Indizi per risolvere il mistero dell’uomo venuto dal ghiaccio
PER secoli Oetzi ha avuto una buona sistemazione: giaceva infatti a 3.210 metri di quota in una valletta nivale, cioè in un avvallamento che l’ha tenuto al riparo dai movimenti del vicino ghiacciaio. Se fosse stato inglobato nella massa glaciale sarebbe stato completamente smembrato e portato via. Molto probabilmente è stato proprio grazie alla sua collocazione che si è conservato intatto.
Lì, in un raggio di pochi metri, c’erano oggetti che avranno segnato la sua vita quotidiana: un arco non incordato in legno di tasso, una faretra in pelle di daino con 14 frecce (2 finite, le altre in lavorazione), un pugnale con la lama in selce, un’ascia, il probabile supporto di una gerla, una borsa di cuoio, un recipiente in corteccia di betulla e frammenti di vestiario, oltre ad altri utensili e oggetti.
Al momento del ritrovamento, l’uomo del Similaun (un altro dei suoi nomi) aveva ancora addosso alcuni indumenti e calzari in pelle o cuoio imbottiti di paglia per riparare dal freddo. La testa era adagiata vicino a una “stuoia” di paglia intrecciata. Era come se una sera, sopraffatto dalla stanchezza e dal freddo, l’uomo venuto dal ghiaccio si fosse tranquillamente addormentato per non “rivedere” la luce che millenni dopo. Quel ritrovamento era l’“istantanea di un’epoca, di una società e di una popolazione biologica”, dice l’archeologo Francesco Fedele, che ha definito l’uomo del Similaun una “capsula del tempo”. — Le Scienze, novembre 1991, pagina 7.
Come si è conservato?
Non tutti concordano sul modo in cui Oetzi sia rimasto integro tanto a lungo in simili condizioni. “La sua conservazione è pressoché miracolosa, pur ammettendo la presunta protezione data dalla posizione in cui è stato ritrovato”, dice Nature. L’ipotesi attualmente più accreditata è che ci sia stata la concomitanza di “tre eventi improbabili”: (1) un rapido processo di mummificazione (disidratazione) naturale, dovuto alla combinazione di freddo, sole e föhn (un vento caldo e asciutto); (2) un’abbondante nevicata che avrebbe nascosto rapidamente il corpo ai predatori; (3) la protezione dai movimenti del ghiacciaio offerta dall’avvallamento. Ma c’è chi non trova soddisfacente la spiegazione, affermando che il föhn non soffi così ad alta quota in questa parte delle Alpi.
Sull’uomo venuto dal ghiaccio, comunque, esistono anche certezze. È stato possibile accertare che si trattava di un uomo tra i 25 e i 40 anni alto un metro e sessanta circa e del peso di una cinquantina di chili, dal fisico asciutto e muscoloso, e con una capigliatura bruna e ben curata (che, a quanto pare, veniva regolarmente tagliata). Recenti indagini sul DNA estratto da campioni di tessuti hanno stabilito che apparteneva allo stesso ceppo genetico degli odierni abitanti dell’Europa centrale e settentrionale. I denti appiattiti rivelano poi che consumava pane grossolano, il che fa pensare appartenesse a una comunità agricola, come confermerebbero anche i semi di grano trovati sulle vesti. Fatto curioso, è possibile sapere che morì verso la fine dell’estate o all’inizio dell’autunno. Come mai? Perché nella sua sacca sono stati ritrovati i resti di un tipo di susine selvatiche che matura a fine estate: forse facevano parte delle sue ultime provviste.
“Un fucile in mano a un cavaliere medievale”
Ma cosa può rivelarci Oetzi? Il periodico Archeo ha riassunto così alcune domande sorte in seguito alla scoperta: “Si tratta di un guerriero o di un cacciatore? Era un individuo isolato, oppure si spostava insieme al suo gruppo, oppure ancora era in transito su quei monti assieme ad una piccola e selezionata parte del suo gruppo? . . . Era solo tra quel ghiaccio o dobbiamo attenderci altre presenze?” (Dicembre 1991, pagina 52) Gli studiosi hanno cercato di ottenere delle risposte perlopiù esaminando gli oggetti trovati sul Similaun e provando a decifrarne il significato. Sul perché Oetzi si trovasse lì a oltre 3.200 metri di quota sono state fatte varie ipotesi, ognuna però apparentemente contraddetta da qualche particolare. Facciamo qualche esempio.
L’arco, senza la corda, e le frecce farebbero pensare subito a un cacciatore. Risolto l’enigma? Forse, ma resta il fatto, dice l’archeologo Christopher Bergman, che l’arco, lungo quasi un metro e 80 centimetri, “era molto grande, per un uomo di quella statura” e “decisamente sovradimensionato per cacciare le prede tipiche delle Alpi”. (Focus, settembre 1993, pagina 12) Perché portare con sé un arco inutilizzabile? In montagna, inoltre, i pesi superflui vanno assolutamente evitati, “il che rende piuttosto strano che l’arco dell’uomo e 12 delle 14 frecce non fossero finiti, mentre le altre armi (il pugnale e l’ascia) erano consumate dall’uso prolungato”, osserva Nature.
