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  • g73 8/1 pp. 8-10
  • Chi trae il massimo beneficio dalla “rivoluzione verde”?

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  • Chi trae il massimo beneficio dalla “rivoluzione verde”?
  • Svegliatevi! 1973
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Svegliatevi! 1973
g73 8/1 pp. 8-10

Chi trae il massimo beneficio dalla “rivoluzione verde”?

A QUALE conclusione può pervenire la persona comune dopo aver letto come la “rivoluzione verde” ha accresciuto la produzione in maniera così spettacolare? Sarà incline a pensare che sempre più persone affamate abbiano da mangiare così che il loro numero vada diminuendo.

È questo ciò che accade? Sfortunatamente, no. Non sono i più bisognosi a trarne il massimo beneficio. Ne possiamo capire la ragione quando gli esperti di agricoltura spiegano ciò che deve farsi per produrre i nuovi raccolti ad alto rendimento.

Prima di tutto, spiega Dean Fraser, professore di virologia dell’Università dell’Indiana, i nuovi semi producono abbondantemente “solo con l’applicazione di grandi quantità di fertilizzanti”. Quindi devono essere disponibili anche i fertilizzanti. Ma le provviste di fertilizzanti non sono sempre abbondanti nei paesi sottosviluppati.

Anche quando tali provviste sono disponibili, l’agricoltore deve potersi permettere i fertilizzanti. La maggioranza degli agricoltori nei paesi più poveri sono poveri essi stessi. Perciò, l’agricoltore che già è in migliori condizioni e può permettersi i fertilizzanti di solito ne riceve i maggiori benefici, non chi soffre di più per fame o povertà.

Un’esigenza più urgente

C’è qualche altra esigenza che è ancor più critica dei fertilizzanti. In India’s Green Revolution l’autore F. R. Frankel dichiara: “La riuscita coltivazione dei frumenti nani dipende anche più rimarchevolmente dalla sicura provvista d’acqua. Infatti, l’irrigazione in tempi fissati nel ciclo della crescita delle piante è essenziale per la realizzazione del suo potenziale ad alto rendimento”. E il riso ha bisogno anche di più acqua del frumento.

L’irrigazione non è come la pioggia. Le nuove varietà non possono dipendere dalle precipitazioni incerte. Richiedono irrigazione regolare. Quindi la sicura provvista d’acqua è una necessità. Quest’acqua di irrigazione potrebbe venire dalle reti fluviali per mezzo di canali. Ma nei paesi più poveri, spesso non sono stati costruiti. Nella maggioranza dei casi ci vogliono pompe per portare dal sottosuolo l’acqua alla superficie.

Tutto ciò richiede tecnologia; occorrono macchine per scavare canali e fabbriche per fare pompe. Inoltre, dice Frankel: “Per giunta, i nuovi frumenti richiedono mezzi agricoli più complicati per produrre rendimenti ottimi: migliori aratri ed erpici per appianare debitamente il terreno [altrimenti l’irrigazione non sarebbe pratica]; solchi per i semi e i fertilizzanti per la piantagione poco profonda e per porre i semi alla giusta distanza; e mezzi per la protezione delle piante per tener lontani la ruggine e altre malattie”.

Chi è in grado di permettersi tutto questo? Di nuovo, è l’agricoltore che è già più prospero.

Notate che ci vogliono mezzi protettivi. Essi comprendono il notevole uso di insetticidi per proteggere i nuovi grani. Non solo per ottenerli ci vuole denaro, ma sono inquinanti. Comunque, il largo uso è scusato come il minore di due mali. Si pensa che un uomo affamato non si preoccupi tanto del danno che deriva a lungo andare dagli insetticidi. Egli vuole mettere del cibo nello stomaco. Tuttavia, c’è un inevitabile prezzo da pagare in seguito.

Riassumendo queste esigenze, U.S. News & World Report affermò: “I nuovi semi da soli, comunque, non possono rivoluzionare l’agricoltura. Il loro pieno potenziale genetico non può essere realizzato senza irrigazione e abbondanti fertilizzanti e insetticidi”. Tutto questo richiede denaro. I poveri e gli affamati non sono quelli che l’hanno.

Inegualmente distribuiti

Per le suddette ragioni, il libro India’s Green Revolution dichiara: “I profitti della nuova tecnologia sono stati molto inegualmente distribuiti”.

Questa conclusione è sostenuta dal libro The Survival Equation che dice questo:

“Si deve dire che la rivoluzione è altamente ‘selettiva’, . . . Basti ricordare che i tre quarti del terreno coltivato dell’India non sono irrigati, e predomina l’agricoltura ‘asciutta’. Se non per nessun’altra ragione, vaste parti del paese non sono state toccate affatto dalla trasformazione e parti ugualmente vaste possono vantare solo ‘piccole isole entro di esse’. . . .

