Paolo
(Pàolo) [piccolo].
Israelita della tribù di Beniamino e apostolo di Gesù Cristo. (Efes. 1:1; Filip. 3:5) Può darsi che fin dall’infanzia avesse sia il nome ebraico Saulo che il nome romano Paolo (Atti 9:17; II Piet. 3:15), ma forse l’apostolo preferiva farsi chiamare col nome romano, dato l’incarico avuto di annunciare la buona notizia ai non ebrei. — Atti 9:15; Gal. 2:7, 8.
Paolo era nato a Tarso, importante città della Cilicia. (Atti 21:39; 22:3) I suoi genitori erano ebrei e aderivano evidentemente al fariseismo, ramo del giudaismo. (Atti 23:6; Filip. 3:5) Era cittadino romano dalla nascita (Atti 22:28), poiché suo padre forse aveva ottenuto la cittadinanza romana da Giulio Cesare per i servizi resi durante la guerra contro l’Egitto. Paolo probabilmente imparò il mestiere di fabbricante di tende dal padre. (Atti 18:3) Ma a Gerusalemme fu ammaestrato dal dotto fariseo Gamaliele, e questo fa pensare che fosse di una famiglia importante. (Atti 22:3; 5:34) In quanto alle lingue, Paolo conosceva bene almeno il greco e l’ebraico. (Atti 21:37-40) Quando viaggiava come missionario non era sposato. (I Cor. 7:8) In quel periodo, se non anche prima, aveva una sorella e un nipote a Gerusalemme. — Atti 23:16-22.
L’apostolo Paolo ebbe il privilegio di contribuire più di chiunque altro alla stesura delle Scritture Greche Cristiane. Ebbe visioni soprannaturali (II Cor. 12:1-5) e, per mezzo dello spirito santo, fu in grado di parlare numerose lingue straniere. — I Cor. 14:18.
PERSECUZIONE, CONVERSIONE E INIZIO DEL MINISTERO
La Bibbia presenta per la prima volta Saulo o Paolo come il “giovane” ai cui piedi deposero i mantelli i falsi testimoni che lapidarono il discepolo di Cristo, Stefano. (Atti 6:13; 7:58) Paolo approvava l’omicidio di Stefano e, per zelo malriposto basato sulla tradizione, iniziò una campagna di crudele persecuzione contro i seguaci di Cristo. Quando venivano condannati a morte, votava contro di loro. Durante il processo nelle sinagoghe cercava di costringerli ad abiurare. Estese la persecuzione in altre città oltre Gerusalemme, e si procurò persino un’autorizzazione scritta del sommo sacerdote per andare a scovare i discepoli di Cristo fino a Damasco in Siria a N, e portarli in catene a Gerusalemme, probabilmente per essere processati dal Sinedrio. — Atti 8:1, 3; 9:1, 2; 26:10, 11; Gal. 1:13, 14.
Mentre Paolo si avvicinava a Damasco, Cristo Gesù gli si rivelò in una luce sfolgorante e gli diede l’incarico di essere servitore e testimone delle cose che aveva già visto e di quelle che avrebbe visto in seguito. Anche coloro che erano con Paolo caddero per terra a motivo di questa manifestazione e udirono qualcuno parlare, ma solo Paolo capì le parole e rimase accecato, così che dovette essere accompagnato per mano a Damasco. (Atti 9:3-8; 22:6-11; 26:12-18) Per tre giorni non mangiò né bevve. Poi, mentre pregava in casa di un certo Giuda a Damasco, Paolo vide in visione il discepolo di Cristo Anania entrare e ridargli la vista. Quando la visione divenne realtà, Paolo fu battezzato, ricevette spirito santo, mangiò qualche cosa e riacquistò le forze. — Atti 9:9-19.
Secondo Atti 9:20-25 Paolo rimase per un po’ coi discepoli di Damasco e “immediatamente” cominciò a predicare nelle sinagoghe del posto. Continuò l’attività di predicazione finché dovette lasciare Damasco a motivo di un complotto per attentare alla sua vita. Viceversa nella lettera ai galati Paolo dice che dopo la conversione andò in Arabia, e poi tornò a Damasco. (Gal. 1:15-17) Non è possibile stabilire quando ebbe luogo il viaggio in Arabia nel corso degli avvenimenti.
