BIBLIOTECA ONLINE Watchtower
BIBLIOTECA ONLINE
Watchtower
Italiano
  • BIBBIA
  • PUBBLICAZIONI
  • ADUNANZE
  • g71 8/2 pp. 17-20
  • Alluminio, prodotto di nuove frontiere

Nessun video disponibile.

Siamo spiacenti, c’è stato un errore nel caricamento del video.

  • Alluminio, prodotto di nuove frontiere
  • Svegliatevi! 1971
  • Sottotitoli
  • Vedi anche
  • Aperte nuove frontiere
  • Lo stabilimento di Kitimat
  • La diga di Kenney
  • La cascata dentro la montagna
  • Alimentazione della fonderia
  • Domato il Niger
    Svegliatevi! 1970
  • Quando la diga sul fiume Teton cedette
    Svegliatevi! 1977
  • Uno sguardo al mondo
    Svegliatevi! 1982
  • Energia dal cuore di una montagna
    Svegliatevi! 1991
Altro
Svegliatevi! 1971
g71 8/2 pp. 17-20

Alluminio, prodotto di nuove frontiere

Dal corrispondente di “Svegliatevi!” in Canada

UN GIGANTE che giorno dopo giorno, ora dopo ora, consuma incredibili quantità di cibo: questa è l’appropriata descrizione dello stabilimento dove si estrae l’alluminio. Il suo alimento è il minerale più importante dell’alluminio, la bauxite, o il suo sottoprodotto, l’allumina. Che si tratti dell’una o dell’altra, l’alimentazione dev’essere continua e nello stesso tempo sono necessarie enormi quantità di energia elettrica. Per stabilire un centro per l’estrazione dell’alluminio, quindi, dev’esserci vicino una notevole sorgente di energia elettrica e anche un buon porto.

Una località con queste cose sarebbe adatta vicino a qualche grande città? No, perché altri consumatori attingerebbero notevolmente alla sorgente d’energia. Uno stabilimento per l’estrazione dell’alluminio deve praticamente avere l’uso esclusivo dell’energia fornita. Per questa ragione di solito l’industria dell’alluminio sorge in zone agli estremi limiti della civiltà.

In grande misura, i fattori che determinano la scelta di un luogo in cui far sorgere tale stabilimento sono la geografia e il clima con sufficienti precipitazioni per assicurare una costante quantità d’acqua. L’unico stabilimento norvegese dove si estrae l’alluminio si avvale dell’energia prodotta dall’acqua che cadendo dalle circostanti montagne fa un salto di 834 metri.

Nel Ghana, il fiume Volta è stato sbarrato con una diga in cui è una centrale per la produzione di energia idroelettrica che rifornisce una fonderia di alluminio e uno stabilimento dove si trasformano in allumina i più grandi depositi di bauxite del mondo. La regione montuosa dello stato di Minas Gerais in Brasile a Curo Preto ha tre moderne centrali idroelettriche che riforniscono una fonderia la cui bauxite proviene da una distanza di solo un chilometro dal luogo in cui è lavorata.

Cinquant’anni fa a Shawinigan Falls, nel Quebec, l’industria installò una grande centrale di generatori e una fonderia per la lavorazione dell’alluminio all’interno della valle del fiume Saint-Maurice, 160 chilometri a ovest della città di Quebec. Alcuni anni dopo, a nord di quella città furono costruite a Isle Maligne sul fiume Saguenay una centrale elettrica e una fonderia. Poco dopo ad Arvida, alcuni chilometri a est dello stesso fiume, cominciò a sorgere il più grande stabilimento per l’estrazione dell’alluminio del mondo, industrializzando il paese di Saguenay un tempo impenetrabile. Ora, sulla costa occidentale del Canada, parte del retroterra della Columbia Britannica è stata aperta mediante le installazioni Kitimat della Compagnia Canadese dell’Alluminio.

Aperte nuove frontiere

Nella Guyana, paese del favoloso El Dorado, sono stati sfruttati immensi depositi di minerali ricchi di allumina. Per cinquantaquattro anni il minerale bruno rossastro è stato estratto con l’esplosione di mine da giacimenti di spessore medio variabile tra i quattro metri e mezzo e i quattordici metri. Nel 1958 la zona intorno alla comunità di Mackenzie produceva 300.000 tonnellate di bauxite all’anno. Oggi nei sili in cui è conservata presso i moderni bacini, quasi tre milioni di tonnellate ne sono caricate annualmente sulle navi dirette agli stabilimenti Saguenay del Quebec.

