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  • L’INCARICO PROFETICO NELLE SCRITTURE EBRAICHE
  • NOMINA E ISPIRAZIONE
  • COME DISTINGUERE I VERI DAI FALSI
  • I “FIGLI DEI PROFETI”
  • I PROFETI NELLE SCRITTURE GRECHE CRISTIANE
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Ausiliario per capire la Bibbia
ad pp. 1023-1025

Profeta

Uomo per mezzo del quale si fanno conoscere la volontà e il proposito di Dio. (Luca 1:70; Atti 3:18-21) Alcuni studiosi ritengono che il termine ebraico, navì’, derivi da una sconosciuta radice ebraica affine al termine arabo e a quello accadico che significano “gridare” o “annunciare”. Altri lessicografi invece, come Gesenius, sono del parere che la radice verbale navà’ sia una forma debole di navà‘, che significa “scorrere, scaturire o ribollire”. (Confronta Salmi 78:2; 119:171; Proverbi 1:23; 18:4). Secondo quest’ultima spiegazione, il navì’ sarebbe uno le cui parole sgorgano per l’impulso o la pressione del messaggio affidatogli da Dio. Qualunque fosse la sua origine, l’effettivo uso del termine dimostra che i veri profeti non erano comuni annunciatori ma portavoce di Dio, ‘uomini di Dio’ che pronunciavano messaggi ispirati. (I Re 12:22; II Re 4:9; 23:17) Essi si trovavano “nell’intimo gruppo” di Dio ed egli rivelava loro “la sua questione confidenziale”. — Ger. 23:18; Amos 3:7; I Re 17:1.

Il sostantivo italiano “profeta” deriva dal greco prophètes, che letteralmente significa “colui che parla per [gr. pro, “davanti” o “prima”, e phemì, “parlare”]”, e quindi proclamatore, annunciatore di messaggi di origine divina. (Confronta Tito 1:12). Anche se il termine italiano ha questo stesso significato fondamentale, per molti oggi dà semplicemente l’idea di uno che predice il futuro. Ma, come si è detto, il significato fondamentale della parola non ha niente a che fare col predire. (Confronta Giudici 6:7-10). Comunque per vivere in armonia con la volontà di Dio bisogna conoscere quali sono i propositi di Geova per il futuro al fine di conformare alla volontà di Dio le proprie vie, i propri desideri e i propri obiettivi. Quindi nella grande maggioranza dei casi, i profeti biblici trasmettevano messaggi che, direttamente o indirettamente, avevano attinenza col futuro.

L’INCARICO PROFETICO NELLE SCRITTURE EBRAICHE

Il primo portavoce umano di Dio fu ovviamente Adamo, che all’inizio trasmise le istruzioni di Dio alla moglie Eva e in questo ricoprì il ruolo di profeta. Quelle istruzioni non avevano a che fare solo col (loro) presente, ma anche col futuro, poiché indicavano il proposito di Dio per la terra e per l’umanità, e la via che gli uomini dovevano seguire per avere un futuro benedetto. (Gen. 1:26-30; 2:15-17, 23, 24; 3:1-3) Il primo profeta umano fedele di cui si ha memoria fu Enoc, e il suo messaggio conteneva effettivamente una vera e propria profezia. (Giuda 14, 15) Sia Lamec che suo figlio Noè proclamarono ispirate rivelazioni del proposito e della volontà di Dio. — Gen. 5:28, 29; 9:24-27; II Piet. 2:5.

Lo stesso termine navì’ viene usato per la prima volta a proposito di Abraamo. (Gen. 20:7) Abraamo non aveva fama di predire il futuro, certo non pubblicamente. Eppure Dio gli aveva affidato un messaggio, una promessa profetica. Abraamo dovette sentirsi agitato, costretto a parlarne, specie con la famiglia, spiegando perché se ne andava da Ur e quale promessa gli aveva fatto Dio. (Gen. 12:1-3; 13:14-17; 22:15-18) In maniera simile Isacco e Giacobbe, gli eredi della promessa, erano “profeti” poiché avevano intima relazione con Dio. (Sal. 105:9-15) Inoltre diedero benedizioni profetiche ai figli. (Gen. 27:27-29, 39, 40; 49:1-28) Con l’eccezione di Giobbe ed Eliu, che furono evidentemente impiegati da Dio prima dell’Esodo per rivelare divine verità, tutti i veri profeti da allora e fino al I secolo E.V. furono discendenti di Giacobbe (israeliti).

