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MoglieAusiliario per capire la Bibbia
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onorando così il marito e la famiglia nel paese. Davvero chi ha trovato una buona moglie ha trovato una cosa buona e ottiene buona volontà da Geova. — Prov. 18:22.
USO FIGURATIVO
In senso figurativo Geova parlava di Israele come di una moglie unita a lui a motivo del patto stipulato con la nazione. (Isa. 54:6) L’apostolo Paolo parla di Geova, il Padre dei cristiani generati dallo spirito, e della “Gerusalemme di sopra”, loro madre, come se Geova l’avesse sposata al fine di produrre cristiani generati dallo spirito. (Gal. 4:6, 7, 26) La congregazione cristiana è chiamata la sposa o moglie di Gesù Cristo. — Efes. 5:23, 25; Riv. 19:7; 21:2, 9.
NELLA CONGREGAZIONE CRISTIANA
Nella congregazione cristiana la norma è che un marito abbia una sola moglie vivente. (I Cor. 7:2; I Tim. 3:2) Le mogli hanno il comando di essere sottomesse ai mariti, siano essi credenti cristiani o no. (Efes. 5:22-24) Le mogli non devono trattenere il debito coniugale perché, come il marito, anche la moglie “non esercita autorità sul proprio corpo”. (I Cor. 7:3, 4) L’adornamento della moglie dev’essere prima di tutto quello della persona segreta del cuore, producendo i frutti dello spirito, affinché grazie alla sua condotta il marito possa accettare il cristianesimo. — I Piet. 3:1-6.
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MolecAusiliario per capire la Bibbia
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Molec
(Mòlec) [probabilmente, mèlekh (re) con le vocali di bòsheth (vergogna) in segno di avversione; forse lo stesso di Malcam (II Sam. 12:30; I Cron. 20:2; Ger. 49:1, 3; Sof. 1:5), Molec (Atti 7:43; confronta Amos 5:26) e Milcom (I Re 11:5, 33)].
Divinità associata in particolare con gli ammoniti. (I Re 11:5, 7, 33) In Geremia 32:35 Moloc è menzionato in un parallelismo con Baal; ciò fa pensare che, se non sono la stessa cosa, fra i due ci sia per lo meno una certa relazione.
In genere si conviene che il Malcam di II Samuele 12:30 e I Cronache 20:2 fosse l’immagine idolatrica del dio ammonita Milcom o Molec, anche se il termine ebraico potrebbe essere reso “loro re”. (Confronta VR; ATE e nota in calce). Un po’ prima nella Bibbia il re ammonita è menzionato per nome, “Anun” (II Sam. 10:1-4); è dunque ragionevole concludere che se si trattasse del re anziché dell’idolo, nelle Scritture ricorrerebbe il nome “Anun” e non “Malcam”. Inoltre non è verosimile che un re portasse una corona del peso di 34 kg circa. Per la stessa ragione è stata avanzata l’ipotesi che Davide si fosse messo sulla testa la corona di Malcam solo temporaneamente, forse in segno di vittoria sul falso dio. Secondo la lezione del Targum, che è stata adottata da molti traduttori, la corona aveva un’unica pietra preziosa. Ciò ha dato origine all’idea che sulla testa di Davide fosse stata posta la pietra preziosa, anziché la corona stessa.
SACRIFICI DI BAMBINI A MOLEC
La legge data da Dio a Israele prevedeva la pena di morte per chiunque, anche residente forestiero, avesse dato la sua progenie a Molec. (Lev. 20:2-5) Ciò nonostante, israeliti apostati, sia nel regno di Giuda che nel regno delle dieci tribù, fecero passare la loro progenie per (o attraverso) il fuoco. — II Re 17:17, 18; Ezec. 23:4, 36-39.