Può darsi che Paolo fosse andato in Arabia subito dopo la conversione per meditare sulla volontà di Dio per lui. In questo caso, l’uso del termine “immediatamente” da parte di Luca significherebbe che, immediatamente dopo il suo ritorno a Damasco, Paolo cominciò a predicare insieme ai discepoli. Tuttavia, in Galati 1:17 Paolo dà risalto al fatto che non salì immediatamente a Gerusalemme; che l’unico luogo oltre Damasco dove andò in quel periodo era l’Arabia. Quindi il viaggio in Arabia non deve necessariamente essere avvenuto immediatamente dopo la conversione. Può darsi che Paolo prima sia rimasto qualche giorno a Damasco e abbia subito ripudiato pubblicamente la sua precedente condotta di oppositore, parlando della sua fede in Cristo nelle sinagoghe. Poi può aver fatto il viaggio in Arabia (l’effettivo scopo del quale non è rivelato) e continuato al suo ritorno a predicare a Damasco, rafforzandosi, tanto che gli oppositori cercarono di metterlo a morte. Le due versioni si completano anziché contraddirsi, e l’unica incertezza riguarda il preciso ordine degli avvenimenti, che semplicemente non è indicato.
Giunto a Gerusalemme (forse nel 36 E.V.; i tre anni menzionati in Galati 1:18 potrebbero essere parte di tre anni), Paolo constatò che i fratelli di quella città non credevano che fosse un discepolo. Tuttavia, “Barnaba venne in suo aiuto e lo condusse dagli apostoli”, evidentemente Pietro e “Giacomo il fratello del Signore”. (Giacomo, pur non essendo uno dei dodici, poteva essere chiamato apostolo essendo tale per la congregazione di Gerusalemme). Per quindici giorni Paolo rimase con Cefa (Pietro). Mentre era a Gerusalemme parlò con fermezza nel nome di Gesù. Quando i fratelli appresero che gli ebrei di lingua greca cercavano perciò di uccidere Paolo, “lo condussero a Cesarea e lo mandarono a Tarso”. — Atti 9:26-30; Gal. 1:18-21.
A quanto pare Paolo (forse verso il 41 E.V.) ebbe il privilegio di avere una visione soprannaturale così reale da non sapere se era stato rapito al “terzo cielo” corporalmente o no. Il “terzo cielo” sembra riferirsi al grado superlativo dell’estasi nella quale ebbe la visione. — II Cor. 12:1-4.
In seguito Barnaba da Tarso condusse Saulo ad Antiochia per promuovere l’opera fra la popolazione di lingua greca. Verso il 46 E.V., dopo un anno di lavoro ad Antiochia, Paolo e Barnaba furono inviati dalla congregazione a Gerusalemme con soccorsi per i fratelli di quella città. (Atti 11:22-30) Fecero ritorno ad Antiochia insieme a Giovanni Marco. (Atti 12:25) Dopo ciò lo spirito santo ordinò che a Paolo e Barnaba fosse affidata un’opera speciale. — Atti 13:1, 2.
PRIMO VIAGGIO MISSIONARIO
Seguendo la direttiva dello spirito, Paolo, in compagnia di Barnaba, e con Giovanni Marco come servitore, iniziò il primo viaggio missionario (47-48 E.V.). Imbarcatisi a Seleucia, porto di Antiochia, salparono per Cipro. Cominciarono a ‘proclamare la parola di Dio’ nelle sinagoghe di Salamina, città sulla costa E di Cipro. Attraversarono l’isola, giunsero a Pafo sulla costa O. Là lo stregone Elima cercò di impedire che venisse data testimonianza al proconsole Sergio Paolo. Paolo fece sì che Elima fosse colpito temporaneamente da cecità. Stupito dall’accaduto, Sergio Paolo diventò credente. — Atti 13:4-12.
Da Pafo, Saulo e i suoi compagni salparono per l’Asia Minore. Quando giunsero a Perga, nella provincia romana della Panfilia, Giovanni Marco se ne tornò a Gerusalemme, mentre Paolo e Barnaba si diressero a N verso Antiochia, in Pisidia. Vi trovarono molto interesse, ma alla fine furono scacciati dalla città per istigazione degli ebrei. (Atti 13:13-50) Impavidi si diressero a SE verso Iconio, ma anche là gli ebrei aizzarono le folle contro di loro. Saputo di un tentativo di lapidarli, Paolo e Barnaba fuggirono a Listra nella Licaonia. Quando Paolo guarì un uomo zoppo dalla nascita, la popolazione di Listra pensò che Paolo e Barnaba fossero dèi incarnati. Più tardi però ebrei di Iconio e di Antiochia di Pisidia sobillarono le folle contro Paolo così che lo lapidarono e lo trascinarono fuori della città, credendo che fosse morto. Tuttavia, circondato da altri cristiani, Paolo si alzò e tornò in città. L’indomani lui e Barnaba partirono per Derbe. Dopo avervi fatto numerosi discepoli, tornarono a Listra, Iconio e Antiochia (in Pisidia), per rafforzare e incoraggiare i fratelli e fare nomine di anziani che prestassero servizio nelle congregazioni stabilite in quelle località. In seguito predicarono a Perga, quindi dal porto di Attalia si imbarcarono per Antiochia di Siria. — Atti 13:51-14:28.
