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  • Il mio scopo nella vita
  • La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1957
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La Torre di Guardia annunciante il Regno di Geova 1957
w57 15/8 pp. 504-507

Il mio scopo nella vita

Narrato da Esther M. Rydell

IL 25 dicembre 1948 sbarcai nel Venezuela, mia assegnazione nell’America del Sud come missionaria all’estero. Il tempo è trascorso così in fretta che ora ricordo quel giorno felice come se fosse appena ieri; e se guardo indietro agli anni passati riconosco quanto è stato buono con me Geova e quali ricche benedizioni io ho ricevute da lui mentre perseguivo il mio scopo nella vita nel campo estero. Mediante l’organizzazione visibile di Geova siamo stati abbondantemente provveduti di ogni cosa, ed è stato fatto tutto il possibile per renderci felici nelle nostre assegnazioni.

Adesso sono così assorbita dalle mie occupazioni che dimentico completamente di non essere stata sempre una missionaria. Come in ogni altra cosa, mi misi all’opera con slancio, ma non divenni missionaria in una notte. Fu un processo graduale. Questo mi porta indietro di una ventina d’anni e precisamente al 15 aprile 1936, data in cui cominciai a fare il pioniere. Non dimenticherò mai quel giorno, perché fu uno dei più felici della mia vita. Da molto tempo pensavo di dedicarmi all’opera di pioniere, e ogni volta che la Società inviava una di quelle lettere che incoraggiano i proclamatori a diventar pionieri mi tormentavo, proprio perché non ero fra loro. Oh, sì, molti anni prima avevo dedicato la mia vita al servizio di Geova; ma pensavo che non essendo fisicamente forte l’opera di pioniere non fosse per me. Finalmente, dopo aver ascoltato la lettura di una delle suddette lettere ed aver compreso quanto grande fosse il mio tormento per non dedicare al servizio di campo tutto il tempo disponibile, presi la ferma determinazione di sistemare i miei affari e diventare pioniere. Mi licenziai dal mio posto di segretaria e dal mio ufficio privato in un elegante grattacielo di New York. Fu facile dire addio a tutto ciò, perché avevo sempre sognato di poter percorrere ogni giorno una bella strada di campagna con una borsa di libri sotto il braccio in cerca di persone alle quali poter offrire un sorso dell’acqua della vita. Nel mio primo giorno di attività come pioniere mi sembrava di volare, perché sapevo che Geova mi aveva aiutata a raggiungere quella mèta. Avevo avuto fede che egli avrebbe ascoltato la mia preghiera, aiutandomi a prendere la giusta decisione, come difatti fece.

Mentre lavoravo come pioniere in diversi luoghi degli Stati Uniti le benedizioni furono innumerevoli. Fu per me veramente istruttivo avvicinare ogni sorta di persone, vivere nelle differenti regioni della nazione, e qualche volta anche andare in prigione e venirne fuori; tutto contribuiva a rendere interessante il lavoro di pioniere, per non dire che il meno. Ma per me la cosa più importante era il privilegio di ammaestrare tante persone nella verità dei propositi di Geova per loro. Ricordo che tanti mi dicevano: “Insegnami a pregare; io non ne sono capace”. “Leggimi la Bibbia; io non posso vedere”. “Dio ti avrà mandata da me”. “Grazie d’aver bussato alla mia porta; il tuo messaggio ha voluto dire tanto per me”. Potrei continuare all’infinito mentre siedo qui, ricordando tutti quei volti. Oggi quelle stesse persone stanno sperimentando le benedizioni che io ricevetti allora. Mi sono forse pentita di aver preso la decisione di fare il pioniere? No, mai; neanche per un momento.

Ero così felice di essere un pioniere che avrei potuto continuare ad esserlo nel mio Paese natio, ma mi si presentò un’occasione meravigliosa. Nella primavera del 1945 fui invitata ad andare a Galaad. Questo sorpassava i miei sogni più cari. Ricordo che da bambina rimanevo per ore a leggere i “rapporti dei congressi” (come si chiamavano in quel tempo di “pellegrini”), e spesso desideravo avere la possibilità di andare a predicare in luoghi diversi. I pochi rapporti provenienti da Paesi esteri mi entusiasmavano. Non immaginavo che un giorno avrei avuto l’opportunità di andare in qualche altra parte del mondo come missionaria. Che gioia!