Questo “passare per il fuoco” a Molec indicherebbe secondo alcuni un rito di purificazione mediante il quale i figli venivano votati o dedicati a Molec; secondo altri si tratterebbe di un sacrificio vero e proprio. Non c’è dubbio che i cananei e gli israeliti apostati sacrificassero effettivamente i figli. (Deut. 12:31; Sal. 106:37, 38) Acaz re di Giuda “bruciava i suoi figli [suo figlio, Sy] nel fuoco”. (II Cron. 28:3) Nel brano analogo, in II Re 16:3, si legge: “Perfino il suo proprio figlio fece passare per il fuoco”. Questo dimostra che “passare per il fuoco” almeno in alcuni casi era sinonimo di sacrificare. Probabilmente però l’adorazione di Molec non si svolse sempre e ovunque nello stesso modo. Per esempio il re Salomone, sotto l’influenza delle mogli straniere, eresse alti luoghi a Molec e ad altre divinità, ma solo all’epoca di Acaz si parla di sacrifici di bambini. (I Re 11:7, 8) Senza dubbio se tale orribile pratica fosse già invalsa prima, sarebbe stata denunciata insieme alle altre forme di idolatria esistenti durante il regno dei vari re. Per questa ragione alcuni commentatori sono dell’opinione che l’espressione “passare per il fuoco” si riferisse in origine a un rito di purificazione e solo più tardi assumesse il significato di un vero e proprio sacrificio. Il ‘sacrificio’ a Molec menzionato in Levitico 18:21 (ATE; NW, ed. 1953, nota in calce) sta evidentemente a indicare che i figli venivano votati o dedicati a tale falso dio.
Acaz e Manasse furono gli unici re di Giuda di cui è detto che fecero passare i propri figli per il fuoco. Comunque, dato che questi due re incentivarono il sacrificio di bambini, tale usanza si diffuse evidentemente fra gli israeliti in generale. (II Re 16:3; 21:6; Ger. 7:31; 19:4, 5; 32:35; Ezec. 20:26) I bambini, almeno a volte, venivano prima uccisi, anziché essere arsi vivi. — Ezec. 16:20, 21.
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MondoAusiliario per capire la Bibbia
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Mondo
Tale è normalmente la traduzione del termine greco kòsmos, il cui significato fondamentale è “ordine” o “ordinamento”. E poiché il concetto di bellezza è legato all’ordine e alla simmetria, kòsmos esprime anche questa idea e perciò era spesso usato dai greci nel senso di “ornamento”, specie femminile; così è usato in I Pietro 3:3. Da kòsmos deriva anche il termine italiano “cosmetico”. Il relativo verbo kosmèo significa ‘mettere in ordine’ (Matt. 25:7) oppure ‘adornare’. (Matt. 12:44; 23:29; Luca 11:25; 21:5; I Tim. 2:9; Tito 2:10; I Piet. 3:5; Riv. 21:2, 19) L’aggettivo kòsmios viene tradotto “decoroso” (I Tim. 2:9, Mar, Ri) o “ordinato”. — I Tim. 3:2.
A motivo dell’ordine manifesto nell’universo, i filosofi greci usavano a volte il termine kòsmos per indicare l’intera creazione. Ma in proposito non erano tutti della stessa idea; alcuni si limitavano a usarlo in riferimento ai corpi celesti, altri all’intero universo. Il termine kòsmos riferito alla creazione materiale nel suo insieme ricorre in alcuni libri apocrifi (vedi Sapienza 9:9; 11:17, CEI), scritti nel periodo in cui la filosofia greca aveva cominciato a infiltrarsi in molti campi del pensiero ebraico. Tuttavia nelle ispirate Scritture Greche Cristiane tale significato è quasi, se non del tutto, assente. In alcuni versetti potrebbe sembrare che il termine sia usato in tal senso, come nella descrizione del discorso pronunciato da Paolo agli ateniesi nell’Areopago: “L’Iddio che ha fatto il mondo [kòsmos] e tutte le cose che sono in esso, essendo, come Questi è, Signore del cielo e della terra, non dimora in templi fatti con mani”. (Atti 17:22-24) Poiché l’uso di kòsmos nel senso di universo era comune presso i greci, Paolo poteva aver usato il termine con tale significato. Ma anche in questo caso è senz’altro possibile che l’abbia usato in uno dei modi che vengono trattati in questa voce.