Con Mosè il ruolo del profeta diviene più chiaro. La posizione del profeta quale portavoce di Dio è messa in risalto dal fatto che Geova diede ad Aaronne l’incarico di essere “profeta” o “bocca” per Mosè, mentre Mosè ‘era come Dio per Aaronne’. (Eso. 4:16; 7:1, 2) Mosè predisse molti avvenimenti che ebbero adempimento immediato, come le dieci piaghe. Tuttavia prestò servizio in modo ancor più notevole come profeta o portavoce di Dio enunciando il patto della Legge presso il Sinai e insegnando alla nazione la volontà di Dio. Il patto della Legge fu d’immenso valore immediato per gli israeliti come guida e codice morale, ma additava anche il futuro e ‘migliori cose avvenire’. (Gal. 3:23-25; Ebr. 8:6; 9:23, 24; 10:1) L’intimità con cui Mosè comunicava, spesso dialogando con Dio, e l’assai maggior intendimento della volontà e del proposito di Geova che era solito impartire, resero particolarmente notevole la sua posizione profetica. (Eso. 6:2-8; Deut. 34:10) Il fratello e la sorella, Aaronne e Miriam, svolgevano anch’essi un servizio profetico nel senso che trasmettevano messaggi o consigli divini (ma non necessariamente predizioni), come i settanta anziani della nazione. — Eso. 15:20; Num. 11:25; 12:1-8.

A parte l’anonimo di Giudici 6:8, l’unica persona di cui nel libro di Giudici si fa precisa menzione per il suo servizio profetico è la profetessa Debora. (Giud. 4:4-7; 5:7) Ma il fatto che non ricorra il termine navi’ non indica di per sé che altri non prestassero tale servizio. All’epoca di Samuele “la parola di Geova era divenuta rara . . . ; non appariva nessuna visione”. Sin dall’infanzia Samuele prestò servizio quale portavoce di Dio, e l’adempimento dei messaggi divini convinse tutti che era “accreditato per il posto di profeta di Geova”. — I Sam. 3:1-14, 18-21.

Con l’istituzione della monarchia inizia una linea di profeti quasi ininterrotta. (Confronta Atti 3:24). Gad cominciò a profetizzare prima della morte di Samuele. (I Sam. 22:5; 25:1) Sia lui che il profeta Natan furono figure di primo piano durante il regno di Davide. (II Sam. 7:2-17; 12:7-15; 24:11-14, 18) Come fecero altri profeti in seguito, essi prestarono servizio come consiglieri del re e cronisti. (I Cron. 29:29; II Cron. 9:29; 29:25; 12:15; 25:15, 16) Davide stesso fu impiegato per trasmettere certe rivelazioni divine e l’apostolo Pietro lo definisce un “profeta”. (Atti 2:25-31, 34) Dopo la divisione del regno ci furono profeti fedeli sia nel regno settentrionale che in quello meridionale.

I profeti ebbero un ruolo importante nel sostenere la vera adorazione. La loro attività servì di freno per i re di Israele e di Giuda, poiché essi ripresero con coraggio i sovrani che sbagliavano (II Sam. 12:1-12) e annunciarono i giudizi di Dio contro coloro che agivano male. (I Re 14:1-16; 16:1-7, 12) Quando il sacerdozio si sviò e si corruppe, i profeti furono il mezzo impiegato da Geova per rafforzare la fede di un rimanente giusto e per indicare la via per tornare nel favore di Dio a quelli che si erano sviati. Come Mosè, i profeti in molte occasioni funsero da intercessori, pregando Dio a favore del re e del popolo. (Deut. 9:18-29; I Re 13:6; II Re 19:1-4; confronta Geremia 7:16; 14:11, 12). Erano particolarmente attivi in momenti di crisi o di grande necessità. Infondevano speranza riguardo al futuro, poiché a volte i loro messaggi predicevano le benedizioni del governo messianico. In questo modo giovarono non solo ai loro contemporanei ma anche alle future generazioni fino ai nostri giorni. (I Piet. 1:10-12) Eppure, nel far questo, furono oggetto di molto biasimo, di scherni e anche di maltrattamenti fisici. (II Cron. 36:15, 16; Ger. 7:25, 26; Ebr. 11:32-38) Ma quelli che li accoglievano bene furono benedetti spiritualmente e in altri modi. — I Re 17:8-24; II Re 4:8-37; confronta Matteo 10:41.