IL PROBLEMA DELLA CIRCONCISIONE
Certuni, giunti ad Antiochia dalla Giudea (nel 49 E.V.), sostenevano che per essere salvati i non ebrei dovessero farsi circoncidere in ottemperanza alla legge mosaica. Paolo e Barnaba non erano d’accordo. Ma Paolo, pur essendo un apostolo, non si assunse la responsabilità di risolvere la cosa per proprio conto. Anzi, accompagnato da Barnaba, Tito e altri, si recò a Gerusalemme per esporre il problema agli apostoli e agli anziani di quella congregazione. La decisione fu che non era richiesta la circoncisione per i credenti gentili, ma essi dovevano astenersi dall’idolatria, dal mangiare e bere sangue e dall’immoralità sessuale. Oltre a redigere una lettera per esporre questa decisione, i fratelli della congregazione di Gerusalemme inviarono come loro rappresentanti Giuda e Sila per spiegare la cosa ad Antiochia. Inoltre, in un incontro con Pietro (Cefa), con Giovanni e col discepolo Giacomo, venne convenuto che Paolo e Barnaba avrebbero continuato a predicare ai gentili incirconcisi. — Atti 15:1-29; Gal. 2:1-10.
Qualche tempo dopo Pietro giunse personalmente ad Antiochia di Siria e stava in compagnia dei cristiani gentili. Ma quando arrivarono certi ebrei da Gerusalemme, evidentemente cedendo al timore degli uomini, si separò dai non ebrei, agendo così contrariamente alla direttiva dello spirito, dato che per Dio non esistevano distinzioni carnali. Persino Barnaba fu sviato. Notandolo, Paolo con coraggio riprese pubblicamente Pietro, poiché il suo comportamento nuoceva al progresso del cristianesimo. — Gal. 2:11-14.
SECONDO VIAGGIO MISSIONARIO
In seguito Paolo e Barnaba pensarono di rivisitare i fratelli nelle città in cui avevano predicato durante il primo viaggio missionario. Una discussione sull’opportunità di portare con loro Giovanni Marco, visto che la prima volta li aveva lasciati, provocò una frattura fra Paolo e Barnaba. Paolo allora scelse Sila (Silvano) e si recò in Siria e in Asia Minore. A Listra Paolo dispose che il giovane Timoteo lo accompagnasse e inoltre lo circoncise. (Atti 15:36—16:3) Anche se la circoncisione non era un requisito cristiano, se Timoteo che era per metà ebreo fosse rimasto incirconciso, senza dubbio questo avrebbe fatto sorgere pregiudizi fra gli ebrei che si sarebbero opposti alla predicazione di Paolo. Perciò, per evitare questo possibile ostacolo, Paolo si comportò in conformità a quanto scrisse poi ai corinti: “Ai Giudei divenni come un Giudeo”. — I Cor. 9:20.
Una sera, a Troas sul Mar Egeo, Paolo vide in visione un macedone, che lo supplicava: “Passa in Macedonia e aiutaci”. Concludendo che questa era la volontà di Dio, Paolo e i suoi compagni missionari, ai quali si era unito il medico Luca, si imbarcarono per la Macedonia, in Europa. A Filippi, la principale città della Macedonia, Lidia e la sua famiglia diventarono credenti. Il fatto che Paolo fece perdere le facoltà di predizione a una ragazza espellendo da lei un demonio provocò l’arresto suo e di Sila. Ma furono liberati da un terremoto, e il carceriere e la sua famiglia diventarono cristiani. A motivo dell’insistenza di Paolo, che aveva la cittadinanza romana, i magistrati civili vennero personalmente a liberare l’apostolo e Sila dalla prigione. Dopo aver incoraggiato i fratelli, Paolo e i suoi compagni passarono per Anfipoli e Apollonia e giunsero a Tessalonica, dove si formò una congregazione di credenti. Ma ebrei invidiosi istigarono un tumulto contro Paolo. Per questa ragione i fratelli mandarono lui e Sila a Berea. Anche qui molti diventarono credenti; tuttavia difficoltà causate dagli ebrei di Tessalonica costrinsero Paolo ad andarsene. — Atti 16:8—17:14.