RIFERITO AL GENERE UMANO
Il kòsmos o “mondo” si riferisce ed è intimamente legato al genere umano. Questo nella letteratura greca secolare e particolarmente nelle Scritture. Quando Gesù disse che l’uomo che cammina alla luce del giorno “vede la luce di questo mondo [forma di kòsmos]” (Giov. 11:9), potrebbe sembrare che per “mondo” s’intenda semplicemente il pianeta Terra, che di giorno ha come fonte di luce il sole. Tuttavia nel successivo versetto (v. 10) si parla dell’uomo che camminando di notte urta contro qualche cosa “perché la luce non è in lui”. Dio fece il sole e gli altri corpi celesti primariamente per il genere umano. (Confronta Genesi 1:14; Salmo 8:3-8; Matteo 5:45). Similmente, usando la luce in senso spirituale, Gesù disse ai suoi seguaci che sarebbero stati “la luce del mondo” (Matt. 5:14), non volendo certo dire che avrebbero illuminato il pianeta, infatti prosegue spiegando che la loro luce doveva risplendere “dinanzi agli uomini”. (v. 16; confronta Giovanni 3:19; 8:12; 9:5; 12:46; Filippesi 2:15). Anche predicare la buona notizia “in tutto il mondo” (Matt. 26:13) significa predicarla al genere umano nel suo insieme, infatti in alcune lingue l’espressione “tutto il mondo” significa semplicemente “tutti” (confronta il francese tout le monde e lo spagnolo todo el mundo). — Confronta Giovanni 8:26; 18:20; Romani 1:8; Colossesi 1:5, 6.
In uno dei suoi significati fondamentali kòsmos si riferisce dunque a tutta l’umanità. Perciò le Scritture dicono che il kòsmos o mondo è colpevole di peccato (Giov. 1:29; Rom. 3:19; 5:12, 13) e perché abbia vita è necessario un salvatore (Giov. 4:42; 6:33, 51; 12:47; I Giov. 4:14), cose che riguardano solo il genere umano, non la creazione inanimata e neanche gli animali. Questo è il mondo che Dio ha tanto amato che “ha dato il suo unigenito Figlio, onde chiunque esercita fede in lui non sia distrutto ma abbia vita eterna”. (Giov. 3:16, 17; confronta II Corinti 5:19; I Timoteo 1:15; I Giovanni 2:2). Tale mondo del genere umano è il campo in cui Gesù Cristo ha seminato il seme eccellente, i “figli del regno”. — Matt. 13:24, 37, 38.
Dicendo che ‘le invisibili qualità di Dio si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo, perché si comprendono dalle cose fatte’, Paolo voleva dire dalla creazione del genere umano in poi, perché solo con la comparsa dell’uomo c’erano sulla terra menti capaci di ‘comprendere’ tali invisibili qualità osservando la creazione visibile. — Rom. 1:20.
Similmente in Giovanni 1:10 viene detto a proposito di Gesù che “il mondo [kòsmos] venne all’esistenza per mezzo di lui”. È vero che Gesù ebbe una parte nel creare tutte le cose, inclusi i cieli, il pianeta Terra e tutte le cose che vi sono, ma qui kòsmos si riferisce primariamente all’umanità alla cui creazione Gesù pure partecipò. (Confronta Giovanni 1:3; Colossesi 1:15-17; Genesi 1:26). Infatti il resto del versetto dice: “... ma il mondo [cioè il mondo del genere umano] non l’ha conosciuto”.
