Mantenetevi ‘puri dal sangue di tutti gli uomini’
1. Con quali parole Paolo indicò che i cristiani dovevano serbarsi puri dal sangue anche in un altro modo?
OLTRE al sangue letterale dell’uomo, delle bestie e degli uccelli, coloro che non vogliono far dispiacere a Dio e ricevere la sua punizione devono prestare attenzione ad un altro modo in cui si devono mantenere puri dal sangue. L’apostolo Paolo indicò questo modo quando disse ai sorveglianti cristiani della città di Efeso, nell’Asia Minore: “Ed ora, ecco, io so che voi tutti fra i quali venni predicando il regno [di Dio, VR; Ri; Ti] non vedrete più la mia faccia. Quindi vi chiamo a testimoni in questo giorno che io sono puro dal sangue di tutti gli uomini”. (Atti 20:25, 26) Come mai poteva Paolo dir questo? E come sono le sue parole e il suo esempio un ammonimento per noi oggi?
2. In che modo Paolo iniziò una carriera di persecuzione?
2 Paolo fu un tempo noto come Saulo della città di Tarso, nell’Asia Minore. Per un certo tempo egli fu colpevole di un grave spargimento di sangue. Quando la Corte Suprema di Gerusalemme fece lapidare a morte il fedele testimone cristiano Stefano, questo Saulo di Tarso osservava badando alle vesti di quelli che lo lapidavano. In questo modo Saulo mostrò apertamente di approvare questo assassinio. Sul suo stesso capo gravava parte della responsabilità per lo spargimento del sangue di Stefano. (Atti 7:58; 8:1; 22:19, 20, VR) Egli intraprese quindi un’attività di persecuzione. “Ma Saulo devastava la congregazione. Entrando in una casa dopo l’altra e trascinandone fuori uomini e donne li cacciava in prigione”. Eccetto gli apostoli, i cristiani furono dispersi fuori di Gerusalemme. — Atti 8:3.
3. Quale persecuzione Paolo confessò dinanzi a Festo ed Agrippa?
3 “Or Saulo, spirando ancora minaccia ed uccisione contro i discepoli del Signore, recatosi dal sommo sacerdote, gli domandò lettere per le congregazioni di Damasco [in Siria], affinché se trovava alcuni che fossero di questa via, uomini o donne, li menasse legati a Gerusalemme”. (Atti 9:1, 2, Co) Allorché testimoniava dinanzi al governatore Festo e al re Erode Agrippa II, egli disse: “Quanto a me, io pure credetti di dover compiere molti atti di opposizione contro il nome di Gesù il Nazareno; il che, infatti, feci in Gerusalemme, e avutone il potere dai capi sacerdoti, chiusi nelle prigioni molti santi; e quando dovevano esser giustiziati, diedi il mio voto contro di loro. E punendoli molte volte in tutte le sinagoghe, cercai di costringerli a ritrattarsi; e poiché ero grandemente infuriato contro di loro, li perseguitai anche in città straniere”. — Atti 26:9-11.
4. Di che cosa fu colpevole Saulo, e perché era importante che cambiasse la sua occupazione?
4 Con questa perversa condotta Saulo si rese gravemente colpevole, si rese colpevole di sangue innocente. Come ne fu liberato? Accettando la misericordia divina. Mentre andava a Damasco per compiervi la sua persecuzione, Saulo fu arrestato da colui che egli veramente perseguitava. Il risuscitato e glorificato Gesù apparve a Saulo miracolosamente e lo rimproverò, dicendo: “Io sono Gesù che tu perseguiti”. Il Signore Gesù offrì quindi a Saulo un’occupazione diversa, quella di “ministro e testimonio delle cose che hai vedute e di quelle per le quali ti apparirò, liberandoti da questo popolo e dai Gentili, tra i quali ora ti mando, ad aprir i loro occhi, affinché passino dalle tenebre alla luce, e dal potere di Satana a Dio e ricevano per la fede in me la remissione dei peccati e l’eredità tra i santi”. (Atti 26:12-18; 9:3-6, Ti) Si poneva ora la domanda: Avrebbe Saulo cambiato la sua occupazione da persecutore a ministro e testimonio di Gesù Cristo? Da ciò dipendeva la sua attuale vita, perché la grave colpa che pesava su di lui per il sangue che aveva sparso meritava la morte. Da ciò dipendeva anche la sua vita eterna.
5. Quale condotta intraprese quindi Saulo, e quale pubblica evidenza diede immediatamente?
5 Saulo comprese che meritava la morte, ma, per la misericordia di Dio manifestata mediante Cristo, egli non dovette morire a causa di tutto il sangue che aveva sparso. Durante i tre giorni della sua miracolosa cecità, confessò a Damasco il suo grande peccato, si pentì e implorò misericordia in nome del sacrificio di riscatto di Gesù Cristo. Egli si convertì o si volse dalla propria condotta omicida di persecutore quale Fariseo giudaico, e si dedicò a Geova Dio quale seguace del Suo Figlio Gesù Cristo. Decidendo in tal modo di fare ciò che era per lui la volontà di Dio, accettò il lavoro che gli venne assegnato da Gesù. Non appena riacquistò miracolosamente la vista, il terzo giorno, Saulo fu battezzato in acqua per mostrare pubblicamente d’essersi dedicato a Dio in qualità di seguace di Gesù; e i suoi peccati furono lavati nel prezioso sangue dell’Agnello di Dio, Gesù Cristo. (Atti 9:17-19; 22:12-16) Subito dopo egli cominciò ad agire in qualità di testimone come Gesù Cristo. — Atti 9:19-26.
6, 7. (a) Mostrando che cosa Dio liberò Saulo dalla sua colpa? (b) Che cosa dice egli a coloro che si sentono similmente colpevoli oggi?
