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  • Visita agli Igoroti
  • Svegliatevi! 1976
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  • Usanze e costumi degli Igoroti
  • Corteggiamento, matrimonio e lavoro
  • La casa degli Igoroti
  • Valeva la pena di venire
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    Svegliatevi! 1995
Altro
Svegliatevi! 1976
g76 22/7 pp. 9-11

Visita agli Igoroti

Dal corrispondente di “Svegliatevi!” nelle Filippine

NELLE prime ore del pomeriggio mia moglie e io saliamo su un comodo autobus dotato di aria condizionata e ci adagiamo sui soffici sedili imbottiti, pregustando la nostra eccezionale vacanza. Stiamo andando a visitare gli Igoroti, i quali, essenzialmente, hanno resistito alla penetrazione dell’influenza straniera nella loro cultura. Essi abitano le province montuose del nord di Luzon.

Gli Igoroti sono di origine malese, di media statura, forti, con la pelle scura e i capelli neri lisci. La cosa sorprendente in queste persone è che nel corso dei secoli hanno trasformato un’intera vallata nelle risaie a terrazze più estese del mondo, solo con attrezzi manuali e il duro lavoro.

Il viaggio verso il paese degli Igoroti ci porta per cinque ore attraverso le pittoresche pianure centrali di Luzon con le sue molte cittadine e risaie, quindi giungiamo a Baguio, la capitale estiva delle Filippine. Dopo il caldo e l’umidità di Manila è piacevole trovare qui un clima fresco.

La mattina dopo ci alziamo presto per non perdere l’autobus delle 5,30 che va a Banaue. Arriviamo alla stazione con mezz’ora di anticipo, ma con nostra delusione l’autobus è pieno. I Filippini però sono ospitali, e subito un passeggero fa segno agli altri che si mettono i piccoli sulle ginocchia e spingono da parte gli ortaggi per farci posto. Un uomo sorridente ci tende la mano per aiutarci a salire.

L’autobus è più corto di quelli normali, e somiglia di più a un camion; abbiamo l’impressione che quando l’hanno costruito abbiano badato più a renderlo robusto che comodo. Da un lato è completamente aperto, e nel senso della larghezza sono disposte panche di legno, molto comode nonostante l’aspetto spartano. Ci sono dei teli che si possono tirare giù per avere un riparo dal vento e dalla pioggia.

Benché da Baguio a Banaue ci siano solo 110 chilometri, ci vogliono nove ore di viaggio, perché le strade di montagna sono tortuose e ci portano in mezzo alle nubi ad altezze di oltre 2.000 metri. Mentre cominciamo a salire, l’alba tinge il cielo di color giallo-arancione e la foschia mattutina nasconde la vetta degli alti pini.

Usanze e costumi degli Igoroti

Vicino alla città di Bontoc, si cominciano a vedere gli Igoroti. Gli uomini indossano un perizoma dai vivaci colori chiamato wanes, in sostanza una fascia che cinge i fianchi. Portano anche un piccolo berretto rotondo, piatto in cima, che ha la stessa funzione delle tasche dei pantaloni.

Le donne indossano una gonna di stoffa pesante tessuta a mano e dai vivaci colori detta tapis. Il colore predominante è il rosso, con righe orizzontali gialle, bianche, verdi e nere. Il tapis è tenuto fermo da una cintura alta venti centimetri, fatta di corda pesante e detta wakes. La maggior parte delle donne che vediamo porta una camicetta bianca, ma nei villaggi alcune donne vanno con la parte superiore del corpo scoperta.

Lungo la strada incontriamo donne che portano i bambini in una coperta legata sulla schiena o su un fianco. Si vedono pure ragazzine che portano in questo modo il fratellino o la sorellina, oltre a pacchi sulla testa! Quando l’autobus si ferma, chiedo a una ragazza se posso portarle il pacco, e con mia sorpresa è più pesante della mia valigia piena. Ma ella lo solleva con grazia e lo porta via sulla testa!

Bontoc è la capitale della provincia di Mountain. È una città moderna e qui gli Igoroti abitano in case di cemento con l’elettricità e l’acqua corrente. Ma nel villaggio di Samoki, dall’altra parte del fiume, gli Igoroti vivono nelle stesse condizioni in cui sono vissuti per centinaia d’anni i loro antenati.

Mentre procediamo a piedi con la nostra compagna di viaggio e interprete, notiamo che parla a tutti quelli che incontra. Ella ci dice che gli Igoroti salutano quasi sempre quelli che vedono per strada dicendo dove vanno e, come gesto di cortesia, li invitano ad accompagnarli. Tuttavia, non si aspettano che uno li segua veramente.

Vediamo che molte donne degli Igoroti hanno tutte le braccia tatuate. “È per bellezza”, spiega la nostra guida, “e se lo fanno a quindici anni”.

Chiedo: “Come fanno a sapere quando hanno quindici anni se non si tiene nessuna registrazione delle nascite?”

“Calcolano l’età in base alla prima volta in cui si innamora di un ragazzo”, risponde.

Corteggiamento, matrimonio e lavoro

Apprendiamo che le usanze degli Igoroti nel corteggiamento sono molto originali e interessanti. Nel villaggio c’è un ulog, o ag-gam, una capanna col tetto di stoppia dove dormono le ragazze in età da marito. Il giovane che desidera sposarsi avvicinerà la ragazza prescelta nell’ulog e le chiederà di sposarlo. Forse questa è la prima volta che i due si parlano.