“La rivoluzione verde influisce su pochi anziché su molti non solo a causa delle condizioni ambientali ma a causa della mancanza di risorse degli agricoltori . . . Aspettando di prendervi parte eppure non pervenendovi si creano contese sociali, economiche e politiche potenzialmente perturbatrici. E questo è l’altro lato della questione in qualsiasi valutazione del corso della rivoluzione verde”.

Quindi, mentre le totali raccolte ed entrate possono aumentare, non sono equamente distribuite. Per esempio, in due delle maggiori zone dell’India dove si coltiva frumento, Bihar e Uttar Pradesh, si stima che l’80 per cento di tutti i poderi abbiano un’estensione di meno di tre ettari e mezzo. Ciò significa che di solito non hanno le risorse per trarre profitto dalla nuova tecnologia. Una percentuale relativamente piccola di quelli davvero bisognosi ne trae dunque profitto. Infatti, in tutta l’India, si dice che 185 milioni di persone vivano su poderi che hanno un’estensione di meno di due ettari.

Inoltre, in molti paesi più poveri ci sono agricoltori che non sono proprietari dei loro poderi ma li prendono in affitto dai proprietari terrieri. E in anni recenti, il valore del terreno è aumentato. Vicino alle zone dove è stata evidente la “rivoluzione verde”, i valori sono aumentati a volte di tre, quattro o cinque volte. Di conseguenza, gli affitti sono saliti alle stelle, rendendo le condizioni difficili per i fittavoli. E alcuni proprietari terrieri, avendo visto quali profitti si possono trarre dai nuovi raccolti, hanno deciso di coltivare il terreno da sé. Così mandano via i fittavoli dal terreno, riducendoli a operai senza terra.

Il numero degli operai di zone rurali senza terra è strabiliante. Nella sola India si dice che vi siano oltre 100 milioni di persone che non possiedono terreno. Questi sono da aggiungere ai milioni di poveri che affollano le città.

Questi operai senza terra dell’India, insieme ai 185 milioni di altri che coltivano meno di due ettari, rappresentano quasi 300 milioni di persone! Questa è la maggioranza della popolazione rurale dell’India. E la maggioranza d’essi vivono nell’abietta povertà. La loro entrata media si dice sia solo di 200 rupie (circa L. 12.285) a persona l’anno.

I risultati? India’s Green Revolution dichiara che questo ha “in effetti portato a un assoluto peggioramento della condizione economica” della popolazione povera. E un economista scrive in The Survival Equation che ‘il ricco diventa più ricco, ma il povero più povero’.

Così, proprio quelli che la “rivoluzione verde” doveva aiutare sono quelli che essa aiuta meno. E nelle nazioni sottosviluppate del mondo, questo è un problema di proporzioni enormi.

La “rivoluzione verde” potrebbe divenire “rossa”

L’entità del problema si può vedere notando le parole del primo ministro indiano, Indira Gandhi. Rivolgendosi ai principali ministri di tutti gli Stati dell’India, ella disse: “L’avvertimento dei tempi è che se la rivoluzione verde non è accompagnata da una rivoluzione basata sulla giustizia sociale la rivoluzione verde può non rimanere verde”.

L’illazione è che potrebbe diventare “rossa”, cioè comunista, come reazione contro la continua povertà, la fame e l’ingiustizia. Questo è accaduto prima d’ora dove i poveri hanno visto aggravarsi la propria situazione mentre altri, specialmente i più ricchi, traevano profitto dalla nuova tecnologia.

Né dovreste concludere che questo sia solo una situazione isolata in un solo paese. È la regola anziché l’eccezione. Un funzionario dell’agricoltura della Colombia disse agli ospiti in una conferenza sull’alimentazione in quel paese: “La ‘rivoluzione verde’ sta trascurando il popolo, il popolo che ne ha maggior bisogno. Sta allargando il baratro fra gli ‘abbienti’ e i ‘non abbienti’”.

Inoltre, The Bulletin, rivista settimanale australiana, disse: “L’incapacità dell’alimentazione di precedere il numero delle persone non è primariamente un problema agricolo ma economico. Il fatto è che la massa del popolo è troppo povera per acquistare gli alimenti migliori di cui ha bisogno, anche quando sono disponibili”. E questo è ciò che accade fino a un certo punto anche negli Stati Uniti, dove il governo paga gli agricoltori per mantenere la terra incoltivata mentre nello stesso tempo milioni di Americani sono denutriti, non potendo permettersi un’alimentazione adeguata per mantenersi in buona salute.

Riassumendo questa situazione, un recente resoconto pubblicato da A. H. Boerma, direttore generale dell’Organizzazione per l’Alimentazione e l’Agricoltura delle Nazioni Unite, dichiara: “La distribuzione dell’ulteriore entrata nell’agricoltura è divenuta, se non altro, più ineguale, con il risultato che l’assoluto numero di affamati e denutriti è aumentato nel corso degli anni”.

[Immagine a pagina 9]

Il libro “India’s Green Revolution” dichiara che solo una minoranza ne trae beneficio e che la maggioranza dei poveri divengono più poveri

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