6 Saulo dice che la grave colpa che pesava su di lui a causa del sangue sparso gli fu perdonata per amorevole benignità di Dio mediante Gesù Cristo, che gli apparve anche dopo la sua ascensione in cielo: “Dopo tutti apparve anche a me come ad uno nato prematuramente. Poiché io sono l’ultimo degli apostoli, e non sono degno d’esser chiamato apostolo, perché perseguitai la congregazione di Dio. Ma per immeritata benignità di Dio io sono quello che sono. E la sua immeritata benignità verso di me non si è dimostrata vana, ma io ho faticato più di tutti loro, comunque non io ma l’immeritata benignità di Dio che è con me”. (1 Cor. 15:8-11) Nella sua ignoranza Saulo accumulò fanaticamente sul proprio capo la colpa del sangue sparso. Per le persone che oggi potrebbero similmente sentire l’insopportabile peso della colpa d’aver sparso del sangue, Paolo dice:
7 “Mi ha stimato fedele, ponendo nel ministero me, che prima ero bestemmiatore e persecutore e oppressore, ma ottenni misericordia, perché agii per ignoranza, nella mia incredulità; e la grazia del Signore nostro sovrabbondò colla fede e colla carità che è in Cristo Gesù. Parola fedele e degna d’ogni accettazione: Cristo Gesù venne in questo mondo a salvare i peccatori, dei quali il primo son io, ma appunto per questo ottenni misericordia, affinché in me per il primo Cristo Gesù facesse vedere tutta quanta la sua pazienza, ad esempio di coloro che in avvenire crederanno in lui, per la vita eterna”. — 1 Tim. 1:12-16, Ti.
8. Quindi, come Saulo, quali passi dobbiamo fare per essere purificati da terribili colpe per spargimento di sangue e poter compiere il servizio cristiano?
8 Confessando i suoi gravi peccati, pentendosene, convertendosi o allontanandosi da questa confessata condotta di peccato, accettando umilmente e con gratitudine l’immeritata benignità di Dio mediante il suo Figlio Gesù Cristo, dedicandosi a Dio per adempiere la sua rivelata volontà, e simboleggiando questa dedicazione col battesimo in acqua, Saulo di Tarso intraprese il servizio assegnatogli in qualità di cristiano, puro dal sangue dei cristiani che aveva fatti giustiziare. Oggi anche noi possiamo in questo stesso modo esser purificati da terribili colpe per spargimento di sangue. Possiamo quindi osservare la legge di Dio riguardo alla santità del sangue, astenendoci dal sangue e da animali uccisi senza scolarne il sangue.
9. In che modo la persona dedicata assume una nuova responsabilità rispetto al sangue degli altri, come indicò Paolo?
9 Ma che cos’è questo mantenersi ‘puri dal sangue di tutti gli uomini’ di cui parla in seguito Paolo? Divenendo cristiano, colui che si dedica riceve forse una nuova responsabilità riguardo al sangue di altri uomini? Sì, perché altri uomini sono in pericolo di morte per mano di Dio come lo fummo un tempo noi, ed ora noi sappiamo in che modo essi possono evitare tale morte. Abbiamo perciò la responsabilità di usare la nostra conoscenza a loro favore. Noi non siamo i soli peccatori che Cristo venne a salvare spargendo il suo sangue. Egli fu acclamato come l’“Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. — Giov. 1:29.
10. Perché altri possano godere dei mezzi della salvezza, quale obbligo hanno coloro ai quali fu già mostrata misericordia, come è indicato in Proverbi 24:11, 12?
10 Come si possono comunque salvare altre persone del mondo mediante il suo sacrificio per i peccati, se non ne hanno sentito parlare e non hanno l’opportunità d’accettarlo e trarne profitto? La salvezza è dunque possibile per innumerevoli altre persone, oltre a noi che siamo attualmente salvati. Coloro ai quali è stata già mostrata misericordia hanno la responsabilità di mostrare misericordia e far conoscere ad altri i mezzi della salvezza. Se non facciamo questo, la mancata salvezza di altri non dovrà forse essere in maggiore o minore misura attribuita a noi, che avremo trascurato o mancato di dare le necessarie informazioni? Questo accade particolarmente nel tempo del giudizio divino, allorché sta per eseguirsi un prestabilito giudizio. Mostrando in proposito la nostra responsabilità, Proverbi 24:11, 12 dice: “Libera quelli che son condotti a morte e quelli che vacillano verso la strage, se vuoi esser salvato. Se dirai: ‘Ecco, noi non conoscevamo costui’, non lo discernerà colui che stima i cuori, e colui che osserva la tua anima non lo saprà e non renderà certamente all’uomo terreno secondo la sua attività?” Così Paolo considerò la situazione. A lui era stata mostrata illimitata misericordia; quindi egli doveva mostrare misericordia ad altri, dal momento che egli stesso viveva a motivo della misericordia mostratagli da Dio mediante Cristo.
MOSTRIAMO LA VIA DELLA SALVEZZA
11. Al tempo di Paolo quale domanda era appropriata riguardo a Gerusalemme, e che cosa sentì l’urgenza di fare Paolo per serbarsi puro?
11 L’apostolo Paolo è oggi per noi un esempio. Egli desiderava non rendersi responsabile della condanna che il grande Giudice Geova eseguirà su altri, poiché tale esecuzione significherà la distruzione del corpo e dell’anima nella Geenna. (Matt. 10:28) Ai giorni di Paolo i Giudei vivevano in un periodo di giudizio divino. Il Signore Gesù aveva detto che Gerusalemme andava incontro a un’orribile distruzione, perché non aveva compreso in quale tempo era stata visitata dal Figlio di Dio. (Luca 19:41-44) Si poneva la domanda: Chi perirà con Gerusalemme? Su chi peserà la condanna che invocarono su se stessi e sui loro figli coloro che chiesero la morte di Gesù? Paolo si sentì quindi spinto a darne l’avvertimento e a mostrare la via della salvezza e della vita eterna. Pertanto predicò, rivolgendosi prima ai Giudei in pericolo. Questo coscienzioso desiderio di non assumersi la responsabilità della distruzione d’altri fu rivelato da Paolo con le parole che pronunciò a Corinto.