La “fondazione del mondo”
L’evidente relazione fra kòsmos e il mondo del genere umano aiuta anche a capire cosa si intende con l’espressione “fondazione del mondo” che ricorre più volte. In tali brani si parla di “tribolazione”, di ‘versare il sangue dei profeti’ e di ‘nomi scritti nel rotolo della vita’, tutte cose avvenute “dal principio del mondo” o “dalla fondazione del mondo”. (Matt. 24:21; Luca 11:50, 51; Riv. 17:8; confronta Matteo 13:35; 25:34; Ebrei 9:26; Rivelazione 13:8). Queste cose hanno relazione con la vita e le attività umane e perciò la “fondazione del mondo” deve riferirsi all’inizio del genere umano, non all’inizio della creazione inanimata o della creazione animale. Ebrei 4:3 spiega che le opere creative di Dio non erano iniziate, ma “finite dalla fondazione del mondo”. Poiché Eva fu evidentemente l’ultima delle opere creative di Geova sulla terra, la fondazione del mondo non poteva precederla.
Il termine greco katabolè, “fondazione”, può riferirsi al concepimento di un essere umano. Il sostantivo katabolè deriva dal verbo katabàllo, che significa “gettar giù o deporre”, e in Ebrei 11:11 è reso “concepire” (VR, NM). In questo caso si riferisce evidentemente al fatto che Abraamo ‘depose’ seme umano per generare un figlio e Sara accolse quel seme in modo da esser resa feconda.
Perciò non si deve intendere la “fondazione del mondo” come l’inizio della creazione dell’universo materiale, e neanche l’espressione “prima della fondazione del mondo” (Giov. 17:5, 24; Efes. 1:4; I Piet. 1:20) deve necessariamente riferirsi a un tempo precedente alla creazione di tale creazione materiale. Piuttosto queste espressioni si riferiscono evidentemente al tempo in cui fu ‘fondata’ la razza umana per mezzo della prima coppia umana, Adamo ed Eva, i quali, fuori dell’Eden, cominciarono a concepire seme. — Gen. 3:20-24; 4:1, 2.
‘Spettacolo per il mondo, sia per gli angeli che per gli uomini’
Secondo alcuni in I Corinti 4:9 il termine kòsmos includerebbe sia creature spirituali invisibili sia creature umane visibili, dato che il versetto dice: “Siamo divenuti uno spettacolo teatrale per il mondo, sia per gli angeli che per gli uomini”. (NM e NW, nota in calce) Tuttavia una versione ancora più letterale sarebbe: “Siamo divenuti uno spettacolo teatrale per il mondo, e per angeli, e per uomini”. (NW) Poco prima, in I Corinti 1:20, 21, 27, 28; 2:12; 3:19, 22, lo scrittore usa kòsmos nel senso di mondo dell’umanità, ed è evidente che non si scosta da tale significato subito dopo in I Corinti 4:9, 13. Quindi, pur ammettendo la lezione “sia per gli angeli che per gli uomini”, tale espressione è semplicemente rafforzativa e non intesa ad ampliare il significato del termine kòsmos, ma vuole includere fra gli spettatori, oltre al mondo del genere umano, anche gli “angeli”.
La sfera della vita umana e la sua struttura
Questo non significa che kòsmos perda interamente l’originale significato di “ordine” o “ordinamento” e diventi semplicemente sinonimo di genere umano. Il genere umano stesso riflette un certo ordine, essendo composto di famiglie e tribù, che hanno dato origine a nazioni e gruppi linguistici (I Cor. 14:10; Riv. 7:9; 14:6), con classi ricche e povere e altri raggruppamenti. (Giac. 2:5, 6) Man mano che gli anni passavano e gli uomini si moltiplicavano, sulla terra si è consolidata una struttura che circonda il genere umano e influisce su di esso. Nel parlare di un uomo che aveva ‘guadagnato tutto il mondo ma così facendo aveva perso l’anima sua’, Gesù voleva evidentemente dire guadagnato tutto ciò che la sfera della vita umana e la società umana in generale potevano offrire. (Matt. 16:26; confronta 6:25-32). Lo stesso si può dire del riferimento di Paolo a quelli che “fanno uso del mondo” e all’‘ansietà per le cose del mondo’ che provano le persone sposate (I Cor. 7:31-34), e anche delle parole di Giovanni circa “i mezzi di sostentamento di questo mondo”. — I Giov. 3:17; confronta I Corinti 3:22.