Dieci anni fa pochi avevano sentito parlare di Weipa sulla costa australiana del Queensland nell’estremo nord. Nel 1955 un geologo australiano scoprì quello che si è rivelato per il maggiore deposito di bauxite del mondo. Nel 1968 erano già utilizzati 189 chilometri quadrati di giacimenti, con una riserva comprovata di 516 milioni di tonnellate. Trivellazioni esplorative effettuate in altri 414 chilometri quadrati di superficie rivelarono un potenziale di 1.200 milioni di tonnellate. All’improvviso, l’apporto dell’Australia all’industria della bauxite fu tale da suscitare meraviglia e rispetto nella mondiale industria dell’alluminio.

Le operazioni di estrazione a Weipa sono molto semplici. Quando si raggiunge lo strato di minerale, spesso a volte nove metri, non occorrono mine. I caricatori semplicemente lo sollevano dal giacimento mettendolo su autocarri con cassoni ribaltabili della portata di 50 tonnellate. È trasportato agli impianti di lavorazione dove né è migliorata la qualità mediante classificazione e lavaggio. Trasportatori a cinghia portano quindi il minerale lavato e trattato a una riserva all’aperto, dove con un sistema di trasportatori si carica il minerale sulle navi.

Nel 1969 erano già stati spesi in questo progetto oltre 24.800.000.000 di lire. Oltre al moderno stabilimento e ad opere nel porto, è sorta una nuova comunità che ospita oltre 350 persone, con case dotate di aria condizionata, una scuola, negozi, un teatro, polizia e servizi ospedalieri. Dal 1957, quando era un deserto, Weipa è divenuto ora uno dei principali porti australiani da cui si spediscono grandi quantità di materiale. La capacità massima degli impianti nel 1963 era di mezzo milione di tonnellate all’anno. Questa cifra salì a quattro milioni di tonnellate nel 1968, e si pensa che raggiungerà i sette milioni di tonnellate annue al principio degli anni settanta.

Pertanto nella Guyana e in Australia sono state aperte nuove frontiere. Ma in essi, come in altri paesi, l’estensione dell’industria in zone agli estremi limiti della civiltà non ha recato solo benedizioni. Alberi e vegetazione vengono abbattuti, e le miniere a cielo aperto prendono il posto del bel deserto. Naturalmente, il Creatore mise nella terra i minerali perché l’uomo li usasse, e com’è davvero ricca questa terra di minerali! È anche proposito di Dio che questa terra divenga un Paradiso. Ma sfruttando le risorse minerali della terra l’uomo lascia brutte cicatrici e parti del paese rimangono desolate. Egli non ha risolto il problema di usare le risorse terrestri senza sciupare la bellezza della sua dimora terrestre.

Lo stabilimento di Kitimat

In modo interessante, molte migliaia di tonnellate di allumina estratta dalla bauxite australiana saranno presto usate per alimentare i crogiuoli dello Stabilimento canadese di Kitimat.

In un’impervia località appartata delle Montagne Costiere sorgono lo stabilimento di Kitimat e la centrale elettrica. Il progetto fu un trionfo dell’ingegneria e opera di 7.500 uomini. Cominciò a nascere nella primavera del 1951 quando si cominciò a lavorare a un progetto che al tempo del suo completamento sarebbe venuto a costare 272.800.000.000 di lire. In Canada non si era mai speso tanto denaro in una sola impresa privata. I progetti in corso prevedono che gli stabilimenti conseguiranno una produzione annua di 550.000 tonnellate di alluminio in lingotti, facendone la più alta del mondo.

Tre anni dopo l’inizio della costruzione di questo vasto complesso, uscì dai crogiuoli uno scintillante lingotto d’alluminio del peso di ventitré chilogrammi. Kitimat era in esercizio! Lo stabilimento stesso fu costruito su ciò che in precedenza erano piane inondate dalla marea nel Braccio di Kitimat del Canale Douglas. Una moderna città prese forma a undici chilometri dallo stabilimento a valle. Furono anche costruiti un porto marittimo, una linea ferroviaria e una strada moderna per soddisfare i bisogni dello stabilimento e della nuova città.

La diga di Kenney

Per produrre l’energia necessaria alla fonderia occorreva un continuo flusso discendente d’acqua. Ciò significava imbrigliare l’acqua di tutti i laghi di un altipiano lungo circa 210 chilometri. Fino al novembre del 1952, quelle acque scorrevano verso est per unirsi alla rete fluviale del Fraser diretta al Pacifico vicino a Vancouver. All’estremità occidentale dell’altipiano il lago Tahtsa fu bloccato dalla barriera di solida roccia del monte Dubose di 2.100 metri, così che non riversasse le sue acque nel Pacifico, a soli trentadue chilometri. Per formare un bacino abbastanza grande per i bisogni della prevista centrale elettrica ci voleva una diga alta circa 100 metri per chiudere lo sbocco orientale dell’altipiano, il fiume Nechako. Venne così all’esistenza la diga Kenney.