12. A motivo della sua attività di predicazione a Corinto, quale crisi vi fu, e che cosa disse e fece Paolo al riguardo?
12 In quella città greca Paolo lavorò come fabbricante di tende insieme a un credente giudeo, Aquila, marito di Priscilla. Ogni sabato giudaico, egli pronunciava tuttavia un discorso nella locale sinagoga riuscendo a condurre al cristianesimo Giudei e Greci. Quando i compagni di viaggio di Paolo lo raggiunsero infine in quella città, egli “si diè tutto quanto alla predicazione, testimoniando ai Giudei che Gesù era il Cristo”. Vi fu poi una crisi. Essa indusse Paolo a fare una dichiarazione che mostrò perché prendeva la questione così seriamente. Leggiamo: “Però, contrastando essi [i Giudei] e bestemmiando, egli scosse le sue vesti e disse loro: Il vostro sangue ricada sul vostro capo; io ne son netto; da ora innanzi andrò ai Gentili. E partitosi di là, entrò in casa d’un tale, chiamato Tizio Giusto, il quale temeva Iddio, ed avea la casa contigua alla sinagoga. E Crispo, il capo della sinagoga, credette nel Signore con tutta la sua casa; e molti dei Corinzi, udendo Paolo, credevano, ed eran battezzati”. — Atti 18:1-8; 1 Cor. 1:14-16, VR.
13. In che modo i Giudei increduli di Corinto possono aver subìto la stessa condanna di Gerusalemme, e perché Paolo non ne era responsabile?
13 Paolo sapeva che la nazione giudaica era in un periodo di giudizio e che la distruzione si sarebbe abbattuta su Gerusalemme al tempo della generazione allora vivente. Giudei di ogni parte della terra, “di ogni nazione che sia sotto il cielo”, erano andati a Gerusalemme per partecipare alle celebrazioni o feste annuali dei Giudei. Indubbiamente alcuni della sinagoga giudaica di Corinto, che si erano opposti a Paolo verso il 50 o il 51 d.C., andarono vent’anni dopo a Gerusalemme per celebrare la Pasqua del 70 (d.C.). Ivi essi furono accerchiati quando il generale romano Tito condusse le sue legioni contro la città e prese in trappola tutti i celebranti della Pasqua. La maggioranza di essi morirono a causa dell’assedio, della carestia, della pestilenza e delle lotte interne. Soltanto i pochi superstiti furono deportati in ogni parte dell’Impero Romano. Se quei Giudei fossero divenuti cristiani e fossero stati battezzati da Paolo come avevano fatto Crispo e la sua famiglia, si sarebbero tenuti lontani da Gerusalemme e dalla Giudea, specie dopo che il romano Cestio Gallo aveva per breve tempo assediato con i suoi eserciti la città condannata, nel 66 (d.C.). Essi avrebbero così ascoltato le parole di Gesù riportate in Luca 21:20-22, e non sarebbero periti con un milionecentomila Giudei come caparbi, volontari oppositori di Cristo, rifiutando la salvezza che avrebbero potuto ottenere per mezzo di lui. Ad ogni modo, sia che perissero a Gerusalemme o no, quei Giudei morirono come ostinati nemici del Salvatore del genere umano. Tuttavia, Paolo non poteva essere considerato responsabile della loro morte al di fuori del provvedimento divino per la salvezza mediante Gesù Cristo.
14. Perché allontanandosi dai Giudei di Corinto Paolo poté declinare ogni responsabilità per il loro sangue sparso, e a chi si rivolse quindi?
14 Paolo poteva in coscienza scuotere le sue vesti e smentire d’avere alcuna colpa per il sangue sparso da quei Giudei di Corinto. Egli era puro e innocente in merito. Aveva perfino predicato nella loro sinagoga nel loro giorno di riposo. Quando i suoi compagni Sila e Timoteo si unirono a lui, egli si occupò più intensamente della parola, cioè della predicazione e dell’insegnamento. Questo lo costrinse senza dubbio a dedicare meno tempo alla fabbricazione di tende. Ma si sentì obbligato a far ciò a causa della responsabilità che aveva verso i Giudei sui quali gravava il diretto giudizio del loro Dio Geova, quindi il pericolo di distruzione eterna. Allorché continuarono ad opporsi al messaggio della salvezza e a parlare ingiuriosamente di Gesù Cristo, sarebbe stata una perdita di tempo e uno spreco d’energia se avesse continuato a parlare loro come ad una comunità. Ora egli li poteva lasciare in tutta buona coscienza alle conseguenze della loro condotta deliberata e anticristiana, senza aver la minima colpa per il sangue. Perciò si volse allora all’altra sua responsabilità, quella di servire quale “apostolo delle nazioni [non giudaiche]”. (Rom. 11:13) Esse pure potevano esser salvate, se ascoltavano il messaggio. Perciò Paolo disse agli abbandonati Giudei di Corinto: “Da ora in poi andrò al popolo delle nazioni”.
15. Che cosa dimostrò che la condotta di Paolo era giusta e che egli era puro dal sangue degli oppositori giudei?
15 Era questa la condotta giusta, era Paolo veramente puro e ricadeva il sangue dei Giudei sulle loro proprie teste? Il Signore mostrò di sì. Perché? Perché dopo che Paolo si volse esclusivamente ai pagani di Corinto ricevette un messaggio celeste. Leggiamo: “E il Signore disse in una notte in visione a Paolo: non temere; ma parla, e non tacere; ché io sono teco, e nessuno ardirà farti del male perché io ho un gran popolo in questa città. E vi si fermò un anno e sei mesi, insegnando loro la parola di Dio”. (Atti 18:9-11, Ti) Il “gran popolo in questa città” che il Signore aveva dovette essere composto di non Giudei, che divennero cristiani. I Giudei oppositori tentarono allora di fare della predicazione di Paolo una questione legale presso il proconsole Gallione. Questo non riuscì. Il caso fu respinto dalla corte. Dopo esser rimasto per parecchi giorni insegnando ai non Giudei la Parola di Dio, Paolo partì pacificamente da Corinto e fece una visita a Gerusalemme. — Atti 18:12-22.
COME SI MANTENNE PURO?
16. Secondo il racconto dei suoi viaggi, a chi testimoniò Paolo, e quale rivendicatrice rivelazione fece ai sorveglianti di Efeso?