I fratelli accompagnarono l’apostolo ad Atene. Qui, in seguito alla predicazione nella piazza del mercato, venne condotto all’Areopago. La sua difesa indusse Dionisio, uno dei giudici della corte che vi teneva le udienze, e altri ad abbracciare il cristianesimo. (Atti 17:15-34) Allora Paolo si recò a Corinto, dove alloggiava presso una coppia di ebrei, Aquila e Priscilla, coi quali lavorava parte del tempo come fabbricante di tende. Da Corinto a quanto pare Paolo scrisse le due lettere ai tessalonicesi. Dopo aver insegnato a Corinto per un anno e mezzo e avervi stabilito una congregazione, fu accusato dagli ebrei davanti a Gallione. Ma questi dichiarò che il caso non dava luogo a procedere. (Atti 18:1-17) In seguito Paolo s’imbarcò per Cesarea, fermandosi prima a Efeso e predicando anche lì. Da Cesarea l’apostolo “salì e salutò la congregazione”, senza dubbio la congregazione di Gerusalemme, quindi proseguì per Antiochia di Siria. (Atti 18:18-22) Forse da Antiochia scrisse la lettera ai galati.
TERZO VIAGGIO MISSIONARIO
Durante il terzo viaggio missionario Paolo tornò a Efeso e vi rimase per tre anni circa. Da Efeso scrisse la prima lettera ai corinti e, pare, inviò Tito ad aiutare i cristiani di quella città. Dopo un tumulto contro di lui fomentato dall’argentiere Demetrio, Paolo partì da Efeso diretto in Macedonia. Ricevute notizie da Corinto per mezzo di Tito, Paolo, dalla Macedonia, scrisse la seconda lettera ai corinti. Prima di lasciare l’Europa con una contribuzione dei fratelli della Macedonia e dell’Acaia per i cristiani bisognosi di Gerusalemme, Paolo scrisse la lettera ai romani. — Atti 19:1—20:4; Rom. 15:25, 26; II Cor. 2:12, 13; 7:5-7.
Durante il viaggio a Gerusalemme, Paolo tenne un discorso a Troas e ridiede la vita a Eutico, perito per incidente. Si fermò anche a Mileto, dove incontrò i sorveglianti della congregazione di Efeso, parlò del ministero che aveva svolto fra loro e li incoraggiò a imitare il suo esempio. — Atti 20:6-38.
ARRESTO
Durante il viaggio, alcuni profeti cristiani predissero che a Gerusalemme lo aspettavano i legami della prigionia. (Atti 21:4-14; confronta 20:22, 23). Le loro profezie si adempirono: mentre era nel tempio per compiere la propria purificazione cerimoniale, ebrei dell’Asia incitarono la folla alla violenza contro l’apostolo Paolo, ma i soldati romani lo salvarono. (Atti 21:26-33) Mentre saliva le scale della caserma, Paolo ottenne il permesso di parlare agli ebrei. Appena menzionò il suo incarico di predicare ai gentili, ci fu una nuova esplosione di violenza. (Atti 21:34—22:22) Una volta nella caserma Paolo venne disteso per essere fustigato nel tentativo di accertare la natura della sua colpa. L’apostolo prevenne ciò facendo notare che era cittadino romano. L’indomani il suo caso fu presentato al Sinedrio. Rendendosi evidentemente conto che non sarebbe stato ascoltato con imparzialità, Paolo cercò di creare una frattura tra farisei e sadducei basando il suo argomento sulla risurrezione. Poiché credeva nella risurrezione ed era “figlio di farisei”, Paolo si dichiarò fariseo e così facendo riuscì a mettere i sadducei, che non credevano nella risurrezione, contro i farisei e viceversa. — Atti 22:23—23:10.
Un complotto contro Paolo rese necessario trasferire il prigioniero da Gerusalemme a Cesarea. Qualche giorno dopo il sommo sacerdote Anania, alcuni anziani degli ebrei e l’oratore Tertullo giunsero a Cesarea per accusare Paolo davanti al procuratore Felice di aver istigato un’insurrezione e cercato di profanare il tempio. L’apostolo dimostrò che non esisteva una sola prova a sostegno delle accuse che gli muovevano. Ma Felice, sperando in un regalo, tenne Paolo in prigione per due anni. Quando Felice fu sostituito da Festo, gli ebrei rinnovarono le loro accuse. Il caso venne riaperto a Cesarea e Paolo, per impedire il trasferimento del processo a Gerusalemme, si appellò a Cesare. Quindi, dopo aver esposto il suo caso al re Erode Agrippa II, Paolo e alcuni altri prigionieri furono inviati a Roma. — Atti 23:12—27:1.