Venire ‘nel mondo’
Quando uno viene al mondo o ‘nasce in questo mondo’, non si limita a nascere fra gli uomini ma viene anche a trovarsi entro il complesso delle circostanze in cui vive l’umanità. (Giov. 16:21; I Tim. 6:7) Tuttavia, anche se l’espressione venire al mondo può riferirsi alla nascita o all’ingresso di uno nella sfera della vita umana, non è sempre così. Gesù per esempio disse in preghiera a Dio: “Come tu hai mandato me nel mondo, anch’io ho mandato loro [i discepoli] nel mondo”. (Giov. 17:18) Quelli che Gesù mandò nel mondo erano uomini adulti, non neonati. Giovanni parla di falsi profeti e ingannatori “usciti nel mondo”. — I Giov. 4:1; II Giov. 7.
I numerosi riferimenti a Gesù che ‘venne o fu mandato nel mondo’ non riguardano primariamente o non riguardano affatto la sua nascita umana, ma si riferiscono piuttosto al suo ingresso in mezzo al genere umano, per svolgere pubblicamente il ministero affidatogli dal suo battesimo e dalla sua unzione in poi, per illuminare il mondo del genere umano. (Confronta Giovanni 1:9; 3:17, 19; 6:14; 9:39; 10:36; 11:27; 12:46; I Giov. 4:9). La sua nascita umana fu solo il mezzo necessario per conseguire tale fine. (Giov. 18:37) A sostegno di ciò lo scrittore di Ebrei fa pronunciare a Gesù parole tratte dal Salmo 40:6-8 “quando egli viene nel mondo”, e Gesù logicamente non le pronunciò quando era appena nato. — Ebr. 10:5-10.
Quando il suo ministero pubblico in mezzo al genere umano giunse alla sua conclusione, Gesù sapeva “che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre”, morendo come uomo ed essendo risuscitato alla vita celeste nel reame spirituale da cui era venuto. — Giov. 13:1; 16:28; 17:11; confronta Giovanni 8:23.
Le “cose elementari del mondo”
In Galati 4:1-3, dopo aver spiegato che un bambino è come uno schiavo in quanto è affidato alla custodia di altri finché non diventa maggiorenne, Paolo dichiara: “Similmente anche noi, quando eravamo bambini, eravamo resi schiavi dalle cose elementari [stoikhèia] che appartengono al mondo”. Quindi prosegue spiegando che il Figlio di Dio era venuto al “pieno limite del tempo” e aveva liberato quelli che erano diventati suoi discepoli dalla soggezione alla Legge affinché potessero ricevere l’adozione quali figli. (Vv. 4-7) Similmente in Colossesi 2:8, 9, 20 esorta i cristiani di Colosse a non lasciarsi trascinare via “per mezzo della filosofia e di un vuoto inganno secondo la tradizione degli uomini, secondo le cose elementari [stoikhèia] del mondo e non secondo Cristo; perché in lui dimora corporalmente tutta la pienezza della qualità divina”, sottolineando che erano ‘morti insieme a Cristo rispetto alle cose elementari del mondo’.
A proposito del termine greco stoikhèia (pl. di stoikhèion) usato da Paolo, un commentario biblico (The Pulpit Commentary, Galati, p. 181) dice: “Dal significato primitivo di ‘pali messi in fila’, . . . il termine [stoikhèia] fu applicato alle lettere dell’alfabeto allineate, e quindi agli elementi fondamentali del discorso; poi agli elementi fondamentali di tutto ciò che esiste in natura, come per esempio i quattro ‘elementi’ (vedi 2 Piet. iii. 10, 12); e ai ‘rudimenti’ o primi ‘elementi’ di qualsiasi branca dello scibile. In quest’ultimo senso ricorre in Ebr. v. 12”. Il verbo stoikheiòo significa “insegnare i principi fondamentali”.