16 Non meno dei testimoni di Geova di oggi, Paolo fu testimone in molte parti della terra abitata, in quante poté raggiungere, allo scopo di dar testimonianza: in Siria, Giudea, Arabia, Cilicia, Cipro, Panfilia, Galazia, Licia, Asia, Macedonia, Grecia, Malta e Italia, secondo le sicure informazioni che abbiamo dei suoi viaggi. Ovunque andasse e avesse l’opportunità di recar testimonianza, questo apostolo mostrò a noi di oggi come mantenerci puri “dal sangue di tutti gli uomini”. Come fece questo? Il discorso di addio che pronunciò ai sorveglianti della congregazione di Efeso, principale città della provincia romana dell’Asia, spiega in particolar modo come fece. Quando Paolo si fermò nella vicina Mileto durante l’ultimo viaggio per andare a Gerusalemme, mandò a chiamare e radunò presso di sé questi anziani della congregazione di Efeso. A loro egli fece la rivendicatrice dichiarazione: “Quindi vi chiamo a testimoni in questo giorno che io sono puro dal sangue di tutti gli uomini”. (Atti 20:16, 17, 26) Poterono quei sorveglianti di Efeso contestare questa dichiarazione? No! Perché no? Perché Paolo aveva dovutamente presentato loro il messaggio della salvezza.
17. Che cosa ben sapevano quegli Efesini sin dal primo soggiorno di Paolo fra loro, e che cos’erano ‘le cose utili’ da lui menzionate?
17 Esaminiamo a questo proposito le parole di Paolo. A quei rappresentanti della congregazione cristiana di Efeso egli disse: “Voi sapete in qual maniera, dal primo giorno che entrai nell’Asia, io mi son sempre comportato con voi, servendo al Signore con ogni umiltà, e con lacrime, fra le prove venutemi dalle insidie dei Giudei; come io non mi son tratto indietro dall’annunziarvi e dall’insegnarvi in pubblico e per le case, cosa alcuna di quelle che vi fossero utili”. (Atti 20:18-20, VR) Si noti che ‘le cose che erano utili’ erano quelle che venivano dalla Parola di Dio e avevano relazione con la loro condizione di salvati, che dovevano raggiungere e preservare. Ma come fece Paolo a predicare e insegnare a Efeso, in pubblico e per le case? Il racconto lo mostra.
18. Quale opera fece “in pubblico” Paolo nei confronti dei Giudei di Efeso?
18 Dopo la partenza da Corinto, durante il viaggio verso Gerusalemme, Paolo si fermò a Efeso. Quale opera vi compì “in pubblico”? “Egli poi, entrato nella sinagoga, discuteva coi Giudei: e siccome questi lo pregavano di fermarsi più a lungo, Paolo non acconsentì; ma, nel congedarsi da loro, promise: ‘Un’altra volta, se piace a Dio, io tornerò a voi’”. (Atti 18:19-21, Ri) Dopo aver adempiuto il suo voto a Gerusalemme, Paolo tornò a Efeso. Egli si mostrò di nuovo in pubblico. “Entrando nella sinagoga, parlò con franchezza per tre mesi, pronunciando discorsi e parole persuasive riguardo al regno di Dio”. Quando i Giudei cominciarono ad obiettare ad alta voce, smise Paolo di fare la sua opera pubblica? No, dice il racconto. “Ma siccome alcuni s’ostinavano a non credere, parlando oltraggiosamente della Via davanti alla moltitudine, egli si ritrasse da loro e separò da loro i discepoli, pronunciando giornalmente discorsi nell’aula scolastica di Tiranno. Questo avvenne per due anni, così che tutti quelli che abitavano nella provincia dell’Asia udirono la parola del Signore, sia i Giudei che i Greci”. — Atti 19:1, 8-10.
19. Che cosa fece quindi Paolo per continuare a parlare in pubblico e con quale effetto nel corso di due anni?
19 Quindi Paolo semplicemente cambiò la sala per i discorsi pubblici, passando dalla sinagoga giudaica all’aula scolastica. Ivi egli pronunciava ogni giorno discorsi biblici. Faceva lavoro secolare per provvedere ai propri bisogni e anche a quelli di altri; ma stabiliva il suo programma in modo da poter parlare quotidianamente sulla Bibbia. Nel periodo di due anni questo ebbe tale effetto sul pubblico che tutti gli abitanti della provincia romana dell’Asia udirono il messaggio del Signore, sia i Giudei che i non Giudei.
20. Quali avvenimenti relativi al demonismo dimostrarono quale testimonianza pubblica aveva dato Paolo, e con quale effetto sulla parola di Geova?
20 Alcuni viaggiatori giudei cercarono di imitare certi miracoli compiuti da Paolo. Essi dissero ai demoni che ossessionavano certe vittime: “Io vi impongo solennemente per Gesù che Paolo predica”. Non soltanto quei Giudei sapevano che Paolo predicava pubblicamente, ma lo sapevano anche i demoni. In un caso un demonio rispose loro: “Conosco Gesù e so chi è Paolo; ma voi chi siete?” Ciò che poi avvenne si riseppe in tutta Efeso. Leggiamo: “Tutti furono presi dalla paura, e il nome del Signore Gesù continuava ad essere magnificato. E molti di quelli che eran divenuti credenti venivano a confessare e a riferire le loro pratiche apertamente. Invero, un notevole numero di quelli che praticavano arti magiche portarono i loro libri insieme e li bruciarono davanti a tutti. Ed essi calcolarono assieme il loro prezzo e trovarono che valevano cinquantamila pezzi d’argento. Così in maniera potente la parola di Geova cresceva e prevaleva”. (Atti 19:11-20) Questa è la condotta che devono tenere oggi quelli che hanno praticato lo spiritismo, che è demonismo. Confessino apertamente le loro pratiche passate e chiedano perdono a Dio, distruggendo i loro libri demonici o opere di consultazione senza tener conto del loro valore mondano. Comunque, il fatto notevole è che, a motivo del pubblico insegnamento di Paolo, la predicazione della Parola di Dio cresceva e prevaleva sugli insegnamenti pagani e sulle tradizioni giudaiche in maniera potente.