PRIMA E SECONDA DETENZIONE A ROMA
Durante il viaggio, Paolo e quelli con lui fecero naufragio sull’isola di Malta. Dopo avervi svernato, giunsero infine a Roma. Paolo ebbe il permesso di stare in una casa da lui affittata, ma con un soldato di guardia. Poco dopo il suo arrivo convocò gli ebrei più in vista; solo alcuni però credettero. Per due anni, dal 59 al 61 E.V., l’apostolo continuò a predicare a tutti quelli che venivano da lui. (Atti 27:2—28:31) Nel frattempo scrisse Efesini (4:1; 6:20), Filippesi (1:7, 12-14), Colossesi (4:18), Filemone (v. 9) e probabilmente anche Ebrei. Sembra che Nerone riconoscesse l’innocenza di Paolo e lo rimettesse in libertà. Paolo evidentemente riprese l’attività missionaria, insieme a Timoteo e Tito. Dopo aver lasciato Timoteo a Efeso e Tito a Creta, Paolo, probabilmente dalla Macedonia, scrisse loro lettere relative ai loro incarichi. (I Tim. 1:3; Tito 1:5) Non si sa se l’apostolo abbia potuto estendere la sua attività alla Spagna prima della sua ultima detenzione a Roma. (Rom. 15:24) Durante tale detenzione (ca. 65 E.V.), scrisse la seconda lettera a Timoteo, nella quale accennava alla sua morte imminente. (II Tim. 4:8) Probabilmente Paolo subì il martirio per mano di Nerone nel 66 E.V.
UN ESEMPIO DA IMITARE
Data la fedeltà con cui seguiva l’esempio di Cristo, l’apostolo Paolo poté dire: “Divenite miei imitatori”. (I Cor. 4:16; 11:1; Filip. 3:17) Era pronto a seguire la direttiva dello spirito di Dio. (Atti 13:2-5; 16:9, 10) Non era un venditore ambulante della Parola di Dio, ma parlava mosso da sincerità. (II Cor. 2:17) Benché fosse colto, Paolo non cercava di impressionare altri con le sue parole (I Cor. 2:1-5) né cercava il favore degli uomini. (Gal. 1:10) Non insisteva nel fare ciò che aveva diritto di fare, ma si adattava alle persone a cui predicava, stando attento di non fare inciampare altri. — I Cor. 9:19-26; II Cor. 6:3.
Nel corso del suo ministero Paolo s’impegnò con zelo, viaggiò per migliaia di chilometri per mare e per terra, stabilì molte congregazioni in Europa e in Asia Minore. Perciò non aveva bisogno di lettere di raccomandazione scritte con inchiostro, ma poteva presentare lettere viventi: persone che erano diventate credenti grazie ai suoi sforzi. (II Cor. 3:1-3) Eppure riconosceva umilmente di essere uno schiavo (Filip. 1:1), obbligato ad annunciare la buona notizia. (I Cor. 9:16) Non si attribuì merito alcuno, ma rese ogni onore a Dio, responsabile della crescita (I Cor. 3:5-9), che l’aveva adeguatamente qualificato per il ministero. (II Cor. 3:5, 6) L’apostolo apprezzava molto il proprio ministero, lo glorificava e riconosceva che era espressione della misericordia di Dio e del Figlio suo. (Rom. 11:13; II Cor. 4:1; I Tim. 1:12, 13) Scrisse a Timoteo: “La ragione per cui mi fu mostrata misericordia fu affinché per mezzo di me quale caso principale Cristo Gesù dimostrasse tutta la sua longanimità a modello di coloro che riporranno la loro fede in lui per la vita eterna”. — I Tim. 1:16.
Poiché aveva perseguitato i cristiani, Paolo non si riteneva degno di essere chiamato apostolo e riconosceva di essere tale solo per immeritata benignità di Dio. Poiché non voleva che questa immeritata benignità gli fosse stata manifestata invano, Paolo si diede da fare più degli altri apostoli. Eppure si rendeva conto che solo per immeritata benignità di Dio era in grado di svolgere il suo ministero (I Cor. 15:9, 10): “Per ogni cosa ho forza in virtù di colui che m’impartisce potenza”. (Filip. 4:13) Soffrì molto, ma non si lamentava. La sua “spina nella carne” (II Cor. 12:7) poteva essere un disturbo agli occhi o d’altro genere. — Confronta Atti 23:1-5; Galati 4:15; 6:11.