Gli scritti di Paolo indicano che questo includerebbe le filosofie e le dottrine illusorie che si basano unicamente su norme, concetti, ragionamento e mitologia umani, come quelli di cui si dilettavano i greci e altri popoli pagani. (Col. 2:8) Comunque è chiaro che usa il termine per includere anche elementi della cultura ebraica, non solo insegnamenti ebraici non biblici fautori dell’ascetismo o dell’“adorazione degli angeli”, ma anche l’idea che i cristiani dovevano imporsi l’osservanza della legge mosaica. — Col. 2:16-18; Gal. 4:4, 5, 21.
Il mondo ostile a Dio
Un uso di kòsmos proprio delle Scritture è quello di mondo del genere umano a parte i servitori di Dio. Pietro scrive che Dio portò il diluvio “su un mondo di empi”, mentre preservò Noè e la sua famiglia; in tal modo “il mondo di quel tempo subì la distruzione quando fu inondato dall’acqua”. (II Piet. 2:5; 3:6) Si noti una volta di più che non si parla della distruzione del pianeta né dei corpi celesti dell’universo, ma limitatamente alla sfera umana, in questo caso all’ingiusta società umana. Quel “mondo” Noè condannò con la sua fedele condotta. — Ebr. 11:7.
La società umana o l’ingiusto mondo antidiluviano ebbero fine, ma il genere umano stesso non finì, essendo preservato in Noè e nella sua famiglia. Dopo il Diluvio la maggioranza del genere umano di nuovo si allontanò dalla giustizia, producendo un’altra società umana malvagia. Eppure alcuni presero una via diversa, attenendosi alla giustizia. In seguito Dio scelse Israele come suo popolo eletto, introducendolo in una relazione di patto con lui. Poiché in tal modo gli israeliti venivano distinti dal mondo in generale, Paolo in Romani 11:12-15 poté usare il termine kòsmos, “mondo”, come equivalente di “persone delle nazioni” (NM) o “Gentili” (VR), non israeliti. Egli fa qui notare che l’apostasia di Israele costrinse Dio a revocare il patto che aveva fatto con loro e ciò diede ai gentili la possibilità di godere di tale relazione e della sua ricchezza, essendo riconciliati con Dio. (Confronta Efesini 2:11-13). Quindi in quel periodo postdiluviano e precristiano, il “mondo” o kòsmos includeva tutta l’umanità al di fuori degli approvati servitori di Dio, e in particolare coloro che non facevano parte di Israele finché era in una relazione di patto con Geova. — Confronta Ebrei 11:38.
Molto spesso kòsmos è similmente usato per indicare tutta la società umana non cristiana, di qualunque nazionalità. Questo è il mondo che odiò Gesù e i suoi seguaci perché testimoniavano che era ingiusto e perché ne rimasero separati; quel mondo dimostrò in tal modo di odiare Geova Dio stesso e non lo conobbe. (Giov. 7:7; 15:17-25; 16:19, 20; 17:14, 25; I Giov. 3:1, 13) Su questo mondo dell’ingiusta società umana e sui suoi regni domina l’avversario di Dio, Satana il Diavolo, che infatti ne è diventato il ‘dio’. (Matt. 4:8, 9; Giov. 12:31; 14:30; 16:11; confronta II Corinti 4:4). Geova Dio non ha prodotto tale mondo ingiusto, che deve il suo sviluppo al principale Oppositore, infatti “tutto il mondo giace” in suo potere. (I Giov. 4:4, 5; 5:18, 19) Satana e le sue “malvage forze spirituali che sono nei luoghi celesti” sono gli invisibili “governanti mondiali [o “cosmocrati”; dal gr. kosmokràtor]” del mondo ostile a Dio. — Efes. 6:11, 12.