21. A causa dell’opera di Paolo al di fuori della sinagoga, da parte di chi sorse opposizione, e in che modo l’argentiere Demetrio istigò un tumulto?
21 A causa della predicazione compiuta da Paolo nelle sinagoghe era sorta fra i Giudei forte opposizione. La sua opera svolta al di fuori della sinagoga giudaica ebbe tanto successo fra i non Giudei che suscitò opposizione fra i pagani. Confessando a malincuore il successo dell’opera pubblica di Paolo, l’argentiere Demetrio disse ai suoi compagni di mestiere che facevano i tempietti d’argento di Artemide, o Diana, di cui vi era in Efeso un magnifico tempio: “Amici, voi sapete che di questa nostra arte noi viviamo; ora vedete e udite che questo Paolo sta persuadendo e sviando la moltitudine, non solo in Efeso ma in quasi tutta l’Asia, dicendo che quelli fatti con le mani non son dèi. Onde non solo c’è pericolo che la nostra industria cada in discredito, ma che anche il tempio di Diana, la gran dea, non conti più nulla, e sia spogliata della sua maestà colei che tutta l’Asia e tutto il mondo adorano”. Udito ciò, essi fecero un tumulto a Efeso.
22. Quale evidenza della notorietà di Paolo venne dimostrata dall’azione dei pubblici funzionari in occasione del tumulto?
22 Tanta era la notorietà che Paolo aveva acquistata quale ministro cristiano che i pubblici funzionari cercarono che non gli fosse fatto del male. I discepoli non volevano che Paolo andasse nel teatro della città per parlare alla turba disordinata e urlante. Leggiamo: “Perfino alcuni degli Asiarchi [commissari delle feste e dei giochi], amici suoi, mandarono a pregarlo che non s’avventurasse ad andare nel teatro”. Infine il segretario della città fece tornare in sé la turba e sciolse la tumultuosa assemblea. — Atti 19:23-41, Ri.
23. Quali indicazioni vi sono che Paolo insegnò di casa in casa, e chi non poté negare tale opera di Paolo?
23 Ma come aveva Paolo insegnato “di casa in casa” a Efeso? Non ne abbiamo alcuna rimarchevole narrazione. Tuttavia, quando Paolo fece per la prima volta questa visita ulteriore a Efeso trovò alcuni discepoli professanti, circa dodici. Il racconto non dice che incontrasse questi uomini nella sinagoga giudaica. È quindi ragionevole supporre che li trovasse facendo la sua opera di casa in casa, della quale parlò in seguito ai sorveglianti efesini. Poiché non è riferito che Paolo parlasse a questi dodici discepoli professanti nella sinagoga, egli dovette aver spiegato loro la dottrina cristiana in una casa privata. Essi non sapevano niente dello spirito santo, il che spiega perché non operava in loro. Erano stati battezzati in acqua; ma non secondo il battesimo cristiano. Avevano fatto “il battesimo di Giovanni”. Ma anche Giovanni Battista disse ai suoi discepoli che avrebbero dovuto ‘credere in colui che sarebbe venuto dopo di lui, cioè Gesù’. I dodici uomini furono perciò ribattezzati, questa volta “nel nome del Signore Gesù”, e dalle mani di Paolo ricevettero lo spirito santo e i suoi miracolosi doni di parlare in altre lingue e profetizzare. Paolo andò poi in un luogo pubblico, nella sinagoga. Inoltre, delle persone che avevano bisogno di miracoloso aiuto invitarono Paolo in casa loro. (Atti 19:1-7, 11) E i sorveglianti efesini non smentirono la dichiarazione di Paolo secondo cui aveva lavorato in qualità d’insegnante cristiano di casa in casa. — Atti 20:20.
“LE COSE UTILI”
24, 25. (a) Che cosa insegnò Paolo in pubblico e di casa in casa? (b) In che modo vengono in luce queste informazioni?
24 I sorveglianti efesini non poterono accusare l’apostolo Paolo d’essersi trattenuto dall’insegnare alcuna cosa necessaria affinché evitassero la distruzione e ottenessero la salvezza eterna. Che aveva insegnato dunque Paolo pubblicamente e di casa in casa? La verità intorno al vero Dio, il pentimento dei peccatori verso Dio, la fede nel Signore Gesù, l’immeritata benignità di Dio per mezzo di Gesù, il regno di Dio, la Parola di Dio, l’eredità dei santificati di Dio e l’esempio di Gesù nel dare anziché ricevere. Queste informazioni vengono alla luce mentre Paolo continua a parlare ai sorveglianti di Efeso:
25 Non mi son “risparmiato per annunziarvi . . . inculcando ai Giudei e ai Gentili [quindi a tutti gli uomini] la penitenza verso Dio e la fede nel Signore nostro Gesù Cristo. Ed ora, ecco che io, costretto dallo Spirito Santo, vado a Gerusalemme non sapendo quali cose là mi abbiano ad accadere: se non che lo Spirito Santo in tutte le città mi assicura e mi dice che catene e tribolazioni mi aspettano a Gerusalemme. Ma niuna di queste cose io temo, né tengo la mia vita più di me, purché io compia la mia missione e il ministero ricevuto dal Signore Gesù per rendere testimonianza al Vangelo della grazia di Dio. E ora ecco; io so che voi tutti, fra i quali son passato predicando il regno di Dio, non vedrete più la mia faccia”. — Atti 20:20-25, Ti.
26. Che cosa predicò Paolo in pubblico e di casa in casa, oltre a quello che menzionò Gesù in Luca 24:46-48?
26 Paolo adempiva le istruzioni impartite da Gesù ai suoi discepoli quando disse: “Così è scritto che il Cristo avrebbe sofferto e che sarebbe risorto dai morti il terzo giorno, e in base al suo nome il ravvedimento per il perdono dei peccati sarebbe stato predicato in tutte le nazioni: cominciando da Gerusalemme, sarete testimoni di queste cose”. (Luca 24:46-48) Paolo insegnò più che il sacrificio di riscatto di Gesù Cristo, sul fondamento del quale possiamo ricevere da Dio il perdono per i nostri peccati rivolgendoci pentiti a lui. Egli predicò anche il regno di Dio, in cui Gesù Cristo sarà l’unto Re di Dio e per cui Gesù insegnò ai suoi discepoli a pregare Dio, dicendo: “Venga il tuo regno. Si compia la tua volontà, come in cielo, anche sulla terra”. (Matt. 6:10) In questo regno celeste, inoltre, avranno un’eredità i fedeli discepoli di Gesù, “i santificati”. Per parecchi anni Paolo diede debita testimonianza ad ogni specie di uomini, Giudei e Greci, su queste cose utili, insegnando loro pubblicamente e di casa in casa.