Se la sua proposta viene accettata andrà a trovare i genitori della ragazza, portando loro un maiale in dono. Si uccide il maiale e se ne esamina la bile. Se va bene, la coppia si considera fidanzata. Si scanna un altro maiale e, se la bile va bene, il matrimonio è ufficiale. Si crede che se la bile non è in buone condizioni questo sia un presagio che il matrimonio non sarà benedetto. Segue la festa nuziale con un gran banchetto e danze.

Perché il matrimonio sia considerato valido, però, c’è un’altra condizione da soddisfare: bisogna esaminare la bile di un terzo maiale, che sarà sacrificato dopo la raccolta del riso. Se la bile non è in buone condizioni, il matrimonio è annullato.

In una famiglia di Igoroti il marito e la moglie si dividono a metà il lavoro. Un giorno il marito va ad arare il campo mentre la moglie fa le faccende domestiche. Quindi l’uomo bada alla casa mentre la moglie trascorre la giornata nei campi a piantare e coltivare le messi.

La casa degli Igoroti

Riprendiamo il viaggio in autobus e infine arriviamo a Banaue, la nostra destinazione, dov’è stato disposto che soggiorniamo presso una famiglia di Igoroti nella loro capanna.

Arriviamo che è già buio e dobbiamo fare ancora mezz’ora di strada a piedi per arrivare all’alloggio. Con l’aiuto di una torcia elettrica, ci arrampichiamo su gradini appena abbozzati nella parete verticale di un enorme masso che è da un lato della strada. Giunti in cima, seguiamo il fascio di luce della torcia lungo lo stretto bordo di una risaia a terrazza alta sei metri, badando a dove mettiamo i piedi e cercando di mantenerci in equilibrio su un sentiero non più largo di venticinque centimetri. Arriviamo subito a una gola stretta ma profonda. Siamo avvertiti di non guardare giù mentre facciamo un salto di oltre un metro. È incredibile pensare che questo sia il modo più facile per arrivare a casa di questa gente!

Finalmente ci troviamo in una piccola radura sul fianco della montagna. C’è la luna e vediamo una piccola capanna, alta forse due metri e mezzo e non più larga di due. Non abbiamo ancora ripreso fiato che ne esce un vecchio sorridente e ci invita a entrare.

Una volta entrati, ci rendiamo conto che non ci sono finestre, solo una piccola apertura nel tetto sopra il fuoco che arde in un angolo. Oltre al fuoco non c’è altra sorgente di luce che una piccola lampada a olio fatta con un vasetto di marmellata e un pezzo di spago. Non ci sono né tavoli né sedie, ma sul pavimento è stesa una piccola stuoia fatta con sottili canne di bambù detta bilaw. Su di essa ci si siede, si mangia, e, come scopriamo più tardi, si dorme.

Poiché è ancora presto, il padrone di casa, Pedro Kindajan, ci dice che costruì questa capanna al tempo dell’occupazione giapponese. Così si spiega perché è tanto difficile arrivarci. Egli ci dice che le pareti son fatte di bilaw, e che il tetto è fatto con un’erba detta goloon. Al di sopra del fuoco vi sono delle rastrelliere su cui è ammucchiata della legna da ardere che il fumo fa seccare.

Conversiamo fin verso le 20,30; adesso è ora di andare a letto, poiché per gli Igoroti la giornata comincia presto. Srotolano un piccolo materasso sottile e la stuoia su cui sediamo diventa all’istante un letto. Contrariamente a quello che si può pensare, è molto confortevole. Il padrone di casa e la sua famiglia dormono in altre capanne che ha nella proprietà.

Valeva la pena di venire

Il nuovo giorno comincia prima dell’alba. Mentre preparano la colazione, noi ci laviamo all’aperto. La colazione è a base di uova di gallina sode, camote (patate dolci) bollite e caffè. Trascorro parte della mattinata a lavorare con Pedro Kindajan che sbriga le faccende quotidiane; fra l’altro, deve dar da mangiare alle anatre, ai polli e ai maiali.

Pedro mi addita un punto al di là della valle dove c’è una collina arata di recente e mi dice che pianterà un po’ di camote lassù, e il riso su una delle sottostanti terrazze. Qui per la prima volta vedo quanto sono vaste le risaie a terrazze di Banaue!

A est, a nord e a ovest, fin dove arriva l’occhio, ci sono verdeggianti risaie a terrazze che si susseguono le une alle altre. Si estendono dalle pendici dei monti fino alla sommità. Sul fianco di un monte ci sono oltre cinquanta terrazze, una sopra l’altra. Queste terrazze coprono una superficie di circa 650 chilometri quadrati e, se fossero messe in fila una dopo l’altra, si estenderebbero per una distanza di circa 22.500 chilometri. Di tutte le meraviglie operate dall’uomo, queste terrazze sono le cose che mi hanno fatto più impressione. È quasi impossibile immaginare che l’uomo potesse costruirle solo con attrezzi manuali e senza l’aiuto della moderna tecnologia.

Per me e mia moglie è stata un’esperienza molto soddisfacente vivere per alcuni giorni con gli Igoroti. Benché non avessimo le moderne invenzioni per tenerci perennemente occupati, imparammo molte cose interessanti sulla buona terra. Non ci fu un attimo di noia. Mentre in certi campi la tecnologia moderna ha aiutato l’uomo a migliorare la sua sorte, in qualche modo essa tende anche ad alienarlo dalla sua dimora, la terra, anziché farlo sentire parte d’essa; questa è stata invece la nostra sensazione quando abbiamo visitato gli Igoroti.

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