E che dire dell’ascia rinvenuta a qualche metro dal corpo? In un primo momento fu ritenuta di bronzo. Dalle analisi si capì poi che era invece di rame. Per questo ed altri motivi, perciò, molti archeologi sono propensi a far risalire Oetzi all’inizio della cosiddetta età del rame, cioè al IV-III millennio a.E.V. “Le datazioni con il carbonio 14 . . . hanno confermato che visse tra i 4.800 e i 5.500 anni fa”, ha scritto la rivista Audubon.a Altri oggetti, però, indurrebbero a situare l’uomo venuto dal ghiaccio ancora più in là nel tempo. A quanto pare non è possibile attribuire l’uomo del Similaun ad una precisa civiltà antica. Riferendosi all’ascia di rame, un archeologo sostiene che Oetzi “possedeva un’arma troppo tecnologica per l’epoca nella quale viveva. Come se avessimo trovato un fucile in mano a un cavaliere medievale. Il rame a quell’epoca era infatti conosciuto solo presso le culture orientali”. — Focus, settembre 1993, pagina 8.
Inoltre, come si è appena visto, l’ascia era probabilmente un oggetto molto prezioso per i contemporanei dell’uomo venuto dal ghiaccio. Anche altri reperti, come la custodia in pelle del pugnale, erano fatti in modo molto raffinato ed evidentemente erano più che altro “oggetti di prestigio”. Ma se Oetzi era una persona di alto rango, un capo, come mai pare che fosse solo al momento della morte?
Secondo la rivista Popular Science, Konrad Spindler, dell’Università di Innsbruck, avrebbe affermato: “Quelli che in origine sembravano enigmatici tatuaggi corrispondono esattamente a punti in cui le articolazioni del ginocchio e della caviglia erano logorate e a degenerazioni delle vertebre della spina dorsale. Il dottore dell’uomo venuto dal ghiaccio probabilmente l’aveva curato cauterizzando la pelle sopra la parte dolente e strofinando poi cenere vegetale nella ferita”.
Di recente, a un convegno di esperti di medicina legale tenuto a Chicago, è stata anche avanzata l’ipotesi che Oetzi fosse un fuggitivo bastonato e sanguinante che morì mentre si nascondeva da chi gli dava la caccia. Gli è stata riscontrata, infatti, la frattura di alcune costole e della mascella. Tuttavia, non si può dire con precisione quando riportò queste lesioni, se prima o dopo la morte. Ma se fu vittima di una violenza, chiede il periodico Archeo, “perché possedeva ancora tutto il suo apparato di strumenti anche ‘preziosi’”, come l’ascia di rame? — Dicembre 1991, pagina 52.
Gli studiosi ritengono che i dati disponibili non siano sufficienti a completare il quadro, e molte domande rimangono al momento senza una risposta. Ma è chiaro che il mondo di cui Oetzi faceva parte era molto articolato e complesso.
Oetzi e il suo mondo
Per descrivere il mondo in cui viveva, gli studiosi si basano sui ritrovamenti di siti alpini che si suppone siano stati popolati dai contemporanei dell’uomo del Similaun. Anche allora, ci informano gli archeologi, c’erano zone più sviluppate e altre meno, e le innovazioni tecnologiche, come la lavorazione del rame, arrivavano per lo più dal Medio Oriente.
Oetzi — secondo una delle ipotetiche ricostruzioni — poteva abitare in uno dei villaggi agricoli del bacino dell’Adige. Lungo questo fiume scorreva un’importante via commerciale che univa la penisola italica al centro Europa. Sparsi in vari punti di questa parte delle Alpi, anche fino a 2.000 metri di quota, sono stati rinvenuti diversi insediamenti. In particolare, i villaggi agricoli dell’epoca erano formati da gruppi di 3-4 o addirittura di alcune decine di case. Com’erano fatte le abitazioni? Gli scavi ne hanno portato alla luce solo la base, quasi sempre in terra battuta: si trattava di monolocali con al centro in genere un focolare e, talvolta, un forno. Il tetto poteva essere a doppio spiovente, come quello delle contemporanee palafitte, rinvenute nei pressi di diversi laghi alpini. Ogni monolocale ospitava probabilmente un solo nucleo familiare.
Che genere di contatti c’erano tra queste comunità di allevatori e agricoltori? Senz’altro, rapporti commerciali. Ad esempio, l’ascia ritrovata sul Similaun era analoga a quelle fabbricate più a sud, in riva al lago di Garda, e può essere stata oggetto di una transazione commerciale. Tra gli effetti di Oetzi c’erano anche alcune selci, pregiati oggetti di scambio lungo la via commerciale atesina. Una delle attività che richiedeva maggiori spostamenti era comunque la transumanza dei greggi. Come avviene ancor oggi nel Tirolo, i pastori valicavano i passi alpini alla guida dei loro greggi in cerca di nuovi pascoli. A quali altre conclusioni si è giunti sull’origine dell’uomo venuto dal ghiaccio?
[Nota in calce]
a Per informazioni sull’inattendibilità della datazione con il carbonio 14 vedi Svegliatevi! del 22 settembre 1986, pagine 21-6, e Come ha avuto origine la vita? Per evoluzione o per creazione?, pagina 96, edito in Italia dalla Congregazione Cristiana dei Testimoni di Geova.
[Cartina a pagina 5]
(Per la corretta impaginazione, vedi l’edizione stampata)
L’uomo venuto dal ghiaccio fu ritrovato in territorio italiano, al confine con l’Austria, sul ghiacciaio del Similaun
GERMANIA
AUSTRIA
Innsbruck
SVIZZERA
SLOVENIA
ITALIA
Bolzano
Ghiacciaio del Similaun
Mare Adriatico
[Immagini a pagina 7]
La X contrassegna il luogo in cui fu trovato Oetzi. Riquadri: 1. Ascia di rame, 2. Pugnale con lama in selce, 3. Forse un amuleto, 4. Punta di corno con manico di legno
[Fonti]
Foto: Prof. Dr. Gernot Patzelt/Innsbruck
Foto 1-4: Archiv Österreichischer Alpenverein/Innsbruck, S.N.S. Pressebild GmbH