27. Secondo le parole di Paolo ai sorveglianti di Efeso, quale fu il suo principale scopo, e come lo raggiunse?
27 Il principale proposito di Paolo era di finire la sua corsa come deve ogni cristiano, sì, e di finire l’opera di testimonianza, il ministero ricevuto dal Signore Gesù che lo incontrò per via. Paolo fece questo non soltanto per mezzo della predicazione pubblica ma anche per mezzo della più intima, privata, diretta predicazione di casa in casa.
CONSAPEVOLEZZA D’ESSER PURO
28. Quale effetto ebbe questo sulla responsabilità di Paolo verso tutti, e perché Paolo poteva essere sicuro su una questione così grave?
28 Quale effetto ebbe questo sulla responsabilità di Paolo dinanzi a Dio e dinanzi al popolo di Efeso, e particolarmente dinanzi alla congregazione cristiana di quella città? Paolo risultò libero da ogni debito, non dovendo nulla agli Efesini. Egli restò con la consapevolezza d’esser puro, con “coscienza perfettamente pura”. (Atti 23:1) Quindi, dopo aver fatto dinanzi ai sorveglianti efesini la sua nota dichiarazione, egli proseguì dicendo: “Quindi vi chiamo a testimoni in questo giorno che io sono puro dal sangue di tutti gli uomini”. Egli non sentiva alcuna colpa per il sangue di Giudei e non Giudei residenti ad Efeso e nei dintorni. Ne dichiarò la ragione, affermando: “Poiché io non mi sono trattenuto dal dirvi [come a rappresentanti di ‘tutti gli uomini’ in Efeso] tutto il consiglio di Dio”. — Atti 20:26, 27.
29. Oltre all’istruzione orale, che cosa fece inoltre Paolo per gli Efesini, e quale idea possiamo quindi farci sulla sua predicazione orale?
29 Oltre alle istruzioni che Paolo diede agli Efesini a voce su tutto il consiglio di Dio, egli s’interessò di loro scrivendo delle lettere. Anni dopo, verso il 60 d.C., inviò loro la cosiddetta Lettera agli Efesini, da Roma, dove ebbe tempo di scrivere mentre era in prigione. Da questa lettera ci possiamo fare un’idea di ciò che aveva predicato agli Efesini, poiché la sua lettera parlava ancora della “liberazione per riscatto mediante il suo sangue, sì, il perdono dei nostri falli, secondo la ricchezza della sua immeritata benignità”, del nostro avvicinarci a Dio “mediante il sangue del Cristo” e di come “per mezzo di lui noi, entrambi i popoli, abbiamo accesso al Padre [Dio] mediante un solo spirito”. — Efes. 1:7; 2:13, 18.
30. (a) Nonostante si riferisse al sangue, che cosa indica che Paolo non considerava la questione militare? (b) Quindi, parlando del sangue, a quale responsabilità di fronte al giudizio alludeva Paolo?
30 Quando Paolo parlò ai sorveglianti efesini aveva circa quarant’anni. Parlando di mantenersi puri dal sangue di tutti gli uomini non si riferiva quindi alla questione militare. Naturalmente, conosceva ciò che è scritto in Numeri 31:19. Questo versetto diceva che anche i Giudei che avevano l’incarico di giustiziare i nemici di Dio dovevano sottoporsi alla purificazione per sette giorni, perché avevano ucciso qualcuno o perché avevano toccato il corpo di qualche ucciso, onde liberarsi dalla colpa o dalla contaminazione mediante il sangue. Ma Paolo parlava della responsabilità che grava sul dedicato cristiano a causa del sangue umano indipendentemente da qualsiasi responsabilità, per aver sparso sangue umano a mezzo di assassinio o concorso in assassinio, in maniera inconscia, noncurante, indifferente, spietata. Paolo pensava al futuro giudizio di Dio che sarà eseguito su “tutti gli uomini”. Egli pensava inoltre all’esecuzione del giudizio di Dio, in quanto avrebbe recato morte e distruzione a creature umane che avrebbero potuto ricevere il beneficio del sacrificio di riscatto di Gesù Cristo e del regno di Dio. Tali creature possono esser salvate da tale morte e distruzione soltanto dal messaggio della salvezza, dall’intero consiglio di Dio. Con questo consiglio il dedicato cristiano riceve l’incarico di testimone e ministro.
31. Perché il clero della cristianità è doppiamente responsabile per il sangue sparso?
31 Da questo punto di vista possiamo vedere che il clero della cristianità ha una doppia responsabilità, non soltanto quella del sangue sparso in guerre internazionali, ma anche quella di aver detto al popolo menzogne religiose e non “tutto il consiglio di Dio” contenuto nella sua Parola. — Ger. 2:34; Ezech. 35:6.
OGNUNO DEVE ASSUMERE LA PROPRIA RESPONSABILITÀ
32, 33. (a) Oltre ad avvertire i sorveglianti dei pericoli presenti, che cosa fece Paolo? (b) Perché disse loro di badare a se stessi e al gregge di Dio?
32 Quando Paolo era vivo e presente in mezzo alle “pecore” spirituali, dovette come un pastore far la guardia al “gregge di Dio” per proteggerlo dalla morte che avrebbe potuto sopraggiungere a causa della fame spirituale o ad opera di nemici simili a lupi. Egli dovette pensare anche a dopo la sua partenza o a dopo la sua morte, quando non avrebbe potuto tenerli sotto la sua diretta e desta sorveglianza. Per questa ragione ammonì le pecore non soltanto dei pericoli presenti ma anche del pericolo che le avrebbe minacciate dopo la sua partenza.