NOMINA E ISPIRAZIONE

L’incarico di profeta non era ereditario, anche se diversi profeti erano leviti, come Samuele, Zaccaria figlio di Ieoiada, Geremia e Ezechiele, e alcuni erano discendenti di profeti. (I Re 16:7; II Cron. 16:7; Zacc. 1:1) E non era nemmeno una professione intrapresa di propria iniziativa. I profeti erano scelti da Dio e nominati per mezzo dello spirito santo (Num. 11:24-29; Ezec. 1:1-3; Amos 7:14, 15), che pure faceva conoscere loro cosa proclamare. (Atti 28:25; II Piet. 1:21) Alcuni all’inizio si mostrarono molto riluttanti. (Eso. 3:11; 4:10-17; Ger. 1:4-10) Nel caso di Eliseo, la sua nomina divina avvenne tramite il suo predecessore, Elia, e fu simboleggiata dall’atto di Elia di gettare il suo manto ufficiale su Eliseo. — I Re 19:19-21.

Pur essendo nominati dallo spirito di Geova, non sembra che i profeti parlassero sempre sotto ispirazione. Infatti lo spirito di Dio ‘scendeva su di loro’ in certe occasioni, rivelando i messaggi da annunciare. (Ezec. 11:4, 5; Mic. 3:8) Questo aveva su di loro un effetto stimolante, li spingeva a parlare. (I Sam. 10:10; Ger. 20:9; Amos 3:8) Essi non solo facevano cose che erano fuori dell’ordinario, ma anche il loro modo di esprimersi senza dubbio rifletteva l’intensità dei loro sentimenti. Questo può spiegare in parte cosa s’intendeva dicendo che alcuni “si comportavano da profeti”. (I Sam. 10:6-11; 19:20-24; Ger. 29:24-32; confronta Atti 2:4, 12-17; 6:15; 7:55). L’assoluta concentrazione e il coraggio zelante con cui svolgevano la loro missione poteva fare apparire strano, perfino irrazionale il loro comportamento, proprio come apparve un profeta ai capi militari quando venne unto Ieu. Ma, rendendosi conto che si trattava di un profeta, i capi accolsero il suo messaggio con grande serietà. — II Re 9:1-13; confronta Atti 26:24, 25; vedi ISPIRAZIONE; VISIONE.

COME DISTINGUERE I VERI DAI FALSI

A volte, come nel caso di Mosè, di Elia, di Eliseo e di Gesù, i profeti di Dio compirono opere miracolose che attestavano l’autenticità del loro messaggio e incarico. Tuttavia non tutti compirono, per quanto si sa, opere potenti. Le tre cose fondamentali per stabilire le credenziali del vero profeta, indicate da Mosè, erano: il vero profeta parlava nel nome di Geova; le cose predette si avveravano (Deut. 18:20-22) e le sue profezie dovevano promuovere la vera adorazione, essere in armonia con i comandamenti e la rivelata Parola di Dio. (Deut. 13:1-4) L’ultimo requisito era probabilmente il più importante e determinante, perché un individuo poteva usare ipocritamente il nome di Dio e, per coincidenza, la sua predizione poteva avverarsi. Ma il vero profeta non era unicamente e neanche principalmente un annunciatore di cose future, come è stato dimostrato. Piuttosto era un sostenitore della giustizia, e il suo messaggio verteva principalmente su norme morali e sulla loro applicazione. Esprimeva l’idea di Dio su una determinata cosa. (Isa. 1:10-20; Mic. 6:1-12) Quindi non era necessario attendere, forse per anni o per generazioni, l’adempimento di una predizione per determinare se il profeta era vero o falso. Se il suo messaggio contraddiceva le norme e la rivelata volontà di Dio, era un falso profeta. Quindi il profeta che avesse predetto pace per Israele o per Giuda quando la popolazione disubbidiva alla Legge e alla Parola di Dio, era senz’altro falso. — Ger. 6:13, 14; 14:11-16.

