cosa e proposito; comprende che l’uomo e la bestia muoiono nello stesso modo e che entrambi tornano alla polvere dalla quale sono stati tratti; considera le oppressioni provocate da invidia, ozio, cupidigia, solitudine e caparbietà; avverte della follia del chiacchierone, dell’obbligo di adempiere i voti, del fatto che Dio tiene conto delle ingiustizie, e che il prodotto della terra è per tutti e non per i pochi che vanamente accumulano ricchezze; una rassegna dei rimedi alla vanità è seguita da osservazioni sulla sapienza; a tutti accadono le stesse cose, e nella tomba non c’è consapevolezza; sapienza e follia sono messe in netto contrasto l’una con l’altra; sono dettate regole per la carità; e il finale dodicesimo capitolo rafforza l’ammonizione a ricordare il Creatore nei giorni della vostra giovinezza e del vostro vigore, rivolgendo ulteriori ammonimenti circa i mali dell’età avanzata, quando la debole vecchiaia fa presa su di voi e vi priva della vostra forza di ricordare il Creatore con zelante attività nel Suo servizio.
CANTICO DEI CANTICI
Il titolo italiano è un’abbreviazione del primo versetto del libro: “Il Cantico de’ cantici di Salomone”. L’espressione “cantico de’ cantici” è superlativa, come le espressioni “Dio degli dèi”, “Signor dei signori”, “Re dei re”, “cielo dei cieli” (il più alto dei cieli), e “santo dei santi” (il Santissimo). Esso denota un cantico di suprema eccellenza e bellezza e non un cantico costituito di parecchi cantici, come la Bibbia è un libro formato da sessantasei libri più piccoli. Salomone fu lo scrittore del libro, come è letteralmente dichiarato nel versetto iniziale. Egli fu un fecondo scrittore di cantici, essendo attribuite a lui mille e cinque composizioni. (1 Re 4:32) Ma fra tutte, questo cantico di Salomone fu la migliore: fu IL CANTICO. Senza dubbio ciò è dovuto al fatto che fu scritto per ispirazione ed è di significato profetico.
Due personaggi sono preminenti nel cantico; un maschio, Salomone, ed una femmina, la Sulamita. Entrambi i nomi significano “pacifico”. “Sulamita” in ebraico è semplicemente la forma femminile di “Salomone”. (C. dei C. 1:5; 3:7, 9, 11; 6:13; 8:11, 12) Il libro potrebbe essere riassunto come segue: La sposa esprime il proprio amore per lo sposo; ella confessa di essere indegna, desidera di essere guidata verso il gregge, ed è condotta alle tende dei pastori; lo sposo descrive la sposa e fa benevole promesse (1:1-17); viene fatta una descrizione del loro reciproco amore, della venuta dello sposo, del richiamo rivolto alla sposa (2:1-17); la sposa parla dell’assenza dello sposo, della sua ricerca di lui, della sua riunione con lui, e descrive alcuni dei suoi attributi (3:1-11); lo sposo descrive la sposa e dichiara il proprio amore per lei (4:1-16); lo sposo chiama la sua sposa, ella esita, e quindi risponde solo per accorgersi che egli se n’è andato; mentre lo cerca è perseguitata dalle guardie della città; in risposta alle domande rivoltele dalle figlie di Gerusalemme ella fa una mirabile descrizione del proprio sposo (5:1-16); le compagne della sposa domandano dello sposo; lo sposo fa una particolareggiata descrizione della sposa (6:1–7:9); la sposa manifesta il suo inestinguibile amore per lui; viene indicata la condizione di una piccola sorella; è menzionato che Salomone affida la sua vigna; e il versetto finale è un appello a venire in fretta rivolto dalla sposa allo sposo. — 7:10–8:14.
L’essenza del Cantico dei Cantici è il reciproco amore dello sposo e della sposa. Poche poesie hanno suscitato maggiore attenzione, o hanno trovato un maggior numero di commentatori. Esso è un idillio allegorico (simbolico o figurativo) e lirico in forma drammatica. La caratteristica drammatica è mostrata dal dialogo e dalla storia piena di situazioni ed azioni drammatiche. Il bel soggetto di questo cantico dei cantici è il vero amore coniugale. Gli argomenti che svolge sono argomenti sacri. La composizione è squisitamente poetica, con tutta la bellezza naturalmente franca e casta del simbolismo biblico.
L’allegoria di questo cantico è confermata in tutte le Scritture e in particolare da Cristo Gesù, lo Sposo, benché questo libro non sia citato direttamente nelle Scritture Greche Cristiane. Tuttavia, la sua predizione figurativa viene riconosciuta nei seguenti testi: Matteo 9:15; 2 Cor. 11:2; Apocalisse 19:7-9; 21:2, 9. La canonicità di questo libro viene messa in dubbio da alcuni che asseriscono che il nome di Dio non vi è menzionato. La menzione del nome di Dio non è la regola per determinare la canonicità. L’assenza del nome di Geova non elimina il libro così come la semplice presenza del suo nome non lo renderebbe canonico. La stessa infondata obiezione è suscitata per il libro di Ester.
Ad ogni modo, risulta che il nome di Geova invece compare nel Cantico dei Cantici. Il capitolo 8, versetto 6, secondo l’American Standard Version dice: “Mettimi come un sigillo sul tuo cuore, come un sigillo sul tuo braccio: perché l’amore è forte come la morte; la gelosia è crudele come lo Sceol; le sue vampe son vampe di fuoco, una vera fiamma di Geova”. Rotherham dice: “La vampa di Jah!” La nota in calce di Rotherham su questo dice: “Cioè, le fiamme d’amore accese nel cuore umano emanano da Geova. Ma la preoccupazione dei Soferim [Giudei] di non descrivere Geova come la sorgente dell’amore umano, e in ispecie di non esibirla in paragone con l’Ades, ha spinto gli [editori] occidentali del testo a togliere il nome di Dio dall’unico luogo dove il Nome Divino ricorre in questo libro”. Inoltre, l’adempimento di quanto è di valore profetico nel Cantico dei Cantici, per quel che se ne può comprendere, conferma l’autenticità del libro.
[Domande per lo studio]
1. Che cosa si può dire intorno all’origine e al significato del nome “Ecclesiaste”?
2. Chi scrisse il libro, e quando?
3. Qual è l’essenza del libro?
4. Riassumete il suo contenuto.
5. Quali informazioni sono date sul titolo del libro Cantico dei Cantici?
6. Chi compose il cantico?
7. Riassumete brevemente i dialoghi del libro.
8. Qual è l’essenza del libro? e il suo stile?
9. Come ne è confermata l’allegoria?
10. Quale evidenza mostra la canonicità del libro?