33 In qualità di membro del corpo direttivo cristiano, Paolo ammaestrò e nominò i sorveglianti del “gregge di Dio” sotto la guida dello spirito di Dio. Egli li avvertì anche dei futuri problemi e pericoli circa la loro sicurezza e quella di tutto il gregge di Dio. Data la sua previsione profetica e con l’aiuto delle profezie scritte, Paolo aveva l’obbligo di dare tali avvertimenti. Doveva fare da sentinella e guardare lontano nell’avvenire. Perciò disse a quei sorveglianti efesini: “Badate a voi stessi e a tutto il gregge, fra il quale lo spirito santo vi ha nominati sorveglianti, per pascere la congregazione di Dio, ch’egli acquistò col sangue del suo proprio Figlio. Io so che dopo la mia partenza penetreranno fra voi oppressivi lupi che non tratteranno il gregge con tenerezza, e fra voi stessi sorgeranno uomini che diranno cose storte per tirarsi dietro i discepoli. Perciò siate desti, e tenete presente che per tre anni, notte e giorno, io non cessai di ammonir ciascuno con lagrime”. — Atti 20:28-31.
34. Che cosa intendeva Paolo indicando ai sorveglianti la loro responsabilità, e perché essi erano ritenuti maggiormente responsabili?
34 Essendosi liberato della responsabilità del loro sangue, Paolo dovette mostrare ai pastori spirituali la loro responsabilità. Se ora uno qualsiasi di quei sorveglianti avvertiti anzi tempo e pienamente istruiti fosse stato giustiziato per giudizio di Dio e avesse perduto la vita eterna, Paolo non ne avrebbe avuto colpa. Egli non poteva essere ritenuto responsabile della loro perdita della vita eterna. Se fosse stato sparso il loro sangue o se fosse stata tolta loro la vita, la colpa sarebbe stata attribuita a loro, non a Paolo. Quali sorveglianti addestrati e istruiti essi avevano ricevuto più insegnamento e attenzione e guida del pubblico giudeo e gentile o dei componenti della congregazione. Erano dunque più responsabili, perché avevano maggiore conoscenza e avevano ricevuto più benefici.
35. Che cosa disse infine Paolo prima di pregare con loro?
35 Essendosi comportato ad Efeso così fedelmente quale ministro e sorvegliante cristiano nei tre anni che vi fu presente e attivo, e avendo ora dato loro questo avvertimento finale, Paolo fu in grado di dire ai sorveglianti efesini: “Ed ora vi raccomando a Dio e alla parola della sua immeritata benignità, alla parola che vi può edificare e vi può dare l’eredità fra tutti i santificati. Non ho bramato né l’argento, né l’oro, né il vestito di alcuno. Voi stessi sapete che queste mani hanno provveduto ai bisogni miei e di quelli che erano con me. In ogni cosa vi ho mostrato che lavorando così voi dovete assistere quelli che sono deboli e dovete ricordare le parole del Signore Gesù, il quale egli stesso disse: ‘C’è più felicità nel dare che nel ricevere’”. Paolo pregò quindi insieme a loro. — Atti 20:32-36.
36. Perché Paolo poteva affidare a Dio i cristiani di Efeso?
36 Paolo poté veramente affidare i sorveglianti e la congregazione di Efeso a Dio. Egli aveva insegnato loro ciò che riguardava Geova Dio il Padre e il Signore Gesù Cristo e li aveva messi in relazione con Dio. Per almeno tre anni non si era trattenuto dal dir loro di giorno e di notte tutto il consiglio di Dio. Per mezzo dell’apostolo Paolo la maggior parte della congregazione, se non tutta, aveva indubbiamente ricevuto lo spirito santo e i suoi doni miracolosi. (Atti 19:1-7) Quindi, dovendoli ora lasciare senza speranza di rivederli, Paolo li dovette affidare al loro onnipresente ed eterno Custode, Geova Dio, al quale Paolo li aveva condotti onde divenissero Suoi “santificati”, il gregge delle sue pecore.
37. Perché Paolo poteva affidarli alla “parola dell’immeritata benignità” di Dio?
37 Paolo poté nello stesso tempo affidare quei sorveglianti efesini alla “parola dell’immeritata benignità” di Dio, poiché aveva insegnato loro la Parola di Dio. Spiegò loro le Scritture Ebraiche da Genesi a Malachia. Mostrò loro anche le parole e gli insegnamenti del Signore Gesù Cristo, e le rivelazioni che egli stesso aveva miracolosamente ricevute da Cristo. Scrisse inoltre la Lettera agli Efesini, che è divenuta parte della Parola di Dio. Con efficaci metodi d’insegnamento Paolo impresse la Parola di Dio nelle loro menti in modo che la ritenessero anche dopo la sua partenza definitiva. Egli li poté perciò affidare sicuramente a tale Parola e al suo potere illuminante, preservatore, protettivo e santificatore. Essa era dottrina salutare, scritturale, ed egli sapeva che ne sarebbero stati spiritualmente edificati e aiutati per ricevere infine il regno celeste, la promessa “eredità fra tutti i santificati”. Paolo lasciò dunque le pecore di Dio in buone mani.
NON SI FECE CORROMPERE COL DENARO
38. Di fronte all’adempimento di quale dovere Paolo non considerò cara la propria vita?
38 L’apostolo Paolo non considerò cara la sua vita fisica ma voleva solo adempiere fedelmente il suo ministero, aiutando altri ad evitare la distruzione eterna e a ottenere la vita eterna. Il suo scopo non fu dunque quello di far denaro per mezzo della buona notizia di Dio. La sua mira era di potersi mantenere puro dalla responsabilità del sangue d’altri uomini che stava per essere sparso dall’esecuzione del giudizio di Dio.