La quinta classe di Galaad incluse anche me. Non avevo avuto troppe notizie di Galaad, eccetto che era meravigliosa. Ma per me era molto di più: mi sentivo come se d’un tratto fossi passata da questo vecchio mondo nel Nuovo Mondo. Accettai tutto ciò come un meraviglioso dono di Geova e sarò sempre grata per l’addestramento ricevuto. Mi aiutò ad apprezzare molto più a fondo l’organizzazione visibile e invisibile di Geova e mi fece sentire il mio obbligo di servire Geova efficacemente con gentilezza ed amore, poiché solo gentilezza ed amore mi furono mostrati a Galaad. Qui imparai come studiare la Bibbia per trarne il massimo vantaggio. Imparai ad esprimermi chiaramente, e soprattutto ad avere la mente e il cuore dediti a Geova e colmi di cose meritevoli. Sin da allora ho cercato diligentemente di seguire tale modello. Il ricordo di Galaad mi sarà sempre caro; ho apprezzato ogni minuto ivi trascorso. Penso che ogni pioniere idoneo dovrebbe esser felice di andare a Galaad per essere addestrato per l’opera missionaria all’estero. Io sono felice di esservi stata. Guardate dove mi trovo ora: nel Venezuela, America del Sud. Sono forse pentita di essere andata a Galaad? No, perché presi anche quella decisione sostenuta da Geova, sicura che egli mi avrebbe aiutata a superare quel periodo di addestramento.

Nel luglio del 1945 mi diplomai, ed ero ansiosa di andare nel campo estero per mettere in pratica tutte le cose che avevo imparate. Non vi andai subito, ma fui occupata e felice come missionaria negli Stati Uniti finché finalmente, nel dicembre del 1948, fui una delle sei felici missionarie destinate a partire sul piroscafo Grace Line per Maracaibo, nel Venezuela. Eravamo così emozionate che non vedevamo l’ora di lasciare il porto di New York; allora veramente avremmo sentito di aver intrapreso la nostra strada.

Dopo otto giorni di navigazione cominciammo ad avvistare terra. La nostra assegnazione all’estero! L’aria calda che soffiava sui nostri volti sembrava venir fuori da una fornace. Centinaia di tetti di lamiera risplendevano nel sole. Sembrava una città desertica in un mare di sabbia. Ero così contenta di lasciare la nave che tutto mi sembrava bello, ed ero grata a Geova per il nostro ottimo viaggio. Non sapevo che cosa avrebbe serbato per me il futuro in questo strano Paese, né me ne preoccupavo, perché avevo abbastanza fede per esser certa che Geova mi avrebbe guidata mentre continuavo a perseguire il mio scopo nella vita.

Mentre scrivo sorrido, pensando a queste sei missionarie scese dalla nave cariche di valige e di scatole di dolci e paste, con addosso pesanti cappotti invernali, cappelli, guanti e calze, con una temperatura di 37 gradi. Il sudore gocciolava copioso e ci venne tanto da ridere che non potevamo più frenarci. Non c’era la minima ombra in vista. Un fratello del luogo ci venne incontro, insieme ad un fratello di un’altra città che parlava inglese. Ed eccoci con un vocabolario di poche parole spagnole, senza alloggio, senza capire un decimo di quanto diceva il fratello nativo del luogo, e quasi arrostite sotto il sole tropicale. Il fratello che parlava inglese ci disse di una famiglia che forse avrebbe potuto ospitarci. La casa era piccola, ma egli pensava che ci avrebbero ospitate tutte. Il marito era interessato di recente e la moglie non era contraria. Avevano due bambini; così, con noi, saremmo stati dieci. Andammo a vedere questa piccola casa e la scorgemmo su un mucchio di sabbia. Ci fu fatto cordiale invito perché rimanessimo, ma quando mettemmo dentro i nostri 15 o più bauli, 40 scatole di letteratura, tutti i nostri vestiti pesanti e fagotti, non c’era più spazio neanche per rigirarsi. Essi non vi fecero caso. Ma dove avremmo dormito? Questo era facile. Essi tesero quattro amache in più dove era possibile e mia sorella ed io ci costruimmo un bel letto con le scatole dei libri. Fu questa una contrarietà? No, bensì una vera esperienza. Non avevamo mai avuto un’abitazione come questa, e non abbiamo mai condiviso una casa con persone più gentili di queste. Benché fossero molto poveri, e il marito disoccupato, le loro facce splendevano di gioia per averci con loro. La nostra conversazione era molto limitata, ma quando un mese dopo ci trasferimmo nella nostra casa missionaria essi piansero, ed anche noi. Non riuscivano a capire perché non potevamo continuare a vivere con loro. Sapevamo che Geova avrebbe benedetto questa famiglia per la gentilezza che ci aveva manifestata. Nel 1953 il padre e la madre parteciparono all’Assemblea della Società del Nuovo Mondo nello Yankee Stadium di New York, e l’anno dopo la madre e i due figli fecero i pionieri durante l’estate. Questi cari amici non sapranno mai che cosa abbia significato per noi la loro gentilezza. Accettammo lietamente quella umile sistemazione come provvedimento di Geova ed è per questo che abbiamo amato la nostra assegnazione fin dal primo giorno che vi mettemmo piede.