Prima che potessero iniziare i lavori della diga, si dovette costruire una via d’accesso di 100 chilometri dalla stazione ferroviaria di Vanderhoof attraverso acquitrini e boscaglia, nonché settantadue chilometri di strade per trasportare il materiale. Fu pure provveduta una pista d’atterraggio di 900 metri per trasportare uomini e materiale da Vancouver, a tre ore di distanza per via aerea. Al termine, la diga era lunga 458 metri, larga 458 metri alla base e si andava assottigliando fino a dodici metri in cima. Essa divenne la terza diga di roccia del mondo in ordine di altezza.

Cinque anni dopo c’erano nel bacino 23.000.000.000 di metri cubi d’acqua più che prima che fosse costruita la diga. Ma ora quest’acqua si doveva far cadere da un’altezza di 800 metri all’estremità occidentale del lago Tahtsa fino al livello della centrale elettrica del fiume Kemano sedici chilometri più a ovest. Ci voleva una cascata.

La cascata dentro la montagna

Come si ottenne? Ebbene, mentre era ancora in corso di preparazione la diga Kenney, cominciarono i lavori anche presso il monte Dubose. Nella parete del monte all’estremità occidentale del lago Tahtsa fu scavata una galleria di sedici chilometri. Aveva un diametro di otto metri. Nello stesso tempo dal livello della centrale elettrica furono prodotte per mezzo di mine due gallerie del diametro di cinque metri, dirette verso l’alto, a un angolo di 48° per incontrarsi con l’estremità occidentale della galleria nel cuore del monte Dubose. All’interno di queste gallerie sezioni di tubi d’acciaio, lunghe otto metri e mezzo e con un diametro di oltre tre metri, furono saldate insieme per formare le condutture, lunghe entrambe 790 metri. Pezzi di roccia e cemento furono messi tutt’intorno a queste condutture per tenerle fermamente al loro posto.

Ciascuna conduttura portava a un collettore con quattro bracci del diametro di un metro a mezzo collegati alle turbine idrauliche dei generatori. Sotto la centrale elettrica furono aperte per mezzo di esplosioni gallerie per i canali di scarico da ciascun generatore, e queste furono infine collegate con la galleria del principale canale di scarico di otto metri che getta l’acqua utilizzata nel fiume Kemano e poi nel Pacifico.

Così le acque che una volta scorrevano verso est scorrono ora verso ovest per far funzionare quella che dovrà divenire una delle più grandi centrali elettriche di proprietà privata del continente. La cascata prodotta all’interno del monte è, in effetti, sedici volte più alta delle cascate del Niagara.

Alimentazione della fonderia

Non solo la cascata è all’interno del monte Dubose, ma la centrale elettrica stessa è in una caverna in cui, per lunghezza, potrebbe facilmente entrare il transatlantico Queen Elizabeth I. Quando avrà infine raggiunto la prevista piena capacità misurerà 346 metri di lunghezza, ventisei metri di larghezza e quarantaquattro metri di altezza. Dovrà avere sedici unità generatrici che produrranno 2.400.000 cavalli vapore di elettricità. Il sistema di ventilazione di questo vasto impianto deve funzionare in continuazione, mandando 21.500.000 centimetri cubi d’aria al minuto al piano delle operazioni e al piano principale.

Le speciali linee elettriche d’alluminio con rinforzi d’acciaio che collegano alla fonderia, a circa ottantadue chilometri di distanza, attraversano un tratto di paese realmente accidentato, compreso il passo Kildala di 1.600 metri. Per costruire la linea fu necessaria una strada i cui ultimi dieci chilometri raggiungono una pendenza di 300 metri ogni chilometro e mezzo. Ci son voluti 309 pali per sostenere la linea. La linea stessa, essendo esposta a venti, tempeste di neve e di ghiaccio, fu costruita con una resistenza di sessanta chilogrammi per metro di lunghezza. Il cavo stesso, per la maggior parte della distanza, pesa poco più di tre chili per metro, mentre la parte che attraversa il passo Kildala pesa quasi sette chili per metro e ha un diametro di poco più di 3,2 centimetri.

Il lavoro fu infine terminato. Ai centri di controllo di ciascuna estremità della linea si chiusero gli interruttori. Una forte corrente attraversò la linea per far funzionare i crogiuoli nella fonderia. Mentre lo scintillante argenteo metallo scendeva dai crogiuoli nella ruota di fusione dove si formano i lingotti, veniva scritto un altro capitolo nell’affascinante storia dell’alluminio, prodotto di nuove frontiere.

    Pubblicazioni in italiano (1950-2025)
    Disconnetti
    Accedi
    • Italiano
    • Condividi
    • Impostazioni
    • Copyright © 2025 Watch Tower Bible and Tract Society of Pennsylvania
    • Condizioni d’uso
    • Informativa sulla privacy
    • Impostazioni privacy
    • JW.ORG
    • Accedi
    Condividi