39. Per quali motivi Paolo compì il suo ministero vitale?
39 Paolo offrì gratuitamente pertanto il suo vivificante ministero, senza chieder nulla a coloro che cercavano la salvezza. Non usava la Parola di Dio come mezzo di guadagno, facendo in tal modo un commercio. Quando vi era obbligato, egli faceva lavori secolari in qualità di fabbricante di tende, per cui il suo servizio di sentinella non era un servizio retribuito materialmente come quello di un mercenario. Al contrario, egli vigilava in qualità di sottopastore cristiano che amava sia il Capo Pastore che le pecore del Capo Pastore. Paolo veramente desiderava veder vivere gli altri e dar pure a loro l’opportunità di godere l’immeritata benignità di Dio. Egli veramente amò il suo prossimo e non trascurò quindi gli interessi del suo prossimo rendendosi colpevole dello spargimento del sangue del suo prossimo nel tempo dell’esecuzione di Dio. Fu un vero salvatore di vite umane, che provò la gioia, il privilegio e i buoni risultati di tale opera. Comprese il pericolo che minacciava il suo prossimo e sentì l’obbligo di fare qualche cosa in proposito, servendosi dei mezzi che Dio gli aveva affidati. Desiderava dunque liberare il suo prossimo dalla morte, se esso era disposto ad accettare il suo aiuto.
40. In che modo Paolo ci ha dato l’esempio di come ottenere la felicità goduta da Gesù?
40 Questo è un modello per noi oggi. Se ci comportiamo in questo modo altruistico e amorevole, a nostre spese, per aiutare altri ad ottenere la vita eterna, impariamo a conoscere le veraci parole di Gesù che Paolo cita: “C’è più felicità nel dare che nel ricevere”. Nell’aiutare i deboli, si prova ristoratrice felicità dando se stessi, dando le proprie forze mediante le quali si è stati resi vigorosi da Dio. Non c’è felicità nel ricevere ciò che costituirebbe il prezzo della corruzione, denaro che farebbe tacere la nostra bocca e non ci farebbe dare l’avvertimento né ci farebbe annunciare “tutto il consiglio di Dio”. Non c’è felicità nella colpa di aver fatto spargere il sangue di qualcuno, ma soltanto rimorso di coscienza. Paolo desiderava la felicità. Anche noi la desideriamo.
IL NOSTRO DOVERE E LA NOSTRA CONDOTTA ATTUALE
41. Perché siamo ansiosi di aiutare altri ad essere salvati da morte e distruzione?
41 Noi amanti della salvezza siamo ansiosi di condividere la salvezza con altri. Evitando la morte e la distruzione per mano di Dio, siamo ansiosi di far salvare altri da tale calamità. Come Geova Dio, noi diciamo in qualità di suoi ministri e sentinelle: “Potrei io volere la morte dell’empio, . . . e non piuttosto che si converta dalla sua mala condotta e viva?” (Ezech. 18:23, Ri) Come Dio, noi desideriamo pertanto aiutare gli empi a convertirsi dalla loro mala condotta e vivere. Noi non proviamo piacere della prospettiva di macchiarci del sangue di coloro che periranno, perché sappiamo che dovremmo render conto di ciò quali sentinelle pigre. Noi lavoriamo per avere felicità cristiana, poiché questa felicità significa vita eterna.
42. Perché viviamo in un tempo in cui siamo responsabili del sangue, e quindi che cosa non dobbiamo fare?
42 Come ai giorni di Paolo, che visse poco prima della distruzione di Gerusalemme e della Giudea e della dispersione della nazione giudaica, noi viviamo oggi in un tempo in cui il sangue dei nostri connazionali e dei nostri simili è in pericolo. La “guerra del gran giorno di Dio l’Onnipotente” ci sovrasta, e nel campo di battaglia di Armaghedon sarà eseguito il giudizio di Dio contro tutti quelli che rifiutano e avversano il messaggio del regno di Dio. Quale comunità mondiale essi pagheranno a Dio col proprio sangue il conto del sangue che hanno versato come fecero Gerusalemme e Babilonia. (Matt. 23:33-38; Ger. 51:3, 4, 48, 49) Se vogliamo sopravvivere al giudizio di tale guerra e vivere nel nuovo mondo di Dio ci dobbiamo mantenere ‘puri dal sangue di tutti gli uomini’. Non è volere di Dio che questo mondo condannato sia lasciato nell’ignoranza, che perisca per mancanza di conoscenza. Con la nostra conoscenza biblica, noi non osiamo lasciare le persone nell’ignoranza, a meno che esse non vi vogliano rimanere. Noi dobbiamo avvertirle intorno ad Armaghedon e a Gog di Magog che conduce il genere umano a combattere ivi contro Dio e Cristo. Non osiamo lasciare le persone in condizione tale che possano addurre dinanzi a Dio la scusa dell’ignoranza, perché noi non ci saremmo sforzati di dar loro il messaggio della salvezza.
43. Con quanta premura dobbiamo farlo, e in che modo dobbiamo dichiarare, senza tirarci indietro, “tutto il consiglio di Dio”?
43 Come Paolo, dobbiamo essere tanto ansiosi di avvertire e illuminare le persone quanto lo saremmo se questo fosse il nostro ultimo avvertimento per quelli che sono in pericolo. Quel momento s’avvicina! Come Paolo, siamo incaricati da Dio per mezzo di Cristo di predicare la buona notizia del regno di Dio, sì, del regno di Dio ora istituito con potenza. (Matt. 24:14) Dobbiamo far questo per dare testimonianza e avvertimento, prima che venga la fine del vecchio mondo. Non ci dobbiamo trattenere dal dichiarare “tutto il consiglio di Dio”. Come Paolo, che ci dice: “Divenite miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo”, dobbiamo far questo predicando in pubblico e insegnando di casa in casa. — 1 Cor. 11:1.
44. Se facciamo questo che cosa potremo dire alla resa dei conti, e con quali conseguenze per noi stessi?
44 Se facciamo questo, che cosa accadrà? All’inizio di Armaghedon, potremo ripetere le parole di Paolo e dire senza vergogna a tutto il mondo: “Vi chiamo a testimoni in questo giorno che io sono puro dal sangue di tutti gli uomini, poiché io non mi sono trattenuto dal dirvi tutto il consiglio di Dio”. Non morremo con alcuna colpa per il sangue sparso. Con mani, capo e condotta puri saremo introdotti nell’innocente, nuovo mondo di Dio, dove regneranno vita e felicità per sempre.