In questi versetti non s’intende semplicemente l’umanità, di cui i discepoli di Gesù facevano parte, ma l’intera società umana organizzata al di fuori della vera congregazione cristiana. Altrimenti i cristiani non potrebbero smettere di fare “parte del mondo” senza morire e cessare di vivere nella carne. (Giov. 17:6; 15:19) Anche se non possono evitare di vivere in questa società di persone mondane, fra cui si praticano fornicazione, idolatria, estorsione e simili (I Cor. 5:9-13), i cristiani devono rimanere puri e senza macchia da tale corruzione e contaminazione del mondo, non avendo rapporti amichevoli col mondo, per non essere condannati anche loro. (I Cor. 11:32; Giac. 1:27; 4:4; II Piet. 1:4; 2:20; confronta I Pietro 4:3-6). Non possono lasciarsi guidare dalla sapienza del mondo, che è stoltezza agli occhi di Dio, e neanche ‘respirare’ lo “spirito del mondo”, cioè la sua forza operante egoista e peccaminosa. (I Cor. 1:21; 2:12; 3:19; II Cor. 1:12; Tito 2:12; confronta Giovanni 14:16, 17; Efesini 2:1, 2; I Giovanni 2:15-17). Così per mezzo della fede ‘vincono il mondo’ dell’ingiusta società umana, come l’ha vinto il Figlio di Dio. (Giov. 16:33; I Giov. 2:17; 4:4; 5:4, 5) Tale ingiusta società umana è destinata a scomparire distrutta da Dio (I Giov. 2:17), come perì l’empio mondo antidiluviano. — II Piet. 3:6.
Fine di un mondo empio; preservato il mondo dell’umanità
Quindi il kòsmos per cui Gesù è morto dev’essere il mondo del genere umano visto semplicemente come famiglia umana, come ogni carne o essere umano di carne. (Giov. 3:16, 17) In quanto al mondo nel senso di società umana ostile a Dio, Gesù non pregò per tale mondo, ma solo per quelli che ne erano usciti e avevano riposto fede in lui. (Giov. 17:8, 9) E come della carne umana sopravvisse alla distruzione del mondo o empia società umana nel Diluvio, così Gesù spiegò che carne umana sopravvivrà alla grande tribolazione che paragonò al Diluvio. (Matt. 24:21, 22, 36-39; confronta Rivelazione 7:9-17). Il “regno del mondo” (volendo evidentemente dire del genere umano) deve, come è stato promesso, diventare “il regno del nostro Signore e del suo Cristo”, e coloro che regneranno con Cristo nel regno celeste “regneranno sulla terra”, quindi sull’umanità al di fuori dell’empia società umana deceduta, dominata da Satana. — Riv. 11:15; 5:9, 10.
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MonetaAusiliario per capire la Bibbia
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Moneta
Mezzo di scambio. Nell’antichità spesso si barattavano capi di bestiame, vale a dire una cosa veniva data in cambio di un’altra, e questo evidentemente è il più antico metodo di transazione commerciale. Indicativo è il fatto che il termine latino pecunia (da cui il nostro aggettivo “pecuniario”) deriva da pecus, che significa “bestiame”. Tuttavia bestiame (Gen. 47:17) e viveri (I Re 5:10, 11) non erano sempre un comodo mezzo di scambio, perciò si cominciarono a usare metalli come oro e argento. Già all’epoca di Abraamo metalli preziosi servivano come mezzo di scambio. Ma non si trattava di moneta coniata in modo convenzionale. Si trattava di argento e oro, senza dubbio per comodità sotto forma di lingotti, anelli, braccialetti o altri oggetti aventi un determinato peso. (Confronta Genesi 24:22; Giosuè 7:21). Spesso gli oggetti di metallo venivano pesati dagli interessati quando avveniva il pagamento. — Gen. 23:15, 16; Ger. 32:10.