L’avvertimento dato in seguito da Gesù circa i falsi profeti era simile a quello di Mosè. Anche se usavano il suo nome e compivano “segni e prodigi da sviare”, i loro frutti avrebbero dimostrato che erano “operatori d’illegalità”. — Matt. 7:15-23; Mar. 13:21-23; confronta II Pietro 2:1-3; I Giovanni 4:1-3.

Il vero profeta non profetizzava mai solo per soddisfare una curiosità umana. Ogni predizione aveva relazione con la volontà, il proposito, le norme o il giudizio di Dio. (I Re 11:29-39; Isa. 7:3-9) Spesso gli avvenimenti futuri predetti erano la conseguenza di condizioni esistenti: quello che seminavano avrebbero raccolto. I falsi profeti illudevano la popolazione e i suoi capi con piacevoli assicurazioni che, nonostante il loro comportamento scorretto, Dio era sempre con loro per proteggerli e aiutarli. (Ger. 23:16-20; 28:1-14; Ezec. 13:1-16; confronta Luca 6:26). Imitavano i veri profeti, ricorrendo a espressioni e azioni simboliche. (I Re 22:11; Ger. 28:10-14) Mentre alcuni erano dei semplici impostori, molti evidentemente erano profeti che avevano peccato o erano diventati apostati. (Confronta I Re 18:19; 22:5-7; Isaia 28:7; Geremia 23:11-15). A volte erano donne, false profetesse. (Ezec. 13:17-23; confronta Rivelazione 2:20). Uno “spirito di impurità” prendeva il posto dello spirito di Dio. Tutti i falsi profeti dovevano essere messi a morte. — Zacc. 13:2, 3; Deut. 13:5.

In quanto a quelli che soddisfacevano le norme divine, l’adempimento di certe profezie “a breve scadenza”, forse nel giro di un giorno o di un anno soltanto, dava ragione di confidare che le loro profezie circa un più lontano futuro avrebbero pure avuto adempimento. — I Re 13:1-5; 14:12, 17; II Re 4:16, 17; 7:1, 2, 16-20.

I “FIGLI DEI PROFETI”

Come spiega la Gesenius’ Hebrew Grammar (ed. 1980, p. 418), il termine ebraico ben (figlio di) o benèh (figli di) può indicare “appartenenza a una corporazione o associazione (oppure a una tribù, o a una qualsiasi classe particolare)”. (Confronta Neemia 3:8, dove l’espressione “membro dei mischiatori di unguento” letteralmente sarebbe “figlio dei mischiatori di unguento”). L’espressione “figli dei profeti” potrebbe quindi indicare una scuola frequentata da coloro che erano chiamati a svolgere questa professione o semplicemente un’associazione cooperativa di profeti. Simili gruppi di profeti erano presenti a Betel, Gerico e Ghilgal. (II Re 2:3, 5; 4:38; confronta I Samuele 10:5, 10). Samuele presiedeva un gruppo a Rama (I Sam. 19:19, 20), e sembra che ai suoi giorni anche Eliseo avesse un incarico simile. (II Re 4:38; 6:1-3; confronta I Re 18:13). La Bibbia menziona il fatto che nel costruirsi la propria abitazione si servirono di un arnese preso in prestito, il che potrebbe indicare che vivevano molto modestamente. Anche se spesso vivevano insieme e prendevano i pasti in comune, potevano ricevere singolarmente l’incarico di svolgere missioni profetiche. — I Re 20:35-42; II Re 4:1, 2, 39; 6:1-17; 9:1, 2.

I PROFETI NELLE SCRITTURE GRECHE CRISTIANE

Il termine greco prophètes corrisponde all’ebraico navì’. Il sacerdote Zaccaria, padre di Giovanni il Battezzatore, fu profeta nel rivelare il proposito di Dio per suo figlio, Giovanni, che sarebbe stato “chiamato profeta dell’Altissimo”. (Luca 1:76) La vita semplice e il messaggio di Giovanni ricordavano gli antichi profeti ebrei. Egli era ben noto come profeta; perfino Erode provava un certo ritegno a motivo di lui. (Mar. 1:4-6; Matt. 21:26; Mar. 6:20) Gesù disse che Giovanni era “assai più che un profeta”. — Matt. 11:7-10; confronta Luca 1:16, 17; Giovanni 3:27-30.