Essendo imperfetto, Paolo provava un continuo conflitto fra la mente e la carne peccaminosa. (Rom. 7:21-24) Ma non si arrese: “Tratto con durezza il mio corpo e lo conduco come uno schiavo, affinché, dopo aver predicato agli altri, io stesso non sia in qualche modo disapprovato”. (I Cor. 9:27) Paolo aveva sempre davanti a sé il glorioso premio della vita immortale nei cieli. Considerava tutta la sofferenza come nulla in confronto alla gloria che sarebbe stata la ricompensa della fedeltà. (Rom. 8:18; Filip. 3:6-14) Perciò, poco prima di morire, Paolo poté scrivere: “Ho combattuto l’eccellente combattimento, ho corso la corsa sino alla fine, ho osservato la fede. Da ora in poi mi è riservata la corona della giustizia”. — II Tim. 4:7, 8.
Paolo, essendo un apostolo ispirato, aveva l’autorità di comandare e impartire ordini, ed esercitò tale autorità (I Cor. 14:37; 16:1; Col. 4:10; I Tess. 4:2, 11; confronta I Timoteo 4:11), ma preferiva rivolgersi ai fratelli con amore, supplicandoli “per le compassioni di Dio” e “per la mitezza e per la benignità del Cristo”. (Rom. 12:1; II Cor. 6:11-13; 8:8; 10:1; Filem. 8, 9) Era gentile e manifestava loro tenero affetto, esortandoli e consolandoli come un padre. (I Tess. 2:7, 8, 11, 12) Anche se aveva diritto di ricevere aiuto materiale dai fratelli, preferiva lavorare con le sue mani per non essere di peso finanziariamente. (Atti 20:33-35; I Cor. 9:18; I Tess. 2:6, 9) Perciò fra Paolo e quelli che serviva esisteva uno stretto vincolo di affetto fraterno. I sorveglianti della congregazione di Efeso furono molto addolorati e piansero quando seppero che forse non lo avrebbero più visto. (Atti 20:37, 38) Paolo si preoccupava molto del benessere spirituale dei compagni di fede e desiderava fare quel che poteva per aiutarli a rendere certa la loro chiamata celeste. (Rom. 1:11; 15:15, 16; Col. 2:1, 2) Li ricordava sempre nelle sue preghiere (Rom. 1:8, 9; II Cor. 13:7; Efes. 3:14-19; Filip. 1:3-5, 9-11; Col. 1:3, 9-12; I Tess. 1:2, 3; II Tess. 1:3) e chiese che anch’essi pregassero per lui. (Rom. 15:30-32; II Cor. 1:11) Trasse incoraggiamento dalla fede degli altri cristiani. (Rom. 1:12) D’altra parte Paolo si atteneva con fermezza a ciò che era giusto, non esitando a correggere un altro apostolo quando era necessario per il progresso della buona notizia. — I Cor. 5:1-13; Gal. 2:11-14.
NON UNO DEI DODICI
Pur essendo fermamente convinto e avendo le prove del proprio apostolato, Paolo non si incluse mai fra “i dodici”. Prima della Pentecoste, in seguito all’esortazione scritturale di Pietro, l’assemblea cristiana aveva cercato un sostituto dell’infedele Giuda Iscariota. Due discepoli erano stati scelti come candidati, forse mediante il voto dei componenti l’assemblea di sesso maschile (Pietro si era rivolto a loro chiamandoli “uomini, fratelli” [Atti 1:16]). Poi avevano pregato Geova Dio (confronta Atti 1:24 con I Samuele 16:7 e Atti 15:7, 8) affinché designasse Lui quale dei due aveva scelto per sostituire l’apostolo infedele. Dopo aver pregato tirarono a sorte e “la sorte cadde su Mattia”. — Atti 1:15-26; confronta Proverbi 16:33.
Non c’è ragione di dubitare che Mattia sia stato scelto da Dio, anche se è vero che una volta convertito, Paolo ebbe una parte molto importante e le sue fatiche superarono quelle di tutti gli altri apostoli. (I Cor. 15:9, 10) Egli prestò servizio come ‘apostolo [inviato] alle nazioni’. — Atti 9:4-6, 15.