Dato che nelle transazioni commerciali si usavano pesi, è comprensibile che questi avessero anche valore monetario. (Vedi PESI E MISURE). Presso gli israeliti esistevano cinque unità principali: ghera, mezzo siclo (bèga‘), siclo, mina (manèh) e talento. (Eso. 25:39; 30:13; 38:25, 26; I Re 10:17; Ezec. 45:12; vedi GHERA; MINA; SICLO; TALENTO). Il loro valore equiparato è indicato sotto:
1 ghera = 1/20 di siclo
1 bèga’ = 10 ghera
1 siclo = 2 bèga’
1 mina = 50 sicli
1 talento = 60 mine
Il valore del “pezzo di denaro” (ebr. gesitàh) menzionato in Genesi 33:19, Giosuè 24:32 e Giobbe 42:11 non può essere stabilito con precisione. Pure incerto è il valore del “pim”, che forse equivaleva a circa due terzi del siclo. — I Sam. 13:21.
MONETE NELLE SCRITTURE EBRAICHE
Si ritiene che le prime monete siano state coniate verso il 700 a.E.V. Perciò gli israeliti probabilmente usarono le prime monete coniate nel loro paese dopo il ritorno dall’esilio in Babilonia. I libri della Bibbia posteriori all’esilio menzionano il darico persiano (I Cron. 29:7; Esd. 8:27) e la dracma (darkemòhn), pari generalmente al darico. (Esd. 2:69; Nee. 7:70-72) Il darico d’oro persiano pesava gr 8,4 circa. — Vedi DARICO: DRAMMA o DRACMA.
MONETE DELL’EPOCA DELLE SCRITTURE GRECHE CRISTIANE
Nelle Scritture Greche Cristiane sono menzionate le seguenti monete: leptòn (Giudea, rame o bronzo), quadrans (Roma, rame o bronzo), as o assàrion (Roma e province, rame o bronzo), denarius (Roma, argento), drakhmè (Grecia, argento), dìdrakhmon (Grecia, argento) e statèr (Grecia, argento; ritenuto da alcuni il tetràkhmon di Antiochia o di Tiro). (Matt. 5:26; 10:29; 17:24, 27; 20:10; Mar. 12:42; Luca 12:6, 59; 15:8; 21:2, Int; vedi DENARO; STATERE). Le unità monetarie di valore molto maggiore, quali la mina e il talento, erano pesi non monete. (Matt. 18:24; Luca 19:13-25) La tabella che segue indica l’equivalenza fra le varie unità monetarie.
1 leptòn = 1/, quadrans
1 quadrans= 2 leptà
1 as (assàrion) = 4 quadrantes
1 denaro = 16 asses
1 dramma = 1 denaro ca.
1 didramma= 2 dramme
1 tetradramma = 4 dramme (statere, ritenuto uguale al tetradramma)
1 mina (argento) = 100 dramme
1 talento (argento) = 60 mine
POTERE D’ACQUISTO
L’equivalente moderno delle monete antiche non dà un’idea precisa del loro valore. La Bibbia invece fornisce informazioni circa il loro potere d’acquisto e questo aiuta a capire che valore avevano un tempo. All’epoca del ministero terreno di Gesù i braccianti agricoli ricevevano di solito un denaro per una giornata lavorativa di dodici ore. (Matt. 20:2) Si presume che all’epoca delle Scritture Ebraiche la paga fosse più o meno uguale. In tal caso un siclo d’argento equivarrebbe al salario di tre giorni.
Il prezzo di uno schiavo era trenta sicli d’argento (salario di novanta giorni?). (Eso. 21:32; confronta Levitico 27:2-7). Il profeta Osea acquistò una donna per quindici pezzi d’argento e un homer e mezzo (15 efa) di orzo. Probabilmente tale pagamento equivaleva all’intero prezzo di uno schiavo. In tal caso un’efa (22 litri) di orzo allora valeva un siclo. — Osea 3:2.
In tempi di scarsità i prezzi salivano bruscamente. Gli ottanta pezzi d’argento (salario di 240 giorni) con cui un tempo si potevano acquistare otto homer (1.760 litri) di orzo, durante un assedio potevano pagare solo l’ossuta testa di un asino, animale che secondo la legge mosaica non era neanche commestibile. — II Re 6:25; confronta Osea 3:2.
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