Gesù, il Messia, era “Il Profeta” lungamente atteso predetto da Mosè. (Giov. 1:19-21, 25-27; 6:14; 7:40; Deut. 18:18, 19; Atti 3:19-26) La sua capacità di compiere opere potenti e avere discernimento straordinario indusse altri a riconoscerlo quale profeta. (Luca 7:14-16; Giov. 4:16-19; confronta II Re 6:12). Più di tutti egli era “nell’intimo gruppo” di Dio. (Ger. 23:18; Giov. 1:18; 5:36; 8:42) Citava sempre gli antichi profeti che attestavano che la sua era una nomina e missione divina. (Matt. 12:39, 40; 21:42; Luca 4:18-21; 7:27; 24:25-27, 44; Giov. 15:25) Predisse come sarebbe stato tradito e come sarebbe morto, che quale profeta sarebbe morto a Gerusalemme, la città ‘che uccideva i profeti’, che i discepoli l’avrebbero abbandonato, che Pietro l’avrebbe rinnegato tre volte, che sarebbe stato risuscitato il terzo giorno; e molte di queste profezie si basavano su profezie precedenti contenute nelle Scritture Ebraiche. (Luca 13:33, 34; Matt. 20:17-19; 26:20-25, 31-34) Inoltre predisse la distruzione di Gerusalemme e del suo tempio. (Luca 19:41-44; 21:5-24) L’esatto adempimento di tutto questo nel corso della vita dei suoi ascoltatori offriva una valida ragione per aver fede ed essere convinti dell’adempimento delle sue profezie relative alla sua presenza. — Confronta Matteo 24; Marco 13; Luca 21.

La Pentecoste del 33 E.V. vide il predetto versamento dello spirito di Dio sui discepoli radunati a Gerusalemme, che permise loro di ‘profetizzare e avere visioni’. Essi fecero questo annunciando le “magnifiche cose di Dio”, e mediante ispirata rivelazione di conoscenza circa il Figlio di Dio e di ciò che questo significava per gli ascoltatori. (Atti 2:11-40) Ancora una volta, si ricordi che profetizzare non significa unicamente o necessariamente predire il futuro. L’apostolo Paolo affermò che “chi profetizza edifica e incoraggia e consola gli uomini con la sua parola”, e secondo lui quello di profetizzare era un obiettivo giusto e particolarmente desiderabile che tutti i cristiani si dovevano sforzare di raggiungere. Mentre parlare in lingue straniere era un segno per i non credenti, profetizzare lo era per i credenti. Ma anche il non credente che avesse assistito a un’adunanza cristiana avrebbe tratto beneficio dalla profezia, essendo da essa ripreso ed esaminato attentamente, tanto che ‘i segreti del suo cuore sarebbero divenuti manifesti’. (I Cor. 14:1-6, 22-25) Anche questo indica che la profezia cristiana non consisteva principalmente nel predire ma spesso riguardava piuttosto cose del presente, pur provenendo chiaramente da una fonte fuori dell’ordinario, essendo ispirata da Dio. Paolo diede consigli circa la necessità di mantenere l’ordine e la padronanza di sé nel profetizzare nell’ambito della congregazione, in modo che tutti potessero imparare ed essere incoraggiati. — I Cor. 14:29-33.

C’erano senz’altro alcuni particolarmente dotati o scelti per prestare servizio come profeti. (I Cor. 12:4-11, 27-29) Paolo stesso aveva il dono della profezia, eppure è noto più che altro come apostolo. (Confronta Atti 20:22-25; 27:21-26, 31, 34; I Cor. 13:2; 14:6). Sembra che quelli designati in special modo come profeti, quali Agabo, Giuda e Sila fossero speciali rappresentanti della congregazione cristiana, secondi solo agli apostoli. (I Cor. 12:28; Efes. 4:11) Come gli apostoli, non solo prestarono servizio nella congregazione locale, ma si recarono anche in diversi luoghi, pronunciarono discorsi e inoltre predissero certi avvenimenti futuri. (Atti 11:27, 28; 13:1; 15:22, 30-33; 21:10, 11) Come nell’antichità, alcune donne cristiane ricevettero il dono di profetizzare, ma sempre sottomesse all’autorità dei componenti della congregazione di sesso maschile. — Atti 21:9; I Cor. 11:3-5.

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