Presto la nostra casa missionaria venne confortevolmente ammobiliata. Organizzammo una congregazione composta di un solo fratello, qualche persona di buona volontà e noi sei. La congregazione crebbe rapidamente e nel 1954 in questa città c’erano due unità.

Due giorni dopo essere sbarcate a Maracaibo uscimmo nel campo, distribuendo molta letteratura. Ad ogni porta davamo una breve testimonianza, ma non capivamo una parola di quel che la gente diceva. Penso che essi trovassero più facile prendere la letteratura che cercar di farei capire che non la volevano. Due settimane dopo il nostro arrivo i sacerdoti cattolici annunciarono la nostra venuta. Ci descrissero una per una alla radio, dicendo alla gente di non prendere nulla da noi. Benissimo! Ora nella città tutti sapevano chi fossimo, e molte volte la gente veniva da noi per chiederci libri e Bibbie. Spesso alle sette del mattino avevamo già dato un libro. A causa del caldo la gente si alzava presto, e noi facevamo altrettanto.

Lavorammo strenuamente e trovammo molte persone di buona volontà, con le quali tenevamo studi esprimendoci con quel po’ di spagnolo che conoscevamo. Ricorderò sempre con grandissimo piacere uno dei miei primi studi. Era una signora e non sapeva leggere, perciò io dovevo leggere per lei. Non sapevo leggere molto bene, ma tra noi due potevamo determinare che cosa dicesse il paragrafo. Essa divenne presto una proclamatrice e suo marito volle che il libro fosse letto anche a lui. Io leggevo già un po’ meglio e potevo spiegare un po’ di più; ma col passar del tempo compresi che dovevo veramente applicarmi ad imparare la lingua in fretta, perché c’erano pecore che volevano informazioni subito e non potevano aspettare che io imparassi la lingua con comodo. Imparare una lingua straniera non mi fu facile, ma fu interessante e mi diede maggior soddisfazione quando cominciai a comprendere cosa diceva la gente. Ogni giorno compravamo un giornale e cercavamo di leggerlo. Studiai libri sul Paese ed osservai che il Venezuela era un Paese interessantissimo per viverci. Ancora oggi mi tengo informata sugli avvenimenti del Paese, e tutto questo mi fa sentire che ne faccio parte.

Dopo aver lavorato tre anni e mezzo nel caldo di Maracaibo, fummo trasferite a Barquisimeto, città dell’interno, molto più fresca. Un tipo di città completamente diverso, con una popolazione molto fanatica, povera, di cui più di metà non sa leggere. Questo voleva dire faticare un po’ di più per trovare le pecore, ed ora abbiamo in questo luogo un’organizzazione vigorosa, crescente, pura. Il nostro cuore ha compassione di questa gente; è così accecata dai sacerdoti cattolici che continuamente la mettono in guardia contro di noi e contro la Bibbia! Un giorno, mentre proclamavo in un negozio, entrò un prete cattolico e mi strappò di mano un opuscolo, lo strappò in quattro pezzi e poi cercò di ridarmelo. Io gli dissi che era di mia proprietà e che doveva pagarmelo. Egli si mise a frugare fra le sue sottane e ne tirò fuori il prezzo dell’opuscolo. Non disse una parola.

Quando i “santi” vengono trasportati da una chiesa all’altra migliaia di persone camminano per le strade portando in mano candele accese. La maggior parte di esse non ha mai visto una Bibbia, né sa chi è Geova. Una donna mi disse di avere il suo dio e corsa in casa ne uscì poi con un’immagine di Maria. Essa disse: “Questo è il mio dio”.

Quale migliore carriera avrei potuto scegliere per conseguire il mio scopo nella vita che essere missionaria all’estero e avere il privilegio di far conoscere la Bibbia, la santa e verace parola di Dio, a queste persone? Come avrei potuto avere più benedizioni di quelle avute in questa assegnazione missionaria? Spesso penso a queste ricche benedizioni, che non avrei godute se fosse stato necessario tornare nel mio Paese natio nei primi mesi o nel primo anno della mia assegnazione. Non avrei imparato una nuova lingua, né avrei imparato a vivere in queste terre tropicali, dove posso godere i fiori meravigliosi che sbocciano tutto l’anno, mangiare vari cibi nuovi, ma soprattutto veder sorgere congregazioni dove non si era mai sentito parlare della verità, e associarmi alle “altre pecore” di una razza diversa.

Potrei continuare a scrivere un libro sulle gioie che prova una missionaria, ma penso che posso impiegare meglio il tempo predicando, e lascerò che le “altre pecore” stesse siano il mio libro, rilegato con l’amore e con le pagine dorate dalla felicità. Rendo grazie a Geova per avermi dato il privilegio di essere missionaria.

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